In tutte le immagini: Su Tempiesu, Orune
domenica 8 marzo 2015
Archeologia. Il culto dell’acqua nella Sardegna nuragica
Archeologia. Il culto
dell’acqua nella Sardegna nuragica
di Alessandro Usai
La civiltà nuragica è la
principale espressione culturale della Sardegna protostorica, che occupa tutto
l’arco temporale compreso tra la Media Età del Bronzo (apparentemente a partire
da un momento non iniziale di tale periodo, intorno al 1600-1500 a.C.) e la
fine della Prima Età del Ferro(circa 700 a.C.). La sua parabola evolutiva
attraversò momenti di formazione, maturità, trasformazione e degenerazione, e
naturalmente fu condizionata sia dai fili di continuità che dai fattori di cambiamento.
La sua identità, compatta e nello stesso tempo cangiante nel tempo e nello
spazio come un mosaico dai mille colori, sta proprio nel rapporto dialettico
tra continuità e cambiamento. Semplificando in modo anche troppo
schematico, la civiltà nuragica ci appare come un ciclo storico unitario,
che interessa tutta la Sardegna e le sue isole minori e che si può suddividere
in due grandi periodi: il primo è quello che vede la costruzione dei nuraghi,
delle tombe collettive e dei primi insediamenti; il secondo è quello che, pur
nella continuità dell’utilizzo dei nuraghi esistenti come centri di
aggregazione del popolamento, vede
la fine della loro elaborazione, e
soprattutto vede la realizzazione dei grandi insediamenti, dei templi
e dei santuari. A sua volta, ciascuno di questi due grandi periodi si può
dividere in due fasi; quindi avremo la fase dei nuraghi arcaici (Bronzo Medio
2-3: circa 1600/1500-1500/1400 a.C.), la fase dei nuraghi classici (Bronzo
Medio 3 e Bronzo Recente: circa 1500/1400-1200 a.C.), la fase della
trasformazione (Bronzo Finale: circa 1200-900 a.C.) e la fase della
crisi e dissoluzione (Prima età del Ferro: circa 900-700 a.C.).Secondo le
più recenti ricerche, le origini della civiltà nuragica si impostano sui
fattori di sviluppo che pian piano andarono trasformando le società di
lignaggio del Bronzo Antico (cioè piccoli segmenti di parentela in cui gli
individui si distinguono non per rango ma per ruolo e dunque per fattori
contingenti come il sesso e l’età) nelle prime comunità tribali del Bronzo
Medio iniziale, territorialmente stabili ed economicamente organizzate. Ma la
comparsa dei nuraghi arcaici e delle contemporanee sepolture collettive
megalitiche (tombe dei giganti) resta per noi un fatto dirompente, un salto
di qualità ancora arduo da descrivere e spiegare. Dagli studi sui nuraghi
emerge la sperimentazione e selezione dei modelli edilizi e il consolidamento
del modello essenziale standardizzato, quello della torre troncoconica semplice
con camera circolare coperta a falsa cupola, che si presta a straordinarie
possibilità di aggregazione modulare così da dar vita a diverse forme di
nuraghi complessi. Ma l’archeologia nuragica indaga sempre più gli sviluppi dei
processi sociali che stanno alla base della diffusione capillare dei nuraghi:
aggregazione e stabilizzazione dei nuclei abitativi, radicamento delle comunità
umane nel territorio, formazione delle entità tribali e cantonali
policentriche, emulazione e competizione fra comunità adiacenti e parzialmente
concorrenti. Nelle tombe si esprime un culto degli antenati di carattere
solidaristico e collettivistico, probabilmente anche accentuato rispetto ai
cambiamenti già in atto nella vita reale, basato sulla forza dei rapporti
di parentela che ancora governano le comunità nuragiche; così le tombe stesse
si configurano ancor più dei nuraghi come marcatori territoriali con un
esplicito significato simbolico di appartenenza. Inoltre, almeno nel Bronzo
Recente compaiono i primi edifici di culto: pozzi, fonti, templi rettangolari e
circolari.
La trasformazione che investe
la Sardegna nel Bronzo Finale è tale da suggerire non un semplice adattamento
a nuove condizioni ma piuttosto una sorta di rivoluzione e riorganizzazione
sociale e culturale. Cessa la costruzione dei nuraghi e prende grande impulso
l’espansione degli insediamenti; cessa anche la costruzione delle classiche
“tombe dei giganti”, che sembrano lasciare il posto a diversi filoni di
strutture funerarie collettive e anche individuali; contemporaneamente
esplode il fenomeno rituale del culto dell’acqua, che prende avvio da
pozzi e fonti già esistenti e porta alla creazione di santuari
complessi e organizzati. Superato il disorientamento iniziale, probabilmente
sotto la guida di élites emergenti, la civiltà nuragica riprende il
cammino in una direzione del tutto nuova e in forme economicamente
efficienti, tecnologicamente avanzate ed esteticamente brillanti, ma nello
stesso tempo pone le premesse della futura crisi e degenerazione. Così,
durante la prima età del Ferro, mentre nei santuari si continua a tesaurizzare
beni di lusso di produzione locale e di importazione, e mentre bronzi e
ceramiche vengono esportati e imitati in Etruria e in diverse altre regioni
mediterranee, numerosi insediamenti vengono abbandonati, l’organizzazione
territoriale si disgrega e quella economica perde competitività. Ormai le
società cantonali policentriche dell’entroterra rurale hanno l’aspetto di piccoli
stati embrionali già abortiti, senza città e senza apparati burocratici
stabili; d’altra parte i navigatori, mercanti e artigiani di origine orientale
sempre più radicati nel mondo occidentale, a noi noti come fenici, organizzano
sistemi indipendenti e autosufficienti, con insediamenti proto urbani
specializzati nel commercio e nelle produzioni artigianali e con insediamenti
agricoli complementari ai primi, e attraggono nelle proprie orbite territoriali
e politico-economiche gruppi sociali differenziati di origine locale che
rapidamente si integrano con gli stranieri conservando solo alcuni richiami
simbolici alla loro tradizione culturale dissolta. La crisi del mondo nuragico,
iniziata fin dai tempi del suo massimo fulgore, si conclude rapidamente in un
processo di assimilazione e perdita dell’identità culturale.
I luoghi del culto dell’acqua.
Sulla base degli indicatori
archeologici finora acquisiti, cioè i contesti di materiali recuperati con gli
scavi e ordinati in serie evolutive, e col supporto delle datazioni
assolute, sembra ormai accertato che gli edifici e i luoghi del culto
dell’acqua compaiono almeno dal Bronzo Recente (circa 1350-1200 a. C.), ma si
sviluppano soprattutto durante il Bronzo Finale (circa 1200-900 a. C.) e il
Primo Ferro (circa 900-700 a. C.). Tuttavia, l’esaurimento della civiltà
nuragica durante il periodo Orientalizzante (circa 700-600 a. C.) e
l’assimilazione degli aspetti di cultura materiale alle forme esteriori delle
civiltà punica e romana non segnarono la fine delle tradizioni religiose
insulari; anzi, il culto dell’acqua proseguì nei secoli fino all’epoca
paleocristiana ed oltre, con manifestazioni di sincretismo ideologico e rituale
imperniate su chiese edificate sopra o in prossimità di sorgenti e pozzi.
La
frequentazione rituale delle grotte affonda le radici nei tempi più remoti
delle culture prenuragiche, con manifestazioni legate al culto dei
morti. Nei tempi maturi, avanzati e tardivi della civiltà nuragica, il
culto dell’acqua si rivela nella grotta Pirosu di Santadi, dove un imponente
deposito di ceramiche e manufatti metallici era connesso con grandi cumuli di
cenere e carbone e con una stalagmite ipoteticamente interpretata come altare.
Ciò suggerisce lo svolgimento di riti dedicatori,in cui i manufatti venivano
offerti a un qualche spirito o persona divina col fuoco ma anche con l’acqua,
dal momento che i vasi si presentano in gran parte inglobati dalla crosta
calcitica ed erano quindi sottoposti allo stillicidio. Notizie più parziali si
hanno sulla “Grutta ‘e is Caombus” di Morgongiori, dove una lunga scala a
gradini (di cui due ornati da bozze mammillari) richiama l’architettura e la
decorazione simbolica dei pozzi sacri. Le fonti, spesso annesse agli
insediamenti, sorgono in corrispondenza di sorgenti naturali, probabilmente
allo scopo di agevolare l’approvvigionamento idrico per funzioni domestiche e
solo in un secondo momento per funzioni rituali. Lo stesso investimento di
risorse nel progetto edilizio, secondo un modulo monumentale ridotto rispetto
ai nuraghi e alle tombe megalitiche ma comunque rilevante, segna un momento
importante di sviluppo degli abitati, ora chiaramente percepiti come permanenti,
ma nello stesso tempo si presta a dar luogo ad atti cerimoniali. D’altra parte
la prossimità agli insediamenti, spesso occupati anche in fasi storiche
successive, insieme alla mancanza di manutenzione e all’accumulo di depositi di
crollo, ha determinato la frequente alterazione o addirittura lo smembramento
delle fonti nuragiche per un più agevole accesso all’acqua sorgiva. Generalmente
le fonti sono costituite da strutture semiellittiche con un vano o atrio
rettangolare ricavato nella parte anteriore e una cameretta rotonda coperta a
falsa cupola in quella posteriore; l’acqua, convogliata attraverso percorsi
naturali o vere e proprie condotte artificiali, sgorga nella bronzee e
affiancata da un altare in forma di torre nuragica, che suggerisce l’utilizzo
di acqua o di altri liquidi. Invece l’edificio circolare di Gremanu
di Fonni, pertinente a un santuario connesso con un sistema di pozzi e
fonti, è in struttura poliedrica ma risulta suddiviso internamente in due
vani da un muro composto da blocchetti squadrati, ornato con protomi
d’ariete e sovrastato da spade votive. Infine, a Sa Carcaredda di Villagrande
è stato posto in luce un edificio circolare con lungo vestibolo, accanto al
quale sorge un edificio rettangolare con tre ingressi sulla fronte,
probabilmente utilizzato come ripostiglio di oggetti votivi.4. Culto domestico,
locale, tribale e intertribale. Si è già fatto cenno dei piccoli vani circolari
con sedile alle pareti e bacile rotondo centrale, co-me sedi di un possibile
culto domestico. La presenza di questi vani in diverse case dell’insediamento
di Su Nuraxi di Barùmini suggerisce che le pratiche che vi si svolgevano
fossero ampiamente diffuse e profondamente sentite da tutte o quasi tutte le
famiglie che lo abitatavano, senza contraddistinguerne una rispetto
alle altre. Nelle fonti, soprattutto in quelle strettamente connesse con
gli abitati (Mitza Pìdighi di Solarussa, Noddule di Nùoro, Su Pradu
di Orune, Mont’e Nuxi di Esterzili ecc.), la funzione rituale sembra
ac-cessoria rispetto a quella primaria legata all’approvvigionamento idrico.
Almeno nel caso di Solarussa, lo svolgimento di pratiche rituali è fortemente
indiziato dal deposito ceramico, cioè dall’accumulo di vasi rotti e incompleti,
forse a seguito di frammentazione intenzionale; tra i conte-nitori si trovano
anche rari vasetti miniaturistici, di improbabile funzione utilitaria e di
verosimile significato votivo. Questi fatti, insieme alla totale assenza di
manufatti votivi bronzei, suggeriscono che le ipotizzate cerimonie dedicatorie
avessero carattere strettamente locale, cioè che fossero connesse con la vita
delle comunità insediate negli abitati cui le fonti stesse appartenevano.
Queste osservazioni potrebbero essere estese al pozzo sacro di Su Putzu di
Orroli, ai due templi a mègaron di Serra Òrrios di Dorgali
e a quello di Orconale di Norbello, inclusi in insediamenti di evidente
natura abitativa senza espliciti caratteri cultuali. Vi sono anche fonti, come
Funtanarcu di Sédilo e Su Lumarzu di Bonorva, e pozzi sacri, come Is Pirois di
Villaputzu, che sorgono apparentemente isolati, distanti dagli insediamenti e
circondati da recinti e da poche altre strutture. Pur non potendosi definire
santuari, questi complessi sembrano avere una funzione rituale prevalente
rispetto a quella di approvvigionamento idrico, che poteva co-munque soddisfare
le esigenze dell’economia rurale. Inoltre, la stessa posizione isolata
caratterizza questi complessi come luoghi d’incontro tra frequentatori
provenienti da diversi insediamenti, anche se probabilmente appartenenti allo
stesso distretto cantonale e alla stessa comunità tribale. Invece la
maggior parte dei pozzi sacri e dei templi a mègaron fanno parte, talora anche in gruppo o insieme a
fonti e a edifici sacri d’altro genere, di complessi pianificati
di carattere cultuale, veri e propri santuari di rilevanza tribale o anche
intertribale (o federale).
I principali esempi, diffusi dovunque dal Nord al
Sud dell’Isola, sono Serra Niedda di Sorso, Monte Sant’Antonio di Sìligo, Romanzesu
di Bitti, Su Tempiesu di Orune, Nurdole di Orani, Gremanu di Fonni, Su Monte di
Sorradile, Santa Cristina di Paulilàtino, Abini di Teti, Sa Carcaredda di
Villagrande, Domu de Orgìa di Esterzili, Santa Vittoria di Serri,
Sant’Anastasìa di Sardara, Funtana Coberta di Ballao, Matzanni di Vallermosa,
Tatinu di Nuxis.Stando alle attuali conoscenze, che naturalmente non sono
abbastanza sistematiche, i santuari non avevano un’organizzazione codificata
delle strutture e degli spazi; in effetti, ciascuno ci appare diverso da tutti
gli altri ma nello stesso tempo condivide con gli altri lo spirito generale e
diversi elementi compositivi. In alcuni casi, come a Su Monte e a Domu de
Orgìa, compaiono robusti muri di delimitazione; più frequenti sono i recinti,
gli ambienti abitativi o per funzioni distinte, i loggiati, le sale per
assemblee. A Santa Vittoria si conoscono alcune case pluricellulari analoghe a quelle
dei comuni insediamenti, forse occupate dagli abitanti del luogo, mentre
il grande recinto con scomparti e loggiati poteva essere riservato ai
pellegrini; invece a Santa Cristina l’area del pozzo sacro è fiancheggiata da
schiere di ambientini modulari, completamente diversi dalle case dell’adiacente
abitato permanente. Tra le strutture esplicitamente connesse con l’acqua
derivante dai pozzi e dalle fonti, si conoscono numerose vasche; una di queste
(Niedda di Pèrfugas) presenta le pareti a gradoni, probabilmente utilizzate
come sedili. La presenza di gradoni o sedili appare evidente lungo i bordi di
vere e proprie piscine, come quelle di Romanzesu e di Funtana Sansa di Bonorva.
Un’importante spia dei cambiamenti attraversati dalla civiltà nuragica è
costituita dal rapporto tra i santuari e i nuraghi. Normalmente i santuari
sorgono in zone prive di nuraghi, e quando questi sono presenti vengono in
vario modo marginalizzati, fagocitati o adattati dal complesso sacro. A Santa
Cristina di Paulilàtino il santuario si sviluppa a breve distanza dal nuraghe e
dall’insediamento ad esso annesso, che apparentemente continua a vivere la sua
vita normale per lungo tempo. A Santa Vittoria di Serri, il grande nuraghe
sorto prima dello sviluppo del santuario perde il suo ruolo e viene in parte
smantellato, in parte assorbito dagli edifici del complesso sacro. Invece a
Nurdole di Orani lo stesso nuraghe si trasforma in tempio e diventa il centro
di un ricco santuario: nel cortile centrale del monumento sorge una piccola
fonte di raffinata fattura, mentre all’esterno si trovano una vasca e
altre strutture accessorie ornate con motivi simbolici incisi. Anche a
Su Mulinu di Villanovafranca un vano del nuraghe accoglie un altare con grande
vasca sormontata da spade votive bronzee e affiancata da una torretta nuragica
in miniatura. Pur senza arrivare maia sostituire i nuraghi come centri di
attrazione del popolamento rurale e soprattutto senza aprire mai una
tendenza al sinecismo o all’aggregazione protourbana, i santuari diventano
fattori di dinamismo, che trasformano il vecchio mondo dei nuraghi: si
propongono come centri propulsori dell’ideologia e dell’economia, segnano
l’ascesa o il declino di tribù, famiglie gentilizie e
individui,aprono o chiudono vie di comunicazione e correnti di scambio.
Rituali e offerte.
Purtroppo, i documenti
archeologici a noi pervenuti ci forniscono scarse informazioni sui
com-portamenti individuali e collettivi che, abitualmente o periodicamente
o occasionalmente, si svolgevano nei luoghi sacri nuragici, in particolare
negli edifici adibiti al culto dell’acqua. Nella fonte Mitza Pìdighi di
Solarussa, e certamente anche in molte altre situazioni analoghe,possiamo
immaginare pratiche di frammentazione rituale dei vasi ceramici, che potevano
essere scagliati sulle piattaforme di pietra o sui depositi stratificati
che man mano si andavano formando al di sopra, oppure potevano essere rotti col
lancio di pietre; inoltre è significativa la totale assenza di manufatti
bronzei, che indica la mancanza di vere e proprie offerte votive. Nelle grotte
e nei santuari assume grande evidenza l’aspetto cerimoniale e votivo, ma
ciononostante non abbiamo la minima conoscenza delle azioni che
venivano concretamente svolte, dei tempi e degli attori, spettatori e destinatari,
reali e ideali, di tali azioni. Nonostante i numerosi tentativi di definire
precise persone divine (il dio toro, la dea madre ecc.), non
si conoscono rappresentazioni di esse, a meno che non si voglia
riconoscere questa natura in figure umane o animali o in immagini mitico-simboliche
come i guerrieri con quattro occhi e quattro braccia o un toro con testa
umana;inoltre gli ornati scolpiti su fonti, pozzi e strutture accessorie hanno
carattere esclusivamente geometrico e astratto. Esistono alcune figurine
bronzee tradizionalmente interpretate come rappresentazioni di sacerdoti e
magari di sacerdotesse, ma non sappiamo se tale interpretazione sia fondata o meno;
ammesso che esistessero sacerdoti, non sappiamo se fossero tali a tempo pieno o
parziale e non conosciamo le loro mansioni, obblighi, prerogative o privilegi,
né i loro rapporti coi diversi strati e ruoli sociali. Si conoscono oggetti
liturgici e simbolici in ceramica, bronzo e pietra (in primo luogo i modelli di
nuraghe), ma ovviamente il loro utilizzo è ignoto. Negli
atri di pozzi e fonti e nei vani degli altri templi si trovano banchine e
sedili, ma restano sfuggenti le figure di coloro che vi trovavano posto per
agire o assistere. Si ritiene ragionevolmente che i grandi recinti e i diversi
ambienti annessi avessero la funzione di accogliere pellegrini, tanto popolani
che famiglie distinte, dai diversi insediamenti e anche dai diversi cantoni
tribali, in occasione delle grandi feste; ma, a parte il problema dei rapporti
tra i pellegrini e gli abitanti del luogo, questa ricostruzione si basa su
impressioni generali e anche sul suggestivo richiamo delle feste religiose nei
moderni santuari campestri,piuttosto che su un’analisi minuziosa dei manufatti
rinvenuti nei diversi spazi. E si ritiene ragionevolmente che le grandi sale
rotonde coi sedili lungo le pareti ospitassero solenni riunioni e riti collettivi
di capi o anziani, ma ignoriamo tutto dei protagonisti e dei rapporti tra
religione e politica. Nonostante l’enfasi architettonica concentrata
sull’elemento idrico, che traspare dai monumentali pozzi alle grandi
vasche e alle ben congegnate canalette, non sappiamo se e come l’acqua venisse impiegata
nei rituali. D’altra parte, nella grotta Pirosu, nel santuario di Santa
Vittoria e in altri luoghi del culto dell’acqua, i depositi archeologici
conservano con altrettanta evidenza le tracce dell’uso del fuoco. Inoltre non
si può escludere l’impiego di altri liquidi come il sangue o l’olio, che a
sua volta è un potentissimo combustibile. In effetti, rimane ambiguo e sfuggente
anche lo stesso significato concettuale dell’acqua, che sta alla base delle più
spettacolari manifestazioni della civiltà nuragica. In un’isola come la
Sardegna,caratterizzata dal clima mediterraneo, senza ghiacciai, con fiumi a
regime torrentizio e con precipitazioni incostanti e inaffidabili, separata dal
resto del mondo e facilmente messa in crisi dalla siccità, l’acqua di vena che
fuoriesce dalla roccia costituisce una garanzia di sopravvivenza per esseri umani
e animali. Dovunque, in tali condizioni ambientali, l’acqua si presta a essere
intesa come elemento, fattore o principio vitale; ma solo nella Sardegna
nuragica questi concetti vengono esaltati fino all’organizzazione di un vero
culto nazionale, in cui il valore dell’acqua oscilla tra il piano dell’essenza
divina, quello del mezzo di comunicazione tra naturale e soprannaturale e
quello dello strumento rituale. L’uso di acque perfettamente limpide e
potabili, oppure ricche di sali minerali ed effervescenti, medicamentose o
perfino tossiche, suggerisce le più diverse applicazioni, come libagioni,
abluzioni, riti lustrali, forse anche ordalie. Non
è escluso che potessero essere oggetto di culto anche sorgenti non trasformate
in fonti e pozzi, ma lasciate al naturale in zone poco frequentate. Infine le
navicelle bronzee, offerte in gran numero in tutti i santuari o conservate
nei ripostigli, perfino in alta montagna, potrebbero sottintendere un richiamo
a un altro aspetto dell’acqua, quella marina,e quindi agli dei o
spiriti atti a proteggere la navigazione. Sappiamo che i bronzetti e le
spade votive venivano infissi con colate di piombo nei fori delle tavole di
offerta e venivano così conservati per qualche tempo nei templi o in spazi
appositi, ma ignoriamo se le offerte fossero individuali o collettive, se
fossero pratica aperta a tutti o riservata a pochi o a pochissimi. Sembra che
le offerte fossero destinate a rimanere tali, senza essere recuperate e rifuse.
Ad eccezione delle spade votive di Abini ritrovate avvolte ordinatamente
in fasci con nastri di rame, gli oggetti votivi si ritrovano generalmente rotti
e dispersi, oppure lontani dai contesti originari, mentre le stesse spade
votive venivano certamente spezzate e suddivise in coltellini a doppio taglio.
Insomma, anche se l’aspetto caotico della distribuzione dei manufatti votivi
nei santuari è certamente dovuto in gran parte a saccheggi antichi e
moderni, sembra che la conservazione in stipi o favisse fosse l’eccezione
piuttosto che la regola. Significato sociale del culto dell’acqua. Nei
santuari nuragici si esprimeva certamente un sentimento religioso vivo e
popolare, ma la concentrazione di beni di lusso di produzione locale e di
importazione, che dovevano essere ostentati nei rituali, rivela che nel Bronzo
Finale e soprattutto nel Primo Ferro il culto era diventato uno degli aspetti
principali, anzi forse lo strumento essenziale della riorganizzazione
politico-sociale di impronta gentilizia o addirittura aristocratica. La cosa è
tanto più evidente se si pensa che contemporaneamente declinava e
si spegneva il culto dei defunti, che aveva espresso l’intima essenza
della società tribale del Bronzo Medio e almeno in parte anche del Bronzo
Recente. Quella società, semplice e solida ma statica, governata dai legami del
sangue e della tradizione, indirizzata sul percorso tracciato dagli antenati,
si era ormai trasformata una società complessa e dinamica, ricca di energie e
di risorse ma fragile, affezionata ad immagini e simboli del passato come la
riproduzione miniaturistica e cultuale del nuraghe ma anche proiettata alla
ricerca del nuovo, al contatto con gli stranieri, all’acquisizione di beni
esotici, alla sperimentazione di tecnologie d’avanguardia. È molto probabile
che le élites emergenti cercassero di stabilizzare il proprio
rango e il proprio potere politico-economico assumendo il ferreo controllo del
sistema di produzione, immagazzinamento e distribuzione, attenuando i
soffocanti vincoli di parentela e imponendo strumenti di dominio più efficaci
nei confronti dei ceti subordinati in cambio di cibo e sicurezza. Se da una
parte la ricchezza e vivacità dei santuari conferma l’importanza della
ritualità come fattore unificante tenacemente riaffermato dall’aristocrazia
gentilizia al potere, dall’altra il loro esaurimento segna la disgregazione
dei sistemi di controllo e di rinnovamento economico e culturale. È per
questo che la civiltà nuragica, nata con la stupefacente arcana potenza dei
nuraghi, muore con la sfuggente abbagliante modernità dei santuari
del culto dell’acqua.
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Se posso suggerire, non dimenticherei di citare fra i principali siti per il culto delle acque anche il santuario nuragico di Sa Sedda 'e Sos Carros di Oliena specialmente per la complessa canalizzazione delle acque nelle varie strutture del santuario rivelandosi quasi delle vere e proprie tubature e la fonte sacra unica proprio per il suo impianto idraulico e la presenza di 9 sculture di protome animale dalla cui bocca da ognuna sgorgava un getto d'acqua che andavano a riempire un bacile circondato da un sedile circolare all'interno di un saccello in opera isodoma ben conservato e che ha riportato imponenti quantità di reperti fra i più significativi.
RispondiEliminaInoltre di particolare importanza in quanto è un sito esclusivamente nuragico, ove non vi è stata trovata finora nessuna sovrapposizione. Magari quindi può essere di riferimento e ulteriore supporto anche per le datazioni sopra riportate