Teti, la terra degli uomini lupo.
Articolo di Agostino De Santi Abati
(per ingrandire le immagini cliccarci sopra)
«Homo
homini aut deus, aut lupus»;
l'uomo per il suo simile può essere simile a un
dio o simile a un lupo.
(Erasmo
da Rotterdam).
Così è nata la leggenda
dei LUPI MANNARI
Un reperto molto
discusso per via del mistero sul suo ritrovamento, ma soprattutto per la presenza
di glifi su di essa e in particolar modo, del simbolo del pugnale ad elsa
gammata, un arcano pittogramma con valore simbolico e fonetico e una serie di
glifi che compongono la parola LUPO, che ci porteranno in un viaggio tra miti e
leggende in luoghi lontani.
Teti,
città al centro della Sardegna, distante 15 km da quella che è considerata
l’ombelico, Sorgono, territori con una natura ancora incontaminata e ricchi di
storia antichissima. Il territorio di Teti, è il più ricco di tutta la Sardegna
per quanto riguarda i ritrovamenti nuragici, qui sono stati trovati la maggior parte
dei bronzetti e altri manufatti, tra questi, la navicella fittile di cui
parleremo, un mistero ancora da decifrare per la comunità scientifica
internazionale. In questo articolo, proporremo una nuova versione del
significato dei glifi impressi sul reperto nuragico, la barchetta fittile ci condurrà
così, in un viaggio con una meta inaspettata. La scoperta del significato
fonetico del pugnale ad elsa gammata e della conseguente frase di cui fa parte,
ci permetterà di dare nuovi significati ad antichi reperti, di scoprire il significato
della città di Teti, e i segreti dei suoi abitanti guerrieri, delle
loro
pratiche sciamaniche, portandoci infine ad approdare prima in sud’America e poi
nei mari del Nord. Come detto, il reperto ha fatto molto discutere al momento
della sua comparsa, ma non mi soffermerò su questo aspetto, passeremo invece subito alla nuova interpretazione del glifo, secondo le
mie ricerche. La Lucerna a barchetta è un manufatto, in ceramica d’impasto
(chiara) e rappresenta un unicum nel panorama dei ritrovamenti nuragici, con
funzione votiva ascrivibile chiaramente, per la sua conformazione, alla
tipologia delle ‘barchette nuragiche’ di bronzo. Sulle parti rimanenti delle
fiancate e della zona piatta dello scafo, vi sono due scritte: una composta da
otto glifi e una da quattro ( più grandi degli altri), per un totale di 12
pittogrammi. Per poter datare il reperto sono state fatte analisi con
termoluminescenza, che l’hanno datata tra il IX-VIII sec. a.C.
Secondo gli
esperti che l’hanno analizzata, i pittogrammi sono stati incisi a crudo, quindi
coevi alla manifattura, ma da comparazioni effettuate risultano essere di due
epoche differenti, suddivisi tra Proto-cananeo ca. XVII-X sec. a.C. e
Proto-sinaitico ca. XVIII-XIV sec. a.C. Questa discrepanza fra i simboli
presenti ha messo in crisi gli studiosi non considerando, che l’uso di tale manufatto era prettamente
misterico e quindi usato solo dalla casta sacerdotale, che era a conoscenza di
linguaggi e scritture, che differivano da quelli di uso quotidiano ed erano
utilizzati per scrivere invocazioni o
formule inerenti alle loro pratiche sciamaniche e ciò è ulteriormente
confermato dalla presenza all’interno della frase di un simbolo, nel caso
specifico un pugnale ad elsa gammata, che oltre ad avere un valore simbolico ne
aveva uno fonetico il cui significato era conosciuto da una ristretta cerchia
di persone e quindi inserito in contesti grafici, serviva per criptarne
ulteriormente il significato. A riguardo si leggano gli articoli “L'ORDINE TEUTONICO E IL MISTERO DELL'ISCRIZIONE DI GOLETO”
pubblicato su “ARCHEO Misteri magazine” diretto da Roberto Pinotti di aprile
2015 e "I CAVALIERI TEUTONICI E LA FONTE PLINIANO" pubblicato su
“Misteri d’Italia” diretto da Dario Gulli a giugno 2016 in entrambi sa fa
riferimento a particolari simboli, che avevano anche un valore fonetico
utilizzato in ambito misterico per criptare il significato di una frase. I
grafemi presenti sul manufatto e identificati rappresentano nella prima scritta
nell’ordine a partire dalla sinistra, un’aleph’, una gimel’, una ‘hē’, uno
‘zayin’, il suddetto ‘pugnaletto gammato’, una ‘nun’, una ‘resh’, una seconda
‘hē’. Il sesto segno, il probabile ‘nun’ a serpentello è tracciato al di sopra
della resh’. Nella seconda scritta invece, a partire dalla sinistra, abbiamo
una ‘zayin, un’aleph’, una ‘beth’ ed una lettera non molto leggibile, ma che tuttavia
gli esperti ipotizzano essere un
ulteriore lettera ‘hē’. A questo punto ritenendo esatta tale identificazione
dei grafemi passiamo ad interpretare la frase, avremo così la seguente sequenza
אגהז
] [ נרה זא בה AGHEZ
– NERHE – ZA – BHE
Dove
le parentesi quadre racchiuderanno il significato fonetico del pugnale ad elsa
gammata. Che permetterà di leggere una nuova frase. Ribadendo, che non mi
interessa confutare precedenti interpretazioni ma soltanto proporre una nuova
lettura sia della frase che del grafema, procediamo col dare un significato
alla prima delle tante frasi che si ottengono con quei grafemi mediante
comparazione con l’alfabeto ebraico [periodo biblico].
אגהז]
[ נרה זא בה
AGHEZ – NERHE – ZA – BHE
Il
termine AGHEZ [אגהז] molto probabilmente è riconducibile al termine
arcaico AGOZ [
אגוזי ] che
significa NOCE, si tenga presente inoltre che il vocabolo PHAGAZ [פגז] indicava il GUSCIO, quindi possiamo asserire con una
buona dose di certezza che il termine AGHEZ sia il nome che veniva dato a quel
manufatto, che noi oggi data la forma, chiamiamo appunto, con un sillogismo
navicella o barchetta. Tralasciamo momentaneamente il simbolo del pugnale e
passiamo alla seconda parola NERHE
[נרה], anche in questo caso una
probabile forma arcaica del termine NER
[נֵר], con il significato di LUCE, LAMPADA, BRILLARE. A
questo punto per completare la frase capovolgiamo la navicella e interpretiamo
i simboli presenti sulla parte piatta, che insieme formano la parola ZABHE [
זאבה]. Anche in
questo caso siamo di fronte ad un probabile termine arcaico. La radice זאב (z'b) non esiste come verbo, ma
in arabo vuol dire disprezzare, spaventare e scacciare. Il sostantivo associato
זאב (Zeeb) in ebraico significa LUPO. Ora considerando
il resto della frase il termine LUPO sembra e ripeto sembra, non centrare nulla
e quindi provo a dividere i 4 simboli in due parole distinte, così da ottenere [ זא] ZA termine arcaico riconducibile
forse alla forma [
זה] ZHE con il
significato di quindi, qui, in sé, ora, quello, questo qui. Riconducibile forse
all’arabo زعم • (za'ama) dalla radice ز ع م (z-'-m) con il significato di
1. a richiesta 2. a dire, fingere, asserire 3. ad essere del parere 4. a parlare sopra, dare la propria opinione su
(un soggetto) 5. per impartire la
propria opinione ad un altro (interpretato con due oggetti diretti). Per conoscere invece il significato del
bilittero [בה] BHE dobbiamo rivolgere la nostra
attenzione all’Egitto e alla credenza religiosa secondo cui l’anima umana era
suddivisa in più parti dove il BHE o BA indicava la parte divina, totalmente spirituale, paragonabile
alla nostra anima. il quale dava la facoltà al morto di "uscire alla luce
del giorno". Esso poteva moltiplicarsi in relazione alla potenza del suo
detentore. Il Ba usciva dal corpo del defunto e vi ritornava a mummificazione
avvenuta Aveva aspetto di uccello con testa umana e spesso venne raffigurato
mentre visitava il defunto nella tomba portandogli il soffio vitale". Quindi
abbiamo che il bilittero BHE assume il significato di VENIRE ed è quindi un
termine arcaico riconducibile al trilittero [בּוֹא]
BO con il
significato di entrare, andare, venire, raggiungere, portare, sostituire, procedere,
inserire, prevista, impostare. Interpretati quindi i diversi vocaboli, ottenuti
mediante una giusta divisione dei simboli incisi, proviamo a dare un senso alla
frase ottenuta.
אגהז]
[ נרה זא בה
AGHEZ – NERHE – ZA – BHE
IL GUSCIO LUCENTE
QUI IMPOSTATO
considerando, che aghez nerhe altri
non è che il probabile nome con cui il manufatto era chiamato, la frase sarà
L’AGHEZ NERHE QUI
VIENE ACCESO
Trovata
la frase, scopriamo però che il termine AGHEZ [אגהז]
a sua volta, può
dar vita a due bivocalici con il seguente significato [אג]
AG o
[אגה] AGHE
termine arcaico
che ritroviamo nell’arabo آغا (AGA)
con il significato di 1. Signore, padrone 2. maggiore fratello 3. maggiore paterna zio 4. capofamiglia 5. testa maschio servo 6. Agha, un titolo onorifico titolo di
indirizzo, Signor. Aghe lo ritroviamo in ebraico con la lettera aleph finale ad
indicare il termine età ma anche il nome proprio AGA
[אגא] del padre di un guerriero di
David, riconducibile inoltre al termine AGAG [אגג], nome del re di Amalek, risparmiato da Saul, ma
ucciso da Samuel. [הז]
o [זה] ZHE con il significato di: quindi, qui, in sé, ora,
quello, questo qui. Riconducibile forse all’arabo زعم • (za'ama) dalla radice ز
ع م (z-'-m) con il significato di: a richiesta, a dire, fingere, asserire,
ad essere del parere, a parlare sopra, dare la propria opinione su (un
soggetto), per impartire la propria opinione ad un altro (interpretato con due
oggetti diretti).
NERHE [נרה], anche in questo caso una probabile forma arcaica
del termine NER
[נֵר],
con il significato
di LUCE, LAMPADA, BRILLARE Si ripetono nuovamente di nuovo i bilitteri visti in
precedenza [
זא ] ZA termine arcaico riconducibile
forse alla forma [
זה ]
ZHE e[בה] BHE
Interpretando,
come espletato in precedenza i diversi vocaboli, ottenuti mediante una giusta
divisione dei simboli incisi, proviamo a dare un senso alla frase ottenuta.
אג
הז] [ נרה זא בה
AGHA ZHE NERHE ZHE BHE con il
significato di
IL SIGNORE ORDINA
QUI IMPOSTA LA LUCE
L’analisi
delle due locuzioni ricavate, ci permette di congetturare su dove il manufatto
venisse utilizzato e da chi. Il termine QUI
grammaticalmente è un avverbio di luogo, che serve a specificare il luogo
di un’azione, la collocazione di una persona o di un oggetto nello spazio e la
distanza di una persona o di un oggetto rispetto a chi parla o ascolta. Qui e i suoi composti si usano quindi
per indicare un luogo ben definito e questo ci permette di comprendere che tale manufatto era posizionato
probabilmente all’interno di un luogo adibito a culto e veniva “impostato” nella
sua funzione, quindi “preparato per essere acceso” solo in momenti particolari
e unicamente dal sacerdote che officiava il culto. Ma di quale culto si
trattava? Lo scopriremo molto
probabilmente nel momento in cui renderemo note, le frasi misteriche che si
ottengono mediante l’inserimento del valore fonetico del logogramma rappresentato
dal pugnale a elsa gammata, il suo utilizzo cambierà come vedremo il senso delle
frasi, consegnando così il messaggio misterico.
Analizzando il simbolo così
come è impresso sul manufatto in questione e su altri ci si accorge che è
composto di due parti una comparazione con vari alfabeti del periodo che va
dall’ XI all’ VIII A.C. dell’aria
semitica ci permette di asserire con notevole certezza che il valore fonetico
del pugnale è composto dalle lettere ZAJIN
e GHIMEL guardando ai
significati che hanno portato alla nascita grafica dei due fonemi si scopre che
la lettera GHIMEL nella sua forma
protocananea potrebbe essere stata chiamata così in base alla raffigurazione di
un'arma come la frombola o la lancia, con derivazione dal glifo protosinaitico [per
questo si veda Brian E. Colless, "The proto-alphabetic inscriptions of
Sinai", Abr-Nahrain / Ancient Near Eastern Studies 28 (1990) pp. 1-52.]. Stesso
discorso per la lettera ZAJIN il cui
significato come per la ghimel è ARMA
e la sua forma appunto ricorda simbolicamente una spada o un pugnale. Un
confronto con vari alfabeti dell’area semitica attestati tra l’VIII e l’XI sec.
a.c. ci permette di notare le similitudini grafiche. Foneticamente il simbolo del
pugnale può essere letto sia [
גז ]
GEZ che al contrario
[ זג] ZAG con i significati rispettivamente di TAGLIARE, portare,
tagliato fuori, passare sopra (per GEZ) e PROTEGGERE, racchiudere (per ZAG), entrambe
appunto qualità di un’arma bianca. A questo punto, ricapitoliamo le frasi
ottenute e otteniamone delle altre, inserendo il simbolo fonetico del pugnale
1 AGHEZ NERHE
ZHE BHE
אגהז
] [ נרה זא בה
a L’AGHEZ NERHE (il
guscio lucente) QUI VIENE ACCESO
2 AGHA ZHE NERHE
ZHE BHE
אג
הז ] [ נרה זא בה
b IL SIGNORE ORDINA
LUCE QUI VIENE ACCESA
Inserendo
nei due costrutti alternativamente il simbolo fonetico nelle due letture
otterremo altre quattro frasi
3 AGHEZ ZAG NERHE
ZHE BHE
אגהז זג נרה זא בה
c IL GUSCIO LUCENTE
PROTEGGE QUI VIENE ACCESO
4 AGHEZ GEZ NERHE
ZHE BHE
אגהז גז נרה זא בה
d IL GUSCIO PORTA
LUCE QUI VIENE ACCESA
5 AGHA ZHE ZAG
NERHE ZHE BHE
אג
הז זג נרה זא בה
e IL SIGNORE ORDINA
PROTEGGE LUCE QUI VIENE ACCESA
6 AGHA ZHE GEZ
NERHE ZHE BHE
אג
הז גז נרה זא בה
f IL SIGNORE ORDINA
PORTA LUCE QUI VIENE ACCESA
L’interpretazione
delle successive locuzioni ci ha confermato quanto scoperto con le prime due e
cioè che la “LUCERNA FITTILE” era
custodita probabilmente all’interno di un tempio e veniva accesa e utilizzata durante
i riti, solo ed esclusivamente dallo sciamano, che ordinava, portava e
proteggeva la fiamma con cui officiava gli stessi. La decriptazione fonetica del simbolo
del pugnale ci permette di comprendere l’importanza, che veniva attribuita a
tale arma. Presente in molti bronzetti (specialmente nei cosiddetti "capi
tribù") veniva indossato mediante una bandoliera sul petto, ed era un
oggetto come si deduce dal simbolo che lo raffigura, dalla doppia valenza, di morte
ma anche di vita, di forza e debolezza, di difesa e di offesa, strumento e arma
quindi a cui era attribuita una funzione importante, che avveniva
[riscontrabile in molti popoli antichi] con rituali di iniziazione e/o prove
che sancivano quindi il passaggio dall’età adolescenziale a quella adulta, chi
lo possedeva dimostrava le proprie capacità di indipendenza e di poter affrontare
la vita e ovviamente anche… la morte. Strumento perciò di trapasso ma anche di
protezione [come il bronzetto della maternità in cui il figlio posto in grembo
ha impresso sul petto il simbolo del pugnale] e quindi di salvezza attributi
questi, che ritroviamo consegnati millenni dopo a quel simbolo della croce
[portata appunto sul petto come lo era il pugnale], che verrà legata al
sacrificio di un uomo e su cui venne creata una religione… il Cristianesimo.
La conoscenza fonologica della trasposizione del pugnale, permette e permetterà
di dare un significato a molti manufatti ritrovati, come per la lucerna di Teti,
appunto o come il famoso candelabro in bronzo, alto 22 cm, esposto al Museo di
Cagliari, che l'archeologo Giovanni Lilliu battezzava “doppiere”, che così
descriveva: vi sono 2 faccine, una
davanti e l'altra dietro; 2 braccia/corna che definisce – erroneamente –
simmetriche; 4 ghiere alla base delle due coppette terminali, 8 incisioni triangolari
su ogni coppetta; 8 segni ideografici a punteggiatura, disposti in rigida
alternanza sotto le faccine. Quasi sono caduto dalla sedia: 8 segni ideografici
è come dire 8 ideogrammi! Ed “a punteggiatura”; è come dire che i segni son
fatti come quelli sulle barchette di Sextus Nipius! [tratto da gianfrancopintoreblogspot.it] Sul
doppiere vi sono due segni ripetuti per 4 volte, il pugnaletto gammato e una
sorta di bastone lunato, abbiamo scoperto il valore fonetico del simbolo del
pugnale, che è un bilittero che può essere letto in entrambi i versi con due
significati diversi [
גז ] GEZ cioè TAGLIARE, portare, tagliato fuori, per sollevare, innalzare, l'orgoglio,
beneficio, passare sopra [ זג]
ZAG
PROTEGGERE,
racchiudere. Una ricerca tra i vari alfabeti, di area
semitica ci porterà ad individuare il valore fonetico del simbolo lunato,
ripetuto tra l’altro dallo stesso candelabro, trovando corrispondenza,
nell’antico alfabeto yemeno dove il simbolo lunato corrisponde ad una figura
umana con le braccia alzate denominata HILLUL
con il significato di GIUBILO appartenente
al Sudarabico
antico - XI/X a.C. - VI d.C. [vedere
foto nella pagina] corrispondente nell’alfabeto ebraico alla lettera HE [ה
] si
otterranno così due trilitteri dal
seguente significato
[
הגז ] hegez,
INNALZARE L’ESULTANZA
[
הזג ] hezag INNALZARE
[richiedere] PROTEZIONE
Ciò,
ci permette di mettere in relazione tra loro i due simboli, che sembrano essere
origine [e quindi artefici] di quella che in epoche successive probabilmente diventerà
la dea TANIT
[vedi foto nella pagina] la cui simbologia stilizzata, richiama indubbiamente il simbolo HILLUL di GIUBILO, che a
sua volta si trasformerà nel dio ILU o
ILLIL, con il significato sumero di SORGERE [da mettere in relazione con il
simbolo HEGEZ
הגז con il
significato di innalzare] da confrontare
con l’ebraico Eli (identificato come il dio della Luce), che in ambito egizio
si trasformerà nella dea Hathor che incarnava: l'amore, la gioia, la bellezza e
aveva epiteti quali Signora della casa
del Giubilo e Colei Che riempie il Santuario di Gioia. A conforto della
relazione esistente tra ILU e TANIT si faccia riferimento al titolo
di un testo ILU TANI presente su una
stele di Tofet un santuario vicino Cartagine . “…Poiché il ferro tagliente
guiderà in quel momento sopra le teste delle donne e, nel suo collo e il
prezioso capelli di donne sono tagliati fuori al pavimento un po 'ovunque; i
servi delle tenebre operano le azioni vergognose…” Estratto del testo in
cui si parla di lama tagliente. [http://thuletempel.org].
Tornando, nuovamente ai nostri pittogrammi incisi sulla navicella, scopriamo
questa volta, il significato delle ultime due frasi, utilizzando a
completamento l’intera sequenza di 4 simboli incisi sulla base.
7 AGHEZ ZAG NERHE
ZHEBHE
אגהז זג נרה זאבה
g IL LUPO PROTEGGE IL
GUSCIO LUCENTE
8 AGHEZ GEZ NERHE
ZHEBHE
אגהז גז נרה זאבה
h IL LUPO PORTA IL
GUSCIO LUCENTE
Ciò,
ci permette di comprendere, che tale manufatto era utilizzato molto
verosimilmente per riti di iniziazione, dove il giovane, con delle prove
iniziatiche doveva dimostrare di poter passare nel mondo degli adulti…dei LUPI.
Non avete letto male, non è un errore di stampa, parliamo di lupi in Sardegna e
non è neanche un errore di traduzione, quella sequenza di pittogrammi si legge LUPO,
a questo punto sorgono domande del tipo ma come è possibile se la Sardegna è
priva di questi stupendi animali? E perché viene nominata proprio questa belva?
Iniziamo col dire che il lupo è l'unico Canis presente sia nel vecchio che nel
nuovo mondo, apparve per la prima volta nell'Eurasia nel Pleistocene [periodo compreso
tra 2,58 milioni e 11.700 anni fa], giungendo poi in Nordamerica. Nel
pleistocene, Sardegna e penisola italica erano collegate [vedi foto] per cui
una forma di animale autoctono è molto probabile che esistesse e che poi si sia
successivamente estinto, [il fatto che non si trovino resti in Sardegna non
vuol dire che non c’erano] stessa sorte capitata in epoche più recenti ai lupi,
che vivevano in Corsica e in Sicilia.
Ma
per comprendere meglio, perché troviamo il termine LUPO inciso sulla lucerna,
dobbiamo rivolgere la nostra attenzione al nome della città di Teti. Nella
mitologia greca, Teti era una
Nereide (in greco: Νηρείδες o Νηρηίδες, al singolare Νηρείς), cioè una ninfa
marina, considerata creatura immortale e di natura benevola, che aveva il potere della metamorfosi.
Ecco cosa racconta il mito:…Zeus decise
che Peleo doveva sposare la Nereide Teti; l’avrebbe sposata volentieri egli
stesso se non ne fosse stato trattenuto dalla profezia delle Moire. Esse
infatti avevano detto che il figlio di Teti sarebbe divenuto più potente del
padre. Zeus era inoltre irritato perché Teti aveva rifiutato le sue proposte
amorose, non volendo fare un torto alla sua madrina Era, e giurò dunque che
essa non avrebbe mai sposato un immortale. Chirone per le nozze donò a Peleo
una lancia; Atena ne aveva levigato
l’asta che era stata tagliata da un frassino sulla vetta del Pelio, ed Efesto ne
aveva forgiato la punta. Peleo, che grazie all’aiuto di Chirone era tornato in
possesso della sua fortuna e aveva inoltre avuto in dote da Teti ricche
mandrie, mandò parecchi capi di bestiame
bovi e mucche a Ftia come compenso
per la morte accidentale di Eurizione; poiché questo compenso fu rifiutato dai
Ftioti, lasciò che le bestie vagassero in libertà per la campagna e ciò fu un
bene, perché un lupo feroce che
Psamate aveva scatenato contro Peleo si satollò di carne bovina tanto da non
reggersi più in piedi. Quando Peleo e Teti si trovarono a faccia a faccia con
il lupo, la belva tentò di lanciarsi contro Peleo, ma Teti avvampò minacciosa
sporgendo la lingua dalle labbra e il lupo si trasformò in una pietra. In
seguito Peleo ritornò a Iolco, dove Zeus gli fornì un esercito di formiche
trasformate in guerrieri, ed ecco perché l’eroe divenne noto come re dei
Mirmidoni. Egli catturò la città senza aiuto di alcuno, uccise dapprima Acasto
e poi Cretide che cercava invano scampo, e invitò i Mirmidoni a entrare in
città tra i resti sanguinanti del suo corpo smembrato. Tale racconto ci permette di comprendere, come gli archetipi
primordiali dati da quei simboli, che abbiamo incontrato nel decriptare i glifi
presenti sulla navicella fittile, non sono altro, che le forme primitive alla
base cioè all’origine, delle espressioni mitico-religiose. La metamorfosi di
Teti che ci viene raccontata, altro non è, che la metafora del cambiamento, che
avveniva durante un percorso iniziatico che portava il giovane ad entrare nel
mondo degli adulti. Il riferimento poi a bovini e lupi, allude alle caratteristiche
peculiari e caratteriali che contraddistinguevano con molta probabilità le due
caste che componevano la società del popolo guerriero di Teti a cui il giovane
poteva appartenere da adulto. Ulteriore
conferma, la abbiamo guardando alle leggende del LUPO MANNARO, nell’immaginario collettivo era un uomo malato di
Licantropia, un’affezione molto rara e di natura isterica; in cui gli individui
colpiti si sentivano spinti a simulare il comportamento e l'ululato di un lupo.
Secondo la tradizione popolare, il lupo mannaro era un essere umano condannato
da una maledizione a trasformarsi in una bestia feroce ad ogni plenilunio: tale
superstizione, cambia particolari e protagonista a seconda del luogo in cui
viene raccontata, la forma più narrata dalla tradizione popolare è quella del
lupo, ma in determinate culture prevalgono l'orso, il gatto selvatico o come in
Sardegna il bue chiamato Erchitu o Lu Prubunaru che analizzeremo. Cerchiamo di
conoscere meglio questa leggenda, partendo dall’analisi etimologica dei nomi
che vengono dati al personaggio di questo mito, prima però spieghiamo perché si
dice che i lupi ululino alla luna piena. La spiegazione ufficiale è che in
quelle notti c’è una luce più intensa e per questo i lupi sono più attivi, ma
per chi ci crede, la luna in quei giorni eserciterebbe una maggiore influenza
sulla terra e quindi su tutto ciò che è su di essa umani compresi, convinzione
questa che risale alla notte dei tempi, ecco perché si collega la luna alla
metamorfosi [Teti] umana. Passiamo ora
agli etimi, il legame, anche fonetico tra luna e lupo lo troviamo in sanscrito
nel termine वृक vṛka con il significato di lupo; cane; sciacallo,
corvo; gufo, ladro, aratro, fulmine,
luna, sole, (Botanica) una specie di pianta ( बक baka), la resina di Pinus
longifolia, ora palustris Pinus. Il
termine LICANTROPO, nell’etimologia
classica è fatto derivare dal greco
λυκάνθρωποι lykanthrōpoi, parola che sarebbe composta da λύκος lýkos, cioè "lupo" e ἄνθρωπος ánthropos, "uomo", quindi
UOMO LUPO ma analizzando meglio,
troviamo che: λυκάνθρωποι potrebbe essere invece composto da λυκάν [lykan] che a sua volta deriverebbe da λευκὸς leukos, cioè "bianco", "splendente"+ ἀνήρ (aner, “uomo”) e + τρόπος (Tropos, “svolta, il
cambiamento, la risposta”). da
τρέπω (Trepo)con il significato di
rivolgere, deviare, intesa anche come direzione + ὤψ (OPS “faccia, aspetto, guardare”) + ποι (POI) – Aeolic κου
(kou) - ionica - που • (POE) (Enclitico)
ovunque, da qualche parte eventualmente, forse a proposito, a circa, consegnandoci
così la frase
L’UOMO DALL’ASPETTO
BIANCO SI DIRIGE OVUNQUE
Altro
termine usato è LUPO MANNARO, che
deriverebbe secondo l’etimologia classica dal latino volgare lupus hominarius, cioè "lupo
umano" o "lupo mangiatore di uomini" oppure dal latino lupī
hominēs, sviluppatosi in area meridionale.
Come abbiamo fatto per il precedente
termine analizziamolo nello specifico. Abbiamo visto come il termine LUPO è collegabile alla luna per via
delle sue sembianze infatti il pelo può essere di svariate sfumature dal marrone al grigio argenteo come il colore
del satellite a cui ulula al
completamente bianco [questa razza è detta lupo artico o lupo bianco attualmente
presente solo in Canada e Groenlandia ma molto probabilmente in epoche antiche era
anche in Europa], quindi abbiamo che LUPUS
HOMINARIUS potrebbe essere il risultato di λευκὸς leukos, cioè "bianco", "splendente" + inar
forma derivante da linarium da linum cioè
veste + Arius dal Latina Ario , dal greco antico Ἄρειος (Areios), da Ἄρης
(Ares). Ἄρειος
dedicato a Ares, guerriera, marziale Ἄρης Forme alternative Ἄρευς (Areus) Di solito derivato dalla
parola ionico ἀρή (ARE, “ la
rovina”), che potrebbe essere legato al sanscrito इरस्या (irasyā, “cattiveria”). Quindi
avremo che LUPO HOMINARIUS significa
IL CATTIVO
GUERRIERO DALLA VESTE BIANCA
Secondo
il dizionario unificadu sardu – italiano, redatto dallo studioso Antoninu
Rubattu il Lupo Mannaro prende in Sardegna i seguenti nomi babboi, bobboi,
babborcu, orcu, érchitu, sùrbile, bobboi, babborcu, marragotti, prubanaru,
pubunaru, babbau, babbollu, prenderemo in esame solo i due più rappresentativi
e cioè ERCHITU e LU PRUBUNARU. L’ERCHITU ha sembianze
bovine con grandi corna conosciuto con nomi diversi, a seconda dei paesi. A
Orgosolo è chiamato Voe travianu, a Ollolai Voe mulinu, a Mamoiada e Lula, Boe
muliache, a Benetutti su voe corros de attalzu (il bue dalle corna d'acciaio),
a Buddusò su oe mudulu. La
tradizione vuole che questa creatura si fermava di fronte a una casa e muggisse
per tre volte: il suo muggito viene udito da tutti gli abitanti del paese, e
sempre secondo la tradizione, il padrone di quella casa era
"sentenziadu", ossìa condannato a morire entro l'anno. Generalmente
l'Erchitu riacquistava automaticamente la sua forma umana all'alba, ma secondo
altre versioni perché questo accadesse doveva voltolarsi davanti a tre chiese o
davanti ad un cimitero; pare che questo rito fosse una specie di tributo che
bisognava pagare alla divinità, perché consentisse al dannato di riprendere
forma umana. Perché venga liberato dal sortilegio, invece, gli si devono
tagliare le grosse corna d'acciaio (che secondo la tradizione popolare potevano
anche guarire i disturbi alla milza). Nel secondo invece LU PRUBUNARU leggenda tipica della zona di Alghero nell’immaginario
collettivo sembrerebbe essere solo un individuo che si lamenta per le strade
durante le notti di luna piena. Proviamo ora a ricostruirne gli etimi, quello
di ERCHITU parrebbe derivare in
parte dal greco infatti ERCHI è
molto simile al nome della citta’ di ERCHIE
che deve il suo nome a ERCOLE in
greco Eracle. Èracle + termine sardo
Chitu in greco antico ERCOLE: Ἡρακλῆς, Heraklês, sarebbe composto da Ἥρα + κλέος,, dove Ἥρᾱ • (HERA) è forse una forma femminile di ἥρως (Heros) derivante da un probabile proto-indoeuropea ser- con il significato di “vegliare, proteggere”, mentre nello
specifico κλέος • (Kleos) n
(genitivo κλέους ); oltre a gloria
era usato per indicare , rapporto, buona fama, la fama , mentre raramente
poteva significare anche, cattivo
rapporto, discredito Mentre il termine sardo Chittu o Chitu significa
uguale mentre in alcune parti della
Sardegna indica le ultime ore prima dell’alba Interpretando, l’insieme degli
etimi trovati ci consegnano il concetto di ERCHITU
in funzione anche del significato negativo che può assumere il termine kleos
avremo così UGUALE FAMA DI DISTRUTTORI/PROTETTORI
o DISTRUTTORI/PROTETTORI NOTTURNI Per quanto concerne invece il termine LU
PRUBUNARU sembra essere composto da un termine che ritroviamo nel sanscrito
e nel semitico mentre il secondo di origine accadico semitica o forse sarda di
tutt’altro significato PRUBU + NARU.
PRUBU la cui origine è forse dal
sanscrito con il termine PRABHU प्रभु (sanscrito), il cui significato
è "possente, potente, maestro"
epiteto usato per le divinità indù Surya e Agni, .che ritroviamo nella
forma ebraica ורב WRB come רב
ROB sostantivo maschile moltitudine, abbondanza, la grandezza,
potente o nella forma רַב RAB aggettivo
grande, capitano, capo, mentre il termine NARU
potrebbe essere di derivazione accadica con il significato di fiume in ebraico נהר NAHR con il significato quindi di I POSSENTI DEL FIUME C’è da ravvisare
inoltre che il termine NARI o NARRI in sardo significa DIRE quindi I
POSSENTI CHE PARLANO inteso molto probabilmente come URLARE visto che parliamo di un lupo mannaro Ricapitolando, affiancando
al significato originario di MANNARI,
gli etimi ottenuti dall’analisi dei sinonimi avremo una descrizione globale dei
personaggi che il mito ha trasformato in
LUPI MANNARI che al contrario
erano:
I CATTIVI GUERRIERI
DALLA VESTE BIANCA
cioè gli UOMINI DALL’ASPETTO BIANCO CHE
SI DIRIGEVANO OVUNQUE [LICANTROPI], con
LA FAMA DI DISTRUTTORI E PROTETTORI
NOTTURNI [ERCHITU] considerati I POSSENTI DEL FIUME CHE URLANO [PRUBUNARU].
Nel
passato articolo sull’Arca dell’Alleanza [se non lo avete letto vi consiglio di
richiedere il numero arretrato della rivista] abbiamo scoperto il significato originario
del termine Elohim, che li descrive come una
MOLTITUDINE PROVENIENTE DAL MARE, DISTRUTTORI ROBOANTI CHE OSANO ARMATI,
confrontando tale significato
con l’interpretazione del termine SHARD
DAN [ שרד דן] I
GIUSTIZIERI ciò ci permette di comprendere, che con molta probabilità
parliamo dello stesso popolo. Si consideri inoltre, che gli Elohim nei testi
veterotestamentari e extrabiblici vengono descritti come alti, dalla pelle
coriacea bianca come il latte, con capelli bianchi argentei e occhi grandi e
iridescenti.
Negli scritti sumeri i messaggeri degli Annunaki venivano chiamati
GAL. GA dove GAL significa creatura, essere vivente e GA vuol dire latte, mentre nel libro apocrifo di Enoch dove si parla
della nascita di Noè, è scritto che il corpo del nascituro era bianco come la
neve e rosso come un bocciolo di rosa e che il padre Lamech scappato perché
spaventato, urlava << mi è nato un
figlio diverso dai figli dell’uomo e uguale ai figli di dio>>. Se
guardiamo ancora ai miti e alle
tradizioni sarde e in particolar modo alle maschere del carnevale sardo, troviamo
l’AINU ORRIADORE, che viene tradotto
in italiano come L’ASINO RAGLIATORE detto
anche l’asino che ruba le anime maschera
tipica del paese di Scano di Montiferro (Iscanu in sardo) in provincia di
Oristano, finita nel dimenticatoio ma recuperata una ventina di anni fa da
Giovanni Obinu, cultore
delle tradizioni popolari locali. La maschera è costituita dall’osso del bacino
di un bovino o di un asino, mentre il corpo del personaggio mitico è rivestito
con una mastrucca, indumento dei pastori sardi, costituito da una lunga giacca
senza maniche, di vello di capra [tale indumento lo ritroveremo piu avanti
descritto per un particolare tipo di guerriero]. Secondo la credenza popolare s’Ainu Orriadore rappresentava il diavolo e in certe
occasioni assumeva le sembianze di un asino o di un CANE BIANCO (con le zampe d’asino se era cane e di gallo se asino),
e andava in cerca dell’anima di qualche morente per impossessarsene. Analizziamo
etimologicamente il nome della maschera e scopriamo così che il vocabolo AINU che in italiano viene erroneamente
tradotto con ASINO in cinese ha il
significato di UOMINI. Gli Ainu sono
una popolazione abitante l'isola di Hokkaidō nel nord del Giappone (un tempo
chiamata Ezo, che in giapponese significa Isola
dei selvaggi). Come per l’articolo sull’Arca dell’Alleanza ribadiamo alcune
precisazioni sul perché di tale scelta linguistica, che ai più potrebbe
sembrare arbitraria. Il cinese è una scrittura logografica pura, cioè è un
sistema di scrittura in cui il singolo elemento (logogramma) rappresenta sia il
significante (l'elemento formale, fonico o grafico) sia il significato (ciò che
l'elemento vuol dire). Quindi, lo stesso logogramma può essere usato per
indicare parole diverse con lo stesso significato (sinonimi) ma anche parole
uguali con significato diverso (omonimi) e sono logografiche, ad esempio la
scrittura cinese ed il geroglifico egizio, poiché appunto l’ebraico che
deriverebbe dall’egizio, curiosamente, fu lo strumento con il quale fu eseguita
la prima forma di traslitterazione degli ideogrammi cinesi [la comunità ebraica
cinese di Kai Feng, fondata nel X secolo ed estintasi all'inizio del XX secolo
ha lasciato degli scritti non in lingua cinese ma in caratteri ebraici] ciò ci
permette quindi di visualizzare i concetti che hanno dato vita alla parola AINU.
AINU 阿伊努人 Ā yī nǔ rén
阿 terra delimitata da acque [isola] 伊 governare sorvegliare 努 lottano 人 uomo
UOMINI CHE GOVERNANO L’ISOLA LOTTANDO
Mentre
il termine ORRIADORE che ricordo è
uno dei tanti modi di indicare l’atto del ragliare in sardo, sembra essere
composto dai vocaboli ORRIA + DORE
il primo è presente come toponimo infatti ORRIA
è una cittadina in provincia di Salerno il cui nome è fatto risalire al
vocabolo latino horreum con il significato di granaio e dal greco ὡρεῖο ma
molto probabilmente è una parola di origine semitica infatti in ebraico biblico
וררי ORRI risulta essere una forma
del termine שֹׁרְרֵי Sharar con il
significato di NEMICO, AVVERSARIO,
ESSERE OSTILE. Anche il termine DORE
è presente in area semitica דּוֹר DOR con il significato di PERIODO, GENERAZIONE, DIMORA. A questo
punto, i due termini messi a confronto risultano praticamente sinonimi quindi
gli ASINI che RAGLIANO cioè gli AINU
ORRIADORE altro non rappresentano che
GLI UOMINI OSTILI
CHE GOVERNANO E DIMORANO SULL’ISOLA LOTTANDO
in
giapponese "inu" è la traduzione di "cane", e i giapponesi
utilizzavano l'espressione "ahh inu" per dire "ho visto un cane" rivolto agli Ainu.
Ainu-Ken
(Hokkaido)
Molti
esperti ed appassionati sostengono che questa razza giapponese discenda dagli
antichi cani che accompagnarono gli emigranti di Honshu, che è la principale
isola giapponese, verso l’isola di Hokkaido, durante il periodo Kamakura, nel
dodicesimo secolo. Nel suo Paese d’origine viene chiamata “Hokkaido”, il nome
gli deriva dal nome dell’isola da cui è originaria. Questa razza fu dichiarata
addirittura Monumento Nazionale. Il nome Ainu-ken, gli venne dato dal popolo
“Ainu”, autoctoni dell’isola di Hokkaido, i quali lo impiegavano nella caccia
dell’orso e di altri grossi animali. Per questo impiego è stato selezionato per
moltissimi anni, fino a rendere questa razza molto brava in ambito venatorio,
ma anche rendendola un’ottima razza da compagnia. Dati i climi rigidi di quelle
zone, la razza si è dovuta adattare e sviluppare una particolare morfologia che
la rende piuttosto resistente.
Inoltre si deve evidenziare che il
vocabolo AINU in caratteri ebraici
trova origine nell’aramaico אינא AINA con
il significato di QUALE che in
ebraico biblico diventa ינא ('Ani)
tradotto con : come per me, il mio, io, che, noi, assumendo quindi la qualità
di aggettivo o pronome possessivo che si riferisce a soggetto singolare che
risulta anche legato al termine אידא • ('ide) f (plurale אידיא )
una forma alternativa di יְדָא
(yəḏā) con il significato di MANO,
altresì si guardi ora al vocabolo sardo ORRIADORE
che come abbiamo visto indica l’atto del ragliare che risulta essere simile
alla parola italiana IRRADIARE il
cui significato è diffondere all'intorno in forma di raggi, emanare, quindi
termine sinonimo di quello sardo per cui possiamo interpretare nuovamente la
frase sarda AINU ORRIADORE come LA MANO [sole] CHE IRRADIA locuzione
tra l’altro che si lega ad un’altra figura della tradizione sarda il COMPONIDORE. Maschera che si rifà al mito del guerriero bianco una sorta di cavaliere semi-dio, figura
enigmatica a capo della Sartiglia,
una spettacolare corsa a cavallo in cui il cavaliere deve infilare con la spada
un anello a forma di stella, di origine medievale si corre a Oristano ogni anno
l’ultima domenica e il martedì di carnevale. Tutti i cavalieri che possono
essere indistintamente sia uomini che donne indossano una maschera di
terracotta interamente bianca mentre il Componidori
durante il momento solenne della Vestizione indossa una maschera androgina di
terracotta, calzari in pelle, camicia bianca, un velo bianco sul capo e un
cappello a cilindro nero. Con quest’aspetto sceglierà e guiderà gli altri
cavalieri mascherati che avranno l’onore di correre nel tentativo di infilzare
con la spada una stella a cinque punte. Il
termine Componidori trarrebbe
origine dallo spagnolo Componedor, Da
com + Potis . compotis, con il significato
di avere la padronanza dove Potis (
“proprietario, padrone, padrone di casa, il marito”) deriverebbe dal greco
antico πόσις (pósis), il dal sanscrito
पति
(PATI), mentre
DORI deriverebbe dal greco δόρυ con
il significato di LANCIA dando quindi al termine CAMPONIDORI il significato di IL
PADRONE DELLA LANCIA che designa il maestro
di campo della corsa. Un ulteriore significato lo otteniamo mediante la
traslitterazione del vocabolo sardo COMPONIDORI
in lettere ebraiche tale operazione ci permette di ottenere una frase con
il seguente significato
כומ
פּוני דורי KEMO PANI DOR
כמו
kemo o Kamo COME, QUANDO.
פּני
pânıy probabilmente una PERLA (come
rotondo)
דּוֹר dor: periodo generazione, DIMORA
LA DIMORA COME UNA PERLA
I risultati ottenuti ci consentono di
comprendere che le tradizioni sia delle due maschere esaminate sia della giostra della Sartiglia sono legate oltre che al culto della luna anche a quello
del sole dove l’AINU ORRIADORE altri
non è che una attribuzione zoomorfica della forza del sole in merito a tale
connubio basta guardare alle rappresentazioni
ittite dell’animale come veicolo solare o a quelle babilonesi
di Lamashtu, la semidea
babilonese, effigiata mentre
conduce (su un’arca,
simbolo del tempo) un asino
emblema del sole, mentre invece il PADRONE
D’ORO, IL CAMPONIDORI cioè IL PADRONE
DELLA LANCIA altro non è che una rappresentazione antropomorfica molto
probabilmente della LUNA e o del SOLE
che con la sua luce [notturna] penetra nella DIMORA ROTONDA [NURAGHE] illuminandola come una PERLA.
infatti:
NURAGHE termine che trova riscontro nelle lingue
semitiche con la frase נִיר רהג גה
NIYR REGHE GHE o נִר רהג גה
NER REGHE GHE
נִיר niyr con il significato di TERRA
נֵר
ner con il significato di LAMPADA, LUCE
רהג
reghe forma del termine רְוָיָה revayah con il significato di SATURAZIONE
גה geh con il significato di QUESTO
Quindi il NURAGHE altro non è che il LUOGO
IN CUI LA LUCE SATURA [feconda] LA
TERRA.
A conferma di quanto detto sin’ora, grazie alle analisi
etimologiche dei nomi legati alla mitologia e alle tradizioni sarde,
sull’evidente esistenza nei territori di Teti e ragionevolmente in tutta la
Sardegna di un popolo, dedito al culto del
lupo, si guardi ad esempio alle
usanze di alcune etnie africane [presenti ancora oggi] di creare maschere o dipingersi il viso di BIANCO colore che nelle loro tradizioni, viene accostato alla morte e, al tempo stesso, li lega ai
loro antenati, assumendo quindi anche un significato positivo. Un ulteriore
legame poi, lo abbiamo con il sud’America e precisamente con il Perù e con la
civiltà dei Chachapoyas, chiamati anche i BIANCHI
GUERRIERI DELLE NUVOLE,
erano un popolo che abitava la zona andina presso le foreste nebbiose della
regione di Amazonas del Perù odierno. Gli Incas conquistarono la loro terra
pochi anni prima dell'arrivo degli spagnoli. Le antiche
cronache dicono che la popolazione era composta da individui alti con la pelle chiara e capelli biondi,
e le donne erano note per la loro bellezza. Questo popolo aveva il culto dei
morti, che venivano conservati in sarcofagi fatti d' argilla alti più di due
metri e venivano collocati, non si sa in che modo, sulle pareti delle montagne,
letteralmente incassati nella roccia. Il nome Chachapoya è il nome dato a
questo popolo dagli Inca stessi Il significato della parola Chachapoyas
potrebbe essere derivato da sacha-p-collas, che equivale a "gente Colla
che vivono nelle foreste" (sacha = selvaggio, p = dei, colla = nazione
dove si parla la lingua aymara), ma potrebbe anche essere una variante della
costruzione in lingua quechua sacha puya, che significa "gente delle nubi". Interessanti sono le rovine della
fortezza di Kuelap fondata dai Chachapoyas nel sesto secolo a.C., che si erge
su una ripida collina sovrastante la valle di Utcubamba, a oltre 3.000 metri
sul livello del mare, costituita da circa 400 costruzioni in pietra protette da
alte mura che hanno una fortissima somiglianza con i Nuraghe sardi per via
della loro base circolare. Siamo partiti dall’individuazione del termine LUPO sulla navicella fittile usata
probabilmente durante riti sciamanici e di iniziazione, per riscontrare poi
affinità etimologiche tra vocaboli autoctoni e italiani, si sono inoltre
evidenziate affinità di miti e tradizioni, con i popoli andini e africani, ma
quello che più sorprende sono le analogie, che riscontreremo con i popoli del
nord Europa. Su alcune piastre di bronzo, infatti, che originariamente
decoravano elmi cerimoniali risalenti al 550-730 d.C ritrovate nel territorio
di Torslunda, sull’isola di Öland e conservate presso il Museo Storico
Nazionale (Statens Historiska Museum) di Stoccolma, in una in particolare vi sono
raffigurati due guerrieri, uno con elmo cornuto due lance nelle mani e una
spada nel fodero, che parte dal petto, che sembra danzare, mentre l’altro è colto
nell’atto di “MUTARE” in LUPO. Non possono non saltare all’occhio
le incredibili analogie tra il guerriero rappresentato con corna e armi e
alcuni dei famosi bronzetti sardi, in particolare, con il bronzetto con quattro
occhi e due scudi ritrovato proprio a Teti. Anche se dobbiamo rilevare una
notevole differenza di datazione tra le piastre e i bronzetti, dato che questi
ultimi risalirebbero al XIII secolo a.C., ciò confermerebbe l’ipotesi che “tutto” possa aver avuto origine nel
bacino del Mediterraneo, ma tale teoria potrebbe anche essere sconfessata dall’ipotesi
contraria e cioè che il “tutto” abbia invece avuto inizio nel nord dell’Europa
e ciò sarebbe confermato dalla presenza in Perù dalla “gente delle nubi” che avevano caratteristiche fenotipiche simili agli
abitanti delle terre del nord e questa sarebbe appunto la probabile prova, che
i flussi migratori ebbero inizio a nord, cioè dall’alto verso il basso e non
viceversa. Le foto nella pagina, dimostrano le effettive analogie riscontrabili
tra i guerrieri, un’attenta analisi della piastra rivela inoltre una
coincidenza sorprendente, tra le armi portate al petto. Le due lame seppur di
diversa lunghezza hanno qualcosa che le accomuna e che porta quindi ad
ipotizzare un’origine comune infatti la forma dell’elsa è gammata per entrambe,
ma posta in posizione inversa tra loro, la ricostruzione fotografica nella
pagina ne evidenzia le caratteristiche. La conoscenza di questo popolo di
guerrieri ci permetterà di immaginare quale potesse essere la vita degli UOMINI LUPO di TETI circa 2mila anni prima.
In Natura non c’è animale che più del lupo abbia impressionato
l’immaginazione dell’uomo fin dalla più remota antichità. Nell’ecosistema svolge
al meglio il suo ruolo di selettore naturale, contenendo il numero degli erbivori
ed eliminando gli animali morti per cause naturali, ha un comportamento sociale
complesso e strutturato, attraverso i suoi sensi straordinari conosce molto
bene l’habitat ed ha una grande capacità di spostamento; schivo e intelligente,
difficile da avvistare in natura. E’ proprio per le sue caratteristiche
straordinarie che i nostri lontani antenati hanno tratto profonde ispirazioni
mistiche: elevare un animale a totem voleva dire propiziarsene lo spirito,
possederne la forza, l’intelligenza, assumendone così le sembianze.
In Inghilterra si usa dire la frase “go berserk”, a cui viene dato il significato di “diventare una
furia, diventare un forsennato”. Il termine berserk deriva dal norreno Berserkr (islandese berserkur , Svedese
bärsärk ), probabilmente dall’unione dei vocaboli bjǫrn
( “orso”) + serkr (
“cappotto”). Con tale nome erano
chiamati i feroci guerrieri del nord Europa che assumevano caratteristiche
animali e che si credeva fossero in grado di trasformarsi in belve feroci: orsi
e lupi. Nello specifico gli úlfhednar indossavano
pelli di lupo e assumevano le caratteristiche di questi animali, il loro nome
infatti ha il seguente significato
ULF dal Norreno Ulfr LUPO + Hed dal norreno heiðr ONORE + Nar dal norreno CADAVERE
Quindi con il significato di i LUPI CHE ONORANO I MORTI
Mentre il termine al singolare úlfheðinn sarebbe ULF
dal Norreno Ulfr LUPO + Heðinn dal Norreno 'giacca di pelliccia o pelle quindi COLORO CHE INDOSSAVANO LA PELLE DEL LUPO ma anche ULF dal Norreno Ulfr LUPO + Hed dal norreno heiðr
ONORE+ Inn dal norreno DIMORA, CASA,
LOCANDA con il seguente significato
i LUPI ONORANO LA LORO DIMORA.
Nel poema scandinavo Haraldskvædi attribuito al poeta Thorbjörn
Hornklofi così descrive i terribili guerrieri: i berserkr erano feroci guerrieri che ululano, la battaglia hanno in
mente, quelli con la pelle di lupo ruggiscono e scuotono le lance”; “sono
chiamati ‘pelli di lupo’ coloro che in battaglia portano scudi insanguinati,
essi arrossano le loro lance quando vanno in battaglia” (cit. in Lindow 2002).
Probabilmente costituivano un ordine di guerrieri estatici, la cui pratica
includeva l’induzione di forme di stati alterati di coscienza, in cui il
guerriero si sentiva trasformato in una belva selvaggia. Un indizio di questa
forma di rituale di metamorfosi può essere ritrovata nella supposta etimologia
del nome di Odino (dal proto-germanico woÞanaz), con il significato originario
di “guida di coloro che sono posseduti” (Lindow 2005). Conoscere le usanze religiose e la loro Mitologia ci aprirà una
porta che ci permette di fare nuove ipotesi sui mitici popoli SHARDANA che
millenni prima popolavano e spadroneggiavano nel Mediterraneo. Le conoscenze
riguardanti la religione e la mitologia degli antichi popoli germanici si
basano principalmente sui germani settentrionali, e le notizie inerenti
l'antico mondo germanico-scandinavo ci sono pervenute prevalentemente
attraverso testi redatti in latino e in antico nordico. Per quanto riguarda i primi tra
questi si può citare come testo di assoluta importanza il DE ORIGINE ET SITU
GERMANORUM O GERMANIAE (Germania) di Publio Cornelio Tacito,
opera che analizza la struttura sociale dei germani e descrive geograficamente
ed etnograficamente i popoli che vivevano oltre le
frontiere
dell'impero romano nel I sec d.c. un’altra fonte è Il libro IV delle gesta HAMMABURGENSIS ECCLESIAE PONTIFICUM (opere
dei vescovi della chiesa di Amburgo) intitolato DESCRIPTIO INSULARUM AQUILONIS ( descrizione delle isole
settentrionali) di
Adamo da Brema canonico di Brema e Amburgo, nella quale vengono descritti
alcuni culti pagani che sopravvivevano nella Svezia dell'XI
secolo e poi ancora
le gesta DANORUM (le imprese dei
danesi) di Saxo Grammaticus,
opera che spiega con ricchezza di particolari la preistoria eroica e mitologica
del nord del XII secolo. Tra le numerose composizioni redatte in antico nordico
vi è una
antica raccolta di carmi mitologici detta di SAEMUNDR, che risale alla seconda meta del XIII secolo opera che
illustra la mitologia nordica e la religione degli antichi abitanti della Scandinavia
pagana del XIII secolo. Attraverso lo studio di queste fonti storiche è
possibile tracciare un profilo di queste figure mitiche gli ùlfheonar e i berserkir, per poter dipanare l'alone di mistero che circonda
questi mitici e temutissimi guerrieri. Sia i berserkir che i ùlfheonar
combattevano indossando le pelli di orsi e lupi e questo uso aveva un significato
magico religioso, il rivestirsi della pelle dell' animale, aveva lo scopo di
mettersi in contatto fisico con esso, per assorbine tutte le qualità e il
legame guerriero animale era anche psicologico in quanto il guerriero tramite
la pelliccia credeva di percepire la furia del lupo o dell'orso dentro di sè e
di conseguenza credeva di assumerne le sembianze. Simili credenze tramandate
erano conosciute fin dai tempi più remoti e quindi tali pratiche insieme a
quella di dipingersi il corpo per scopi rituali è presumibile che arrivino da
quel popolo chiamato SHARDANA che aveva occupato l’intero bacino del
Mediterraneo all’incirca duemila anni prima. Una descrizione dei guerrieri
scandinavi ci è fornita da Snorri Sturluson, uomo politico ed erudito islandese
nato a Hvammr nel 1178 e morto nel 1241 in un suo scritto afferma
"(mordevano
nei loro scudi erano forti come orsi o tori, sterminavano folle intere. Nè il
ferro nè il fuoco potevano[fermare],e questa e detta furia dei berserkir).
I
berserkir e gli ùlfheonar erano dei gruppi di guerrieri organizzati in società con
gerarchie di tipo militare. I riti d'iniziazione rappresentano un passaggio e
simboleggiano una nascita o meglio una rinascita. Alcuni sociologhi come
A.Gennep J.Huxley e E.Durkheim hanno tentato di classificare quella che viene
chiamata la"ritologia". Secondo loro esisterebbero tre tipi di rituali:
un primo gruppo comprenderebbe quelli legati all'età adulta, un secondo
segnerebbe l'ingresso del giovane all'interno di una "società" e infine
il terzo riguarderebbe le iniziazioni sacerdotali, eroiche e guerriere. Si può
suppore che per entrare a far parte di questi gruppi bisognasse probabilmente
sottoporsi a rituali di iniziazione di tipo estatico, durante i quali è
possibile che il guerriero cadesse in uno stato di trance di tipo sciamanico. Una
delle prove che i giovani dovevano sostenere era forse quella di cibarsi della
carne di un lupo o di un orso e di berne il sangue, che in questo caso aveva il
compito simbolico di essere "l'iniziatore dell' uomo". L'animale in
questione moriva solo fisicamente poiché le preziose virtù di astuzia e ferocia
da esso possedute si trasferivano nel guerriero che se ne cibava. Il nutrirsi
della carne e del sangue del lupo o dell'orso significava per molti aspetti assumerne
la forza selvaggia; alcuni uomini potevano compiere atroci delitti proprio per
identificarsi con l'animale stesso e, con tutta probabilità, la vittima poteva
essere considerata una sorta di vittima "sacrificale".
Se
questa era la ritologia degli UOMINI
LUPO Scandinavi del 500 dopo Cristo è più che probabile che tali usanze
fossero in uso in maniera molto simile nel probabile luogo d’origine 2mila anni
prima cioè in Sardegna e più precisamente nel suo cuore nei territori tra Teti
e Orgosolo, luoghi in cui i riti sciamanici di iniziazione erano officiati
dalla luce di una lucerna. Gli studi condotti fin’ora, confermati dai reperti
rinvenuti in vari siti, italiani ed esteri concordano sul fatto che gli
Shardana furono abilissimi e temuti guerrieri, con originali strategie di
combattimento e talmente aggressivi da renderli praticamente quasi invincibili.
Ed è proprio questo particolare che ha permesso di confermare che avevano un
altro grado di civilta’ ad elevata tecnologia per quei tempi, realizzando armi
in bronzo, come potenti lance e spade, e che fossero feroci e invincibili ci è
confermato da un’iscrizione di Ramses II, che così li definisce: “« I temuti Shardana che nessuno è riuscito
a sopraffare, vennero dal centro del mare navigando impavidi con le loro forti
navi da guerra, nessuno è mai riuscito a resistergli ».
Purtroppo
però nessuno, nonostante i reperti archeologici analizzati con le più moderne
tecniche, come il metodo del radiocarbonio (che permette la datazione
radiometrica assolutamente attendibile attraverso la presenza di isotopi di
carbonio), ha tratto dai suoi studi elementi precisi sulla loro storia, lo
stile di vita e la loro cultura. Mi auguro che la tecnica d’interpretazione dei
glifi e la scoperta del simbolo fonetico del pugnale gammato presenti sulla
navicella fittile di Teti possano permettere nel prossimo futuro ad altri
studiosi di esaminare ulteriori reperti per ricostruire la favolosa storia
degli abitanti che popolarono la Sardegna partendo proprio dallo studio degli UOMINI LUPO DI TETI.
A
conclusione è bene chiarire che
Chi
ha scritto questo articolo è un semplice appassionato non è un esperto in
lingue antiche e non ha nessuna laurea, l’intento è quello di pormi domande a
cui cerco di dare delle risposte, per cui non propongo verità ma mie visioni,
che vanno verificate dal lettore in ogni sua parte, perciò come dico molto
spesso alla fine di ogni mio articolo: ”prendete il tutto come semplice
curiosità".
Per chi volesse
approfondire il tema sugli uomini lupo I GUERRIERI-LUPO NELL'EUROPA ARCAICA,
Aspetti della funzione guerriera e metamorfosi rituali presso gli indoeuropei
di Christian Sighinolfi pp.
108, illustrato casa editrice Il CERCHIO
AdSA
Come
la luce esce dall’ombra, così il lupo esce dalla tana e dal bosco. La forza e
l'ardore in combattimento fanno del lupo il simbolo per eccellenza dei
guerrieri. [cit.]
Testo e tutte le immagini sono di Agostino De Santi Abati
L'articolo è molto interessante ma non posso esprimere alcun commento sul suo contenuto. Mi limito solo a osservare che la frase "... Il territorio di Teti, è il più ricco di tutta la Sardegna per quanto riguarda i ritrovamenti nuragici ... ", visto che sulla Grande Civiltà Sarda c'è ancora moltissimo da scoprire, sarebbe più corretta se contenesse l'inciso "finora" o "per ora". Grazie.
RispondiEliminaArticolo interessante è pieno di spunti per gli adetti ai lavori.Buon lavoro Agostino!
RispondiEliminagrazie
EliminaAdSA
Stiamo scherzando, non è vero? Percè fino alla datazione della barchetta che (anche io) ho avuta fra le mani e l'ho potuta attentamente esaminare prima della sua messa sotto vetro il "lavoro" di Agostino De Santi Abati è accettabile, dopo no. NO!
RispondiEliminaconfuti
EliminaAdSA