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giovedì 29 ottobre 2020

Archeologia. Chi era Calipso, la ninfa cantata da Omero? Era la Sardegna la sua isola, conosciuta come Ogigia? Articolo di Lydia Schropp

Archeologia. Chi era Calipso, la ninfa cantata da Omero? Era la Sardegna la sua isola, conosciuta come Ogigia?

Articolo di Lydia Schropp 

Calipso.

Già nel  I canto Atena  descrive l’isola di Calipso quando prega Zeus di acconsentire al ritorno di Ulisse in patria. E più tardi, nel canto V, Hermes, messaggero degli dei, aggiunge alcuni particolari sulla bellezza dei luoghi. L’ isola si trova  isolata (1)  nel cuore del mare e nereggia di folte selve dove  nidificano uccelli dalle ampie ali (2) e vanta numerose fonti sacre abitate da ninfe. Dall’ubicazione in centro al   mare  e  dal nome della ninfa Calipso (3) che etimologicamente  riflette forse influssi semitici, possiamo dedurre  che Ulisse naufrago approdi sulla costa meridionale  della Sardegna, fra Cagliari e Sulcis, la più vicina  per chi proviene dalla Sicilia  (4) ed incontri lì una ninfa, il cui nome fa presumere la presenza di Calibi  e quindi  di attività collegate con la lavorazione dei metalli. (5) L’isola nereggia di selve perché  non è ancora iniziata  l‘opera nefasta di disboscamento sistematico  voluta dai  Fenici (6) Il  Canto V  descrive con dovizia di particolari la residenza della ninfa Calipso, costituita  da

una grande grotta  vicina a delle polle d’acqua, che ci ricordano  le fonti sacrali sarde, di cui abbiamo  ancora oggi alcuni esempi di  costruzioni quasi intatte. (7) In genere sono costituite  da ampie gradinate  che portano alla vena d’acqua sotterranea, protette all’esterno da atri  o  vestiboli rettangolari. Le fonti  stesse sono  racchiuse in camere nuragiche a tholos, parzialmente interrate nel suolo (8). Spesso  sono ulteriormente delimitate da  recinti ellittici e comprendono oltre all’edificio sacro vero e proprio, composto da una o più camere, anche altri edifici adibiti a ricoveri per pellegrini.(9). 

La fonte descritta da Omero è molto ampia e circondata da alberi, ed è caratterizzata dalla diramazione di quattro ruscelli d’acqua, che si dipartono dal centro, ed irrigano i prati contigui , ricoperti da viole. Forse la   fonte   è alimenta  dal fiume Mannu, che nelle vicinanze di Decimomannu  e di Uta raccoglie l’acqua  di numerosissimi affluenti  e la sua struttura rispecchia un simbolismo molto affine a quello  della vasca rettangolare, trovata in un pozzo del tempio di Assur dell’ VIII sec. a. C. , rappresentante una divinità od una sacerdotessa, che tiene in mano una brocca /fonte, i cui rivoli si diramano in quattro direzioni opposte. (10)  Accanto alla divinità o sacerdotessa ci sono sul rilievo assiro due uomini rivestiti  di spoglie di pesce, che ci ricordano Proteo l’egizio, vedi  Omero, IV, vv. 385-569. Proteo è una divinità minore delle acque e si stende fra le foche ed interrogato, cambia il suo essere. Egli rappresenta dei riti, dei quali ci sfuggono i connotati e che rientrano  nell’ambito della  magia /superstizione. La bellezza della fonte, che si rispecchia  nella pietra dura ed elaborata  della costruzione nuragica, induce il dio Hermes a confessare   a Calipso, che egli  incontra all’interno del sacrario, intenta a tessere ed a cantare, il profondo fascino  che egli prova alla vista della costruzione; spesso infatti gli atri dei pozzi  erano decorati con disegni geometrici o teste taurine, che ne accrescevano la suggestività (11). 

Le  molte analogie esteriori  riscontrate in Circe e Calipso hanno indotto i critici a ritenere Calipso una double, ma un esame attento delle due personalità  rivela  che sono  profondamente diverse.  Sebbene l’aspetto esteriore non differisca molto - ambedue indossano  vesti di foggia simile, riunite in vita da cinture e portano sul capo il tutulus- e sebbene ambedue abbiano  la stessa predisposizione naturale per il canto e siano abili tessitrici, Omero definisce Circe una  potnia e dia  THeaon, mentre Calipso una ninfa,(12) e quindi distingue i loro ruoli. Calipso ha facoltà quasi divine, dialoga con gli dei su un piede di parità e ne conosce le segrete deliberazioni (13)Non ha bisogno, come Circe, di divinazione e magia ,ma agisce in base ad una legge dettatale direttamente dagli dei (14).E’ anche in grado di concedere l’immortalità a chi la sposa (15) Ma tutte queste doti soprannaturali di cui sembra godere, non la aiutano a raggiungere il suo scopo terreno, e cioè attirare a sé Ulisse(16) o concedergli un’imbarcazione per partire.(17) Siccome né lei, né gli isolani dispongono di barche, Ulisse deve costruire una zattera, che  Omero illustra schematicamente (18) Lo schema della zattera risente senz’altro dell’influsso delle cosiddette navicelle votive dell’ VIII sec. a.C., fatte di bronzo, che si sono trovate in gran numero sia in Sardegna, presso i pozzi e le caverne sacre, sia nel Lazio che in Toscana. (19) E’ probabile che Ulisse si sia ispirato , nella costruzione della zattera, ai modellini di queste navicelle, collaudate da un’esperienza  secolare (20). Da tutto il racconto emerge però che Ulisse è  del tutto inesperto dell’arte di costruire le barche e  che  egli deve  servirsi dell’aiuto di Calipso, che  gli fornisce gli strumenti adatti. Senz’altro Calipso  ,in quanto ninfa, quindi nella sua funzione sacrale di sacerdotessa reggente, ha degli agganci con l’Egitto e per stirpe con il Ponto, dove i Chaldi/Calibi  costituirono un grande regno (21) , retto da ben 4 diversi re dal nome Sardur, che in maniera veramente singolare corrisponde a quello del dio nazionale dei Sardi, chiamato “ Sardus Pater “, che in realtà ha anche caratteristiche puniche  (22). Il fatto poi che “Sardi” fosse il titolo  attribuito ai lucumoni etruschi (23), ci potrebbe indicare che la Sardegna rientra nell’orbita etrusca (24)  e che il termine ninfa  è semanticamente più vasto, in quanto abbraccia funzioni sacerdotali e politiche (25). 

Ninfa  potrebbe essere la traduzione greca  del termine etrusco “lasa”. Come già  Circe, anche Calipso manifesta una certa complessità  etimologica, in quanto  il suo nome può rispecchiare  una fusione di diversi idiomi riscontrabili in Sardegna,  e  cioè  iberici (intesi come iberici resti di una parlata iberica preservatasi  nel basco  e del Caucaso, in una zona a nord della Persia, per cui i linguisti parlano di ispano od iberico- caucasico )  riscontrabili nel  toponimo Gallura,  egiziani ,(se Ogigia significa l’egiziana,)  ed ebraico-fenici .  Dalla storia sappiamo che gli shardana , identificati con  i Sardi, insieme con altri “popoli del  Mare” invasero verso il 1230 a.C.  l’ Egitto (26) e sconfitti dal  faraone si rivolsero altrove, probabilmente verso  la Palestina, dove a Hebron  il condottiero Kaleb, che compare a fianco di Mosè durante l’Esodo degli Ebrei verso la Palestina, ottiene in eredità il territorio. (Cfr. Giosuè 14,12-14) Calubai è inoltre un termine  che compare in ebraico,  con il significato di  cesto  che ritorna nel latino  calybita,  abitante di capanne, cioè di dimore fatte di frasche. (27) Sebbene la spiegazione etimologica “ egiziana”  sembra la più convincente, non si  deve dimenticare che Caleb fu un clan idumeo,  che divenne più tardi giudaico e nell’etimologia popolare è associato al cane (STADE pg. 528). Brevemente vorrei ricordare che anche il nome del fondatore della città di Tebe in Beozia,  Ogyges , può riflettere un influsso egiziano. Inoltre la storia riferisce  che nel VII secolo a.C.  ci furono gravi lotte fra i rappresentanti della cultura nuragica ed i fenici (28) e che gli Etruschi possedettero la   Sardegna prima dei Cartaginesi (29).

La tradizione vuole che  a  Feronia (Posada)  ci fosse stato un loro centro di carattere  forse religioso. Il forte legame di Calipso con il mondo egiziano e fenicio, dovuto all’ ubicazione dell’isola  ed il triste destino di questi due popoli, costretti sempre più a soccombere alle mira espansionistiche prima degli Assiri e poi dei Persiani, ha influito negativamente sullo sviluppo dell’isola. L’ Incapacità  ed impossibilità di Calipso a costruirsi una flotta, lasciando ai Fenici, subentrati agli Etruschi, l’incombenza  del trasporto e del commercio dei prodotti sardi, ha causato una dipendenza, che nel  corso dei secoli è risultata nefasta. In realtà dal racconto omerico si deduce che Calipso ha tentato di stringere dei rapporti commerciali con altri popoli marinari, di cui Ulisse è un prototipo, ma la lontananza dell’isola dall’ Italia e dalla Grecia non favorì  insediamenti sulla costa sud della Sardegna, ad eccezione di quelli fenici. L’unica colonia greca si trova a nord  della Sardegna, ad Olbia. Per legare a sé Ulisse, Calipso gli offre l’eternità, che secondo la disciplina etrusca si acquista bevendo una particolare bevanda(30), ma forse accenna anche a qualcosa di più concreto, come p.es.  al rito dell’imbalsamazione, riservata alla classe dominante (31), ed eseguita in maniera complessa con il miele, di cui nella grotta c’è grande abbondanza (32),o forse accenna anche alla possibilità di inserire  Ulisse fra i “Dii manales “ (33), fondatori di una progenie illustre, venerati in eterno dai discendenti (34). Esiodo attribuisce ad Ulisse e Calipso due figli, Nausithoos e  Nausinoos (35), cioè lo scaltro e lo spavaldo marinaio, Pseudo-Apollodoro Latino, padre dei Latini (36). Ciò significa che i Sardi marinai  sono emigrati ben presto verso la terraferma. Da tutto il racconto emerge che Ulisse non si sente attratto dalla Sardegna e preferisce tornare in patria nonostante  la prospettiva  dell’immortalità, e nonostante gli enormi pericoli che dovrà affrontare sula via del ritorno,  sul  mare da solo su una semplice zattera. 

Egli piange continuamente, ed in questo atteggiamento si riflette forse la cultura dell’isola , influenzata dalla letteratura  egiziana delle “lamentazioni”, che  si ritrova anche  nell’ Antico  Testamento  più tardi, verso il 586 a.C. Infatti l’Egitto, ormai diviso in due Regni  ed incapace  di reagire alle continue lotte fra i vari pretendenti al potere  ed in balia  delle truppe mercenarie, si ripiega su se stesso, e nella convinzione di aver adempiuto la sua missione di nazione-guida, si abbandona al pessimismo, provocando la  nascita di  un genere letterario nuovo, quello delle “lamentazioni”. Al settimo anno Calipso si convince che è inutile trattenere oltre Ulisse (37) e su ordine di Zeus gli consegna le necessarie vettovaglie, indicandogli la rotta più vicina, cioè la parte meridionale della Campania, dove risiedono i Feaci (38). Gli dice di navigare tenendo sempre l’ Orsa maggiore a sinistra. Quindi Ulisse naviga per 17 giorni sempre verso oriente. L’ Orsa Maggiore è identica  con il Gran Carro. (39).

Note

Ogigia   la chiama Omero, accennando o alla sua distanza o alla sua primitività. Ancora oggi una zona della Sardegna si chiama Barbagia. Un’ etimologia forse più corretta è “egiziana”, perché Ogyges = egiziano

M.C. ASTOUR, Hellenosemitica, pag. 343 , riporta al riguardo una possibile etimologia ricostruita in base alle tavolette trovate a Pylos  Ogygos-Ogygia, risalente ad un’origine semitica   agag = bruciare, e ciò può essere verosimile, perché anche l’isola Elba, in greco  Aithalia  ebbe un nome dallo stesso valore semantico grazie alle sue attività estrattive. M.C. ASTOUR  ci espone anche un racconto egiziano di un naufrago, unico fra i mortali, che riesce a salvarsi, pag. 212.

La Sardegna può aver avuto il nome Ogigia per le sua attività minerarie , fra cui la lavorazione del ferro, che richiedeva delle fornaci. 

ll nome Sardegna è però già attestato nell’iscrizione del faraone Merenptah del 1230 a.C. e deriva forse  dalla città  Serdiana, nel retroterra cagliaritano Cfr. per il popolo Sardana cfr. M.C.ASTOUR, Hellenosemitica, pag. 6. Dai testi egiziani risulta che i Serden = Sardana rimasero in Egitto dopo essere stati vinti da Ramses III e prestarono servizio come mercenari con la concessione di terre in usufrutto. Cfr. A.H. GARdiner, THE WILBOUR  papyrus, Oxford, 3 voll. 1943 <Commentary> ch. II Par. 9 b ed anche Sergio Donadoni, La civiltà egizia, Messina- Milano, 1940 p.  313. Quindi non è inverosimile supporre che per un certo periodo gli abitanti della Sardegna  fossero vassalli dell’ Egitto.

2)  Nella laguna di S. Gilla a Cagliari nidificano i fenicotteri  rosa, uccelli molto grandi dalle ampie ali.  E’ degno di nota che solo presso la grotta di Calipso Omero si soffermi  a descrivere la fauna avicola, e che egli distingua nettamente fra i palazzi degli altri ospiti e la grotta di Calipso.

3)   Kalub -  b> p    Cfr. M.C. ASTOUR, Hellenosemitica, pag. 129 e 216

Kalupso – un’etimologia convincente , che ben si accorda al racconto omerico, è la seguente : Gal = sumerico “divinità”+ “apsu”accadico  per acqua abissale “ cioè divinità delle fonti, ed in conclusione in greco ninfa.Il territorio Gallura, a nord della Sardegna, si spiegherebbe in questo contesto con Gal = sumerico “divinità” + “ur” alto sacerdote”. I fenici hanno chiamato la città di Cagliari con un significato simile Karalis, secondo Giovanni Spano Kar-El  città di Dio.  A Calipso si ricollega il latino Chalybi – nome di popolo da identificare forse con i  Calibi  abili nel lavorare il ferro e l’acciaio. I Calibi erano diffusi in tutta l’area del Mediterraneo, dove si trovavano miniere ed un fiume Chalybs  ci è attestato anche in Spagna, menzionato da Giustino XLIV, 3-8. Virgilio nel canto VII v. 608 dell’ENEIDE ci parla di una vecchia Calibe, sacerdotessa di Giunone. Anche Eschilo, Prom. 714 dice che i Calibi erano famosi per la lavorazione del ferro, che devono aver inventato  per primi. Nell’ambiente ebraico compare un   condottiero Caleb a fianco di Mosè, che ottiene  in assegnazione per  la  conquista la città di Hebron in territorio filisteo. Hebron era notoriamente una città sacerdotale. Attraverso la mediazione egiziana, che confonde r ed l, abbiamo il nome  Karalis, nome punico della città di Cagliari. Per la corrispondenza egiziana e semitica cfr. M.C. ASTOUR, Hellenosemitica, Leiden, 1965 pag. 7. Riassumendo  il nome  KALUPSO    deve essere la forma etrusca del nome, perché l’etrusco confonde u ed i. La finale in pso è stata spiegata da Risch, vedi nota 17) e la finale in  o è uguale a quella di TURO (Tiro). Nel libro VII vv. 245-247 Ulisse ci dice  che Calipso è “ celibe”, un gioco di parola con una Lingua diversa. Come abbiamo già visto per altri passi dell’Odissea,  i racconti rivelano un sovrapporsi di lingue, religioni e filosofie difficili da ricostruire oggigiorno, di cui però l’autore è ancora in parte consapevole, in quanto inserisce giochi di parole con lingue diverse, come nell’episodio delle Sirene. Nel Mediterraneo , prima della supremazia greca esistevano diverse lingue franche e nei porti si parlava certamente un misto di lingue aramaiche /fenicie etc. Merita  attenzione che in Tunisia  si ritrova una città balneare molto famosa oggi, Kelibia, chiamata in passato, ai tempi dei Latini Clupea, un porto fenicio occupato dal tiranno siracusano Agatocle quando fece la sua spedizione in Africa , non molto distante da Capo Bon, nome che si ritrova in Bonaria, vicino a Cagliari. Clupea è la forma latina di Kalibia /Kelibia.

 Kelibia =Kalibia – Kalipso potrebbero quasi equipararsi, e rapporti tra Tunisi e  Cagliari sono già attestati in tempi antichi. Moltissimi  toponimi nelle immediate vicinanze di Cagliari ci rinviano all’ ambito egiziano,  ebraico e fenicio. Nel Museo di Cagliari ritroviamo tante attestazioni di presenze ebraiche e fenicie nel sud della Sardegna. Ma non mancano neanche prove di contatti con gli egizi e gli etruschi, come p.e.  una statua del dio Nilo , varie statuette di Bes e per gli etruschi statuette di re-sacerdoti.

4)  Tolomeo  collocò la Sardegna  di fronte alla Sicilia, quindi la rotta Cariddi – Sud della Sardegna  è molto verosimile, sebbene  in realtà  l’estremità della Sardegna coincide quasi con il golfo di S. Eufemia.

Caralis è un  porto privilegiato, anzi vanta  due porti , uno sul mare aperto  ed uno sulla laguna S. Gilla E’ accertato che i villaggi nuragici ebbero la massima fioritura fra il 900 e 700 a.C., quindi nel periodo in cui  l’Odissea prese forma e furono abbandonati al più tardi dalla seconda metà del VII sec. a.C.  I Fenici fondarono una colonia presso l’odierna Cagliari e la chiamarono Caralis. Ma in precedenza è attestata la presenza etrusca, di cui purtroppo si ignora quasi tutto. Lo riferisce Strabone V 2,7 , vedi anche Massimo  Pallottino, gli Etruschi, Milano, 1963, terzo capitolo, pag. 67 e seg.

5) I primi Calibi devono essere immigrati in Sardegna verso  il X. Sec. a.C., in seguito alle spedizioni  militari del re assiro Tiglatpileser (1112-1074) che estese la sua egemonia dalla Mesopotamia al Mediterraneo. Non ci meraviglia che proprio ad Assur si sia ritrovato il monumento a cui si accenna sopra nel testo e poi a nota 10) , risalente all’epoca di Sennacherib (704-681), che sembra riferirsi alla dea con in mano un vaso da cui zampillano 4 rivoli. Sul simbolismo del vaso con i 4 rivoli cfr. Parrot “ Gli Assiri” , citato in seguito.

6) I Fenici si stanziarono in  Sardegna verso il VII sec. a. C. cfr: G.  LILLIU in v.  BORSIG, Sardegna, Mi-  lano, 1977, secondo M. TORELLI, Storia degli Etruschi, Milano, 1981, già alla prima metà dell’ VIII sec. a.C.

7) Il tempio fenicio o cananeo comprendeva sempre una fonte o bacino sacro  ed un bosco sacro.

 Per la Sardegna cfr.  G. LILLIU, La Sardegna, Milano 1977

    F. BARRECA, G. LILLIU , La società in Sardegna nei secoli, Torino 1967

    E. CONTU in Popoli e civiltà  dell’ Italia Antica di M.PALLOTTINO,  Vol  3, Roma                     1974, pp. 168-170

   F. BARRECA, L’insediamento punico  in “ La Società  in Sardegna nei secoli “ A.V. Torino, 1967, p. 39-47

 8) Cfr. E. CONTU, idem  p. 168

9) Cfr;: G. LILLIU, La Sardegna, Milano 1977  e  G. LILLIU , Corsica, Sardegna, Baleari, Milano 1968

Per la piscina di Gabaon in Israele v. 2 Sam.2, 13-17

10) Cfr. A. PARROT, Gli Assiri,  Milano, 1970, P. 75

11) Cfr. E. CONTU, idem p. 169. La descrizione della fonte somiglia  alla Fontana Coperta di Ballao/Cagliari o di Kukkuru Nuraxi di Settimo/Cagliari. Comunque  la grotta di Calipso potrebbe coincidere con la famosa  “Grotta  della vipera “ di Cagliari, in via Avandrace,  che sul frontone presenta una decorazione architettonica raffigurante due serpenti, simboli egiziani di fertilità ed eternità. Nelle vicinanze della grotta è attestata la presenza di una necropoli punica.

12) Ciò corrisponde esattamente  alla divisione etrusca delle cariche Haruspex =  deine Theos audeessa, Canto XI, verso 7, oppure potnia Canto X, v. 394 e XII v. 36    e sacerdotessa = numphe.

Harispex ed arispex    principum filii, cfr. Cicerone div. I, 92 si intendono i nobili etruschi. Gli etruschi consultavano  tre libri, i libri fulgurales, haruspicini e rituales.

13) Si rispecchia qui forse una concezione molto aristocratica del ruolo del sacerdote, intermediario fra Dio e gli uomini. Una concezione  simile si ritrova nel mondo ebraico. Come afferma il biblista STADE, a pag 708, elemento caratteristico del libro Jahwista  è la teofania, Dio siede a mensa sotto la quercia sacra  di Hebron con le figure locali degli eroi. Hebron era una città sacerdotale, che come abbiamo visto, era stata assegnata a Caleb.

14)Si rispecchierebbe qui l’importanza decisiva  della legge, intesa in senso sacrale, come presso gli antichi Ebrei, che studiavano sempre la legge e la sua applicazione.

15) Le ninfe erano considerate immortali e potevano concedere l’immortalità  anche agli uomini. Cfr. PAULY-WISSOWA, Nymphai e  Haruspex. Per capire meglio cosa potesse significare l’immortalità per gli antichi, riporto brevemente le usanze funebri presso i Romani.

“Lo svolgimento dei funerali obbediva ad un rituale preciso: al momento del decesso la famiglia percorreva ‘intera proprietà gridando il nome del defunto: primo dei doveri, la conclamatio – mirava a trattenere ancora per qualche istante l’anima del morto fra i suoi.  Poi si procedeva alla toeletta del corpo, alla sua purificazione e talvolta ad una rudimentale  imbalsamazione. Rivestito della toga, truccato per simulare i colori della vita, affiancato dalle insegne del suo rango, il defunto era deposto nell’atrio su un letto basso adorno di fiori. Dopo 3 -  4 giorni dedicati alle onoranze, i libitinarii, ossia i nostri impresari di pompe funebri, si incaricavano delle esequie. Il corpo, deposto in barella, a viso scoperto era portato in corteo fuori città, preceduto dalle prefiche, che salmodiavano le naenie in sua lode,  dalle suonatrici di flauto. Lungo il cammino, il corteo si fermava al Foro, dove un parente prossimo leggeva l’elogio funebre, la laudatio funebris. Giunto alla necropoli, il corpo veniva cremato e le sue ceneri raccolte in un’urna, il  loculus, oppure racchiuso in un sarcofago ed inumato. Dopo un ultimo appello al morto, le porte  della tomba venivano chiuse; l’usanza voleva che si restasse sul luogo per un pasto frugale a base di uova, legumi, pane e sale.  La laudatio funebris  acquistò un’importanza tale che divenne un genere letterario a sé stante…

Solo il valore assicura l’immortalità. E questa immortalità sfugge agli dei, perché essa torna alla gens e la illustra, per servire ad esempio alle generazioni future. E fu per dare forma all’immortalità che i romani, come gli egizi, fecero ricorso alle maschere funerarie. Polibio, Plinio, Svetonio, Dione Cassio evocano tutti queste effigi di cera policroma che le grandi famiglie conservavano  nel loro atrio; racchiuse in naoi di legni pregiati, infiorate nei giorni di festa, esse erano  onorate come i Lari ed i Penati, e partecipavano dello stesso culto domestico. L’imago era modellata sul viso stesso del defunto, dipinta al naturale da un politor specializzato, munita di occhi incastonati e di capelli finti. L’usanza romana voleva che il calco fosse preso sul volto qualche ora dopo il decesso.

Cfr. EL FAYYUM – Con scritti  di Klaus Parlasca, J.E.  Berger, R. Pintaudi, Milano, 1985 , pag 37-.38.

Comunque per  l’esattezza bisogna menzionare che il ritratto dipinto è conosciuto in Egitto a partire dal 535 a.C., quindi in epoca  posteriore ad Omero.

Come fonti delle notizie di cui sopra cfr. Plinio il Vecchio –Naturalis Historia XXXV, 2-3 e Plinio il Giovane,Epistolario, lettera I, 17 e lettera IV, 28.

Alle usanze funebri degli Etruschi si è già accennato nel capitolo riguardante Circe.

16)  Forse non è da sottovalutare che Ulisse non appare tanto suo ospite, quanto suo sottomesso,  Calipso   lo trattiene suo malgrado , egli è quasi un suo servo,  il che farebbe dedurre che oltre al potere  religioso detiene quello politico. Ulisse resta da lei ben 6 anni, il  tempo equivalente ad uno schiavo, che al settimo anno veniva liberato, secondo la legge ebraica.

17) ciò potrebbe significare  che Calipso  dipende  da una potenza straniera,  egiziana od anche etrusca o  fenicia, perchè Ulisse nella seconda parte dell’ Odissea manifesta apertamente il suo odio nei confronti dei Fenici. Verso  il  1300 a.C.  i Fenici si rendono indipendenti dall’egemonia egiziana, finchè nel 876 a.C. diventano vassalli degli Assiri. 

Siccome Caleb  è il nome   di una tribù ebraica che possedeva Hebron (cfr. Martin Noth, Storia d’Israele, Brescia , 1975 , pag. 110)  e notoriamente gli Ebrei non ebbero vita facile ad eccezione del periodo di Davide e Salomone ( 1 Cron. 2,18), è probabile  che Caleb sia la forma maschile del  femminile Calipso che ha il suffisso in   so. Gli Ebrei vissero in stretto contatto con i Fenici e Filistei, per cui Calipso può rappresentare benissimo una simbiosi di questi tre elementi. Per il suffisso femminile in - so che si ritrova nel miceneo , cfr. R: RISCH, Wortbildung der Homerischen  Sprache, 1937, p. 147. Per il passaggio da  b  a  p, che si è osservato spesso dal siriaco al greco cfr. M.C. ASTOUR, Hellenosemitica,Leiden, 1965, pag 216.

Colpisce  inoltre la somiglianza  di  Karubdon (muro di fonte ) e Kalupso (Galupso – divinità delle acque abissali ) , che potrebbe indicare la stessa origine,ma filtrata attraverso l’egiziano, che come sappiamo confonde la r e la  l.  La ninfa Calipso potrebbe essere quindi una tributaria/vassalla  degli egiziani,preposta ad un tempio, o meglio ad un ninfeo, od ad un’ attività estrattiva Cfr: VIRGILIO, ENEIDE , VIII, 599 – Calibi – popolo che lavora il ferro. Tutto il racconto delle vicende di Trinachia, Scilla, Cariddi e Calipso riflette un  ambito egizio/ebraico/siriaco, comprovato ancor più dal fatto che Menelao apprende il triste destino di Ulisse, prigioniero ad Ogigia, da Proteo, sacerdote alla foce del Nilo.

18) Ancora oggi a Cabras, vicino Cagliari, si trovano le zattere “ su Vassoni”, che possono  aver fornito ad Ulisse il modello-base , al quale ha poi  apportato le necessarie modifiche, in considerazione del fatto che egli doveva attraversare un  lungo tratto  di mare e non uno stagno od un fiume. Cfr: CONOSCI L’ITALIA, Vol. XI, Il Folclore,  Touring  Club Italiano,. Milano , 1967, pp. 57-58.

19) G. LILLIU, Ai tempi dei nuraghi, in  La Società in Sardegna nei secoli, Torino 1967, pp. 23-24 e F. FABIANI, Quei bronzetti che vengon di lontano, in AD/Sardegna, suppl. al nr. 50,Milano, 1985, pp. 52-57 e 119.

20) I bronzetti risentono dell’ influsso  siriano e fenicio

21) Il regno chaldo, sotto la dinastia urartiana durò dal 885 a.C. al 585 a.C. Cfr: LEHMANN-HAUPT, Armenien  einst und jetzt , II p. 24 ed ENCICLOPEDIA  TRECCANI, Armenia.

22) G.LILLIU, Idem, pag. 21 Il dio Sardur ha caratteristiche puniche .

23) Luku proventiente  da ruku  o lycians Cfr. M.C. ASTOUR, Hellenosemitica, Leiden, 1965 , pag. 355. Quindi è molto probabile  che i Sardiani si siano propagati con gli altri Filistei  anche in Cilicia.

24) e che da quest’ esperienza sia sorta poi la lega etrusca.

25) Il vero titolo di Calipso dovrebbe essere quindi sacerdos.

26) Cfr. M.C. ASTOUR, Hellenosemitica, Leiden, 1965, pp. 6 -35.

27) Kalub = ebraico cesto,termine collegato anche con Mosè, 1 Cronache 4,11  per b = p cfr. M.C, ASTOUR , Hellenosemitica, pag. 216

28) Cfr. G.LILLIU in v. BORSIG, Sardegna, Milano  1977

29) Nel 509 a.C.-  la Sardegna rientrava già nel dominio cartaginese.I Fenici arrivarono in Sardegna alla prima metà  dell’ VIII sec. a.C. Vedi M. Torelli, Storia degli Etruschi, Milano, 1981 pag. 61.

30) Cfr..PAULY-WISSOWA- Haruspex   

31) Sembra che qualche volta  in Sardegna sia stata praticata l’imbalsamazione. I morti venivano adagiati in enormi tombe a fossa.Meritano particolare attenzione in Sardegna le tombe scavate nella roccia, chiamate in sardo “ domus de janas” (tombe delle fate), usate a partire dal neolitico sino all’età del Bronzo.

32) Odissea, Canto V.

33)C.W. von Vacano,Die Etrusker  in der Welt der Antike, Hamburg, 1957 , p. 115

34)G.LILLIU, Al tempo dei nuraghi, in La Società in Sardegna nei  secoli, Torino, 1967, pag. 21

35)  ESIODO, Teogonia, vv. 1017-1018

36) Pseudo-APOLLODORO, Epit., VII, 24 , Cfr. J. BERARD, La Magna Grecia, Torino, 1963 , pag. 316         

37) anche qui il numero 7  ha la sua importanza, perché dopo 7 anni di permanenza Ulisse può ritornare in patria. C’è una similitudine con una prescrizione ebraica, che ordina al padrone di liberare il servo dopo sei anni di servizio. Cfr: DEUTER, 15,12.                                                  

38)  gli scavi hanno confermato l’esistenza di rapporti commerciali fra la Sardegna e La Campania già prima dell’ VIII sec. a.C. – La Sardegna (Cagliari) era anche in rapporti con il Lazio e la Toscana come attestano i ritrovamenti delle famose navicelle sarde nelle tombe etrusche di  Populonia ,Vetulonia e di Vulci. l

39) I fenici però si regolavano sull’ Orsa Minore. Lo afferma per primo  Eudoxos di Cnido nel 4. Sec. a.C. la cui opera Phenomena fu versificata da un poeta  greco di corte, Aratus  


Brevi note curriculari di Lydia Schropp Nata a Ravensburg (Baden Wuettenberg) nel 1945 da genitori tedeschi . Residente in Italia a Messina sin dai primi anni 50. Ha studiato materie letterarie all’Università di Freiburg, successivamente si è diplomata a Milano presso l’Istituto Traduttori e Interpreti. Laureata in Lingue e Letterature Straniere presso l’Università degli Sudi di Messina in data 1975. Ha soggiornato in Inghilterra e in Francia per diversi periodi per perfezionare lo studio delle Lingue. Ha insegnato lingua tedesca presso scuole private e pubbliche. È stata traduttrice per l’Università di Messina sia di articoli letterari che scientifici. Si occupa di studi religiosi e in particolare di Ecumenismo. Ha iniziato a occuparsi di studi omerici di eminenti studiosi stranieri (americani, inglesi e tedeschi) dopo aver tradotto ricerche su Omero e continua a occuparsene a livello dilettantistico con molta passione. Ha letto molta letteratura sugli Etruschi.

1 commento:

  1. Brevi note curriculari di Lydia Schropp
    Nata a Ravensburg (Baden Wuettenberg) nel 1945 da genitori tedeschi .
    Residente in Italia a Messina sin dai primi anni 50.
    Ha studiato materie letterarie all’Università di Freiburg, successivamente si è diplomata a Milano presso l’Istituto Traduttori e Interpreti.
    Laureata in Lingue e Letterature Straniere presso l’Università degli Sudi di Messina in data 1975.
    Ha soggiornato in Inghilterra e in Francia per diversi periodi per perfezionare lo studio delle Lingue.
    Ha insegnato lingua tedesca presso scuole private e pubbliche.
    È stata traduttrice per l’Università di Messina sia di articoli letterari che scientifici.
    Si occupa di studi religiosi e in particolare di Ecumenismo.
    Ha iniziato a occuparsi di studi omerici di eminenti studiosi stranieri (americani, inglesi e tedeschi) dopo aver tradotto ricerche su Omero e continua a occuparsene a livello dilettantistico con molta passione.
    Ha letto molta letteratura sugli Etruschi.

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