Archeologia della Sardegna: Parco archeologico Romanzesu.
Romanzesu si erge ai confini settentrionali della Barbagia, su un altopiano granitico in località Poddi Arvu (pioppo bianco), in mezzo a un bosco, vicino alla sorgente del fiume Tirso. Fa parte del territorio di Bitti, da cui dista 13 chilometri, e si estende per sette ettari. Il cuore monumentale è il tempio a pozzo dalle cui fenditure sgorga l’acqua sorgiva. Presenta una scala d’accesso, una camera con pavimento e un bancone-sedile lungo la parete. È collegato tramite un corridoio di più di 40 metri a una vasca circolare lastricata, bacino cerimoniale dove si raccoglieva l’acqua. Attorno, sei gradoni di un anfiteatro dove puoi immaginare la popolazione del villaggio assiepata e coinvolta in riti collettivi del culto delle acque: abluzioni e cerimonie politico-religiose, incluse ordalie (richieste d’intervento divino per giudicare delitti). Accanto sono stati rinvenuti tre betili in granito simboleggianti la divinità. Vicino a un tempio a megaron c’è un recinto ellittico dentro una serie di muri concentrici a spirale, che con un
percorso labirintico portano a un vano centrale: qui un basamento sosteneva un oggetto cultuale. Il labirinto, forse capanna del sacerdote stregone, è del XIII a.C., mentre il villaggio è precedente: le ceramiche restituite dalle capanne attestano l’impianto al XVI a.C., perciò in principio la sorgente era usata solo per l’approvvigionamento idrico. Le capanne sono circolari, con pavimento lastricato e sedili posti attorno al focolare. Alcune sono molto spaziose, con nicchie e muri divisori interni, una ha persino tre ambienti aperti su un cortile comune. Il toponimo Romanzesu é dovuto alla presenza romana dei primi secoli d.C. Occuparono l'altopiano con insediamenti produttivi e realizzarono una strada che partiva dalle sorgenti del fiume Tirso (Caput Tyrsi) e raggiungeva Fonni, un avamposto militare per il controllo delle zone più interne della Sardegna. Il sito fu scoperto nel 1919 da Taramelli, all'epoca soprintendente alle antichità della Sardegna, nel 1919. Purtroppo la bella scala trapezoidale che scendeva al pozzo venne distrutta dagli operai e l'acqua sorgiva deviata. Un recente intervento della Soprintendenza ha riportato in luce un complesso abitativo nuragico di sette ettari, con un centinaio di capanne, tre edifici di uso cultuale (uno del tipo a pozzo e due templi a megaron), un labirinto e un vasto spazio cerimoniale contenuto in un grande recinto.Il pozzo sacro ha una struttura a tholos (pianta circolare e copertura a cupola) di cui rimangono 19 filari in blocchi di granito che poggiano sulla roccia dove sgorga la sorgente. Il vano circolare del pozzo è lastricato e dispone di una panchina, sempre in granito, per tutta la circonferenza. Sul lato nord sono affiorati due piccoli bétili (cippi rappresentanti la divinità legata ai riti della fertilità) in granito ancora in posizione eretta e, sul lato sud, un terzo betilino. All'esterno si snodano delle strutture gradonate che delimitano un canalone naturale e un grande bacino con una gradonata di sei filari su un dislivello alto 1.6 m. Questa grande vasca, in origine lastricata, raccoglieva l'acqua del pozzo e probabilmente era utilizzata per riti purificatori tramandatici da varie fonti letterarie, in particolare dal geografo Solino (III sec. d.C.) che evidenzia pratiche ordaliche (richiesta d'intervento divino) per giudicare delitti contro la proprietà. L'area del pozzo ha restituito anse a gomito rovesciato di olle dell'età del Bronzo recente e finale (fine XIII-IX sec. a.C.). Le capanne, tutte a pianta circolare, sono lastricate, hanno sedili di pietra lungo la circonferenza, grandi focolari centrali e hanno restituito materiali ceramici del Bronzo medio (XVI sec. a.C.), quindi sono più antiche del pozzo sacro quindi probabilmente l’acqua sorgiva era usata soltanto per l'approvvigionamento idrico. A circa cento metri dal pozzo è stato esplorato un tempio a megaron, mentre un secondo è ancora da scavare. In corrispondenza del vestibolo (vano che precede la porta d'ingresso) i muri rettilinei esterni, compreso il muro di fondo, sono segnati da una bassa panchina di blocchi granitici di diverse dimensioni. Ci sono tre fasi edilizie: inizialmente il tempio a megaron in doppio antis, cioè con i muri laterali della cella prolungati in facciata e sul retro aveva un vestibolo e un sacello rettangolari. La cella conserva dei banconi perimetrali e tratti di battuto pavimentale in argilla che poggia su un sottile vespaio di pietrisco. Al centro del vano c’è una fossa circolare che originariamente poteva servire da sostegno per grandi contenitori bronzei o fittili, o alloggiare il basamento di un elemento architettonico funzionale ai riti purificatori. Lo strato archeologico di questa prima fase del tempio (XIV sec. a.C.) conteneva resti di ceramica d'impasto (poco depurata, lavorata senza tornio) riferibili a tazze, ciotole carenate, frammenti e spilloni in metallo, olle e ollette con anse a nastro e a gomito rovesciato, queste ultime decorate da file di punti impressi. Nella seconda fase costruttiva (XIII-XI sec. a.C.) all'interno del vestibolo furono costruiti, con piccoli blocchi granitici, due allestimenti circolari che delimitavano dei contenitori che raccoglievano una riserva d'acqua per le abluzioni rituali. In questa fase, all'interno dell'ambiente, viene realizzato un battuto pavimentale in argilla. Il deposito archeologico ha restituito, in prossimità degli allestimenti a sezione di cerchio, frammenti di tegame, ciotole e tazze carenate, olle e ollene, databili al Bronzo medio e recente (XV-XIV sec. a.C.), nonché scarsi resti combusti di animali. Nella terza fase di vita del tempio (X-IX sec. a.C.) viene abbattuta la facciata rettilinea e sostituita da muri curvilinei che aumentano sensibilmente lo spazio utile del precedente vestibolo rettangolare. I muri sono costruiti con pietre più piccole rispetto a quelli delle fasi più antiche e con una tessitura muraria più accurata. Nella stessa fase vengono chiusi i due allestimenti a cerchio e la vecchia soglia d'ingresso. Il deposito archeologico ha restituito frammenti di ciotole a orlo rientrante, un frammento di tegame, numerose ciotole carenate con decorazioni plastiche e presine, olle con anse a gomito rovesciato decorate da larghe tacche impresse, un vaso e un pestello. I materiali ceramici erano associati a un pugnaletto di bronzo a base semplice, uno spillone e due colate di piombo con le impronte della base di un bronzetto.
Il labirinto è un grande recinto cui si accede attraverso un ingresso rivolto a oriente che conduce a una struttura di muri concentrici che porta in un ambiente circolare posto al centro. Questo vano centrale, sempre con ingresso a est, conserva una parte di pavimentazione lastricata su cui poggiava un basamento circolare formato dall'unione di diversi blocchi di pietra a forma di cuneo, probabilmente per sostenere un elemento architettonico funzionale al culto. Il vano centrale, il luogo dello sciamano, era raggiungibile attraverso un camminamento ad anello che poteva essere aperto oppure riparato da una copertura in legno a semplice o doppio spiovente. I materiali ceramici rinvenuti, fra cui frammenti di modellino in terracotta di una torre nuragica e diverse migliaia di ciottoli fluviali di quarzo rossiccio di diverse dimensioni, conservati proprio in corrispondenza della capanna centrale, propongono una misteriosa variante dei rituali religiosi ampiamente documentati nei tempietti a megaron di S'Arcu 'e is Forros di Villagrande Strisàili, nel megaron di Gremanu a Fonni e nei vari templi nuragici esplorati negli ultimi anni nel Nuorese. La datazione dei materiali raccolti conferma la realizzazione e la frequentazione del grande recinto di Romanzesu di Bitti nell'età del Bronzo recente e finale (fine XIII-IX sec. a.C.).
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