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lunedì 15 gennaio 2024

Sardegna. Bànnari, Villa Verde. Bastare a se stessi. Articolo di Vitale Scanu

Sardegna. Bànnari, Villa Verde. Bastare a se stessi

Articolo di Vitale Scanu

 


Il paesino di Bànnari (dial. Bàini, Villa Verde), l’antica frazione di Usellus, è un mini centro abitativo che trae origine da un popolo nuragico abitante sulla montagna a Su Brunk’e s’Omu nel periodo finale della civiltà del bronzo (2500-1000 a.C.): unico “villaggio” nuragico nella Marmilla centrale e quindi forse un piccolo regno preistorico. La ricostruzione più verosimile, quasi logica, delle sue vicende esistenziali è che, nel corso dei millenni, quella popolazione della montagna, alla ricerca di una esistenza più agevole, sia “slittata” dalla montagna a valle e abbia preso consistenza attorno a una fonte d’acqua perenne ancora oggi esistente chiamata Funtan’e Sùsu. Dalla pastorizia, dalla caccia e dalla

raccolta dei frutti spontanei, forse anche incalzata dall’arrivo di Roma in Sardegna (che aveva a Usellus una delle sue due strategiche “colonie” in Sardegna), è così passata alla coltivazione agricola nel piano, con la relativa possibilità di lunga conservazione del cibo.

Non è per fare una riesumazione sterile di ricordi - perché io non mi sento certo un tipo retrivo - ma perché è bello rivivere i ricordi, per fare il paragone tra il vivere di oggi e quella vita pacifica e operosa oggi sconosciuta, con quegli usi e conoscenze venutici dal remoto passato de is mannus nostus, con tutta quella cultura materiale del saper fare bastando a se stessi (Per il fuoco, ad esempio: mancavano i fiammiferi?, no problem: c’è su corriesca, foto sotto). Una cultura secolare che creava un humus fecondo di cose belle e utili, dov’era di casa la serenità, il senso dell’altruismo, dell’educazione e del rispetto dei ruoli, della dedizione agli ideali (tante giovani vite messe eroicamente a servizio della patria). Tutti valori inestimabili oggi, purtroppo, svaniti nel nulla.


A me piace riandare a queste pagine antiche  del paesello che tanto amo. Come dice Pascoli (Romagna): “Sempre un villaggio, sempre ua campagna mi ride al cuore… Sempre mi torna al cuore il mio paese”. Credo proprio di assomigliare a Ulisse, per la nostalgia del mio amato paese: “Niente è più dolce del proprio paese e della propria famiglia - diceva Ulisse -, anche per chi abita un ricco palazzo ma in terra straniera”. E così ripropongo una paginetta della sua esistenza, la quale è una lunga esposizione alla storia che ha sedimentato nei suoi abitanti quella identità fatta di usi e tradizioni, saggezza, laboriosità, equilibrio, serietà e coscienza dei valori morali che anche lo storico reale Goffredo Casalis ha potuto verificare, qualificando i bainesi  come  “gente laboriosa e parca”. Un bell’esempio della messa a frutto delle proprie riserve culturali capitalizzate lungo i millenni. Come infatti la sete insegna l’acqua o la necessità aguzza l’ingegno, così anche la nostra cara Baini ha saputo essere autonoma e industriarsi per essere autosufficiente, pure nelle dure restrizioni di due guerre micidiali e nonostante un’attività economica di piccolo cabotaggio col semplice baratto, potendo così bastare a se stessa. Tutti valori inestimabili oggi, purtroppo, svaniti nel nulla, una grande manualità oggi perduta a causa della “modernità”.

 Pensiamo alla vita laboriosa che animava il nostro paese. Per dire, ed erano la maggioranza, c’erano gli agricoltori e i pastori alla fine dell’800 possedevano 500 bovini, 80 maiali, 400 capre, 300 pecore, 20 cavalli, 300 asini. Con i vitelli, i capretti e gli agnelli rifornivano anche le macellerie dei paesi vicini, ci informa il Casalis. Avevamo i falegnami, i bottai, i sarti, i fabbri e maniscalchi, i calzolai; i conciatori di pelli (Riferisce il Casalis, che a Bannari “esistevano quattro concie in cui sono manifatturate le pelli e i cuoi del Mandamento, della Marmilla e di molti paesi del Campidano di Oristano. C’erano gli “orologiai”; c’era chi faceva le stuoie e is cedras de pala, avevamo le tessitrici (ancora a inizio del ‘900, c’erano attivi a Bannari più di 30 telai…). Forse questa manifattura tessile tutta al femminile di Bannari – che è sita a pochi chilometri dalla centrale Colonia Iulia Augusta Usellis - ha contribuito anche a rifornire l’esercito romano di caldi e impermeabili indumenti in lana, quando Lucio Aurelio Oreste (governatore in Sardegna dal 126 al 129 d.C.) chiese alle popolazioni di concorrere a questa fornitura.

 

Il Generale Virginio Porta                                                                                            

Nato a Bannari-Usellus nel 1875, fu chiamato alle armi nel dicembre 1895 e fu assegnato al 12° Reggimento Bersaglieri. Il 3 maggio 1900, ultimato il corso straordinario presso l’Accademia di Artiglieria del Genio, fu nominato sottotenente del Genio. Passato alla scuola di applicazione di Artiglieria del Genio di Torino fu promosso tenente. Il  2 ottobre 1910, trasferito a Cagliari, fu promosso capitano. Il 2 giugno 1915 fu mobilitato quale comandante della XXIV Compagnia Zappatori e, alle dipendenze della Divisione, partecipò alle operazioni svolte per il passaggio dell’Isonzo. Il 16 luglio 1916 fu promosso Maggiore. Costituì il 7° Battaglione Zappatori del quale assunse il comando e col quale raggiunse la zona di Guerra, distinguendosi particolarmente nella sistemazione a difesa della famosa Quota 144, aspramente contesa al nemico. Promosso Tenente, gli venne concessa la medaglia d’argento al valor militare sul campo per la prova di spiccato valore nella sistemazione difensiva sul Tagliamento. Venne promosso Colonnello e alla fine Generale di Brigata.

Il 20 novembre 1940 fu promosso Generale di Divisione e nel gennaio 1953 fu collocato in congedo assoluto per l’età. Il Generale Porta, ufficiale serio, riservato, attivo, diligente, scrupoloso, lavoratore infaticabile, capace in pace e in guerra, ha sempre dato prova di capacità, di valore, di spirito di sacrificio, di grande attaccamento al servizio e all’Arma, esempio sempre ai dipendenti nel prodigarsi in ogni circostanza per portare a compimento nel miglior modo possibile gli incarichi che gli erano stati affidati.Resta perciò luminosa riprova di quelle virtù proprie dell’Arma ‘infaticabile e silente’ e di quella severa dedizione personale al dovere che è sempre indefettibile presupposto di ogni azione meritoria e destinata a lasciare traccia di sé. Per questo, l’Arma lo ricorda con affettuoso rimpianto e lo addita ai giovani Genieri".   

(Dal “Bollettino dell’Istituto Storico e di cultura dell’Arma del Genio”, Fasc. 4, ottobre-dicembre 1966).

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