Archeologia in Sardegna: Dall'età del Bronzo all'età del Ferro.
Riflessioni di Franco Campus, Valentina Leonelli, Fulvia Lo Schiavo
La transizione culturale dall'età del bronzo all'età del ferro nella Sardegna nuragica in relazione con l'Italia tirrenica.
Il Bronzo finale in particolare è stato suddiviso in tre fasi che sembrano corrispondere alla distinzione che contemporaneamente si è operata sulla base dei ripostigli di bronzi (figg. 1 e 2) . Le tre fasi BF1-BF2 BF3/PF1A sono state identificate e si fondano su diversi contesti sicuri e sulla base di un sistema incrociato di dati relativi a un buon numero di siti.
Allo stato attuale delle conoscenze, è ingiustificato negare che la fine dell’età del Bronzo rappresenti l’epilogo di una crisi di vasta portata nel sistema socio-economico e politico nuragico, le cui ragioni vanno ricercate entro l’età del Bronzo, molto prima dell’inizio dell’età del Ferro . Non potendo in questa sede affrontare in modo esaustivo e sistematico tutte le ultime acquisizioni recenti si è deciso di focalizzare l’attenzione su alcuni siti oggetto di indagini recenti da parte dei relatori e che ci è sembrato possano costituire un’utile trama per affrontare le diverse tematiche oggetto del contributo (fig. 3). Se la seconda fase del BR e gli inizi del BF si caratterizzano per un evidente boom demografico, capanne sempre più ampie e i villaggi sempre più vasti, nell’ultima delle fasi del Bronzo finale moltissimi nuraghi sono abbandonati, in quasi tutto il territorio isolano, probabilmente a causa di cedimenti strutturali delle parti sommitali.
I tre nuraghi complessi presi in considerazione il Santu Antine di Torralba , l’Alvu di Pozzomaggiore e l’Adoni di Villanovatulo , ma si potrebbe aggiungere anche l’Arrubiu di Orroli (fig. 4), mostrano labili tracce della fase BF3/PF1A. Nel caso del nuraghe Santu Antine con l’abbandono avviene anche una sorta di sacralizzazione del pozzo-cisterna all’interno della torre nord messo in luce negli scavi 2005 (figg. 5-6). Sul fondo della struttura, profonda oltre 5 metri, fu deposto un
vaso rituale, il pozzo stesso riadattato con la realizzazione di una ghiera in muratura con imboccatura tanto stretta da non consentire più l’accesso all’interno (fig. 7). All’esterno della ghiera e nella struttura anulare che lo recinge, una successione stratigrafica costituita da diversi vespai-lastricati con reperti ceramici integri o ricomponibili consente la ricostruzione di tutte le fasi di vita del maestoso edificio dal BF distinguibile in due distinte fasi, al BR anch’esso articolato in due fasi, e fino al BM. Al nuraghe Alvu di Pozzomaggiore, la campagna di scavo, durata circa 15 mesi continuativi e conclusasi nel settembre 2008, fornisce gli stessi elementi stratigrafici (figg. 8-9). L’edificio a pianta complessa presenta, oltre a quella centrale, altre due torri disposte frontalmente. La torre principale si caratterizza per la bicromia, essendo costituita da blocchi di basalto nella porzione inferiore e conci ben lavorati di calcare in quella superiore.
All’interno del mastio sono un focolare del BF e il pozzo (fig. 10). In tutto l’edificio i dati stratigrafici indicano che l’abbandono avvenne nel BF2. Emblematico è il caso della torre laterale A che dopo i crolli delle parti sommitali avvenuti nel BR, divenne agli inizi del BF un deposito di granaglie, come indica l’ultimo crollo che ha sigillato uno strato archeologico con almeno 6 dolii con anse ad X di grandi dimensioni ed altri recipienti (fig. 11). A circa duecento chilometri di distanza, nella regione storica del Sarcidano, il nuraghe Adoni di Villanovatulo, interessante esempio di edificio complesso polilobato con planimetria anomala, fornisce le stesse indicazioni (figg. 12-15) . Le capanne di dimensioni ridotte sono pertinenti al BR. Nel BF abbiamo l’ampliamento del villaggio e capanne di dimensioni maggiori. Al BF1 è attribuibile la capanna 5 con uno splendido corredo ceramico ricomposto anche attraverso uno studio sulla distribuzione dei reperti. Prima della fine dell’età del Bronzo, con il crollo delle sovrastrutture del nuraghe, il sito viene abbandonato: lo indica chiaramente il corredo rinvenuto all’interno della cisterna costituito da brocche e anfore. Dopo questa fase la vita si interrompe per diversi secoli, mentre un’ansa di brocca a becco in bronzo di VII-VI sec. a.C. di chiara provenienza etrusca sembra da interpretarsi come frequentazione del tutto sporadica. Resta da chiedersi quali furono le ragioni di un abbandono così sistematico non solo dei nuraghi, sui quali i dati a disposizione ci consentono di affermare che i crolli delle parti sommitali - anche di molti dei villaggi che li circondano - sono ascrivibili a questo periodo, se non al precedente. Probabilmente hanno giocato un ruolo degli ecofatti - dei quali tuttavia ci sfuggono la reale portata e l’impatto - come un eccessivo disboscamento con conseguente erosione dei suoli, un progressivo impoverimento dei terreni agricoli, che possono aver portato ad una maggiore domanda di nuove terre, o a un loro maggior frazionamento - forse legati all’aumento demografico, che noi vediamo riflesso nell’ampliarsi dei villaggi. Sicuramente determinanti, in Sardegna come in tutto il Mediterraneo, sono stati i cambiamenti nell’indirizzo della ricerca delle risorse, nella strutturazione economica e nell’organizzazione sociale, conseguenti all’uso sempre più esteso e generalizzato del ferro. Non abbiamo alcun elemento invece che evidenzi uno stato di conflittualità all’interno delle comunità nuragiche o fra i diversi sistemi territoriali, e neppure indicazioni di un’eventuale aggressione proveniente dall’esterno. Nella gran parte dei siti indagati non sono visibili tracce di incendi. Tutto ciò induce a pensare che l’abbandono sia avvenuto non in maniera traumatica, ma in modo progressivo fino agli inizi dell’età del Ferro. D’altra parte anche i ripostigli di bronzi, probabilmente patrimonio dell’intera comunità, occultati al di sotto dei lastricati delle capanne e nelle murature dei nuraghi, documentano la pratica della tesaurizzazione, che potrebbe contraddire una realtà in crisi.
Al quadro sopra delineato sembrano contrapporsi le testimonianze provenienti dai numerosi santuari che indicano una continuità di frequentazione. In alcuni casi anche il nuraghe o parti di esso viene trasformato in luogo di culto (fig. 16). [F.C.]
Un ruolo determinante è stato svolto da aspetti legati ad un tentativo di riorganizzazione delle comunità nuragiche sotto il profilo politico ed economico in tempi non troppo avanzati del Bronzo finale. Per alcuni secoli, la sfera politico-amministrativa e quella religiosa convivono in simbiosi o in rapporti di reciproca collaborazione e influenza, permettendo di mantenere gli equilibri interni alle comunità e di assicurarne l’unità. Con le fasi terminali dell’età del Bronzo la congestione del sistema socio-economico dei nuraghi potrebbe aver causato l’indebolimento della sfera politica a vantaggio di quella religiosa, provocando una crisi di vasta portata. Coloro che gestiscono i templi e le loro risorse sembrano avocare per sé spazi sempre più ampi all’interno della società. La creazione di sacelli in alcuni nuraghi potrebbe essere connessa con il controllo economico-amministrativo assunto dalla sfera religiosa. In questo quadro, è consequenziale che i grandi santuari abbiano funzionato come catalizzatore, davvero “federale” <> per arginare o moderare eventuali spinte “eversive” e come centro redistributore delle risorse di maggior pregio, costituite dai metalli, mentre i nuraghi, nello stesso periodo, raccolgono, conservano e ridistribuiscono risorse alimentari, di immediata sussistenza. Nella fase avanzata del Bronzo finale nuove forme di organizzazione sociale sembrano riconoscersi nel dilatarsi degli insediamenti intorno ad un nucleo iniziale che è prossimo a un luogo di culto ed in relazione con un grande santuario. Queste nuove, più estese, entità territoriali avranno un forte potere attrattivo sulle comunità, perché sedi più idonee per “contenere” il potenziale e la ricchezza accumulatisi, in conoscenze tecnologiche, in beni di prestigio, ma anche in risorse agricole e bestiame, potendone favorire la circolazione a più largo raggio. E saranno proprio quei luoghi che potranno offrire queste potenzialità - presso le zone più appetibili dal punto di vista agricolo, o lungo le coste, presso gli approdi - ad avere una continuità di vita nell’età del Ferro. Eppure questo tentativo di centralizzazione del potere e di formazione di aggregazioni territoriali di dimensioni maggiori non riuscirà ad evolversi in senso protourbano, perché nel momento stesso della trasformazione vengono investiti - e pacificamente adottano - un modello proveniente dall’esterno, proposto da genti con le quali, e con i predecessori delle quali, da tempo esistevano rapporti commerciali e di civile convivenza: si veda il caso del nuraghe e villaggio nuragico di S. Imbenia. Risulta ormai tramontata, anche per evidenti motivazioni di carattere cronologico, l’ipotesi che tali squilibri siano da ricercare, esclusivamente o anche solo in maggior misura, nell’arrivo in Sardegna agli inizi dell’età del Ferro di genti esterne, i “Fenici”, perché tutti gli elementi a nostra disposizione indicano piuttosto gli stretti e intensi rapporti di scambi con i Sardi nuragici, già dalle prime fasi dell’età del Bronzo. L’equazione arrivo dei Fenici = fine dei Nuragici non è più pensabile per due ordini di motivi: i “Fenici” che arrivano in Sardegna nel IX secolo/inizi VIII sec. sono ancora gruppi numericamente ridotti che si disseminano in numerose località dell’isola oltre che nel Mediterraneo, anche attraverso la mediazione cipriota e non possono avere avuto in questo momento un ruolo preponderante. Nel nuraghe Alvu di Pozzomaggiore sono state rinvenute ceramiche dipinte e altre forme ceramiche identificate come di tipologia fenicia.
In questo caso la stratigrafia indica chiaramente che tali reperti non sono frutto di un’occupazione, ma di semplice frequentazione del sito. Nel considerare la giacitura stratigrafica si nota chiaramente che i materiali fenici non sono mai associati a ceramiche nuragiche del BF, ma piuttosto a forme di età punica e romana repubblicana. Lo stesso fenomeno sembra leggersi – per quanto è dato desumere dai pochissimi dati noti a oggi – nel villaggio nuragico Palmavera di Alghero, dove addirittura i reperti più recenti (editi) non sembrano superare l’orizzonte più antico della prima età del Ferro e non si conoscono materiali di sicura attribuzione fenicia. Quello che noi “riconosciamo” è solo l’inizio e la fine di un lungo processo svoltosi in almeno 150 anni, dall’insediarsi stabilmente dei primi Phoinikes, all’adozione di pratiche funerarie di origine esterna da parte dei Sardi – come l’uso di forme ceramiche di tradizione nuragica del BF, come il boccale con ansa a gomito rovescio, attribuibili alla metà dell’VIII nei tophet, alla formazione dei primi insediamenti protourbani. Se poi si affronta il problema delle sepolture risulta evidente che le tombe considerate monosome o individuali e familiari non sono così rare a partire dal BF. E’ in questo periodo che sembra ormai diventata una consuetudine deporre oggetti di corredo all’interno della tomba: il corredo ceramico dalla tomba di Arbus è attribuibile al BF2 . Ad Antas il corredo della tomba n. 3 è costituito da un bronzo figurato di armato, da monili di vetro e grani d’ambra tipo Allumiere. A Sa Costa-Sardara sono stati rinvenuti due bronzi figurati di arcieri, uno dei quali presentava tracce del tessuto che probabilmente avvolgeva il defunto, resti di lamina bronzea si trovavano sul pavimento lastricato. A Motrox ’e Bois-Usellus, deposizioni plurime di inumati e di un incinerato erano accompagnate da corredo personale fra cui uno stiletto in ferro con elsa in steatite e vaghi d’ambra tipo Allumiere. A Senorbì il corredo personale comprendeva una spada con impugnatura lunata e frammenti di lamina che il Taramelli interpretò come resti della corazza, richiamando come confronto il celebre bronzo figurato di guerriero da Senorbì con ampio elmo cornuto, pettorale e spallacci. Quanto alla spada, essa apparteneva alla categoria delle “daghe votive” o “stocchi”, produzione nuragica tipica a partire dal BR, infisse in “tavole d’offerta” e in monumenti votivi (Villanovafranca-Su Mulinu, Sorradile-Su Monte), riprodotte in numerosissimi bronzetti di “portatori di spada”, e riutilizzate in tronconi per spade e pugnali. Al fenomeno delle sepolture monosome o individuali vanno forse ascritte anche le tombe a pozzetto di Cabras-Is Aruttas, delle quali non si sa nulla oltre alla semplice menzione, e la necropoli di Cabras-Monte ’e Prama, che è caratterizzata da due tipi di strutture tombali, a cista litica e a pozzetto. Non si può pertanto continuare a considerare il fenomeno del tutto irrilevante, soprattutto visto che alcune di queste sepolture avevano come corredo uno o più bronzi figurati e visto che almeno in un caso, quello di Monte ’e Prama, il riferimento alla grande statuaria antropomorfa è plausibile. Appare sempre più chiaro l’evolversi verso un’individualizzazione dei rituali, dei corredi personali (prima assenti) e di qualche forma di riappropriazione di quelle che nella fase precedente erano certamente solo offerte collettive. [V.L.]
Nel caso della bronzistica figurata inoltre, le posizioni fra studiosi sono tuttora alquanto discordanti specie per quanto concerne la cronologia della produzione di questi manufatti. Sulla datazione dellatrasmissione e dell’uso vanno invece riesaminati i contesti di rinvenimento. Su questo aspetto la ricerca archeologica è andata molto avanti anche grazie alla corretta e sollecita edizione dei risultati, che in troppi altri casi è ancora drammaticamente carente. Tre siti, due dei quali a carattere cultuale, hanno restituito frammenti di bronzi figurati in US con reperti pertinenti al BF e in contesti in cui sono completamente assenti tutti gli elementi che fino ad oggi sono considerati dell’età del Ferro. Si tratta innanzitutto dello scavo condotto nel pozzo sacro di Funtana Coberta di Ballao, già oggetto di indagine da parte del Taramelli nel secolo scorso. Particolare importanza riveste il rinvenimento di un piedino di bronzetto nel vano beta, nell’US 110 che ha restituito materiali ceramici inquadrabili tra BR e BF. Un altro frammento di bronzetto pertinente alla testa di un guerriero con elmo cornuto proviene dall’US 98 (all’esterno dell’area al di sotto di US 1 e senza elementi cronologici di supporto). Importante anche l’US 150 con reperti tra il BM e il BR e che, analogamente a tutte le altre UUSS, si appoggia alla struttura del pozzo, cosa che indica che evidentemente era già esistente in questo periodo. In un altro santuario, Matzanni nel territorio di Vallermosa, le indagini di Domenico Lovisato degli inizi del secolo scorso avevano portato all’identificazione di tre templi a pozzo (A-B-C), una “capanna”, un recinto e un “tempio punico”. L’intervento del 1997 è stato recentemente pubblicato (2007); gli scavi sono tutt’ora in corso. L’analisi dei materiali e delle stratigrafie indica una frequentazione del sito limitata alle fasi del BR e del BF. In particolare le ceramiche rinvenute nelle UUSS 36 e 11 con cui è associato un frammento di bronzetto sono pertinenti al BF1/2. Nello scavo dell’edificio A, un muro rettilineo che si innesta alla destra dell’atrio del pozzo ed un altro curvilineo che si appoggia al fianco sinistro delimitano un’ampia area semicircolare asimmetrica. Lungo il muro ricurvo corre un bancone largo un metro, lastricato, su cui poggiano una ventina di “tavole d’offerta” cioè conci in trachite con fori per impiombatura di bronzi (fig. 17). Terzo sito è il nuraghe Cuccurada di Mogoro nel Medio Campidano, edificio a tholos complesso che ingloba un nuraghe a corridoio. La sequenza stratigrafica individuata nella torre D mostra che la fase più antica è ascrivibile al BM. La fase di vita più consistente sarebbe pertinente al BR cui si riferisce lo strato inferiore di un focolare. La fase più tarda che corrisponde agli strati superiori del focolare è stata attribuita al BF e I Fe anche se di quest’ultimo periodo dalle descrizioni risultano del tutto assenti gli elementi ceramici più caratteristici. Nell’US 48 in associazione con reperti del BF è stato rinvenuto un bottone figurato in bronzo rappresentante una scena di caccia: un cacciatore da tergo trafigge un muflone mentre un cane lo abbranca azzannandolo al collo. Queste tre testimonianze sicure e recenti si aggiungono ai molti indizi che già da tempo vengono ricordati: i bronzetti rinvenuti nel nuraghe Pitzinnu di Posada, in quello che senza dubbio era un sacello BF non avanzato sovrastante un precedente livello di vita BM/BR; il busto di un bronzetto nel ripostiglio di Monte Sa Idda di Decimoputzu, databile all’ultima fase del BF, parallela al Bronzo Atlantico 3 della Penisola Iberica; il frammento di bronzetto nel ripostiglio di Badde Ulumu di Usini, contenuto in un boccale coperto da una ciotola carenata databili al BF3/IFe1; e da ultimo il bronzetto di capotribù dal sacello della torre centrale del nuraghe Sa Mandra ’e sa Giua di Ossi. “Il capo tribù di Ossi, quindi, non si presenterebbe come caso isolato di bronzetto databile a tempi anteriori a quelli della ceramica geometrica… Esso sembra da attribuirsi al momento dell’ampliamento del nuraghe, in concomitanza al periodo di maggior benessere della comunità nuragica quando l’attività fusoria doveva essere parte dominante dell’economia del villaggio, nell’età del Bronzo finale e fino alla prima età del Ferro”. Riguardo al bronzetto di Ossi il riferimento al BF è stato fino a pochi anni fa accuratamente evitato perché le classificazioni dei materiali si presentavano confuse, poco articolate e non sufficientemente fondate. Quanto al richiamo al maggior benessere, se riportato a momenti troppo recenti risulterebbe anacronistico. Sull’attività fusoria dominante, non vi è dubbio sul fatto che la tecnologia della lavorazione del rame, del bronzo e, alle origini, anche del ferro, derivarono alla Sardegna dal Mediterraneo orientale e specificamente da Cipro, dove la produzione dei lingotti oxhide si inquadra fra il XIV e l’XI sec. e non oltre. Anche in Sardegna, in Sicilia a Thapsos e nelle Eolie a Lipari la circolazione di questi lingotti, incluso il seppellimento nei ripostigli, è compresa entro questi limiti cronologici. La tecnica della produzione “a cera persa” tipica dei bronzi figurati è inscindibilmente legata a quella degli altri manufatti come recipienti, armi, attrezzi e ornamenti che la impiegavano in tutto o in parte, venendo poi a loro volta riprodotti in miniatura con lo stesso procedimento. In sintesi, dai dati a nostra disposizione l’attività fusoria in Sardegna può considerarsi dominante fra l’età del Bronzo recente e finale, quando i nuragici appresero le diverse tecniche e le applicarono immediatamente (anche di ciò vi sono le prove stratigrafiche e di contesto) nella produzione di manufatti originali, d’uso e cultuali. A partire dal BF3-I Fe si intensificano i contatti tra l’isola e la costa tirrenica dell’Italia35 , già documentati in Sardegna dalla fine del BR con la deposizione rituale nei santuari anche di fibule. Vetulonia intrattiene rapporti intensi e diretti con la Sardegna durante il IX-inizi dell’VIII sec.; qui le brocchette askoidi vengono riprodotte in loco, spesso in maniera poco fedele rispetto ai prototipi provenienti dall’isola, e l’allontanamento formale è un indizio importante di una riappropriazione della foggia. L’Etruria mineraria - Vetulonia, Populonia e l’arcipelago toscano - sarebbero i volani della circolazione di materiali in bronzo e in ceramica di provenienza sarda nella penisola. Lo sviluppo dell’attività mineraria e metallurgica in Sardegna e in Etruria settentrionale deve aver comportato uno scambio di metodologie. Come per le brocchette askoidi ancora una volta il fenomeno della rielaborazione locale si riscontra nelle faretrine votive in bronzo rinvenute nella penisola, caratterizzate da un notevole distacco dell’impianto figurativo rispetto ai modelli sardi38Sarebbe attestata anche una produzione tarquiniese di imitazione: un bottone con corpo costolato privo di appendice per difetto di fusione39 . Databile alla metà del IX sec. a.C. è la tomba della necropoli di Cavalupo di Vulci, nel cui ricco corredo sono documentati oggetti di bronzo di chiara provenienza sarda: un bronzo figurato di “pugilatore”, una cesta miniaturistica chiusa da coperchio e la rappresentazione, sempre miniaturistica, di uno sgabello-trono. Gli oggetti nuragici, deposti nella sepoltura pertinente ad un individuo di sesso femminile, potrebbero rappresentare un’offerta rituale oppure essere di proprietà della defunta. [F.L.S.]
Conclusioni A partire dagli anni ’80 con il rinvenimento di ceramica nuragica del Bronzo recente e finale iniziale nel villaggio sull’Acropoli di Lipari nelle isole Eolie in Sicilia dove, sotto la capanna alpha II, si rinvenne anche un ripostiglio di frammenti di manufatti di bronzo e di centinaia di frammenti di lingotti ox-hide e piano convessi, vi è stato un capovolgimento delle prospettive che nel passato dipingevano l’immagine di una Sardegna nuragica passivamente ricettiva di stimoli esterni. Più recente è il rinvenimento di ceramiche nuragiche insieme ad altra ceramica egea, cretese e cipriota a Cannatello nell’Agrigentino, da dove proviene almeno un frammento di lingotto ox-hide. Una scoperta di grande importanza, pubblicata nel 1989, è la presenza della ceramica nuragica del BR nel sito portuale di Kommos, sulla costa centro-meridionale di Creta. A partire dalle fasi iniziali del BF, ad eccezione della brocchetta askoide trovata a Khaniale Tekke, nella Creta orientale, manufatto che potrebbe non aver avuto i sardi come vettori, non abbiamo altre testimonianze ceramiche che attestino una presenza nuragica nell’Egeo. Fino a quel momento possiamo asserire che furono i Nuragici ad aver avuto un importante ruolo di tramite nell’introduzione di manufatti bronzei di tipologia egea e cipriota nella penisola italiana. Dalla fase del BF2- BF3/PF1 si intensificano invece le presenze di manufatti nuragici in ambito protovillanoviano e villanoviano, indizio di una presenza stabile di genti di provenienza sarda nella penisola. La diffusione delle brocche askoidi, la loro sicura origine isolana e la vasta riproduzione nell’Etruria tirrenica, anche in epoche successive a quelle della prima fabbricazione, è prova di contenuti materiali e simbolici di grande valore: solo questo fatto può spiegare la vasta circolazione di questa foggia ceramica in Italia centrale, in Sicilia, a Cartagine, ed in siti della costa atlantica della penisola iberica, interessati dalla colonizzazione fenicia, come Cadice e Huelva, compreso un frammento dal santuario del Carambolo. Sempre nel BF un vivace scambio di modelli e manufatti metallici collegava la Sardegna nuragica con la Spagna come indica la distribuzione, in Sardegna, di asce e spade di forme iberiche, queste ultime riprodotte persino in mano ai bronzetti, e spade tipo Monte Sa Idda riprodotte in ferro nella penisola iberica. Queste interrelazioni non si arrestano alla Sardegna, ma l’isola è certamente il tramite di manufatti iberici nell’Italia peninsulare ed oltre, come lo spiedo articolato rinvenuto ad Amatunte, Cipro e come il frammento di tripode di foggia cipriota, probabilmente di produzione nuragica, trovato a La Clota, Calaceite-Teruel nella Bassa Aragona. Dal quadro delineato sembra che nel momento di maggior crisi interna nel Bronzo finale gli interessi commerciali dei nuragici si siano rivolti preferibilmente verso la parte occidentale del Mediterraneo dove hanno avuto l’importante ruolo di impulso nella trasmissione di idee e tecniche che essi stessi avevano potuto apprendere alcune centinaia di anni prima, divenendo così parte attiva nelle trasformazioni politiche e sociali del periodo successivo.
Fonte: http://www.bollettinodiarcheologiaonline.beniculturali.it/
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