Archeologia. Il ritorno di Ulisse: viaggio verso la patria. Naufragio.
Articolo di Lydia Schropp
Al ritorno di Ulisse in Corsica, emerge chiaramente dal dialogo con Circe che l’eroe si è attenuto scrupolosamente alle istruzioni ed ha eseguito correttamente i riti prescritti nel Mondo degli Inferi. Prima del congedo Circe lo mette nuovamente in guardia per quanto attiene ai pericoli del viaggio. Gli consegna dei viveri ed in segno di amicizia gli invia un vento favorevole, chiamato cercius, identificato da WHATMOUGH con il Mistral.
Il primo ostacolo si trova presso le isole Sirene (1) ,cioè le isole vicine alla penisola Sorrentina e forse anche Ischia (2), le une pericolose per le correnti marine e gli scogli, l’altra per la sua origine vulcanica, perché in antichità fu flagellata da molte eruzioni.(3) Circe sconsiglia l’approdo ed ingiunge ad Ulisse di procedere oltre senza fermarsi, anzi lo avvisa di farsi legare ad un albero dai suoi
compagni per sottrarsi ad ogni tentazione, in quanto la bellezza dei luoghi è tale da incantare ogni passante.(4)Dopo le isole
Sirene Ulisse ha la possibilità di scegliere fra due direzioni ugualmente irte di difficoltà, o le” rupi
erranti “ intendendo probabilmente le
pietre di pomice galleggianti sul mare derivanti dalle eruzioni del vulcano sommerso Marsili e del vulcano Stromboli che possono aver dato l’impressione di rupi
erranti o lo stretto di Messina. Se
dovesse optare per la prima soluzione, dovrebbe guardarsi dal fuoco del vulcano
e dalle rocce, che con il mare in
tempesta sfracellano la nave, se dovesse
scegliere lo stretto di Messina, dovrebbe evitare due scogli micidiali, e cioè lo scoglio di Scilla(5) e
di Cariddi (6) con i loro gorghi, dovuti alla variazione di flusso dell’alta e
bassa mare fra il Mar Tirreno e lo Ionio. Circe consiglia Ulisse di tenersi più vicino alla costa calabrese, e
cioè a Scilla e di evitare in ogni
modo la vicinanza di Cariddi, perché il
risucchio del mare è troppo pericoloso
per una piccola barca.
Superati tutti
questi ostacoli, emerge alla vista l’isola Trinachia (7), dalle belle ed ampie
spiagge, e cioè Capo Peloro e la zona
attigua dei laghi salmastri Ganzirri , Faro e Margi , quest’ultimo ormai
prosciugato, dove pascolano in libertà
greggi ed armenti sacri al dio Sole (8). Essi non devono essere toccati,
pena la morte (9).
Il viaggio di
Ulisse lungo il Tirreno dalla
Corsica sino allo stretto di
Messina procede abbastanza bene, grazie anche al vento propizio alla navigazione (10) inviatogli da Circe, sebbene dinanzi a
Scilla egli perda sei rematori vittime
del gorgo.
Alla vista
dell’isola Trinachia Euricolo, il secondo uomo di Ulisse incita gli amici, stanchi di remare, a
fare una breve sosta nell’ ampio porto, vicino ad una fonte d’acqua dolce (11)
Memori del
divieto, tutti sono unanimi nella
decisione di non toccare i buoi. (12)
Ma ecco che di notte sorge improvviso un forte vento
sfavorevole alla navigazione, che
costringe Ulisse a prolungare la sosta per un mese ed a trarre la nave al
riparo in una grotta.(13)
Man mano che le provviste di cibo si esauriscono e gli
stimoli della fame diventano più forti,
cresce la tentazione di cibarsi dei buoi e degli agnelli sacri al dio Sole.
Alla fine, spinti dalla necessità, i
compagni di Ulisse profanano il sacro divieto (14), attirandosi subito l’ira del Sole, che chiede ragione a
Zeus del misfatto e lo minaccia addirittura di invertire l’ordine stabilito. Se
i colpevoli non verranno puniti, egli porterà la luce ai morti . (15) Dal
racconto omerico emerge la grande autorità che il Sole esercita sul capo degli
dei, Zeus, il suo linguaggio sa un po’ di mafiosità.
Segni
straordinari di cattivo auspicio si notano già prima dell’imbarco dei greci(16), poi , appena sono sul mare,
sorge una micidiale tempesta che travolge la barca e la
fa precipitare nella voragine di
Cariddi.
In questo
frangente l’intervento di Zeus è determinante, egli salva Ulisse ed impedisce a Scilla di vedere il naufrago, mentre annienta con il suo fulmine gli altri greci
(17)
Ulisse, l’unico
greco che non ha infranto il divieto e non si è reso colpevole di sacrilegio (18)
riesce a salvarsi a nuoto, e dopo nove giorni di deriva sul mare, viene
ributtato sulla costa di Ogigia (19),
dove è accolto dalla ninfa Calipso.(20)
Purtroppo oggi
ci sfugge il vero significato dell’esperienza traumatica di Ulisse nell’isola
Trinachia. Però dalla narrazione appare evidente che in epoca antichissima gli abitanti del luogo osservarono un culto
in onore del dio Sole. L’importanza
strategica dello stretto di Messina ci può anche indurre a pensare che sia gli egiziani che gli ittiti ed in seguito i fenici avessero
delle mire espansionistiche nella zona. Il
nome di capo Peloro, che in greco significa
mostro, prodigio, può anche rimandarci all’area pelasgica, mentre il
termine Trinachia rivela una realtà geografica, e cioè la presenza di tre
laghi/lagune salmastre. Dalla narrazione di Omero sembra che il territorio di
Trinachia sia disabitato. Non è riportato neanche l’antico nome della città
Zancle, probabilmente Danklaion, Dancleon.(21) La pericolosità dell’isola è corroborata dall’alto indice di
frequenza dei terremoti(22 ) che induceva la popolazione a risiedere sulle
alture e non sulla costa. A questo proposito è accertato che gli Etruschi non risiedevano di norma in
luoghi pianeggianti, ma sempre su alture e che ritenevano sfavorevoli i terreni
soggetti a catastrofi naturali. (23)
Postilla.
Seir - ebraico – significato: piccolo territorio ricoperto di alberi (forse per indicare quello che poi in greco sarà un temenos? questa domanda me la pongo io) poi Seir è il nome del monte a sud della Palestina, abitato dagli Hurriti e più tardi dagli Edomiti (1 Mosè 14,6, ;36,20,21 e 1 Mosè32,4 – 5 Mosè 2,4. 5.8.) Cfr. F . RIENECKER, Lexikon der Bibel , 1988 Wuppertal edizione Brockhaus– colonna 1277 sotto la voce seir.
Sin ha un accento sulla i formato da 2 elementi, uno va da sinistra a destra e l’altro da destra a sinistra, praticamente l’inverso di ^ .
Keros è naturalmente anche greco per indicare la cera, non c’è bisogno di scomodare il latino.
Riassumendo, il fascinoso sarebbe il fenicio, la presenza di spirito, la consapevolezza il greco.
Sor da cui prende il nome Sorrento significa scoglio ed è il nome ebraico per Tiro
Note.
1)
Sirene. È chiaramente un nome di origine fenicia,
cioè sir = scoglio, a cui si sovrappone
il semitico sir = canto. Erano geni della morte localizzate
presso le isole Licosa, S. Pietro e Galletta, cfr. Pauly-Wissowa, Seirenes.
Secondo Strabone e Plinio il Vecchio la
penisola Sorrentina si chiamava
promontorio delle Sirene. Si trovava lì un tempio dedicato a Minerva, con i
doni votivi dei marinai scampati al naufragio. Cfr. E. Pais, Italia
Antica, Bologna, 1922, vol. 2, pag. 176. Siccome Omero parla però espressamente
di isole, si deve trattare delle isole che precedono la penisola sorrentina.(Sor
anche fenicio per rocca )
2) Ischia,
in greco Pitekousa fu chiamata la terra fra gli Arimi, ed in ionico ainos, “veemente, terrificante”. In
seguito divenne un importante scalo fenicio e greco.
3) Nel terziario l’isola di Ischia era ancora
collegata al continente e poi sprofondò nel Tirreno. Nel quaternario si formò
come si presenta attualmente. Spesso però in antichità Ischia fu teatro di
esplosioni con gas velenosi e gettiti d’acqua, lapilli e fango. Cfr. A:
RITTMANN, I Vulcani e la loro attività, Bologna 1967, pp. 167 e 168. Non
bisogna neanche dimenticare che nel centro del Tirreno si trova un vulcano
sommerso, il Marsili, che ogni tanto è attivo.
4)
Nell’
episodio delle Sirene Omero
certamente gioca con assonanze attinte
da lingue diverse e cioè :
Fenicio seir - roccia /recinto
Semitico sir -canto
Latino
cera -cera
. Greco
seira/e -fune, elementi che combina
insieme per un racconto ricco di fascino
5) Skulla. Kerényi afferma che il nome è
etrusco. Cfr. Carlo Kerényi, Gli de i e gli eroi della Grecia, Milano, 1972,
pag 43. Il suo significato è squilla, se si considera che il greco non conosce la q e la rende con k Da Scilla, rupe e cittadina
calabrese, prende il nome il golfo di Squillace, scritto con la q.
Si tratta di una
rupe che si protende in mare per circa 300m
formando due piccole insenature,
di cui una sabbiosa lunga ca. 700 m ed una scogliosa con un piccolo porto
adatto a barche da pesca. La rupe è alta circa 70 m, ma ha subito grandi
modifiche dai tempi di Omero ad oggi in seguito ai frequenti terremoti che
hanno devastato la zona. Nel terremoto del 1783 un bel tratto della rupe
precipitò in mare. Sul fenomeno spaventevole del terremoto cfr. G. VUILLIER, La
Sicilia, impressioni del presente e del passato, Milano, 1897 pp. 364-366.
All’interno della rupe si trova una grotta con una fonte d’acqua.
Scilla fu spesso
rappresentata su monumenti etruschi e su specchi, come per es. quello di
Tarquinia, cfr. E. GERHARD, Etruskische Spiegel, Berlin, 1839-69, 5 vol.
Il mostro Scilla
si trova già rappresentato nell’arte cretese
6) Cariddi
Nome di origine aramaica-fenicia
indicante un vortice che si trova di
fronte a Scilla. M.C. ASTOUR, Hellenosemitica, Leiden 1965, pag 40
definisce karu una parola semitica, significante muro,
argine, parete, banchina “ wall, embankment”. Alcuni localizzano questo gorgo
appena fuori della zona falcata del porto di Messina.
(7) La scrittura Trivakie per il resto controversa con Trivakrie
non è stata più intesa nel suo vero significato. Per le forme
discordanti di Trivakria cfr. Gennaro
d’Ippolito, Miscellanea di studi classici in onore di Eugenio Manni, Tomo III,
Bretschneider, Roma 1980.
Per quanto riguarda la scrittura Trivakie
bisogna notare che in egiziano Achei era riportato con la k e non , e quindi può essere la trascrizione
egiziana di tre acque , cfr. M.C. ASTOUR, Hellenosemitica,pag.6 , in quanto in
antichità c’erano tre laghi . Partendo però dal presupposto che l’isola era già
entrata nell’orbita etrusca, come attesta il nome dello stretto poros Tursenos allora la parola
potrebbe essere composta da Tri +
da acnua, una misura etrusca corrispondente a 120 piedi. Quindi la zona
era consacrata all’arte della limitazione etrusca, di cui è tramandata
l’importanza nel rito delle fondazioni delle città. I confini erano considerati
sacri dagli Etruschi ed inviolabili.
Circe, Tiresia, l’isola Trinachia, possono rappresentare dei capisaldi del mondo
egiziano ed etrusco, con chiari agganci
all’ Egitto ed all’area siriana.
A questo proposito è degno di nota che
seranim era il titolo usato esclusivamente per i re delle cinque città
filistee, e che questo titolo è forse identico con Turannos , Cfr. Eissfeldt,
Philister.
Tor è il termine fenicio per toro.
Quando i filologi tentarono di
interpretare la forma Trinakie a loro
incomprensibile, cercarono di correggerla con Trinakrie = 3 campi, 3 recinti.
M.C. ASTOUR, Hellonosemitica, spiega Akis =
rifugio da un termine semitico pag. 239 e da aku con uccello marino e
quindi rituale p. 245.
I Greci intesero tre promontori.
8)
Il primo faraone che fece erigere una stele in onore del bove Apis fu Bocchoris
, che regnò dal 718 al 712 circa. cfr. Jacques Pirenne, Storia della civiltà
dell’antico Egitto, Scandicci, 1967 vol. 3 pag. 198. Ci dice Erodoto II, 47 : in vicinanza di
certi templi la vacca non poteva essere mangiata. Comunque il divieto di
toccare i buoi è antichissimo ed è già tramandato in fonti babilonesi ed
egizie. Infatti il dio babilonese del sole aveva armenti che pascolavano oltre
le correnti dell’Oceano e gli Egizi dovevano confessare quando le loro anime
arrivavano nella sala dei due giudici “ Non ho ucciso il bestiame di Dio” Cfr.
D. GRAY, Seewesen, in Archaeologia Homerica. Goettingen, 1974, pag. 64.
Il numero dei buoi e delle pecore
ricorda i 7 giorni e le 7 notti della settimana, che moltiplicati per 50 danno
i giorni dell’ anno.
Ancora oggi nell’usanza popolare di
portare un grande corno rosso per
evitare disgrazie si riscontra una
credenza antica che i buoi, sacri al dio Sole, aiutano contro il malocchio.
Il nome delle ninfe Faetusa e Lampetie
rientrano nel mito delle Pleiadi. Come sorelle di Fetone piangono la sua morte
e vengono infine tramutate in alberi.
9) I greci sono consapevoli del
significato simbolico del divieto.
10)Il vento favorevole, inviatogli da
Circe si chiama “cercius” (Mistral) cfr. WHATMOUGH …vol. 2, pag.188.
11) E’ significativo che Omero non
nomini la città di Zancle e non parli di una zona abitata
12)E’ questo l’unico accenno ad una
struttura ricettiva sull’isola
13) Dalla decisione di non toccare i
buoi si deduce chiaramente che l’ospite
in terra straniera si conformava alle abitudini di vita degli abitanti del
luogo.
14) Non hanno più né orzo per il loro
rito né vino per la libazione, e, a quanto sembra, sulla costa non ci sono
insediamenti urbani dove si può ottenere qualche alimento.
15) in molte tombe etrusche di Cere è
raffigurato il sole con i suoi benefici raggi; egli è inteso come il
dispensatore della vita, che porta
calore anche nel mondo freddo ed oscuro dei morti.
16)Le carni sugli spiedi sembrano muggire.
Di nuovo ritorna il numero sacro 7, per 6 giorni i segni sono sfavorevoli, alla
fine al settimo sembra che tutto volga al meglio. Il numero 7 ritorna anche in
un altro ambito, da Calipso, Ulisse deve risiedere colà 6 anni, al settimo può
allontanarsi.
Per i portenti, pelli e serpenti cfr.
M.C.ASTOUR, Hellenosemnitica, pp. 239-240. Probabilmente si vuole accennare
alla pericolosità del luogo, funestato
da violenti terremoti.
17) L’annientamento dei compagni di
Ulisse con un fulmine rispecchia di nuovo delle credenze etrusche. Dio dei
lampi era infatti Tin(i) a –Iuppiter e
nei libri fulgurales erano esposte
dettagliatamente tutte le dottrine
concernenti i fulmini. Il cielo era suddiviso in 12 regioni ed i fulmini
provenienti da oriente portavano fortuna. L’etrusco Caecina cercò di trattare questa dottrina dei fulmini
in maniera scientifica. Per gli israeliti i lampi che guizzano in mezzo alle
nubi sono considerati dei serafini, cioè dei serpenti celesti.
Cfr. STADE, pag. 571.
Il dio etrusco della tempesta si chiama
Sethlans, latino Volcanus. Velchans era per gli Etruschi un dio del fuoco, che
scaglia anche fulmini . Cfr. Raymond BLOCH, Gli Etruschi, Milano, 1959 pg. 142.
18)
Ulisse, come al solito, si è allontanato per perlustrare la zona.
19)
per un’etimologia semitica si pronuncia M.C. ASTOUR, Hellenosemitica,p.
343 che interpreta la parola come “bruciante”, altri per un’etimologia egizia e
cioè “lontana, barbara, primitiva, di cui c’è ancora oggi un retaggio nella
zona denominata Barbagia. Ma probabilmente Og è
un termine antico ebraico per un albero, forse oggi terebinto/quercia ed
il nome della ninfa Calipso ha qualche attinenza con Caleb, un nome di origine ebraica. Il termine Ogliastra si
ritrova in Sardegna ed Ogliastri a
Messina.
Le carte antiche non riuscirono a
fissare bene la Sardegna. Tolomeo la collocò di fronte alla Sicilia,
deformandola nel senso dei Meridiani. La tavola di Peutinger,itinerario militare
di epoca incerta,la collocò più a nord,
di fronte alla Toscana. >In ogni caso la punta più bassa della
Sardegna si trova quasi sulla stessa latitudine del Golfo di S. Eufemia e
quindi Omero non sbaglia se fa percorrere ad Ulisse il tratto Cariddi-Sardegna.
20) L’influsso egiziano/etrusco è confermato indirettamente anche da Ulisse,
che raccontando la sua triste vicenda ai Feaci, dice espressamente che egli ha
saputo i retroscena dello sdegno del Sole e della sua minaccia a Zeus da
Calipso, che a sua volta li ha appresi da Hermes, messaggero degli dei, e che per i Fenici è
Melqart. Zeus si fa carico dello sdegno del Sole e punisce i Greci, che
subiscono il naufragio.
21) Messina si chiamò fino al 480 a.C. circa Dankleon
22)Pausania e Tucidide affermano che
Zancle fu occupata dapprima da pirati, cioè verosimilmente Etruschi, provenienti
da Cuma (Cuma = Opicia). Seguirono poi Ioni ed altre popolazioni dell’ Asia
Minore, che vi si stanziarono dopo che i loro territori furono occupati dai
Persiani (cioè dopo il 494 a.C.) (Cfr.Enciclopedia TRECCANI, Messina) L’antico
nome di Zancle fu Dancleon.
23) Per la migliore comprensione del
testo cfr. O.R. GURNEY, Gli Ittiti, Firenze, 1957, pag. 156 “ la località devastata era dichiarata maledetta in eterno
e consacrata al dio delle tempeste mediante un solenne rito e, in conseguenza di ciò, si riteneva divenisse pascolo dei sacri tori
Seris e Hurris. I futuri coloni avrebbero sfidato questo tabù a loro rischio e
pericolo”.
Riassumendo, nel racconto del naufragio
di Ulisse si rispecchiano credenze locali , che non collimano con quelle
greche, perché i Greci sacrificavano i buoi ai loro dei. Se Tiresia e Circe non
avessero svelato ad Ulisse il divieto, i greci non avrebbero neanche imputato
la loro disgrazia alla loro infrazione del divieto. La zona di Capo Peloro è
molto esposta ai forti venti ed il mare in tempesta mostra chiaramente dei
gorghi, che in Calabria si chiamano refoli. Un geroflico egiziano si è trovato
in zona, ma si sconosce il suo uso.
La città Zancle ha poi modificato verso il 480 a. C. il suo nome in Messina a causa dei coloni Messeni che vi si stanziarono ed a questo proposito è significativo che Ulisse parli al suo rientro ad Itaca dei Messeni,(Canto XXI,15) presso i quali Ulisse si era recato da giovane per trattare un debito che loro avevano contratto, rubando ad Itaca degli armenti ed i loro pastori. Il Canto XXI potrebbe essere anche rivelatore sull’epoca della stesura dell’ Odissea, perché nell’episodio di Trinakie i Messeni sono del tutto ignorati.
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