Antichi fari, mulini a vento e pale eoliche attuali.
Articolo di Pierluigi Montalbano
Nel dibattito sulla sconsiderata idea di deturpare la nostra isola con torri eoliche, ho pensato di raccontare un po' di storia sui mulini a vento, ossia quei particolari edifici muniti di pale che attraverso un sistema di corde, catene, ruote dentate e carrucola, consentono di ottenere energia per vari usi. I più antichi presentano delle pale motrici interne mosse dal vento che
veniva incanalato a prescindere dalla sua direzione grazie a delle particolari feritoie che lo circondavano. Queste aperture verso l’esterno, appositamente aperte o chiuse a seconda delle esigenze, consentivano un lavoro continuativo. La struttura del mulino era suddivisa in due piani, quella superiore aveva delle pale in tessuto che, tramite un asse rotante, trasmettevano la forza necessaria al funzionamento della macina posizionata al piano inferiore. Le finestre venivano aperte o chiuse a seconda della direzione dei venti. Occorrono oltre due metri al secondo (2 m/s) di vento per muovere con una minima efficienza le pale dei moderni generatori eolici, quindi vengono installate sulle cime dei monti o in luoghi esposti a venti forti. Gli antichi mulini persiani e cinesi hanno vele orientabili perché per evitare di limitare la forza motrice del vento non hanno una struttura circostante e sono, quindi, privi di finestre. Bisogna considerare che le antiche macine pesano diversi quintali e per muovere in modo efficiente i perni dei riduttori e le altre strutture serve un'energia assai potente, ad esempio un traino a buoi. Per questi motivi, ipotizzare dei mulini a vento adatti a muovere pesanti macine è da scartare. D'altro canto, realizzare grandi edifici per macinare poche granaglie, ossia per fa girare piccole macine, non è economicamente vantaggioso.
Parliamo ora un pochino di contaminazioni culturali.
Per quanto attraverso la Stella Polare traversate dirette fossero praticate, la navigazione sotto costa era quella prevalente, tanto da aver imposto, da fonte storica Romana, ai Cartaginesi di stabilire una colonia ogni 30 km circa lungo gran parte delle coste del Mediterraneo. Lungo le rotte, nei punti più visibili, venivano posizionati dei fari in corrispondenza dei templi o degli altari importanti poichè la navigazione sotto costa fa correre grossi rischi legati alla deriva e alla scarsa conoscenza dei fondali. E' ragionevole pensare che la navigazione notturna, oltre a mettere al sicuro dai pirati, sfruttava le brezze di terra e aiutava a superare i tratti difficili di costa, laddove gli scogli aumentavano i pericoli, soprattutto nelle notti senza luna. Qualcuno potrebbe scambiare per fari costieri le torri di avvistamento, dette Saracene, ma queste furono costruite molto tempo dopo perchè idonee a verificare l'arrivo degli Arabi. Esse sono su punte a mare, non su costoni collinari, quindi iniziarono ad essere realizzate solo nel tardo medioevo. I fari dell'antichità, invece, sorgevano in posizioni elevate, per aumentare la distanza di visibilità e per consentire ai naviganti di non dover sfidare i flutti. Spesso erano nell'immediato entroterra e indicavano località di approdo. Solo se non vi era alcun rilievo prossimo necessitavano di alte torri, come il Faro di Alessandria o il leggendario Colosso di Rodi.
Come erano fatti gli antichi fari?
Verosimilmente c'era un vano bruciatore alimentato dal piano inferiore che funzionava caricando legna o carbone e dirigendo la fiamma verso l'alto con una serie di grandi stoppini che pescavano olio da qualche serbatoio. La luce della fiamma, protetta dai venti dalla torre, oltrepassava le finestre e si proiettava nel mare, forse con l'ausilio di lastre metalliche che riflettevano il bagliore. Fino alla metà del secolo scorso, una luce della potenza di una lampada al sodio sarebbe stata percepita da lontano come assai potente nel buio della notte. Ancora oggi le singole fotoelettriche stradali sono visibili da lontano se l'inquinamento luminoso è ridotto. Reciprocamente, una luce della potenza di un migliaio di watt, inferiore a quella prodotta da una fiamma libera, alta meno di un metro larga poche decine di centimetri, sarebbe ben visibile dalle imbarcazioni. Un urto anche alla velocità di pochi nodi delle navi antiche contro le scogliere avrebbe significato, per le navi cucite (più elastiche di quelle ad incastri e chiodate) la perdita del prezioso carico di vino, olio, spezie e altre merci, oltre a quella di numerose vite di marinai. Pertanto, c'era un motivo economico che suggeriva la presenza di vari addetti ai fari. I miti mediterranei fanno supporre che il primo faro al mondo fosse quello del porto di Alessandria, ma esiste una concreta possibilità che i Troiani o le civiltà precedenti ne avessero di imponenti all'ingresso dell'Ellesponto, in particolare a capo Sigeo, prima della caduta di
Troia del 1250 a.C., o a Cadice nei pressi dell'attuale Stretto di Gibilterra.
I primi fari di cui abbiamo prove storiche, intesi come strutture portanti luci ed abitabili, furono dei Tolomei d'Egitto e dei Greci, e dettarono i canoni delle torri di segnalazione dei naviganti Romani. I numerosi fari di
Roma replicavano nella sostanza le caratteristiche costruttive del faro di Alessandria: una base rettangolare con architettura a colonne e pilastri.
Tutte le strutture di cui ho parlato portano vantaggi enormi alle comunità, ai naviganti e alle future generazioni, quindi spero che questo articolo giunga a chi ha il potere di decidere se, dove, quando e perché si devono autorizzare i progetti delle torri eoliche, idonee solo ed esclusivamente ad aumentare i profitti di poche persone che, in cambio, non danno nulla se non distruzione del paesaggio e futuri rottami da smaltire.
Questo articolo è ispirato dalla Todde, una persona che non stimo e che non sta operando per il bene di noi sardi.
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