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sabato 19 novembre 2022

Archeologia. La tomba dei bronzetti sardi a Cavalupo di Vulci. Articolo di Maria Letizia Arancio, Anna Maria Moretti Sgubini, Enrico Pellegrini

Archeologia. La tomba dei bronzetti sardi a Cavalupo di Vulci.

Articolo di Maria Letizia Arancio, Anna Maria Moretti Sgubini, Enrico Pellegrini 

A oltre mezzo secolo dalla scoperta nella necropoli di Cavalupo, il contributo che può offrire la Tomba dei Bronzetti sardi resta un punto di riferimento per gli studi sull’età del ferro di Vulci, e non solo. La rilettura dei contesti villanoviani provenienti dal grande centro protourbano, conservati per la maggior parte nei depositi della Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Etruria Meridionale, come pure la revisione dei dati d’archivio e di quelli bibliografici, oggi notevolmente accresciuti, permette di avanzare nuove osservazioni su questo famoso contesto, come anche sui culti e sui rituali funerari relativi a sepolture femminili di rango.

Nel 2008, avevamo dato notizia dei primi risultati del lavoro di riordinamento dei contesti e dei ritrovamenti sporadici della prima età del ferro di Vulci, lavoro che ha permesso di recuperare, come già per i materiali di età storica, una serie di dati utili a colmare, almeno in parte, le lacune di una documentazione notoriamente assai frammentaria . In quella stessa occasione si era ribadito come, in assenza di nuovi scavi sistematici , le uniche informazioni relative all’assetto topografico dei

sepolcreti villanoviani si debbano ancora sostanzialmente allo Gsell. Come è noto, questi aveva inoltre individuato, in un settore della necropoli orientale ubicato a nord-ovest della Cuccumella, quattro raggruppamenti di tombe a pozzetto, due dei quali contrassegnati da una grande pietra infissa nel terreno e grossolanamente sbozzata , che documentano, sin da un momento avanzato del Primo Ferro iniziale, un’articolazione sociale particolarmente complessa. Se le aree funerarie si qualificano come i luoghi nei quali la comunità, con atti appropriati, iscrive i propri antenati nella memoria collettiva, le singole sepolture e il rituale funerario dovrebbero rappresentare, seppure in chiave simbolica, l’identità sociale dell’individuo e i suoi rapporti con gli altri membri del gruppo. Relativamente a questo secondo aspetto, la nostra attenzione si è doverosamente soffermata su uno dei più noti contesti del Primo Ferro: quella Tomba dei Bronzetti sardi che, scoperta cinquant’anni fa nella necropoli di Cavalupo (fig. 1A-C) e resa nota da Maria Teresa Falconi Amorelli nel 1966, si conferma di fondamentale importanza per la ricostruzione delle dinamiche storiche, economiche e sociali della prima Vulci. Al contributo della Falconi Amorelli, cui nel tempo gli studiosi hanno fatto riferimento , si deve la restituzione grafica dei materiali. Non vi si trova, invece, alcun cenno alle circostanze di rinvenimento né ad aspetti del rituale come, ad esempio, il trattamento e le modalità di deposizione degli oggetti del corredo. 


L’esame autoptico dell’intero contesto ha subito posto in evidenza alcuni fondamentali aspetti del complesso funerario legati non soltanto al rituale, come l’esposizione di una parte dei materiali all’azione del fuoco, ma anche l’arbitraria ricomposizione di alcune staffe e fibule rinvenute disarticolate, conseguente all’intervento di restauro effettuato poco dopo la scoperta, e numerose imprecisioni nella documentazione grafica dei materiali. L’insieme di questi elementi, coniugati ai dati di rinvenimento disponibili, ci hanno incoraggiato ad approfondire la ricerca su questo importante contesto funerario. Consideriamo, anzitutto, le notizie relative alla sepoltura, tornata casualmente in luce il 25 settembre del 1958 (fig. 2A-C) partendo dall’esame della struttura. È stato già sottolineato come la presenza della custodia cilindro-ovoide di tufo (fig. 2D-E) appaia episodica a Vulci, dove l’uso di deporre il cinerario in un siffatto contenitore litico è infatti documentato solo in altri sei casi. Ciò che tuttavia la rende un unicum, e non solo a Vulci, oltre alla monumentalità, enfatizzata dalle massicce modanature disposte sui bordi della custodia e del coperchio, funzionali anche al trasporto e alla collocazione del manufatto, è il singolare apprestamento presente al suo interno. L’urna era, infatti, collocata su un “piedistallo” costituito da due elementi di tufo (fig. 2E) il primo dei quali, cilindrico e ottenuto a risparmio, risulta internamente conformato per accogliere il secondo elemento, mobile, a profilo convesso e rastremato alla base (fig. 2F-G). La faccia superiore di quest’ultimo è lavorata a incavo per offrire uno stabile alloggiamento al cinerario che vi era deposto. Per la sua forma complessivamente tozza, con collo poco sviluppato (fig. 3A; fig. 7.43), questo risulta tipologicamente più vicino ai vasi a collo distinto che ai biconici di tipo canonico, richiamando forme vascolari del Bronzo Finale, e comunque non locali. L’esame del cinerario ha inoltre evidenziato una decorazione assai più articolata di quella resa nota, come pure ha permesso di accertare che il vaso fu realizzato con un’unica ansa e non con due, come appare nella pubblicazione del 1966. La scodella (fig. 3B; fig. 7.42), al contrario, trova numerosi confronti in esemplari della prima età del ferro di Tarquinia, di Veio e della stessa Vulci. Sia l’urna sia la scodella di copertura sono decorate esclusivamente con la tecnica delle lamelle metalliche applicate e il reciproco richiamo dei motivi crea un insieme omogeneo, realizzato appositamente per la sepoltura. Quanto alla sintassi decorativa, a parte i motivi geometrici più semplici e l’ornato posto, all’esterno, sul fondo della scodella, va segnalato come le metope si articolino, nel caso dell’urna, in almeno due schemi diversi: a croce gammata e a croce greca campita. Quest’ultimo elemento, presente anche sulla scodella, è attestato, seppur raramente, in Etruria meridionale soltanto nella tecnica a incisione mentre, sempre con questa tecnica, risulta largamente diffuso nella Campania meridionale, ove compare anche su cinturoni a fascia. Numerose altre novità sono emerse dall’analisi degli oggetti che compongono il corredo funebre, in particolare per quanto riguarda le fibule. 


Il loro esame ha consentito di evidenziare alcuni aspetti utili a definire la cronologia del complesso, che Marco Pacciarelli, in attesa che gli studi in corso e in modo particolare quello relativo agli scavi condotti nella necropoli di Villa Bruschi Falgari a Tarquinia portino a ridefinire l’articolazione della fase I del Primo Ferro dell’Etruria meridionale già definita da Renato Peroni, ha proposto, sia pure in via ipotetica, di assegnare al PF1A2 dell’Etruria, rilevando all’interno del contesto la presenza di fibule attribuibili all’orizzonte da lui definito “Le Rose”. Per quanto riguarda le fibule, il primo problema è stato quello di una corretta ricomposizione dei corpi e delle staffe rinvenuti disarticolati, operazione questa che è stata facilitata dalla constatazione che quasi tutte le fibule con staffa a disco del contesto, ovvero dieci su dodici, sono rappresentate da cinque coppie del tutto identiche e che un numero analogo di coppie si riscontra tra le staffe . La conformazione e la decorazione delle staffe a disco, oggetto di una specifica sequenza elaborata per Pontecagnano e di un recente studio sulla tecnica di realizzazione e sulla sintassi decorativa, ci hanno permesso, inoltre, di avanzare nuove proposte per l’inquadramento cronologico dei nostri esemplari prendendo avvio dal confronto con le fibule integre e con quella correttamente assemblata . L’attribuzione proposta risulterebbe peraltro confermata dai primi risultati delle analisi metallografiche del tipo X-Ray Fluorescence Spectrometry, in fase di elaborazione definitiva. Tra le fibule del contesto, un posto di particolare rilievo è occupato dagli esemplari con arco rivestito da dischi metallici, attestati con ben cinque unità. 

Diffuse in un vasto areale , che coincide sostanzialmente con quello in cui è presente lo stile villanoviano, queste fibule, testimoniate in gran numero a Tarquinia, così da indurre a ubicare in quel centro il luogo di produzione della foggia, risultano tuttavia largamente documentate pure nella Campania meridionale, in particolare nelle necropoli di Sala Consilina e Pontecagnano , necropoli cui rimandano, come già si è visto, anche altri confronti. Le fibule di questa articolata famiglia tipologica si differenziano per due caratteristiche fondamentali. Una caratteristica è relativa alla configurazione dei dischi, che possono essere di diametro pressoché costante o di dimensioni decrescenti verso l’estremità dell’arco; l’altra è data dalla diversa conformazione degli elementi distanziatori, che possono essere costituiti da fascette di lamina avvolte intorno all’arco con estremità sovrapposte o da rondelle con i capi ribattuti. Alla conformazione degli elementi distanziatori è stata riconosciuta una valenza cronologica , alla quale concorrono, come per tutte le fibule con staffa a disco, anche altri fattori, quali le dimensioni e gli avvolgimenti della molla e la conformazione e la decorazione delle staffe . Riassumendo, nel corredo della Tomba dei Bronzetti sardi le fibule si articolano come di seguito: - coppia di fibule ad arco rivestito da dischi metallici di diametro pressoché costante (inv. 59934: fig. 4.1, fig. 6.15 e inv. 59933+59939: fig. 4.2 a-b, fig. 6.7,14), distanziati da una fascetta; staffa a disco spiraliforme a contorno circolare con decorazione incisa e impressa del tipo con fascia marginale poco estesa e riempitivi “a rosetta”: in entrambi gli esemplari, che trovano confronto con fibule del periodo IA evoluto di Pontecagnano, le staffe presentano fori per il fissaggio con ribattini. - coppia di fibule ad arco rivestito da dischi metallici graduati e serrati, separati da rondelle a estremità ribattute (inv. 59935b+59941: fig. 4.4 a-b, fig. 6.11-12 e inv. 59935c+59936: fig. 4.3 a-b, fig. 6.10,13); grande staffa a disco spiraliforme a contorno ellittico con barretta trasversale e ampia fascia marginale interrotta da bande trasversali54 : trovano confronto con esemplari del periodo IB iniziale di Pontecagnano. - altra simile (inv. 59935 a: fig. 4.5, fig. 6.16) che differisce dalla coppia precedente per le minori dimensioni, ma di analogo inquadramento;- coppia di fibule ad arco ingrossato decorato da sottili costolature separate da tre noduli lisci (inv. 59931+59933 a: fig. 4.8 a-b, fig. 6.2,18 e inv. 59932: fig. 4.6, fig. 6.17); staffa a disco spiraliforme a contorno circolare con decorazione incisa e impressa, del tipo con fascia marginale poco estesa, bande trasversali e riempitivi “a rosetta”; mostrano notevoli affinità con esemplari del periodo IA evoluto di Pontecagnano e, nell’ambito della sequenza dell’Etruria meridionale, sono ritenute da Marco Pacciarelli assegnabili all’orizzonte definito “Le Rose”. - coppia di fibule (inv. 59926+59937: fig. 4.10 a-b, fig. 6.1,20 e inv. 59930+59942: fig. 4.9 a-b, fig. 6.6,21) che differisce dalla precedente per le minori dimensioni, ma di analogo inquadramento; - fibula ad arco ingrossato decorato da sottili costolature separate da tre noduli con spigolo centrale (inv. 59927+59940: fig. 4.7 a-b, fig. 6.8,19). Non trova confronti puntuali anche se esemplari con analoghi noduli sono attestati, ad esempio, a Pontecagnano nella fase IA evoluta61 e a Terni nella fase definita IIA2-IIB1. 

La staffa, a disco spiraliforme a contorno ellittico con decorazione costituita da un’ampia fascia marginale interrotta da bande trasversali e arricchita da riempitivi complessi, è vicina a staffe del periodo IB di Pontecagnano. - coppia fibule ad arco ingrossato massiccio a sezione quadrangolare decorato da costolature separate da tre noduli con spigolo centrale e decorazione a spina-pesce; staffa a disco spiraliforme a contorno ellittico con decorazione marginale estesa eseguita a incisione, interrotta da bande trasversali e riempitivi complessi (inv. 59928+59938: fig. 5.1 a-b, fig. 6.3,9) e inv. 59929+59943: fig. 5.2 a-b, fig. 6.4-5). Attestate in altri contesti non solo vulcenti queste fibule trovano confronto in uno degli esemplari di Terni già richiamati , seppure privo della decorazione a spina-pesce. Per conformazione e decorazione, la staffa si inquadra, in riferimento alla sequenza elaborata per Pontecagnano, nell’ambito del periodo IB.- coppia di fibule ad arco leggermente ingrossato e ritorto con staffa simmetrica, con torsione limitata alla porzione centrale dell’arco caratterizzato da una piegatura al di sopra della staffa (inv. 59923-24: fig. 5.3-4; fig. 6.22,24). Da un punto di vista cronologico, tali fibule, come la seguente, appaiono meno significative, risultando largamente diffuse nell’Italia centro settentrionale in un ampio arco temporale. - fibula ad arco leggermente ingrossato e ritorto con staffa simmetrica, con torsione che si prolunga sino al piede della staffa (inv. 59925: fig. 5.5, fig. 6.23), per la quale si propone lo stesso inquadramento della coppia precedente. In conclusione, sebbene nel contesto si registri la presenza di fibule ascrivibili alla fase IA2, che potrebbero, al pari dei bronzetti sardi, essere espressione di un voluto conservatorismo, i risultati dell’analisi condotta inducono a collocare il momento di deposizione nella fase IB1 dell’età del ferro. Altri aspetti del corredo già ritenuti singolari, quali il numero eccezionale delle fibule, da sempre sottolineato, come pure l’iterazione di oggetti peculiari del mondo femminile, quali le due fusaiole di impasto (inv. 59944 a-b: fig. 5.24-25, fig. 7.4-5) e le due rotelle di fuso di bronzo (inv. 59922 a-b: fig. 5.29-30, fig. 7.1-2), di solito attestati singolarmente, ora meglio si colgono grazie al contributo determinante delle analisi antropologiche condotte sulle ossa combuste. Come abbiamo reso noto sin dal 2007, l’esame dei resti ossei condotto da Rita Vargiu ha infatti evidenziato la presenza nell’urna di due individui, cremati e deposti simultaneamente: un’adulta di età compresa tra i 25 e 35 anni e un individuo infantile di 8-10 anni . Attestata in modo inequivocabile dalla stessa temperatura di combustione dei resti, la deposizione simultanea in una stessa urna di uno o più adulti insieme a un infante, che ricorre con incidenza limitata in numerose necropoli tirreniche ed è spesso documentata solo dall’analisi antropologica, è stata messa in relazione da Renato Peroni e da altri studiosi, al pari dei seppellimenti di coppia, con il sacrificio di uno dei defunti. Tale pratica funeraria tenderebbe a sottolineare da un lato un forte legame familiare tra gli individui deposti insieme e dall’altro l’implicita subordinazione sociale di quello non rappresentato archeologicamente. I risultati degli studi condotti sulla necropoli di Villa Bruschi Falgari, tuttavia, mutano almeno in parte questa prospettiva rendendo plausibile l’ipotesi di morti naturali succedutesi in un lasso di tempo non incompatibile con la deposizione simultanea. 
Nel caso della tomba vulcente, è del tutto probabile che parte del ricchissimo corredo sia da attribuire al secondo individuo, che la ricordata iterazione delle fusaiole e delle rotelle induce a considerare pure di sesso femminile. Problematico si è rivelato, tuttavia, il tentativo di distribuire le fibule tra i due individui, tentativo per il quale si aprono due strade. Infatti, ragionando esclusivamente su un criterio cronologico-numerico, all’individuo adulto potrebbero essere assegnate le fibule più antiche, tutte attestate in coppia, per un totale di otto (inv. 59934: fig. 4.1, fig. 6.15 e inv. 59933+59939: fig. 4.2 a-b, fig. 6.7,14; inv. 59931+59933 a: fig. 4.8 a-b, fig. 6.2,18 e inv. 59932: fig. 4.6, fig. 6.17; inv. 59926+59937: fig. 4.10 a-b, fig. 6.1,20 e inv. 59930+59942: fig. 4.9 a-b; fig. 6.6,21; inv. 59923-24: fig. 5.3-4; fig. 6.22,24) . All’individuo giovanile andrebbero invece attribuiti gli esemplari più recenti, per un totale di sette (inv. 59935b+59941: fig. 4.4 a-b, fig. 6.11-12 e inv. 59935c+59936: fig. 4.3 a-b, fig. 6.10,13; inv. 59928+59938: fig. 5.1 a-b, fig. 6.3,9 e inv. 59929+59943: fig. 5.2 a-b, fig. 6.4-5; esemplari singoli: inv. 59935 a: fig. 4.5, fig. 6.16; inv. 59927+59940: fig. 4.7 a-b, fig. 6.8,19; inv. 59925: fig. 5.5; fig. 6.23). Una tale distribuzione degli oggetti d’ornamento non contrasta, infatti, con quanto evidenziato dall’analisi dei corredi della necropoli di Villa Bruschi Falgari, che ha mostrato come la complessità delle combinazioni non sia legata di norma al sesso e all’età e, soprattutto, che i medesimi ruoli possono essere riconosciuti tanto agli adulti quanto ai bambini “segnalandone dunque la trasmissione ereditaria”. Un secondo criterio potrebbe essere, d’altra parte, quello di assegnare all’individuo giovanile, in base al confronto con pratiche rituali recentemente analizzate in modo approfondito per l’area laziale79 , la piccola fibula ad arco rivestito da dischi metallici graduati e serrati (inv. 59935 a: fig. 4.5, fig. 6.16) insieme alle altre due fibule costituite da esemplari singoli (inv. 59927+59940: fig. 4.7 a-b, fig. 6.8,19; inv. 59925: fig. 5.5; fig. 6.23), ugualmente appartenenti all’orizzonte cronologico più avanzato, secondo uno schema che ben si adatta a quanto noto per individui che non hanno ancora raggiunto la classe d’età per contrarre matrimonio. Nulla di nuovo apportano i vaghi di collana di pasta vitrea (inv. 59944 c-o: fig. 5.27, fig. 7.24,27-35,37-41), prodotti comunque realizzati da maestranze specializzate e probabilmente importati. Sicuramente non pertinente al contesto, come già avevamo prospettato, è il cinturone in bronzo (inv. 59920: fig. 8A-B), peraltro accreditato nella bibliografia scientifica sulla base di una restituzione grafica del tutto arbitraria, come si evince già dalla foto pubblicata nel 196683. A favore della sua espunzione depongono non solo considerazioni di ordine cronologico, ma anche il dato oggettivo che di esso non è alcuna menzione negli elenchi dei materiali redatti subito dopo la scoperta. Del tutto plausibile è che il suo inserimento fra gli oggetti restituiti dalla tomba sia frutto di un’involontaria confusione probabilmente verificatasi in sede di restauro, ove il contesto fu con certezza inviato insieme altri gruppi di materiali recuperati nello stesso torno di tempo a Vulci. Si tratta in ogni caso di una testimonianza di per sé stessa significativa. Nella decorazione, interamente realizzata a bulino, l’esemplare ripete lo schema tripartito usuale per questa classe di oggetti. Nella parte centrale, la più ampia, campeggiano nove spirali disposte su tre file e collegate da dodici fasce di linee incise ad “S”, mentre la porzione conservata della zona laterale presenta al centro il carro solare trainato da una coppia di uccelli e, all’estremità, una doppia coppia di uccelli. Quanto alla cronologia, essa ora meglio si definisce sulla base di puntuali confronti: il motivo del carro solare infatti trova stringenti analogie con il cinturone della tomba Benacci 801 di Bologna, ascritta alla fase IIA2 di quel centro, mentre l’assenza delle borchie a sbalzo è comune solo agli esemplari rinvenuti a Baldaria (VR), a Este, tomba Pelà 8 e a Fermo, Misericordia, T. 121 , tutti peraltro decorati, come il nostro, esclusivamente a bulino e assegnati all’VIII sec. a.C. A questo stesso ambito cronologico sembra dunque riferibile anche il cinturone vulcente che offre così testimonianza dell’apertura di Vulci verso il comparto medioadriatico e l’Italia nord-orientale. Ad ambiti culturali diversi riconducono invece tre oggetti di bronzo (fig. 5.31-33; fig. 7.44-46) rinvenuti all’interno del cinerario con “numerose fibule, perle vitree e spirali di bronzo”, com’è specificato nell’elenco redatto prima dell’intervento di restauro. A questo gruppo di bronzi di manifattura sarda, oggi possiamo forse aggiungere altri due oggetti. Il primo sarebbe rappresentato dal probabile pendaglio deformato dal calore (inv. 59922 c; fig. 5.26, fig. 7.3), del quale resta il solo occhiello di sospensione. In questo caso la manifattura sarda sembrerebbe avvalorata dai risultati delle analisi metallografiche, che hanno evidenziato un’alta percentuale di stagno nella composizione della lega. Più articolato si presenta il quadro del secondo oggetto preso in considerazione, che costituisce in ogni caso un ulteriore elemento di conoscenza per gli scambi tra Sardegna ed Etruria tirrenica. Si tratta della catenella di bronzo (inv. 59966: fig. 5.28, fig. 7.12), che si distingue per la particolare manifattura. Una catenella con le stesse caratteristiche è presente nella tomba I di Poggio dell’Impiccato a Tarquinia in associazione con una pisside , ma è attestata anche, con più esemplari, nel ripostiglio di S’Adde ‘e S’Ulumu di Usini, assegnato alla fase IA2 e ancora nel ripostiglio di Santa Maria in Paulis e La Maddalena, Silanus. Il ripostiglio conteneva anche due fibule serpeggianti di produzione continentale e, pertanto, in mancanza di ulteriori elementi è difficile ipotizzare quale sia stata la direzione degli scambi. Quanto ai ben noti bronzetti, il loro significato sfugge ancora oggi a una soddisfacente interpretazione nonostante le approfondite analisi di cui sono stati ripetutamente oggetto da parte degli specialisti e che ci dispensano da più specifiche considerazioni. Ci limitiamo qui a rilevare come nell’ambito dell’associazione dei tre bronzetti, la presenza di quello a figura umana costituisca tuttora un’attestazione unica nei contesti funerari dell’Italia continentale, elemento che concorre a sottolineare il ruolo degli individui titolari della tomba, ora ulteriormente accreditato dai nuovi dati e da particolari del rituale rilevati dal Paglieri al momento della scoperta. Abbiamo già descritto il particolare apprestamento di recente riconosciuto all’interno della custodia e posto a sostenere il cinerario che, adorno di collana, conteneva le ossa combuste di due individui: in merito va osservato come la parte mobile (fig. 2E-G) poggiata su quello inferiore adombri la forma di una scodella-coperchio posta in opera con l’”imboccatura” in alto, con una soluzione che richiama alla mente usi funerari propri di deposizioni giovanili98. Ci sembra quindi possibile supporre che tale singolare apparato sia stata realizzato con l’intento di “dotare” anche l’individuo giovanile dell’urna cineraria sia pure su un piano meramente simbolico. Come ricorda il Paglieri, inoltre, sul fondo della custodia fu rilevata la presenza di un consistente strato di cenere “frammista a centinaia … di minuscoli anelli di bronzo” (inv. 59921: fig. 7.14-15), che lo scopritore rapportò “all’abito del defunto”. Dal vaglio della cenere furono recuperati anche alcuni “tortiglioni” (inv. 59960-59965: figg. 5.16-18; 7.11) che, come gli altri oggetti d’oro, non appaiono sottoposti all’azione del fuoco. I materiali rinvenuti all’esterno del cinerario sembrano dunque restituirci testimonianza del rituale della vestizione dell’ossuario, circoscritto a complessi funerari pertinenti a individui di altissimo rango, nel quale l’urna viene deposta dopo essere stata avvolta da un tessuto spesso adorno di applicazioni metalliche, nel nostro caso gli ornamenti di cui fa menzione il Paglieri. I contenuti antropomorfi della deposizione evidenziati dalla collana (inv. 62947c: fig. 7.13), come pure dal tessuto che avvolgeva il cinerario all’interno della monumentale custodia litica, così come la sua collocazione su una doppia base, sono elementi che accreditano un archetipo di ideologie funerarie attestate a Vulci in età storica. Non sembra d’altra parte trattarsi di un episodio isolato poiché, malgrado la dispersione dei dati, possiamo ricordare la testimonianza offertaci dal biconico degli scavi c.d. Bendinelli rinvenuto in loc. Osteria-La Cantina ove ancora più evidente appare quella ricerca di contenuti antropomorfi che più tardi troverà negli sphyrelata polimaterici propri del nostro centro più compiuta documentazione. Sempre nell’ambito del rituale, un diverso trattamento mostrano gli oggetti rinvenuti all’interno del cinerario. Integri e non esposti al fuoco sono, con i bronzetti sardi, soltanto la fibula con arco rivestito da dischi distanziati (inv. 59934: fig. 4.1; fig. 6.15), l’altra con dischi serrati, di dimensioni ridotte (inv. 59935 a: fig. 4.5, fig. 6.16) e gli esemplari con arco ritorto (inv. 59923-59925; fig. 5.3-5; fig. 6.22- 24). Rotte intenzionalmente alla staffa risultano tutte le altre fibule, fra le quali deformata dal fuoco appare solo la coppia con dischi serrati (inv. 59935 b-c: fig. 4.3b,4b). Più articolata la situazione delle staffe, alcune delle quali (inv. 59932; fig. 4.6, fig. 6.17; 59936: fig. 4.3 a, fig. 6.10; 59938: fig. 5.1a, fig. 6.3; 59943: fig. 5.2b, fig. 6.4) risultano esposte al fuoco, una intenzionalmente contorta (inv. 59939: fig. 4.2a, fig. 6.7), le altre invece risparmiate. Effetti del rogo si riscontrano anche sui vaghi di pasta vitrea (inv. 59944 f: fig. 5.27, fig. 7.38), sulle rotelle di fuso (inv. 59922 a-b: fig. 5.29-30, fig. 7.1-2), sul pendente in bronzo di cui resta l’occhiello di sospensione (inv. 59922 c: fig. 5.26, fig. 7.3) e sulle fusaiole (inv. 59944 a-b: fig. 5.24- 25; fig. 7.4-5). Intatte invece le oreficerie (bottoni, inv. 59955-59959: fig. 5.19-23; fig. 7.6-10; fermatrecce, inv. 59952-59954 a: fig. 5.12-14; fig. 7.16,19,22; anelli in bronzo e oro, inv. 59945-59950: fig. 5.6-10; fig. 7.17,18,20,23,25,26; elementi di collana, inv. 59960-59965: fig. 5.16-18; fig. 7.11), plausibilmente utilizzate, come già accennato, nella vestizione del cinerario, al pari degli innumerevoli anellini, pendagli a catenella (inv. 59921: fig. 7.14) e bottoncini di bronzo (inv. 59922d: fig. 7.15) rinvenuti all’esterno. Molto si è discusso su questo contesto e la maggior parte degli studiosi ha posto l’accento, in particolare, sulla provenienza allogena di quella che si riteneva l’unica titolare della tomba, una dama sarda andata sposa a Vulci. A questo riguardo, una risposta definitiva non ci appare francamente possibile. Possiamo solo ricordare che, come è stato più volte sottolineato, le donne sono “le beneficiarie principali” di questi scambi dal momento che, nell’Etruria medio-tirrenica, la presenza di oggetti di manifattura sarda è associata in larga prevalenza a corredi femminili e, a Populonia, dove la percentuale di importazioni dalla Sardegna è più alta, tale associazione è totale. I dati sin qui esposti sul contesto, tuttavia, schiudono ora nuove prospettive: i confronti istituiti sia per quanto riguarda il repertorio ornamentale del vaso cinerario sia per la tipologia delle fibule più antiche fanno guardare in una diversa direzione, cioè verso quel comparto della Campania meridionale del quale sono già stati posti in evidenza i precoci rapporti con Tarquinia e Vulci, comparto a sua volta aperto agli scambi con la Sardegna, come documenta, fra l’altro, la presenza di una cesta di bronzo analoga a quella del corredo di Vulci rinvenuta in una tomba maschile di Pontecagnano ascritta alla fase IB finale. Appare dunque possibile che, nel nostro caso, i bronzi di manifattura sarda, conservati per più generazioni, se dobbiamo accogliere la cronologia a essi assegnata, oltre ad assumere una valenza di esotici beni di prestigio, al pari dei più tardi athyrmata delle tombe della seconda metà dell’VIII secolo, vengano a connotarsi come veri e propri simboli di rango. A tale proposito ci sembra di cogliere un tenue filo che lega i tre oggetti fra loro e che potrebbe alludere al ruolo rivestito dalla maggiore delle due defunte, forse connesso alla sfera magico-religiosa. In linea con tale ipotesi appare lo scettro con i sonagli, con il quale peraltro ben si coniugherebbero la figuretta, forse di sacerdote, e la cesta miniaturistica, che potrebbe aver contenuto preziose sostanze aromatiche. Se è giusta tale chiave di lettura, in sostanza il bronzo a figura umana assumerebbe una valenza simbolica analoga a quella già riconosciuta per più modeste e antiche testimonianze di area laziale. Un cenno infine al contesto topografico della sepoltura, posta, secondo il Bartoccini “a perpendicolo sulla Tomba François”. Se poche novità scaturiscono dalla rilettura del Giornale dei Lavori redatto da Sergio Paglieri, a lui siamo debitori di uno schizzo con la localizzazione del rinvenimento realizzato al momento della scoperta (fig. 1C), ma messoci a disposizione solo di recente insieme ad altri preziosi appunti personali. La tomba appare qui posizionata a una certa distanza dal margine del pianoro, lungo il quale viene invece indicata la presenza di una “fila di tombe a pozzetto”. Incrociando tali dati con la documentazione dello Gsell e con quanto registrato da un cultore locale, si delinea il quadro di un consistente nucleo sepolcrale della prima età del ferro ubicato a nord-ovest della Cuccumella, nucleo nell’ambito del quale la Tomba dei Bronzetti sardi si colloca in posizione centrale, trovando una qualche analogia, per rango dei defunti e qualità del corredo, con le tombe Gsell LXXXIII e CXV, anch’esse con custodia litica e appartenute a personaggi femminili eminenti.

Osservazioni di Rita Vargiu sui resti dei defunti.

I resti scheletrici cremati rinvenuti nell’urna appartengono a due individui denominati: Individuo A e Individuo B. L’individuo A è una femmina di età alla morte compresa tra 25 e 35 anni, mentre l’individuo B è un infante di 8-10 anni. Entrambi gli individui sono ben rappresentati nei distretti scheletrici, ma il loro peso è sottostimato. Infatti il peso dei resti dell’individuo A è di 720 gr. e dell’individuo B è di 95 gr. mentre la porzione scheletrica non attribuibile è pari a 450 gr. L’analisi della temperatura di combustione fornisce interessanti spunti di riflessione. Per quanto riguarda l’individuo A, la temperatura risulta differenziata nei vari distretti. Quella di maggiore intensità (600°-900° C) ha interessato le porzioni perimetrali del corpo (cranio, arti superiori, mani, fibule, porzione distale delle tibie e piedi); una temperatura lievemente inferiore (500°-650° C) è stata riscontrata in corrispondenza del torace e delle ginocchia; la temperatura più bassa risulta a livello delle scapole, del bacino, del sacro e della testa dei femori. Da queste osservazioni si può ipotizzare che i punti di fuoco nella pira fossero distribuiti maggiormente lungo il perimetro esterno dello spazio occupato dal corpo del defunto. L’individuo B presenta invece una temperatura di combustione piuttosto omogenea ed elevata (600°-900° C), ad eccezione del bacino che risulta essere stato esposto ad una temperatura più bassa (300°-500° C). Quindi, in questo caso la distribuzione del calore era piuttosto uniforme tranne che per questa area. I risultati ottenuti mettono in evidenza una concordanza di temperature di combustione per l’area del bacino in entrambi gli individui. Quindi è verosimile che il rogo fosse stato unico e che l’infante fosse stato deposto sopra l’individuo adulto. La presenza di una porzione molto delicata e fragile del bacino dell’individuo infantile, quale la sinfisi pubica, suggerisce che il suo bacino fosse stato protetto dal fuoco dal bacino dell’adulto. Le altre porzioni scheletriche dell’infante, probabilmente esposte a temperature di 500°-650° C (quelle riscontrate nella porzione del torace dell’individuo adulto), hanno subito maggiori modifiche strutturali e morfologiche a causa della loro minore robustezza e grado di mineralizzazione. 



3 commenti:

  1. Non sono un’esperta né tantomeno un’archeologa ma leggere di questi ritrovamenti, scoprire con quanta attenzione e accuratezza queste tombe venivano preparate mi affascina. Oggi abbiamo foto filmati registrazioni x ricordare chi non c’è più. Loro avevano solo la loro arte e il loro amore. Uno spaccato notevole di un mondo che non c’è più.

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  2. Sono solo una spettatrice interessata, sono allibita dalla grande particolarità di questo interessantissimo documento, ammiro la grande cultura, la dovizia di dettagli, la profusione di riferimenti, avrei proprio voluto esser parte di questi studiosi....magari in un'altra vita...GRAZIE

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  3. sono molto interessata a questi argomenti.

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