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mercoledì 20 novembre 2024

La situla cineraria etrusca di Capodimonte (Bisenzio), una nuova interpretazione. Che cosa rappresenta il rituale riprodotto sopra questo reperto? Articolo di Luigi Catena

La situla cineraria etrusca di Capodimonte (Bisenzio), una nuova interpretazione. Che cosa rappresenta il rituale riprodotto sopra questo reperto?
Articolo di Luigi Catena



Che rituale è rappresentato nella situla?
In diverse circostanze si è cercato di descrivere che cosa poteva rappresentare il rituale riprodotto, in maniera plastica, sopra la situla di bronzo di Capodimonte. Situla, o cinerario bronzeo, facente parte di un arredo tombale di una sepoltura femminile di alto rango. Gli scritti, prodotti da diversi archeologi, per la maggior parte si sono fermati ad una sola interpretazione descrittiva dell’immagine esteriore del reperto bronzeo, ritenuto un semplice rito di guerra o di caccia. Vari studiosi hanno cercato di descrivere in maniera semplice il composito rituale di danzatori, di contadini, di guerrieri intenti a girare intorno ad un animale incatenato. Questa è l’interpretazione che per la maggior parte, più o meno con diverse sfumature, è stata finora diffusa. Ora, una nuova ipotesi valutativa è proponibile dalla decodificazione del “messaggio” racchiuso nella scena simbolica raffigurata nella situla, così da potere capire i ruoli di tutti i soggetti rappresentati nell’urna. Vale a dire: 1) il movimento, l’animazione collegata al binomio rito-danza; 2) la rappresentazione delle figure umane connesse ad un rituale; 3) gli oggetti come: scudo, lancia, berretto, abbinati ad esseri completamente nudi, in raffigurazioni itifalliche; 4) un animale, un toro; 5) la rappresentazione centrale di un essere animale di grandi proporzioni e la sua particolare posizione; 6) periodo storico dell’oggetto (IX secolo a.C.) età finale del bronzo; 7) relazione tra il movimento tellurico del X-IX secolo a.C. avvenuto nel lago di Bolsena e il periodo storico quando fu realizzata la situla; 😎 elementi comparativi con il bronzetto di Arezzo “l’aratore”; 9) fertilità e fecondità della terra; 10) dea madre o terra madre e il culto a Volsinii; 11) luoghi tellurici e vulcanesimo.
Una danza
In sintesi, ci troviamo dinanzi a un reperto bronzeo facente parte di un arredo tombale che trasmette visivamente lo scenario di un rito: delle persone in un atteggiamento di danza ruotano intorno ad un essere non umano, incatenato. Sebbene non ci siano informazioni precise, quali documenti epigrafici, però c’è un massaggio chiaro, quasi la fotografia di un rituale, riprodotto sopra il coperchio del vaso di bronzo. Comunicare con i simboli o riprodurre scene di vita di un popolo, con i dipinti sulle terrecotte (vasi, brocche e altro), oppure su oggetti di metallo, armi, gioielli, ciondoli di vario utilizzo, era un metodo per ricordare, ma anche per trasmettere nel tempo qualcosa d’importante. Siamo in un periodo storico in cui la scrittura non era diffusa, anzi non era ancora presente l’alfabeto etrusco. I primi accenni di scrittura apparvero nel periodo orientalizzante (VIII-VII secolo a.C.), qui si è in presenza di un reperto etrusco della prima età del ferro (X-IX secolo a.C.). Fu un periodo storico particolare, soprattutto nell’areale del lago di Bolsena, zona vulcanica, particolarmente soggetta a distruttive attività telluriche. Intorno al IX o X secolo ci fu un violento terremoto che provocò un innalzamento di ben 8-9 metri del livello delle acque del lago. Questo fenomeno ebbe un duplice effetto: primo, il movimento tellurico e distruttivo, secondo l’allagamento di migliaia e migliaia di metri quadri di terreno agricolo coltivato, con conseguente perdita di preziosi terreni adibiti al pascolo e all’allevamento, seguito dall’abbandono del villaggio palafitticolo del Gran Carro e dalla sommersione di 4 tumuli ciclopici (“aìuole”).
Disegni di urne cinerarie del mostro Uoltam di Perugia e Volterra

La suggestione dei fenomeni naturali
Questi fenomeni oggi sappiamo a che cosa sono dovuti, ma è interessante capire cosa potrebbero aver causato nelle menti delle popolazioni che all’epoca vivevano in quel dato luogo. Presso tutte le civiltà di quel periodo storico, la religione e il credo erano basati su un rapporto dinamico e rispettoso nei confronti degli elementi naturali, l’acqua, il fuoco, il vento, le altre forze della natura, il vulcanesimo, la volta celeste, gli astri. L’eccezionale fenomeno accaduto nel lago di Bolsena non poteva essere dimenticato. Fenomeno naturale, ma diverso dagli altri fenomeni perché pauroso e distruttivo. Che cosa poteva scattare nella mente di quelle genti, soprattutto nella sfera sacerdotale di quel popolo? Sicuramente dei “perché” furono posti e il popolo si rivolse alla casta religiosa.
La Dea Madre
L’esercizio del culto era molto diffuso, nei confronti delle varie divinità e in quel periodo era praticato un forte credo, rivolto alla Dea Madre o Madre Terra, madre degli elementi naturali, in primis delle acque. Ci troviamo in un areale dove è esistita una profonda venerazione dell’elemento acquatico sin da epoche preistoriche. Già nel periodo eneolitico, verso la fine dell’età del rame, nel lago di Bolsena furono erette le “aiuole”, tumuli-altari di dimensioni ciclopiche. Simili strutture di forma ellittica, alte 5 metri, con lunghezze che arrivavano fino 80 o 60 metri, furono costruite sopra sorgenti di acque calde e minerali. Tali strutture erano dei monumenti sopraelevati, eretti su specifici luoghi sacri, per esercitare ritualità connesse al culto delle acque sotterranee, vulcaniche, ora sommerse a 9 metri di profondità, ma per l’uomo del IV-III millennio cosa potevano significare? La maggior parte di studiosi e archeologi, si sono poco interessati a tali strutture considerandole manufatti non degni di un interesse storico-religioso. Sicuramente la loro ubicazione, sotto il livello dell’acqua, è un ostacolo naturale per ogni tentativo di studio e di ricerca. Le pubblicazioni dell’ing. Alessandro Fioravanti, scopritore delle "aiuole" di Bolsena, sono oggi le sole esistenti. L’effettiva motivazione che ha spinto il popolo eneolitico, che viveva sulle rive del lago di Bolsena, a costruire questi enormi tumuli si evidenzia proprio nelle strutture stesse. Più volte si è rimarcato che ogni oggetto di metallo, vetro o terracotta, realizzato dall’uomo, aveva una sua funzione pratica e simbolica. Così è pure per le opere murarie e i tumuli sommersi di Bolsena.
Acqua, elemento venerato
Le aiuole sono opere nate a seguito di un motivo sacro, religioso, relativo all’elemento “acqua” di origine vulcanica. Qui si manifesta il forte legame sacro tra l’uomo e la Madre Terra, tra un popolo e l’uso, il rispetto, la venerazione nei confronti dell’acqua, linfa vitale della terra, soprattutto nel mondo agricolo. Affiorano tutti quegli elementi di sacralità tipici dell’uomo religioso. Possiamo allora rimarcare il rapporto tra: AGRICOLTURA (semina, raccolto, allevamento), ACQUA, FERTILITA', FECONDITA; è questo rapporto che fa nascere un intenso senso religioso tra comunità e territorio. L’attività agricola, fornace di attività cultuali, mise l’uomo in stretto contatto con la Madre Terra e ciò fece maturare il pensiero e le pratiche di venerazione e rispetto presenti nel culto delle acque.
Elementi interpretativi della danza rituale
Sopra il coperchio della situla come già detto, sono raffigurati tre soggetti: alcune persone, un toro e un essere antropomorfo incatenato. Da una lettura più attenta della situla si evidenzia come gli oggetti che le persone portano con sé fanno parte del contesto del rituale. Non sono guerrieri, non hanno un elmo in testa ma un copricapo lenticolare tipico delle antiche caste sacerdotali. Questo tipo di copricapo ci riporta ad un reperto bronzeo di Arezzo, “l’aratore con un coppia di buoi”. La figura ha divisa sacerdotale e mette pienamente in risalto il motivo dell’aratura quale rituale sacro. Da questa spiegazione si trae un particolare: il copricapo piatto o lenticolare, è un indizio sacro, presente in tutte le figure delle persone della situla e la figura dell’aratore di Arezzo. Una seconda considerazione: lo scudo e la lancia non sono quelli corrispondenti veramente agli oggetti tipici di un guerriero; essi non rappresentano una difesa personale, infatti lo scudo è evidentemente troppo piccolo. Questa circostanza ha un suo equivalente: il famoso scudo bilobato di Bolsena, trovato in località Civita di Arlena (VIII-VII secolo a.C.) di piccole dimensioni (330 mm per 305 mm) e di forma ovale, bilobato. Era il classico scudo da parata o da cerimonia. Questa considerazione collima con le figure plastiche riprodotte nella situla di Capodimonte: piccoli scudi, non per scopi bellici, ma da cerimonia, per riti, dove lo scudo, la lancia, il copricapo e le persone formavano un unico corpo, che nel loro movimento esaltava il significato sacro della danza.
E’ ovvio che nessuno va un guerra completamente nudo, con il solo copricapo e un piccolo scudo, e nella maniera più assoluta, non si può interpretare l’esibizione degli attributi sessuali come relativa a pratiche di guerra. Quindi si potrebbe escludere completamente il motivo bellico.
Un’altra interpretazione avanzata da alcuni studiosi, è che si è in presenza di una scena di caccia all’orso, preda ideale da un punto di vista venatorio. La sua cattura procurava molta carne, grasso e la sua preziosa pelliccia. Interpretazione molto lacunosa, fragile quanto quella che vi vede una danza di guerrieri. In queste interpretazioni non si tiene conto del valore simbolico dell’oggetto in questione. Tutte le valutazioni espresse sembrano non convincenti, mentre un’altra interpretazione è possibile, ovvero che il rituale in questione sia connesso a motivi inerenti alla fecondità e fertilità della terra. Questa interpretazione è fortemente evidente nella situla, grazie alla rappresentazione di un animale, il toro, simbolo non solo di forza ma soprattutto, appunto, di fecondità e fertilità. Se si guarda bene la scena riportata sul coperchio si evince bene come tutti i personaggi concorrano a espletare il motivo del rituale, e come tutti siano legati al completamento del rito, tutti attori e spettatori dell’evento che si vuole rappresentare. Persone, animali, figura zoomorfa, oggetti, sono la sintesi di un pensiero, di un messaggio preciso in quanto relativo alla sfera del sacro.
Infine vi è la figura centrale, quell’essere animalesco, incatenato. Esso deriva da un arcaico simbolismo, ed è accostabile ad un altro essere mitico, riprodotto qualche secolo dopo, su alcune urne cinerarie etrusche dove è bene in evidenza, un essere a forma di canide, oppure di cavallo, o un felino, o di un uomo con testa di lupo o una pelle di lupo sopra la testa, mentre esce dal sottosuolo legato con una catena al collo. Nelle urne cinerarie di Volterra e di Perugia viene riprodotta in maniera molto chiara la leggenda etrusca del “monstrum uoltam” o “olta” o “volta”. (E.Brunn, G.Korte, I rilievi delle urne etrusche, vol.III, Berlin 1906, pp.16, tav. VIII-IX-X-17). Questa leggenda fa riferimento ad un evento naturale, il terremoto, evento disastroso che venne rappresentato con il simbolismo di un essere mostruoso del sottosuolo, che esce da un puteale.
Il puteale, in questa circostanza, è rappresentato come porta di transito tra il mondo del sottosuolo e il mondo terreno ed è inteso anche quale interfaccia comunicativa tra le divinità del sottosuolo e la classe oracolare-sacerdotale. Ora, se è corretta l’interpretazione del simbolismo riprodotto nelle urne cinerarie, si può dedurre che esse siano la descrizione di un evento mitizzato che, come tramandato da Plinio e altri storici, fu associato al nome di Porsenna e a quel “mostro Uoltam” che devastò e terrorizzò la popolazione del territorio volsiniense. Solo un fenomeno naturale di eccezionale portata poteva creare nella classe sacerdotale, pre-etrusca ed etrusca, una risonanza così particolare, tanto da reputarlo di origine divina. Il manifestarsi del terremoto, vale a dire lo scuotimento della Madre Terra nel territorio vulcanico di Bolsena, è una circostanza che ha messo in allarme il pensiero dell’uomo, spingendolo a domandarsi perché esiste tale fenomeno e cosa succede nel sottosuolo. Nelle urne cinerarie di Volterra e di Perugia sono raffigurate diverse figure antropomorfe che escono dal sottosuolo, passando per un piccolo puteale; invece, nella situla c’è un essere legato, incatenato, vale a dire tenuto fermo.
Il terremoto è rappresentato, ora come un feticcio, ora come un essere antropomorfo. Tutti i fenomeni naturali, nelle loro eccezionali manifestazioni, acque calde, sulfuree, eruzioni vulcaniche, colate di fango caldo, emissioni di vapori, scosse telluriche, dagli antichi furono reputate manifestazioni del sacro, del divino, circostanze sacre in tutti i loro aspetti. Nel IX secolo a.C, alla fine dell’età del bronzo, la danza era uno dei modi per accostarsi alla divinità anche con delle offerte, come nel nostro caso dove il toro, simbolo di fecondità e fertilità, era animale adatto particolarmente per i sacrifici. Nel VI-V secolo a.C., epoca delle suddette urne, siamo nel pieno della religione etrusca, con la Disciplina e variegati modi oracolari. L’arte fulgurale comprendeva rituali gestiti da poche persone e praticati in speciali circostanze e in luoghi particolari. L'evocazione di un fulmine, come racconta Plinio il Vecchio (H.I.), dovrebbe aver avuto la stessa efficacia del rituale di danza riprodotto nella situla. L’effetto prodotto era forse quello di calmare e controllare gli effetti devastanti di un evento tellurico. Le urne e la situla testimoniano i due eventi tellurici, il primo fu forse più violento, tanto da chiudere le fratture sotterranee delle rocce, fratture che prima mantenevano un livello costante del lago. Fu in questa circostanza, che la comunità che viveva sulle sponde del lago vide progressivamente alzarsi il livello delle acque.
Il terremoto come evento prodigioso
Il fenomeno, anche se devastante fu comunque ritenuto un evento prodigioso, il manifestarsi del dio ctonio che risiedeva nel sottosuolo vulcanico. La risposta a tale evento, parliamo della fine dell’età del bronzo, fu un rituale sotto forma di danza, danza intesa come atto magico e celebrativo, uno degli ultimi esempi arcaici di rituali legati a calamità naturali, la danza è un cerimoniale ancora molto diffuso nelle popolazioni africane e in molte tribù australiane. Che messaggio si è voluto lasciare nel tempo, nell’arredo tombale di questa sepoltura? Non uno scritto, ma qualcosa di più interessante, la rappresentazione di un rito sacro. Una testimonianza di alto valore comunicativo, in quanto si può determinare, anche in assenza di un documento epigrafico, la particolarità di quel remoto evento sacro. Sul coperchio della situla, vi è la raffigurazione plastica di un cerimoniale eseguita verso la fine dell’età del bronzo, rappresentazione che indica come poteva esercitarsi un tale rituale.
La danza raffigurata porta il pensiero a riti effettuati intorno a fuochi, o celebrati in casi di perdurata siccità o propiziatori per dei buoni raccolti. La danza era intesa come un movimento del corpo, con gestualità collettive e ritmiche, con una forte connotazione sociale, una irrinunciabile funzione sacrale, con spiccato intento mirato al controllo degli eventi naturali. Nel coperchio della situla e nel suo bordo sono rappresentati i danzatori, dentro due cerchi concentrici che, messi in movimento, creavano sicuramente una così forte energia, da controllare ed esercitare il male racchiuso nella figura animalesca incatenata. La tipologia del movimento circolare di una danza, è la riproduzione di un cerchio magico di protezione, ma nello stesso istante è metafora del percorso degli astri; tutto ciò al fine di creare un alone magico, una sorta di energia circolare, tale da sconfiggere le negatività. E’ un reperto molto importante, la situla di Capodimonte, che rappresenta in maniera completa ed unica un arcaico rituale itifallico.
Esistono bronzetti, con figure ignude in armi, con copricapi votivi, rinvenuti nel Veneto (vedi prof. Giorgio Arnosti ”Reperti Votivi e Santuari Paleo-Veneti nell’Alto Cenedese”), ma sono reperti singoli e non raffiguranti un rituale completo come quello di Capodimonte. Vanno veramente riconsiderati tutti gli scritti fin qui riprodotti, anzi, il tema merita un’attenta rivalutazione storico-antropologica. Questo reperto vale molto di più di uno scritto, in quanto dalle immagini si legge benissimo che cosa significhi tale rituale. Diversi archeologi, etruscologi, si sono soffermati a capire e scrivere che cosa voleva rappresentare tale manufatto bronzeo. Tutti in linea di massima hanno scritto “una scena di danza di guerrieri, di contadini o di caccia”, oppure “c’è anche un toro che sembra destinato al sacrificio”. Ora, dopo tutta una serie di ulteriori ricognizioni geologiche nell’area bolsenese, si evince che queste interpretazioni sono molto riduttive, molto “elementari”. Scoperte di carattere geologico, storico-religioso, o anche antropologico aiutano tanti archeologi a dare risposte ai diversi perché.
La metodica interdisciplinare, nel campo della ricerca, è utile a chiunque cerca di conoscere, capire e descrivere comportamenti dei popoli che hanno vissuto nelle nostre terre in periodi passati. Ebbene, se è vero che nel X secolo a.C. ci fu, nel territorio del lago di Bolsena, un forte terremoto, a tal punto da provocare un innalzamento delle acque del lago, è allora comprensibile che le popolazioni di allora (X secolo a.C.) lo abbiano interpretato come manifestazione divina, una grande ierofania delle divinità telluriche residenti nel sottosuolo del vulcano Volsineo. Ovviamente non potevano mai passare inosservati tali fenomeni tellurici, anzi sicuramente erano stati vissuti e raccontati nella tradizione orale di quelle antiche popolazioni. Le tradizioni orali, spesse volte, descrivono eventi o fatti relativi a fenomeni reali, divenuti successivamente miti e leggende. Ora, non prendere in considerazione un evento così particolare, il terremoto e l’innalzamento delle acque, significa eliminare un pezzo significativo della storia di un popolo. Sismicità e vulcanismo hanno inciso in maniera vitale sulla sacralità del lago di Bolsena e del suo territorio e potrebbero essere stati quel movente rafforzativo e decisivo, atto a qualificare ulteriormente il territorio lacustre e renderlo doppiamente sacro. Siamo agli albori della nascita di un popolo, quello etrusco, che molti scrittori latini hanno definito unico per il suo forte legame con la religione. Una religione rivolta ai fenomeni naturali e alla vita terrena con una speciale visione del mondo celeste e sotterraneo, spazi dove era la dimora delle maggiori divinità etrusche. L’elemento acqua, insieme all’elemento fuoco, non erano altro che doni necessari alla vita di un popolo, doni inviati da determinate figure sacre. Nei territori vulcanici, questi due elementi hanno avuto un ruolo così preminente da concorrere allo sviluppo della locale sacralità.
Guardate le caratteristiche del territorio Etrusco… La maggior parte ricade in territori vulcanici (regioni Toscana e Lazio); la scelta è stata non per puro caso, ma senza ombra di dubbio, una scelta mirata che ha colto le prime caratteristiche morfologiche del territorio del tufo: fertilità, ricchezza di acqua, fiumi, sorgenti e laghi, clima mite e adatto all’allevamento, caccia, pesca, legname, produzione di prodotti agricoli, frumento, vite, olio. Oltre queste caratteristiche peculiari, si aggiunga l’aspetto metallurgico e osserviamo le zone costiere all’interno dell’area etrusca ricche di minerali: le colline metallifere, l’isola d’Elba, i monti della Tolfa, la valle del fiume Fiora, alcune zone del Viterbese. Ora, se prendiamo in considerazione tutti questi elementi utili all’interpretazione del concetto di fondazione della civiltà Etrusca, non può sfuggire il ricorrente elemento di sacralità, originato dai parametri sopra elencati: acqua, fertilità, vulcanesimo e metallurgia.
Non di meno, nel periodo eneolitico, nel bacino lacustre venivano edificati i grandi tumuli di pietre ( "aiuole") che delimitavano, circondavano e proteggevano sorgenti di acque calde e minerali, testimonianze di opere sacrali del periodo della fine dell’età del rame, legate ai primi spazi sacri intesi anche quali altari per il culto delle acque. Se già esisteva in quel periodo una forte tradizione sacra, del lago, in seguito si aggiunsero ulteriori fenomeni sismici che, tramite racconti di generazione in generazione, tramandarono il terribile evento del IX secolo a.C., verificatosi nel territorio del lago di Bolsena. Quale evento può aver creato tanta paura e distruzione tra le popolazioni del territorio volsiniese? Escludendo a priori un evento ad opera dell’uomo (una circostanza bellica), solo il manifestarsi di un portentoso evento naturale, quale un movimento tellurico, sembra verosimile. Questo fenomeno non sarebbe stato né il primo o l’ultimo, ma è circostanza descritta da Plinio (in His. Nat.) e da altri scrittori latini, come molto frequente nel territorio dell’Etruria.
Un altro aspetto importante a complemento del presente scritto è “la tomba 22” della necropoli dell’Olmo Bello da dove proviene il reperto. Da lì provengono anche altri arredi tombali, quali fibule a sanguisuga, intervallate da oro e ambra, il disco di una collana di elettro (ambra), manufatti indicativi di una sepoltura femminile e per di più di alto rango. Che fosse la sepoltura di una sacerdotessa? Dalla qualità degli arredi tombali si può individuare la classe sociale di appartenenza del defunto ed anche il sesso. Ora, la classificazione del ceto sociale riferita a quel periodo demarca la differenza tra una tomba di un ceto meno abbiente da uno più elevato. Nel caso della tomba “22” abbiamo la sepoltura di una figura femminile di alto rango che nella società etrusca era corrispondente alla casta sacerdotale e lucumonia. Se facciamo una fotografia delle attuali testimonianze archeologiche, antropologiche e religiose abbiamo un quadro d’insieme così interessante da meritare una riflessione. E’ utile cercare di trovare i giusti collegamenti, le radici religiose, i motivi tradizionali ricorrenti in tutte le feste sacre, ereditate e riattualizzate in età cristiana. E’ utile capire e comprendere i valori tramandati e sapere l’origine, la molla che ha fatto scattare la valenza sacra presente per secoli in tutto il territorio vulcanico.
Una delle celebrazioni sacre più antiche è il Solco Diritto, presente ancora in diversi Comuni del viterbese. Questo rito agrario, propiziatorio di fertilità e fecondità è legato ad un antico culto della Madre Terra. Il rituale del Solco Diritto, può sembrare un semplice ricordo agricolo, con connotazioni folkloristiche, invece racchiude in sé il relitto di un’antichissima pratica religiosa dell’uomo, forse risalente al V-IV millennio a.C. Al riguardo esistono graffiti nelle grotte, in diverse parti d’Europa ed in particolare in Italia, dove il tracciato di un Solco ha valenze simboliche. Il ritrovamento della situla di Capodimonte, è una grande testimonianza storica del periodo Villanoviano, tra la fine dell’età del bronzo e l’inizio del periodo orientalizzante etrusco. Siamo agli albori di questa civiltà e di conseguenza anche di fronte ad una evoluzione del simbolismo sacro; siamo anche agli inizi di un nuovo modo di comunicare attraverso la parola scritta.
Però tutto l’impianto di simboli riprodotti sulla situla è portatore di un messaggio chiaro e lascia veramente una traccia ed un significato precisi. La danza sacra raffigurata nella situla era uno dei modi di comunicare con il mondo divino. Parallelamente vi erano il sacrificio, le offerte, il canto, il ritmo, il suono, il rito dentro spazi consacrati. La danza sacra, era una modalità rituale dove il ritmo, tramite la percussione e il movimento delle persone, coordinate dal suono prodotto, sviluppavano una speciale energia di gruppo, un certo alone sacro necessario per bloccare ed esorcizzare le calamità naturali inviate dagli dèi. La ritualità riprodotta sopra la situla di Capodimonte non si può definire un esempio di caccia o una danza di guerrieri o ancora una danza di contadini, si tratta di un rituale diverso. Ora sarebbe interessante conoscere gli altri arredi tombali ritrovati nella sepoltura, in modo da delineare un quadro complessivo e utile.
Scritto relativo alla situla sul mio libro "Ricerche e studi sul territorio del lago di Bolsena".

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