Archeologia della Sardegna. Perché i sardi dell’età del Bronzo costruivano i nuraghi?
Articolo di Gianfranco Nuvoli
INTRODUZIONE
La costruzione di un nuraghe doveva essere un’impresa molto impegnativa per le comunità della Sardegna. Si trattava di trovare cave di pietre (non troppo dure, qual è il granito), di estrarle dalle cave, di trasportarle nel luogo prescelto (talvolta molto lontano dalle cave), di lavorarle e squadrarle in modo da assicurare la stabilità del filare e, infine di collocarle sulle mura del nuraghe. E tutto questo dal 1.800 al 900 a.C. circa usando strumenti di bronzo, e poi quelli di ferro. Al momento non conosciamo con
precisione né le tecniche utilizzate, né se usassero il metodo dei piani inclinati, o le carrucole o i contrappesi per collocare i massi nei filari più elevati.Senza dubbio rappresentava un lungo lavoro che richiedeva
grande maestria e un impegno molto oneroso. Infatti, se la maestranza che
lavorava alla costruzione del nuraghe proveniva da altri clan, essa doveva
probabilmente venir ricompensata; se invece apparteneva alla comunità,
risultava improduttiva nelle attività di sostentamento, e quindi doveva essere
‘mantenuta’ a carico del clan.
Nonostante le indubbie difficoltà costruttive, i nuragici
hanno lasciato i circa 8.000 nuraghi attualmente censiti, ma si presume che qualche
altro migliaio sia ancora sepolto sotto terra. Pur se l’età nuragica spazia per
molti secoli, dall’età del Bronzo medio (circa 1.800 a.C.) alla I Età del Ferro
(500-300 a.C. circa), si tratta di un numero enorme di costruzioni per una
popolazione stimata in 300.000 abitanti, e questo dato è forse ampiamente per
eccesso in quanto analoga numerosità è stimata per la popolazione isolana
all’epoca dell’occupazione romana (Mastino A., 2006, pag. 36) e poi nel periodo
dei giudicati (Ortu G.G., 2006, pag. 114). In rapporto al numero dei nuraghi
rispetto alla densità della popolazione (300.000 : 8.000) risulterebbe un
numero di abitanti molto ridotto per singolo nuraghe: 38 circa !!! Tale ridotto
rapporto di abitanti da un lato incrementa l’onere subito dalla popolazione per
l’edificazione dei nuraghi, dall’altro suggerisce che fosse una motivazione
molto forte ed importante quella che spinse i sardi alla loro costruzione.
Analoga considerazione emerge dall’esame della densità di
nuraghi nell’isola. Come rileva Melis (2017, pag. 49) “I dati invece di gran
lunga più rimarchevoli si osservano nei territori compresi fra l’Alto
Oristanese ed il Marghine: Bonarcado è il comune con la più elevata densità, di
ben 1,72 nuraghi per kmq (…). Seguono quindi i comuni dell’Anglona, altra
regione che anche nei valori in assoluto mostrava una significativa
concentrazione di nuraghi: Nulvi presenta 1,30 monumenti per kmq e Chiaramonti
1,26. Fra gli altri territori comunali che annoverano almeno un nuraghe per
kmq, abbiamo ancora l’Alto Oristanese, l’Anglona, ma anche il Logudoro e la
Marmilla”. I dati sulla concentrazione trovano conferma in quelli sulla
distanza tra i nuraghi: quasi la metà di essi (47,3%) dista da 300 a 700 metri
dal nuraghe più vicino! (Melis P., 2017, pag. 49).
Sulla base di questi dati le conclusioni suggeriscono che la
costruzione di un nuraghe rappresentasse un onere molto impegnativo per la
comunità, ma allo stesso tempo fosse considerato una necessità nella civiltà
nuragica.
DISCUSSIONE
Molti archeologi si sono confrontati con il problema, ancora
attuale, di individuare le funzioni, le motivazioni che spinsero gli antichi
sardi ad edificare quelli che sono tuttora i simboli della Sardegna, i nuraghi.
Vediamo in breve le teorie principali e, soprattutto, i loro limiti.
1) NURAGHI = FORTEZZE. Tra i primi Lilliu (1980) propone
un’interpretazione del nuraghe sul modello del castello medioevale, ove vive il
signore del feudo e dove gli abitanti trovano rifugio durante le incursioni
nemiche. Come sottolinea Roberto Sirigu (2007,
pag. 188) “Termini come "torre", "castello" ,
"mastio" ( o "maschio"), "garitta" (o
"garetta"), "ballatoio", ecc., sono entrati dunque nel
vocabolario comune per descrivere i nuraghi e i vari elementi che li
compongono”. Tale analogia tra castello e nuraghe, seguita da altri archeologi
quali Taramelli e Contu, si giustifica con l’uso di termini conosciuti per
esprimere un sistema di difesa dovuta alla conflittualità con le popolazioni
vicine.
Questa tesi, oggi definita “militarista”, trova in Pittau
(1977; 2011) uno strenuo oppositore, in quanto in numerosi interventi (compresi
quelli nel sito Honebu) rileva che la torre può contenere appena una ventina di
guerrieri, che non può reggere un assedio, che la popolazione rimarrebbe fuori
della protezione insieme a beni e bestiame, che le “garitte” o nicchie sono
troppo piccole perché un difensore possa agevolmente aggredire un nemico.
2) NURAGHI = VEDETTE, PRESIDI. In questa interpretazione di
taglio militarista il nuraghe assume compiti più generali che comprendono la
protezione del territorio, la difesa del clan, il controllo delle aree di
transito del bestiame e di sorveglianza dei confini. Scrive Pallottino che, pur
se la funzione del nuraghe si esplica in differenti scopi, quali quelle religiose
e di produzione di beni, l’ampia diffusione “delle torri e delle rocche di
specifica destinazione militare può aver seguito l’ampliarsi delle singole
giurisdizioni e l’opportunità di agguerrirne i punti dominanti e i confini, in
momenti di particolare pericolo. In questo senso potranno intendersi i parziali
‘sistemi’ difensivi, quale, ad esempio, quello della giara di Gesturi”
(Pallottino M., 2000, pag 139). Questa funzione spiegherebbe perché i nuraghi
sono in genere in collegamento visivo con almeno un altro nuraghe e sono
posizionati in genere sulle alture, così da controllare gli accessi del
territorio, e poter allertare il clan. Quelli ‘vista mare’ paiono vigilare
anche sugli approdi costieri, come i ben quattro nuraghi intorno a Cala Ostina,
una piccola insenatura utilizzata dai nuragici che poi divenne la Tibula Minor,
il porto di Tibula (probabilmente Castelsardo), da cui iniziava la strada
romana Tibula-Sulcis nell'Itinerarium
Antonini (Melis P., 2002; Mastino A., 2001). E forse potevano svolgere
anche una funzione di “faro” per le imbarcazioni che si avvicinavano alle
coste, come nel nuraghe Prima Guardia, dove traspare “la volontà dei suoi
costruttori di edificare una struttura specializzata, le cui caratteristiche
sono dettate forse, ad esempio, dalla necessità di regolare meglio la
circolazione dell'aria in un ambiente dove doveva ardere un fuoco per diverse
ore” (Melis P., 2002).
Le critiche mosse a questa teoria interpretativa si basano
sul presupposto che i sardi fossero un popolo pacifico e non bellicoso, per cui
non si spiegherebbe la loro esigenza di edificare presidi difensivi in numero
così elevato. Tale critica si scontra con la quantità di bronzetti rinvenuti
negli scavi che raffigurano proprio guerrieri, arcieri, lottatori; anche i giganti
di Monte Prama rappresentano queste categorie. Interpretati come offerte votive
per chiedere una grazia o ringraziare gli dei per una grazia ricevuta da parte
di chi si appresta alla guerra o ne ritorna vivo, tali voti paiono
rappresentare un contesto sociale che non appare ‘pacifico’ e che come minimo è
pronto a difendersi. Viene inoltre da chiedersi se allora non fossero sardi
quei Shardana che, secondo Ugas (2016) ed altri archeologi, andarono fino in
Egitto per combattere sia contro/pro i faraoni, e sia contro/con gli Ittiti ? E
non erano sardi quegli abitanti che, unici, nelle alture della Barbagia (=
terra di barbari…) resistettero all’invasione dell’esercito romano?
3) NURAGHI = TEMPIO, LUOGO DI CULTO
L’interpretazione di Pittau (2006; 2015) e di molti
archeologi del nuraghe come luogo sacro del clan per offerte votive alle
divinità e agli antenati pare giustificata dai bronzetti rinvenuti nei nuraghi
e dalla presenza di nicchie (loculi?) nei corridoi e nelle torri. Mentre le
celebrazioni religiose legate al culto dell’acqua – Luna si svolgevano nei
pozzi sacri, quelle rivolte al dio Sole – Toro potrebbero essere localizzate
nei nuraghi. La funzione di luogo di culto appare confermata solo dal X-XI sec.
A.C., quando non si costruiscono più nuovi nuraghi e si riutilizzano quelli
esistenti: “gli scavi hanno documentato la destinazione delle antiche torri a
luoghi di culto. (…) i tempi sono mutati e, evidentemente, non è più necessaria
la costruzione di una nuova fortificazione” (Moravetti A., 2006, pag. 17).
Una variante di questa teoria propone una funzione specifica
del culto dei morti, probabilmente derivata dall’edificazione di domus de janas
e nuraghi a corridoio per la sepoltura dei defunti.
Le critiche mosse a questa interpretazione sacrale riguardano
la dimensione quantitativa del fenomeno ‘nuraghe’. Nonostante la religiosità
della popolazione sarda sia evidente anche nei giorni nostri, specie nelle
manifestazioni che coinvolgono tutta la comunità, in rapporto alla stimata
densità della popolazione e del numero di nuraghi censiti ci sarebbe stato un
luogo di culto (una ‘chiesa’) ogni 38
nuragici… e in alcuni comuni con una concentrazione maggiore di 1
nuraghe-tempio per Km quadrato… Pare un numero troppo elevato di templi, e
ciononostante nessuna torre (salvo le cosiddette ‘regie nuragiche’) è in grado
di raccogliere molte persone al suo interno.
Un’ulteriore osservazione critica riguarda la motivazione
per cui in una costruzione destinata al culto religioso sia poi nata l’esigenza
di aggiungere al mastio centrale varie torri laterali, i bastioni, gli
antemurali... tutte opere di carattere difensivo che poco si giustificano con
un luogo di culto.
CONCLUSIONI
Oggi noi siamo abituati a vivere in ambienti diversificati
per funzioni: nella nostra abitazione distinguiamo ad es. il luogo per
mangiare, quello per riposare, quello per soggiornare. Anche gli altri ambienti
di vita sociale sono distinti per le funzioni che vi si svolgono: la chiesa per
quelle religiose, la scuola per quelle dell’insegnamento, l’ospedale per quelle
sanitarie, ecc. Se guardiamo il passato con gli occhi di oggi, tale prospettiva
non aiuta (e forse può anche essere un ostacolo) nell’intento di individuare la
funzione per cui vennero edificati i nuraghi. In base alla prospettiva odierna
li potremmo considerare ‘monolocali’, angusti e poco illuminati, senza una
funzione specifica apparente.
Le interpretazioni di archeologi famosi come anche di
semplici appassionati si contrappongono e trovano contraddizioni sia
nell’ipotesi sacrale e sia in quella militarista (cfr. Benati
Mura, 2020). Le obiezioni critiche paiono tutte plausibili! Ad es., le
nicchie presenti nei corridoi e nelle torri sono troppo piccole sia perché una
persona possa dormirci, ma anche perché un difensore possa agevolmente
aggredire un invasore. E inoltre, anche nelle domus romane c’era una nicchia
nell’ingresso dove si custodivano i Lari e si
onoravano le rappresentazioni delle divinità e degli antenati che vegliavano
sulla famiglia. Eppure le domus romane non erano luoghi di culto!
Neppure le fonti romane non sono di aiuto per individuare la
funzione svolta dai nuraghi. Mastino (2006) riporta che secondo Diodoro Siculo
i nuragici “abitano in dimore sotterranee, scavandosi gallerie al posto di
case”, mentre secondo Strabone le tribù delle montagne “vivono nelle caverne”,
per cui i romani li attaccavano “nei santuari dove venivano celebrate le feste
tradizionali”. Questi dati non paiono far luce sull’uso dei nuraghi, salvo che
i romani non abbiano interpretato come caverne (artificiali) le stanze interne
alle tholos, come gallerie i corridoi e come santuari i monumenti funebri quali
le tombe dei giganti e i nuraghi a corridoio.
Con il Tardo
nuragico (1000-550 a.C.), quando finisce l’edificazione nuragica,
appare cambiato “il concetto di controllo e di difesa. Alla difesa concentrata
nel nuraghe, infatti, si sostituisce la difesa in campo aperto”. Ma intorno ad
essi nascono i villaggi, costituiti da capanne in cui lo spazio interno appare
“organizzato in relazione con i bisogni del gruppo che l’abitava. Pertanto è
distinta l’area del focolare, centrale o decentrato (…); le zone di
conservazione di arredi e cibi (…); le zone di riunione (panchine, banconi) e,
infine, di lavoro” (Tanda, 2018, pag. 75).
Ma allora, non sarebbe plausibile un’ipotesi di un uso
polivalente del nuraghe, edificati con un impegno non indifferente per una
motivazione che deriva probabilmente dall’evoluzione inizialmente sacra (tombe
dei giganti), per poi diventare ANCHE la sede di prestigio, il ‘totem’ di
identificazione del clan sul piano civile e sacrale, fino a quando riprenderà
un esclusivo ruolo sacrale (vedi altari in pietra) alla fine dell’epoca
nuragica?
In questo senso l’onere costruttivo trova la giustificazione
in una destinazione pluri-funzionale che motiva la loro edificazione: un luogo
sacro per il clan, ove ad es. nelle nicchie si potevano conservare elementi
votivi dei defunti e delle divinità (uso copiato poi nelle domus romane?), ove
il sacerdote potesse celebrare riti religiosi in occasioni specifiche come
feste tradizionali, iniziazioni, purificazioni, equinozi e solstizi. Ma anche e
allo stesso tempo un luogo di presidio e controllo del territorio, dotato di
piccoli contingenti di soldati che potevano opporre una prima resistenza in
attesa che da quelli limitrofi arrivassero i rinforzi: non sarà a caso se in
genere dominano sulle zone di accesso ai territori, sorgono sulle alture, e si
collocano entro i 700 metri dal nuraghe più vicino! E non sarà forse un caso se
nell’ultimo periodo sembrano spostarsi dal nuraghe al nucleo di capanne
nuragiche tutte le attività della comunità, che ora mostrano funzioni
specifiche, come quelle abitative, commerciali, religiose (purificazione?) e di
gestione sociale (capanna dei capi).
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