domenica 13 luglio 2014
Le streghe e la stregoneria: gli oscuri rituali di natura demoniaca perseguiti dall’inquisizione.
Le
streghe e la stregoneria: gli oscuri rituali di
natura demoniaca perseguiti dall’inquisizione.
di
Samantha Lombardi
Le streghe hanno smesso di esistere quando noi abbiamo smesso di
bruciarle. (Voltaire)
Fra il Duecento e il Quattrocento, e poi nei secoli che seguirono, le
testimonianze storiche e letterarie della cultura greca e latina accrescono la
credenza nelle streghe. Giovan Francesco Pico della Mirandola, con la sua più
celebre opera Strix Sive de Ludificatione Daemonium (1523) testimoniò, come, a
quella data, già si parlava di fatti collegati a oscuri rituali di natura
demoniaca della stregoneria che portarono a una durissima azione inquisitoria
di repressione di cui fu oggetto Mirandola in quel periodo storico.
Canidie, Sagane, Erito, Circi erano i nomi delle streghe, ma anche delle
maghe, descritte da Ovidio, Orazio e Lucano, che popolavano un universo in cui
si rinnegava Cristo per seguire la fede Satanica. Fra i tanti testi dove
troviamo ampiamente citati i nomi delle streghe che vissero nell’immaginativa
di poeti e letterati troviamo il Malleus Maleficarum (pubblicato nel 1487 dai
frati domenicani Jacob Sprenger e Heinrich Institor), il De Lamiis et
Pythonicis Mulieribus (testo di Ulrich Molitor del 1489) e il Disquisitiones
Magicarum (del gesuita Antonio Martin del Rio, pubblicato nel 1599/1600).
Ma quali erano le sembianze della strega nell’antichità classica? La sua
figura, senza ombra di dubbio, deve aver esercitato il suo fascino nell’immaginario
collettivo. Le più allettanti e continue testimonianze sono quelle offerte dai
poeti greci e latini ed è proprio a questi ultimi che i tribunali
dell’Inquisizione medievale faranno frequente riferimento, anche se le antiche
Leggi Romane non rimangono insensibili alla credenza dei rituali magici.
Infatti, le Leggi delle Dodici Tavole (Duodecim Tabularum Leges), compilate nel
451/450 a. C., rappresentano una tra le prime codificazioni scritte del Diritto
Romano, dove una delle regole della Tavola VIII (illeciti) condannava tutti
coloro che avevano cantato un maleficio (qui malum carmen incantassit).
Cicerone e Plinio il Vecchio sottolineano come nella stessa Tavola veniva
indicata inequivocabilmente, fra i reati capitali, l’appropriazione, per mezzo
della magia, del raccolto o del grano di un altro.
In età imperiale anche lo storico Ammiano Marcellino, fornisce
testimonianze riguardanti alcuni rituali puniti da leggi o editti. Dimostrato,
tra l’altro, è l’uso della “defixio”, la stessa definisce la pratica magica
collegata al rito della penetrazione con un chiodo della piccola lastra di
piombo arrotolata su se stessa, su cui era scritto il nome del destinatario
della maledizione o su cui era inciso semplicemente il testo dell’anatema. La
lastrina inchiodata era posta in una buca che si credeva potesse comunicare con
gli Inferi.
Streghe e maghi utilizzavano invece piccole figure realizzate in cera,
metallo o altro materiale dalle grossolane sembianze delle loro vittime.
Contemporanea era la produzione di amuleti che dovevano proteggere, dalle forze
del male, coloro che li indossavano; su questi oggetti venivano incise anche
formule magiche e immagini con valore scaramantico.
Se scarse sono le testimonianze iconografiche, vasta è la documentazione
scritta delle pratiche magiche. Precise al riguardo sono le fonti letterarie di
vari autori, tra cui: Virgilio, Orazio, Apuleio e Lucano che in alcune delle
loro opere raccolgono ciò che andrà a costituire un repertorio in grado di
alimentare l’immaginario di altri letterati, ma soprattutto degli stessi
inquisitori. Non si può negare però che l’iconografia della strega medievale e
rinascimentale insieme ad immagini letterarie e figurative, affonda le proprie
radici nell’antichità classica. La figura della strega vestita di nero, a piedi
nudi, ululante, con i capelli arruffati, che ci restituisce l’immagine
medievale, in realtà, non è altro che la descrizione di Canidia proposta da
Orazio nelle Satire.
Non passa inosservato che le streghe, in generale, presentano spesso tratti
in comune con le Erinni (Furie nella mitologia romana): quali, le tre sorelle,
Tisifone, Aletto e Megera più vecchie di tutti gli dei dell’Olimpo che
costituiscono le figure a cui si fa più riferimento in epoche successive. Sono
rappresentate con il corpo nerissimo e con i capelli intrecciati di serpenti,
hanno ali di pipistrello e gli occhi iniettati di sangue. Un aspetto simile
presenta anche Ecate. Sembra evidente che si tratta di divinità tutte collegate
al regno dei morti e alla notte, anche se, in realtà, Ecate, nel culto più
antico, era considerata signora delle ombre e dei fantasmi notturni e anche dea
della magia e degli incantesimi. Teocrito, Apollonio Rodio e Ovidio la
designano come “dea delle streghe”; gli stessi dei la onorano e Zeus le concede
il potere di dare o negare ai mortali ciò che anelano. A lei si fa risalire
l’invenzione della stregoneria e la leggenda l’ha introdotta nella famiglia dei
maghi per eccellenza, Eete e Medea di Colchide. Ecate appare alle streghe, con
una torcia in mano, spesso in forma ferina con le sembianze di cagna, serpente,
giumenta o leone a seconda delle tradizioni. Nel rilievo della Gigantomachia
dell’Altare di Pergamo essa è rappresentata con un solo corpo ma con tre teste
vale a dire con tre corpi uniti per la schiena. La formazione triadica è tipica
del mondo ideale dell’antichità e spesso si applica alle divinità femminili
potenti.
Le Empuse, spettri della cerchia della dea Ecate, appartengono al mondo
infernale e riempiono la notte di terrore apparendo soprattutto alle donne e ai
bambini. Hanno la particolarità di assumere ogni sorta di aspetto, anche quella
di provocanti fanciulle, e proprio sotto quest’ultima forma possiedono gli
uomini mentre sono assopiti succhiandogli la linfa vitale. Secondo quando descritto,
anche nelle Empuse, si identificano quei “particolari” comportamenti che
vengono attribuiti alle streghe.
Tra Medioevo e Rinascimento, anche le Arpie, rappresentate come donne
provviste d’ali oppure come uccelli dalla testa femminile, con artigli aguzzi,
concorrono ad alimentare la credenza nelle streghe. Per lo più sono in due:
Aello e Ocipite, ma se ne conosce anche una terza, Celeno.
La credenza che la strega possa trasformarsi in uccello torna nei secoli
successivi. Nel già citato Strix, l’inquisitore Fronimo, ricorda lo “scongiuro
del biancospino”, riportato nei Fasti Ovidio dove le Arpie si potevano tenere
lontane dalle case proprio con un ramo di biancospino. E’ inevitabile che, nel
tempo, anche le Arpie si verranno a confondere con le Striges, cui fa
riferimento una vasta letteratura, che verranno considerate le antenate delle
streghe medievali.
Sempre secondo i testi di Ovidio le Striges vengono descritte come
demoni femminili alati, dotati di artigli simili a quelli uccelli da preda, e
che si nutrivano del sangue e delle viscere dei bambini. Anche Orazio e
Petronio narrano di questi esseri, Plinio il Vecchio, invece, rammenta antiche
formule di maledizione nelle quali compariva il nome “strix”. Stazio, nella
Tebaide, riprende la leggenda di questi mostri che volando di notte entrano
nelle case per succhiare il sangue dei neonati lasciati soli nella culla dalle
loro nutrici.
Le Striges tuttavia hanno spesso caratteristiche di altri esseri
chiamati Lamiae; nome che comparirà spesso in luogo di Striges nei testi
inquisitoriali. Nella tradizione classica, Lamia fu amata da Zeus dal quale
ebbe dei figli che furono uccisi (tranne Scilla il mostro situato sulla stretto
di Messina di cui narra l’Odissea) da Era, moglie di Zeus. Per la disperazione,
divenne un mostro geloso delle madri più felici di lei e per vendicarsi, Lamia,
iniziò a far strage di figli altrui divorandoli; il suo volto stravolto dalla
crudeltà aveva un’espressione terribile.
Le sacerdotesse della Gorgone durante i loro riti, che contemplavano
anche l’infanticidio, usavano maschere mostruose ispirate al volto disumano di
Lamia. I cadaveri dei piccoli dilaniati e divorati venivano poi impiegati per
la pratica dei rituali magici. Di questa atroce usanza, sia nei manuali che nei
processi dell’Inquisizione, saranno poi accusate le streghe.
Le descrizioni latine nel campo della magia sono ricche di particolari e
riferimenti riguardanti le streghe e i loro rituali. Virgilio nell’ottava
Egloca delle Bucoliche ne offre un saggio senza però fornire sull’aspetto della
maga accomunata a Circe. Più ricco di particolari è invece Orazio che nelle
Epodi descrive una scena di stregoneria svoltasi nella notte in un cimitero
(luogo d’eccellenza per i riti più sinistri) sull’Esquilino, il racconto è fatto
da Priapo che narra le atrocità cui è costretto ad assistere: le streghe
Canidia e Sagana, si presentano al dio scarmigliate, pallide, a piedi nudi e
vestite di nero; mentre ululanti invocano Ecate e Tisifone appaiono i serpenti
e le cagne infernali, a questo punto viene gettata nel fuoco la piccola figura
di cera che rappresenta la persona fatta oggetto del maleficio. Anche Lucano
offre una terrificante descrizione della maga tessala Erichto, prototipo della
magia empia e sanguinaria propria delle donne tessale. Dal volto pallido e
scavato dalla magrezza, essa indossa una veste multicolore ed è provvista di un
irta chioma circondata di serti di vipera. La maga Erichto ha la particolarità
di sottrarre le anime dagli inferi e di scendervi lei stessa. Il raccapricciante
cerimoniale restituisce nei particolari i rituali di evocazione dei morti del I
secolo d. C.
Se le descrizioni letterarie offrono particolari allettanti sull’aspetto
delle streghe, predominanti sono le immagini collegate alle pratiche di magia:
Ecate ad esempio era raffigurata in numerosi amuleti; così le Erinni, le lamiae
e le striges che appaiono in alcune rappresentazioni mitologiche; anche qualche
scena salvatasi dalla calamità di Pompei è di un certo interesse per la storia
della magia, nel Museo Archeologico Napoli, in un dipinto parietale è
rappresentato un viandante con una fattucchiera (I secolo d. C.).
Nell’universo figurativo medievale inizia ad affiorare quel bestiario di
cui fanno parte varie configurazioni (lamiae, arpie, sirene, satiri, centauri,
chimere ecc.), che ritroviamo nelle balaustre, nei capitelli ma anche nelle
facciate delle chiese, figure, dai molteplici significati, che hanno connivenza
con un mondo demoniaco che è, solo in parte, collegato alla sfera della
stregoneria e della magia e che diventeranno parte fondamentale della grande
enciclopedia che confluisce nella cultura cristiana. Nelle chiese iniziano a
comparire demoni ed esseri spaventosi destinati però ad essere sconfitti da Dio
ed esorcizzati dagli uomini.
Se nel XII secolo l’uso di immagini mostruose è frequente quelle che
riproducevano le streghe sono sporadiche, le stesse, saranno chiaramente
raffigurate solo quando verranno riconosciute ufficialmente. Solo nel
Cinquecento, quando la strega si costituì agli occhi dei più, come una
pericolosa avversaria della fede, la sua immagine si sviluppò, parallelamente
all’avanzare della Chiesa e del potere politico, contagiandosi con quelle di
alcune divinità classiche. Ma se in questa iconografia sopravvivono alcuni aspetti
classici, vengono però ad inserirsi gli attributi fondamentali della strega
quali: il bastone, la scopa, il capro, il cane o il gatto. La stessa viene
raffigurata come una donna attempata accanto ad oscuri esseri demoniaci e mai
esplicitamente vicino a Satana.
Alla seconda metà del Duecento appartengono le prime due
rappresentazioni conosciute di ”voli di streghe”, ambedue si trovano nel nord
della Germania: una fa parte della decorazione esterna della Chiesa di
Gelnhausen ( cittadina situata nel land dell’Assia), l’altra è un affresco
(datato al 1280) del coro del Duomo di Schleswig (la cittadina si trova nella
parte nord/orientale dello Schleswig-Holstein). Nella scultura di Gelnhausen è
raffigurata una donna attempata, nuda e coperta da un cappuccio mentre cavalca
una scopa la cui parte finale è arrotondata, la “strega” potrebbe essere
sorretta o addirittura spinta da un essere mostruoso. Le due streghe di
Schleswig scoperte alla fine dell’Ottocento e restaurate nella prima metà del
Novecento presentano particolari significativi che permettono di comprendere al
meglio la storia della stregoneria: una è raffigurata su un gatto, coperta da
una veste e da un lungo manto, nell’atto di suonare un corno. L’altra, invece,
è nuda e coperta solo da un manto svolazzante, con i capelli mossi dal vento,
anch’essa è a cavallo di una scopa. L’autenticità di queste due ultime immagini
è stata messa in dubbio, dal momento che i restauri furono eseguiti da
personaggi implicati nella contraffazione di opere d’arte.
Gli antecedenti classici del volo muliebre su animali si possono
ricondurre ad Afrodite (un esempio significativo di questa immagine è dato in
un kylix del Pittore di Pentesilea (conservato a Londra nel British Museum),
alla dea Turan e alla stessa Venere Panareia. Una tipologia questa attestata
anche nel Medioevo: a questo proposito si può menzionare una fanciulla nuda,
coronata da una ghirlanda di rose che cavalca un capro che tiene per le corna e
per la coda, scultura che orna un modiglione nel transetto sud della cattedrale
di Saint-Etienne a Auxerre. Significativa è la traslitterazione figurativa
dell’animale cavalcato dalle streghe in una scopa. Gli antecedenti classici del
volo muliebre su animali sono da ricollegarsi ad Afrodite. La dea è spesso
rappresentata seduta su un cigno o un’oca che si libra nell’aria. Tipologia
attestata, anche nel Medioevo, all’interno della chiesa di Saint-Etienne a
Auxerre in Francia, dove in un modiglione del transetto sud, si trova la
scultura di una fanciulla nuda che cavalca all’amazzone un capro che tiene per
le corna e per la coda (XIV secolo).
Significativa è la traslitterazione figurativa dell’animale cavalcato
dalle streghe in una scopa. Al “baculum”, bastone (attributo del
pellegrino), si devono accomunare la virga e la scopa. Nel codice illustrato Le Champion des Dames di Martin Le Franc, segretario
dell’antipapa Felice V, ricorda che le “masques” (termine francese
indicante le streghe) vanno a piedi o credono di poter volare su un bastone. In
questo manoscritto sono rappresentati due voli di diversa tipologia: uno a
cavallo di una scopa e l’altro su un semplice bastone. La tradizione si estende
anche su un altro oggetto: il fuso, che diventa, a volte, un mezzo di trasporto
e assume un chiaro significato fallico. In un’illustrazione della metà del XV
secolo, attribuita a Wilhelm Urelant, compare una strega a cavallo di un fuso.
Altre rappresentazioni di streghe palesemente individuabili come tali,
anteriori al XV secolo, sono incluse in una serie di codici miniati tutti
risalenti al Trecento e posteriori alle bolle emesse da Alessandro IV
(1258-1260) e da Giovanni XXII (1326 o 1327) nelle quali veniva si ribadiva che
la stregoneria e l’eresia erano fra loro collegate.
Tra le immagini contenute nei codici miniati, singolare è la miniatura
di Piérart dou Tielt che orna il manoscritto de La Quéste du Saint Graal attribuito a Gautiers Map (1351): si
tratta della caricatura di un torneo tra donne nude a cavallo di un caprone che
si affrontano con un fuso.
Nelle raffigurazioni di streghe emergono, nel loro genere, tre tipi
distinti: le streghe singole, l’iniziazione diabolica e la partenza per il
sabba o meglio per il volo. Le stesse assumono in certi casi un significato
didattico e scientifico idoneo ad illustrare le caratteristiche delle streghe,
come avviene per quelle che ornano le edizioni del De Lamiis et Pythonicis Mulieribus di U. Molitor.
A questo punto all’inizio del Cinquecento la “realtà” delle streghe,
dopo grandi controversie, è pienamente accettata negli ambienti più diversi e,
al contrario di come accadeva nel Medioevo, l’iconografia delle streghe e della
stregoneria non viene più rappresentata in luoghi pubblici ma, è invece diffusa
da carte sciolte o da immagini che illustrano dialoghi o addirittura manuali di
stregoneria.
Le streghe in questo periodo escono dall’anonimato in cui erano state
relegate, non vivono più nei boschi che circondano i borghi, ma nelle città,
frequentano le piazze e addirittura le corti, ne è esempio la moglie di
Sigismondo signore del Tirolo. La figura della strega diventa così familiare
che attribuiti e caratteristiche sono immediatamente riconosciuti dai diversi
strati della popolazione.
In area nordica, tra Quattrocento e Cinquecento, tra i maggiori
vignettisti di streghe sicuramente spiccano: il tedesco Hans Baldung Grien
(1484-1545): egli è sicuramente l’artista più straordinario, realizza delle
immagini in xilografia considerate tra le più inquietanti del primo
Cinquecento. La sua prima opera collegata alla stregoneria l’Hexensabbat (1510), raffigura il “volo delle
streghe”; gli attributi quali: i bacula, il bucranio, le teste staccate, il
capro e un gatto, sono ben riconoscibili; entrano, nel contesto narrativo,
anche nuovi simboli come il fuso e un cappello. Due streghe sostengono
rispettivamente un vaso e un piatto in cui è visibile un uccello senza piume.
In alto, la strega che sostiene una forca cavalca al contrario un capro sono in
procinto di entrare in un vortice di fumo lascia intravedere una figura
demoniaca. Al centro si nota un vaso con una scritta in ebraico (forse è da
accomunare al vaso di Pandora?). Successive raffigurazioni del Grien: l’Unzione
delle streghe al
Louvre (1514), Tre streghe (Partenza per il sabba,1514), La strega e Satana come dragone e L’olio
delle streghe, focalizzano i temi più tipici relativi alle loro immagini:
l’erotismo e il dominio degli elementi. Le streghe del Louvre presentano gli
usuali attributi e hanno i capelli mossi dal vento; sia in quest’opera che
nella Partenza per il sabba emerge la nudità dei corpi animati da
gesti con ovvio significato erotico; ma soprattutto in quest’ultima è evidente
l’utilizzazione dell’unguento magico indispensabile per il volo e i grandi
vortici di fumo e di vento che alludono appunto al volo stesso.
Anche a Lucas Cranach il Vecchio (1472-1553): si devono delle
interessanti incisioni rappresentanti scene di stregoneria. L’opera di Halbrecht
Dürer (1471-1528) intitolata Le
streghe (1494), ha un
ambiguo inizio: nell’incisione l’unico accenno a una realtà demoniaca è offerto
da un diavolo che da una porta aperta osserva quattro donne seminude
identificate poi come streghe. Dai primi anni del Cinquecento prende
consistenza, in maniera quasi ossessiva, l’iconografia legata alla stregoneria.
Dürer, ne La strega: partenza
per il sabba (1504-1505)
rappresenta una vecchia, nuda, che abbandona il luogo d’incontro a cavallo di
un caprone, con i capelli agitati dal vento, mentre impugna un fuso, con una
serie di putti ai suoi piedi. In quest’opera, che richiama immagini
iconografiche e stilistiche della tradizione classica, l’autore trasforma
l’immagine di Venere e la collega al nuovo mito delle streghe. Anche Albrecht
Altdorfer (1480-1538), disegna alcune streghe in un paesaggio appena
distinguibile. Le streghe son ben contraddistinte dagli attributi a loro
peculiari: il capro, il bucranio, il baculum e il fuso.
Nel 1508 Johann Geiler von Kaysersberg a Friburgo in Brisgovia, città
della Germania Sud-occidentale, teneva prediche quaresimali pubblicate
con il titolo Die Emeis (Le formiche) illustrate
proprio da Grien. L’opera di Geiler metteva in primo piano gli aspetti basilari
della stregoneria secondo quanto stabilito dagli inquisitori: il viaggio, il
ballo, la trasformazione in animali ecc… Circa dieci anni dopo il papa umanista
Leone X emanò una bolla dal titolo De
divino amore con cui
appoggiava le riforme negli ordini religiosi condannando la magia e la
stregoneria. La figura della strega era dunque diventata tanto comune al punto
da poter rientrare nei cliché della stampa e della grafica. Nello stesso modo,
però, si condannavano e si bruciavano presunte streghe. Ciò accadde nel 1514 a
Maria Laach in Germania, furono giustiziate sei streghe accusate di aver ucciso
l’abate Simon von der Leven.
Mentre in Germania si creavano le nuove immagini ispirate alla
stregoneria, in Italia più o meno nello stesso periodo venivano rappresentate
scene raccapriccianti dal significato ambiguo in quanto non espressamente
collegabili alla stregoneria.
Le prime rare e inequivocabili immagini collegate alla stregoneria sono
opera di Andrea Briosco detto il Riccio (1470-1532), che guarda a modelli
ellenistici, come, ad esempio, della raffigurazione del corpo delle vecchie. Il
tentativo di una conciliazione tra forme classiche e nuovi contenuti simbolici
li troviamo nell’incisione de Lo
Stregozzo (1516) dalla
paternità controversa, l’opera è attribuita sia all’incisore Agostino de Musis
(1490-1536), in arte Agostino Veneziano che a Marcantonio Raimondi (1470-1532).
Nell’incisione del Veneziano la “magia della tempesta” si riconosce dal
movimento degli arbusti piegati dal vento e dal disordinato volo delle anatre
che è collegato ai culti demoniaci. Gli scheletri degli animali che compongono
la cavalcatura fantastica di Ecate, dai capelli mossi dal vento, sono
rappresentati senza dubbi interpretativi tesi a rappresentare un mondo
demoniaco connesso al paganesimo. La figura centrale è una vecchia megera che
tiene in mano un canestro.
Da questo momento in poi, le immagini di streghe aumenteranno a
dismisura, connesse soprattutto al tema del sabba.
Tra i temi figurativi relativi alla stregoneria, il sabba è uno dei più
noti e diffusi in Europa, soprattutto a partire dal Seicento: incisori e
pittori, da Salvator Rosa a Callot fino a Goya, hanno spesso trattato il
soggetto della riunione di streghe definendo e illustrando piani più complessi
della realtà demoniaca.
Tra le prime raffigurazioni del sabba sono due opere di Jacques II de
Gheyn (1565-1629): un disegno e un’incisione con La danza o forse La Cucina delle streghe.
Nell’incisione, al centro, è rappresentato un calderone intorno al quale sono
sedute le streghe, ai lati sono raffigurate dame vestite con eleganza mentre
portano oggetti per il rituale; a sinistra una donna con un fuso seduta su una
panca assiste a una scena di magia; dal camino fuoriesce uno stregone con un
gesto volgare, mentre nel cielo si libra un capro cavalcato da una strega.
All’inizio del Cinquecento numerosi teorici, giuristi e medici avevano
trattato della realtà del volo delle streghe. Antonio de Ferraris nel De situ Yapygiae, ricorda
come la favola della stregoneria avesse invaso il mondo intero, propagandosi
tra gli strati più poveri della popolazione.
Un gruppo di medici aveva conferito maggior vigore a queste
argomentazioni collegandole all’influenza della melanconia e all’uso di droghe.
Anche Johannes Wier, riconduceva il volo delle streghe a un effetto
dell’immaginazione e all’ottenebramento dei sensi attraverso l’uso di droghe.
A queste posizioni si opponevano il gesuita belga Martin Del Rio nei
suoi sei Disquisitionum
magicarum libri sex (1599) e
il francese Jean Bodin nella Dénonomanie
des sorciers (1580), dove
accusavano il Wier di incompetenza e ignoranza.
Il testo di Martin Del Rio in cui affronta la stregoneria, gode di
grande fortuna fin quasi a metà del Settecento. Il secondo dei sei libri che lo
compongono è dedicato al dibattito sulla magia demoniaca: dopo aver elencato
maghi famosi come: Zoroastro, Apuleio, Dositeo, Pitagora ecc., ricorda anche
alcune maghe popolari dell’antichità, tra queste Circe e Medea che, l’autore,
accosta ad altre streghe quali: Canidia, Folia ed Ericto. La Quaestio IX è
dedicata ai poteri di Circe e delle altre maghe, esaminati attraverso la
testimonianza dei classici. In verità, tutto il secondo libro tende a
contestare la possibilità, per i maghi, di modificare le leggi dell’universo;
in particolare, viene messa in discussione la metamorfosi intesa come il potere
di tramutare un essere in un altro di diversa specie, in altre parole, se
questo accada “realmente” o non sia invece effetto della potenza immaginativa.
La metamorfosi è uno dei punti più discussi della trattatistica sulla
stregoneria: tra gli esempi più classici, non bisogna dimenticare la magia
operata da Circe sui compagni di Ulisse, da lei trasformati in animali. Il nome
di Medea, sorella di Circe, compare invece a proposito dei processi di
ringiovanimento, dei malefici e delle stragi. I nomi dei due personaggi
venivano anche collegati alla conoscenza e alla manipolazione delle erbe, tanto
che, Circe divenne sinonimo di avvelenatrice. Tuttavia, l’interesse per la sua
figura, nel Medioevo, non ha una particolare fortuna iconografica. La maga,
depositaria della manipolazione delle erbe e delle metamorfosi, nel
Rinascimento, trova invece una nuova vitalità che le consente di passare dal
testo all’immagine.
Nel 1612 Pierre de Lancre scrisse il suo Tableau de l’inconstance des
mauvais anges et démons ; le
edizioni del libro contengono un’incisione del polacco Jan Ziarnko con
l’immagine del sabba. L’illustrazione risulta il riepilogo più completo e
significativo delle azioni che avvengono durante un cerimoniale satanico. La
tavola riunisce le più aberranti scene, (appresso descritte) che caratterizzano
il cerimoniale della corte di Satana. I gruppi raffigurati sono intenti a
compiere varie azioni, tra cui: Satana in forma di capro seduto su un trono tra
due dame, quella incoronata è definita la regina del sabba; di fronte a Satana,
una strega e un demonio inginocchiato presentano un bambino; intorno a un
albero danzano demoni e fanciulli nudi; streghe e demoni alati o in forma di
capri banchettano intorno a un tavolo; un gruppo di streghe fa bollire nel
calderone delle serpi, streghe a cavallo della scopa volano tra piccoli animali
alati, uomini e donne danzano insieme ad alcuni demoni.
Anche in Italia cominciarono a comparire testi contro la stregoneria. Il Compendium maleficarum di Francesco Maria Guazzo, composto da
tre libri, ognuno suddiviso in due parti, fu pubblicato nel 1608 e poi nel
1627. Argomenta il potere degli unguenti usati dalle streghe, per poi giungere
alla conclusione che solo un intervento demoniaco possa concedere al preparato
poteri tali da trasformare le donne in gatte o altri animali. Il testo risulta
particolarmente interessante in quanto accompagnato da una serie di xilografie che
descrivono senza sottintesi il contenuto dei paragrafi. L’opera del Guazzo non
contiene però particolari novità sulla questione demonologica, in quanto
risulta un riassunto del Malleus
maleficarum e delleDisquisitiones
maleficarum di Martin del
Rio. L’opera è ricca di particolari descrittivi che permettono immediati
riconoscimenti come ad esempio il segno che Satana impone sulla fronte dei suoi
accoliti con l’unghia, chiaro simbolo della cancellazione del battesimo e della
cresima. Una sequenza dello stesso tipo, ma solo accennata, si trova nel testo
del Molitor: De pythonicis
mulieribus (1489) in cui,
nelle poco descrittive illustrazioni, si coglie un tentativo di rappresentare
realtà e perversità della stregoneria che anticipano l’opera del Guazzo e del
De Lancre.
Tra le più sorprendenti raffigurazioni, in ambito stregonesco, si deve
collocare Streghe e
incantesimi (1640) di
Salvator Rosa. L’immagine sottintende: la preparazione del velenoso unguento,
l’esumazione dei cadaveri, il taglio delle unghie degli impiccati, la defictio, la manipolazione di
rospi, il volo, il rapimento di neonati; sullo sfondo, lo scheletro di un
animale fantastico. Nell’opera del Rosa emerge la particolare conoscenza della
stregoneria e della magia, le numerose scene dipinte dichiarano un gusto
particolare che, al di là del semplice interesse per la stregoneria, va verso
l’insolito e lo stravagante. Così queste macabre raffigurazioni stregonesche
sono apprezzate sia da un pubblico borghese che da intellettuali.
Anche il pittore e scrittore, Lorenzo Lippi, noto per Il Malmantile racquistato (1676) descrive nel poema paesaggi
macabri, scene di magia e la strega “Martinazza”, immagine che trova diffusione
in opere di autori, come Teniers il Giovane, che attingono a repertori ormai
divenuti classici dell’iconografia stregonesca.
La caccia alle streghe operata, con crudele intensità, soprattutto
tra i secoli XVI e XVII è stata interpretata dalla storiografia come uno
scontro culturale tra il mondo erudito rappresentato dalla Chiesa e il mondo
popolare assimilato alle pratiche magico-tradizionali. Spinta da un rinnovato spirito
di evangelizzazione, la chiesa mosse sistematicamente guerra, dal Cinquecento
in avanti, a superstizioni, vecchie credenze, riti post-pagani che facevano
parte, in ogni caso, del folclore popolari e delle pratiche magiche. Gli
storici che hanno tentato di fare un bilancio numerico delle vittime accusate
di stregoneria si sono sempre fermati difronte la mancanza di fonti, in altre
parole, mancavano i verbali dei processi. Nei casi sporadici in cui si può
disporre di tale documentazione si rimane, addirittura, sconvolti dalla loro
durezza e drammaticità e, soprattutto, dalla capacità in essi insita di
trasmettere un nitido spaccato del mondo delle streghe e della loro
persecuzione. E’ stato comunque calcolato che il tasso delle condanne a morte,
secondo vari luoghi ed epoche, si sia aggirato sul 25-47% dei processi, con
punte massime eccezionali del 92% (Svizzera).
Il “rogo” era la punizione generalmente inflitta alle streghe, in
quanto, come seguaci di Satana, erano sicuramente apostate. Bruciarle era anche
un rituale di purificazione e rassicurava i giudici paurosi che esse non
sarebbero più tornate dal regno dei morti. Ogni processo era una battaglia tra
le forze di Dio e le forze del diavolo ed era combattuta per l’anima della
strega, che, seppur bruciata, avrebbe sì perso la sua vita terrena ma avrebbe
guadagnato quella eterna.
Immagine di http://www.lucatarlazzi.com
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