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sabato 7 novembre 2020

Archeologia della Sardegna. Perché i sardi dell’età del Bronzo costruivano i nuraghi? Articolo di Gianfranco Nuvoli

 Archeologia della Sardegna. Perché i sardi dell’età del Bronzo costruivano i nuraghi?

Articolo di Gianfranco Nuvoli

INTRODUZIONE

La costruzione di un nuraghe doveva essere un’impresa molto impegnativa per le comunità della Sardegna. Si trattava di trovare cave di pietre (non troppo dure, qual è il granito), di estrarle dalle cave, di trasportarle nel luogo prescelto (talvolta molto lontano dalle cave), di lavorarle e squadrarle in modo da assicurare la stabilità del filare e, infine di collocarle sulle mura del nuraghe. E tutto questo dal 1.800 al 900 a.C. circa usando strumenti di bronzo, e poi quelli di ferro. Al momento non conosciamo con

precisione né le tecniche utilizzate, né se usassero il metodo dei piani inclinati, o le carrucole o i contrappesi per collocare i massi nei filari più elevati.

Senza dubbio rappresentava un lungo lavoro che richiedeva grande maestria e un impegno molto oneroso. Infatti, se la maestranza che lavorava alla costruzione del nuraghe proveniva da altri clan, essa doveva probabilmente venir ricompensata; se invece apparteneva alla comunità, risultava improduttiva nelle attività di sostentamento, e quindi doveva essere ‘mantenuta’ a carico del clan.

Nonostante le indubbie difficoltà costruttive, i nuragici hanno lasciato i circa 8.000 nuraghi attualmente censiti, ma si presume che qualche altro migliaio sia ancora sepolto sotto terra. Pur se l’età nuragica spazia per molti secoli, dall’età del Bronzo medio (circa 1.800 a.C.) alla I Età del Ferro (500-300 a.C. circa), si tratta di un numero enorme di costruzioni per una popolazione stimata in 300.000 abitanti, e questo dato è forse ampiamente per eccesso in quanto analoga numerosità è stimata per la popolazione isolana all’epoca dell’occupazione romana (Mastino A., 2006, pag. 36) e poi nel periodo dei giudicati (Ortu G.G., 2006, pag. 114). In rapporto al numero dei nuraghi rispetto alla densità della popolazione (300.000 : 8.000) risulterebbe un numero di abitanti molto ridotto per singolo nuraghe: 38 circa !!! Tale ridotto rapporto di abitanti da un lato incrementa l’onere subito dalla popolazione per l’edificazione dei nuraghi, dall’altro suggerisce che fosse una motivazione molto forte ed importante quella che spinse i sardi alla loro costruzione.

Analoga considerazione emerge dall’esame della densità di nuraghi nell’isola. Come rileva Melis (2017, pag. 49) “I dati invece di gran lunga più rimarchevoli si osservano nei territori compresi fra l’Alto Oristanese ed il Marghine: Bonarcado è il comune con la più elevata densità, di ben 1,72 nuraghi per kmq (…). Seguono quindi i comuni dell’Anglona, altra regione che anche nei valori in assoluto mostrava una significativa concentrazione di nuraghi: Nulvi presenta 1,30 monumenti per kmq e Chiaramonti 1,26. Fra gli altri territori comunali che annoverano almeno un nuraghe per kmq, abbiamo ancora l’Alto Oristanese, l’Anglona, ma anche il Logudoro e la Marmilla”. I dati sulla concentrazione trovano conferma in quelli sulla distanza tra i nuraghi: quasi la metà di essi (47,3%) dista da 300 a 700 metri dal nuraghe più vicino! (Melis P., 2017, pag. 49).

Sulla base di questi dati le conclusioni suggeriscono che la costruzione di un nuraghe rappresentasse un onere molto impegnativo per la comunità, ma allo stesso tempo fosse considerato una necessità nella civiltà nuragica.

 

DISCUSSIONE

Molti archeologi si sono confrontati con il problema, ancora attuale, di individuare le funzioni, le motivazioni che spinsero gli antichi sardi ad edificare quelli che sono tuttora i simboli della Sardegna, i nuraghi. Vediamo in breve le teorie principali e, soprattutto, i loro limiti.

1) NURAGHI = FORTEZZE. Tra i primi Lilliu (1980) propone un’interpretazione del nuraghe sul modello del castello medioevale, ove vive il signore del feudo e dove gli abitanti trovano rifugio durante le incursioni nemiche. Come sottolinea Roberto Sirigu (2007, pag. 188) “Termini come "torre", "castello" , "mastio" ( o "maschio"), "garitta" (o "garetta"), "ballatoio", ecc., sono entrati dunque nel vocabolario comune per descrivere i nuraghi e i vari elementi che li compongono”. Tale analogia tra castello e nuraghe, seguita da altri archeologi quali Taramelli e Contu, si giustifica con l’uso di termini conosciuti per esprimere un sistema di difesa dovuta alla conflittualità con le popolazioni vicine.

Questa tesi, oggi definita “militarista”, trova in Pittau (1977; 2011) uno strenuo oppositore, in quanto in numerosi interventi (compresi quelli nel sito Honebu) rileva che la torre può contenere appena una ventina di guerrieri, che non può reggere un assedio, che la popolazione rimarrebbe fuori della protezione insieme a beni e bestiame, che le “garitte” o nicchie sono troppo piccole perché un difensore possa agevolmente aggredire un nemico.

2) NURAGHI = VEDETTE, PRESIDI. In questa interpretazione di taglio militarista il nuraghe assume compiti più generali che comprendono la protezione del territorio, la difesa del clan, il controllo delle aree di transito del bestiame e di sorveglianza dei confini. Scrive Pallottino che, pur se la funzione del nuraghe si esplica in differenti scopi, quali quelle religiose e di produzione di beni, l’ampia diffusione “delle torri e delle rocche di specifica destinazione militare può aver seguito l’ampliarsi delle singole giurisdizioni e l’opportunità di agguerrirne i punti dominanti e i confini, in momenti di particolare pericolo. In questo senso potranno intendersi i parziali ‘sistemi’ difensivi, quale, ad esempio, quello della giara di Gesturi” (Pallottino M., 2000, pag 139). Questa funzione spiegherebbe perché i nuraghi sono in genere in collegamento visivo con almeno un altro nuraghe e sono posizionati in genere sulle alture, così da controllare gli accessi del territorio, e poter allertare il clan. Quelli ‘vista mare’ paiono vigilare anche sugli approdi costieri, come i ben quattro nuraghi intorno a Cala Ostina, una piccola insenatura utilizzata dai nuragici che poi divenne la Tibula Minor, il porto di Tibula (probabilmente Castelsardo), da cui iniziava la strada romana Tibula-Sulcis nell'Itinerarium Antonini (Melis P., 2002; Mastino A., 2001). E forse potevano svolgere anche una funzione di “faro” per le imbarcazioni che si avvicinavano alle coste, come nel nuraghe Prima Guardia, dove traspare “la volontà dei suoi costruttori di edificare una struttura specializzata, le cui caratteristiche sono dettate forse, ad esempio, dalla necessità di regolare meglio la circolazione dell'aria in un ambiente dove doveva ardere un fuoco per diverse ore” (Melis P., 2002).

Le critiche mosse a questa teoria interpretativa si basano sul presupposto che i sardi fossero un popolo pacifico e non bellicoso, per cui non si spiegherebbe la loro esigenza di edificare presidi difensivi in numero così elevato. Tale critica si scontra con la quantità di bronzetti rinvenuti negli scavi che raffigurano proprio guerrieri, arcieri, lottatori; anche i giganti di Monte Prama rappresentano queste categorie. Interpretati come offerte votive per chiedere una grazia o ringraziare gli dei per una grazia ricevuta da parte di chi si appresta alla guerra o ne ritorna vivo, tali voti paiono rappresentare un contesto sociale che non appare ‘pacifico’ e che come minimo è pronto a difendersi. Viene inoltre da chiedersi se allora non fossero sardi quei Shardana che, secondo Ugas (2016) ed altri archeologi, andarono fino in Egitto per combattere sia contro/pro i faraoni, e sia contro/con gli Ittiti ? E non erano sardi quegli abitanti che, unici, nelle alture della Barbagia (= terra di barbari…) resistettero all’invasione dell’esercito romano?

3) NURAGHI = TEMPIO, LUOGO DI CULTO

L’interpretazione di Pittau (2006; 2015) e di molti archeologi del nuraghe come luogo sacro del clan per offerte votive alle divinità e agli antenati pare giustificata dai bronzetti rinvenuti nei nuraghi e dalla presenza di nicchie (loculi?) nei corridoi e nelle torri. Mentre le celebrazioni religiose legate al culto dell’acqua – Luna si svolgevano nei pozzi sacri, quelle rivolte al dio Sole – Toro potrebbero essere localizzate nei nuraghi. La funzione di luogo di culto appare confermata solo dal X-XI sec. A.C., quando non si costruiscono più nuovi nuraghi e si riutilizzano quelli esistenti: “gli scavi hanno documentato la destinazione delle antiche torri a luoghi di culto. (…) i tempi sono mutati e, evidentemente, non è più necessaria la costruzione di una nuova fortificazione” (Moravetti A., 2006, pag. 17).

Una variante di questa teoria propone una funzione specifica del culto dei morti, probabilmente derivata dall’edificazione di domus de janas e nuraghi a corridoio per la sepoltura dei defunti.

Le critiche mosse a questa interpretazione sacrale riguardano la dimensione quantitativa del fenomeno ‘nuraghe’. Nonostante la religiosità della popolazione sarda sia evidente anche nei giorni nostri, specie nelle manifestazioni che coinvolgono tutta la comunità, in rapporto alla stimata densità della popolazione e del numero di nuraghi censiti ci sarebbe stato un luogo di culto (una ‘chiesa’) ogni 38 nuragici… e in alcuni comuni con una concentrazione maggiore di 1 nuraghe-tempio per Km quadrato… Pare un numero troppo elevato di templi, e ciononostante nessuna torre (salvo le cosiddette ‘regie nuragiche’) è in grado di raccogliere molte persone al suo interno.

Un’ulteriore osservazione critica riguarda la motivazione per cui in una costruzione destinata al culto religioso sia poi nata l’esigenza di aggiungere al mastio centrale varie torri laterali, i bastioni, gli antemurali... tutte opere di carattere difensivo che poco si giustificano con un luogo di culto.

 

CONCLUSIONI

Oggi noi siamo abituati a vivere in ambienti diversificati per funzioni: nella nostra abitazione distinguiamo ad es. il luogo per mangiare, quello per riposare, quello per soggiornare. Anche gli altri ambienti di vita sociale sono distinti per le funzioni che vi si svolgono: la chiesa per quelle religiose, la scuola per quelle dell’insegnamento, l’ospedale per quelle sanitarie, ecc. Se guardiamo il passato con gli occhi di oggi, tale prospettiva non aiuta (e forse può anche essere un ostacolo) nell’intento di individuare la funzione per cui vennero edificati i nuraghi. In base alla prospettiva odierna li potremmo considerare ‘monolocali’, angusti e poco illuminati, senza una funzione specifica apparente.

Le interpretazioni di archeologi famosi come anche di semplici appassionati si contrappongono e trovano contraddizioni sia nell’ipotesi sacrale e sia in quella militarista (cfr. Benati Mura, 2020). Le obiezioni critiche paiono tutte plausibili! Ad es., le nicchie presenti nei corridoi e nelle torri sono troppo piccole sia perché una persona possa dormirci, ma anche perché un difensore possa agevolmente aggredire un invasore. E inoltre, anche nelle domus romane c’era una nicchia nell’ingresso dove si custodivano i Lari e si onoravano le rappresentazioni delle divinità e degli antenati che vegliavano sulla famiglia. Eppure le domus romane non erano luoghi di culto!

Neppure le fonti romane non sono di aiuto per individuare la funzione svolta dai nuraghi. Mastino (2006) riporta che secondo Diodoro Siculo i nuragici “abitano in dimore sotterranee, scavandosi gallerie al posto di case”, mentre secondo Strabone le tribù delle montagne “vivono nelle caverne”, per cui i romani li attaccavano “nei santuari dove venivano celebrate le feste tradizionali”. Questi dati non paiono far luce sull’uso dei nuraghi, salvo che i romani non abbiano interpretato come caverne (artificiali) le stanze interne alle tholos, come gallerie i corridoi e come santuari i monumenti funebri quali le tombe dei giganti e i nuraghi a corridoio.

Con il Tardo nuragico (1000-550 a.C.), quando finisce l’edificazione nuragica, appare cambiato “il concetto di controllo e di difesa. Alla difesa concentrata nel nuraghe, infatti, si sostituisce la difesa in campo aperto”. Ma intorno ad essi nascono i villaggi, costituiti da capanne in cui lo spazio interno appare “organizzato in relazione con i bisogni del gruppo che l’abitava. Pertanto è distinta l’area del focolare, centrale o decentrato (…); le zone di conservazione di arredi e cibi (…); le zone di riunione (panchine, banconi) e, infine, di lavoro” (Tanda, 2018, pag. 75).

Ma allora, non sarebbe plausibile un’ipotesi di un uso polivalente del nuraghe, edificati con un impegno non indifferente per una motivazione che deriva probabilmente dall’evoluzione inizialmente sacra (tombe dei giganti), per poi diventare ANCHE la sede di prestigio, il ‘totem’ di identificazione del clan sul piano civile e sacrale, fino a quando riprenderà un esclusivo ruolo sacrale (vedi altari in pietra) alla fine dell’epoca nuragica?

In questo senso l’onere costruttivo trova la giustificazione in una destinazione pluri-funzionale che motiva la loro edificazione: un luogo sacro per il clan, ove ad es. nelle nicchie si potevano conservare elementi votivi dei defunti e delle divinità (uso copiato poi nelle domus romane?), ove il sacerdote potesse celebrare riti religiosi in occasioni specifiche come feste tradizionali, iniziazioni, purificazioni, equinozi e solstizi. Ma anche e allo stesso tempo un luogo di presidio e controllo del territorio, dotato di piccoli contingenti di soldati che potevano opporre una prima resistenza in attesa che da quelli limitrofi arrivassero i rinforzi: non sarà a caso se in genere dominano sulle zone di accesso ai territori, sorgono sulle alture, e si collocano entro i 700 metri dal nuraghe più vicino! E non sarà forse un caso se nell’ultimo periodo sembrano spostarsi dal nuraghe al nucleo di capanne nuragiche tutte le attività della comunità, che ora mostrano funzioni specifiche, come quelle abitative, commerciali, religiose (purificazione?) e di gestione sociale (capanna dei capi).

 

Bibliografia

Benati Mura Ileana (19 Ottobre 2020), Archeologia della Sardegna. Nuraghi: Templi o fortezze? http://pierluigimontalbano.blogspot.com/search/label/Archeologia..

Lilliu Giovanni (1980), La civiltà dei Sardi, ERI, Torino.

Mastino Attilio (2001), Tempio Pausania: Gemellae oppure Heraeum? In: AA.VV., Dal mondo antico all'età contemporanea: studi in onore di Manlio Brigaglia. Carocci, Roma.

Mastino Attilio (2006), La Sardegna romana. In Brigaglia M., Mastino A., Ortu G.G. (a cura di), Storia della Sardegna. 1- Dalle origini al Settecento. Laterza, Roma-Bari.

Melis Paolo (2002), Un Approdo della costa di Castelsardo, fra età nuragica e romana. In: L'Africa romana: atti del 14° Convegno di studio, Carocci, Roma.

Melis Paolo (2017), I nuraghi. In Moravetti A., Melis P., Foddai L., Alba E. (a cura di), Corpora delle antichità della Sardegna. La Sardegna nuragica. Storia e Monumenti. Regione Aut. della Sardegna, Sassari.

Moravetti Alberto (2006), La preistoria: dal Paleolitico all’età nuragica. In Brigaglia M., Mastino A., Ortu G.G. (a cura di),  Storia della Sardegna. 1. Dalle origini al Settecento. Laterza, Roma-Bari.

Ortu Gian Giacomo (2006), I Giudicati: storia, governo e società. In Brigaglia M., Mastino A., Ortu G.G. ( a cura di), Storia della Sardegna. 1- Dalle origini al Settecento. Laterza, Roma-Bari.

Pallotino Massimo (2000), La Sardegna nuragica. A cura di G. Lilliu. Ilisso, Nuoro.

Pittau Massimo (2006), La Sardegna nuragica. II edizione, Edizioni della Torre, Cagliari.

Pittau Massimo (2 Settembre 2015), Archeologia e civiltà nuragica. I Nuragici: un popolo “stranissimo”. http://pierluigimontalbano.blogspot.com/search/label/Pittau.

Sirigu Roberto (2007), La Civiltà Nuragica di Giovanni Lilliu. Considerazioni sugli effetti interpretativi del discorso archeologico. In Soprintendnza archeologica per le provincie di Cagliari e Oristano, Quaderni 22-II 2005-2006. Scuola Sarda Editrice, Cagliari.

Tanda Giuseppa (2018), Dalla preistoria alla storia. In M. Brigaglia (a cura di), Storia della Sardegna. Edizioni della Torre, Cagliari.

Ugas Giovanni (2016), Shardana e Sardegna.  Edizioni della Torre, Cagliari.

 

 

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