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sabato 11 novembre 2023

Archeologia della Sardegna. La fine di un Dio e il crollo di una Civiltà Articolo di Gustavo Bernardino

 Archeologia della Sardegna. La fine di un Dio e il crollo di una Civiltà

Articolo di Gustavo Bernardino

 


 

Nello scenario storico-archeologico che interessa la fase antica di questa amatissima terra sarda, ci sono numerose domande che a tutt’oggi non trovano risposte.

In particolare, non è stata individuata con chiarezza la causa che portò al tracollo della civiltà nuragica né si è capito in quale ambito andare a cercare le ragioni di tale fenomeno. Non si sa quindi se indagare in campo militare, in quello economico oppure in quello religioso. Definendomi un archeo-investigatore, ed avendo una sola grande passione che mi obbliga a cercare, studiare, riflettere su ogni possibile strada percorribile nel campo interpretativo, perché di questo si tratta, non esistendo per

nessuno la certezza di prove indiscutibili, ritengo di aver individuato delle ipotesi sostenibili, quali risposte ai quesiti in esame.

Prima di entrare nel merito delle stesse, ritengo necessaria una premessa. Ho sempre pensato che l’essere umano da quando ha raggiunto lo stato di Homo Sapiens, sia stato accompagnato, nel processo evolutivo, dalla consapevolezza di una entità superiore a lui sconosciuta ma ben visibile nella grandezza della natura intesa nella sua declinazione più ampia ovvero l’intero sistema conosciuto allora in termini di cielo, mare e terra con tutto ciò che questi elementi contengono ovvero il mondo animale, vegetale e minerale. I nostri antenati del periodo neolitico ed eneolitico, ad esempio, ci hanno lasciato in eredità le loro opere bellissime attraverso le quali abbiamo potuto capire la loro grande conoscenza nel lavorare la pietra che presupponeva una altrettanto grande conoscenza della composizione mineralogica e chimica del materiale lapideo. Ne sono prova le stupende e numerose domus de Jana presenti nel territorio isolano. D’altro canto, è proprio questo elemento presente in natura che i nostri avi usavano come risorsa da utilizzare per gli scambi commerciali, utensili da lavoro, da caccia e fors’anche da guerra. Mi riferisco per esempio alla Ossidiana che i nostri hanno portato in giro per il Mediterraneo scambiandola con altri prodotti. Sono ormai archeologicamente provate le tracce della presenza di ossidiana sarda in diverse località di questo grande mare. Sono giunti a noi attraverso i secoli, stupendi manufatti lapidei che attestano il livello di conoscenza e di abilità conseguito dai nostri predecessori. Così, tra punte di frecce, raschiatoi, ami per pescare ecc. troviamo anche la rappresentazione di una figura femminile definita Dea Madre.

Tralasciando gli aspetti ed i valori estetici di tali oggetti rinvenuti, è importante cogliere il significato religioso e di sacralità attribuita ad una figura non umana ma umanizzante che consente di dedurne che esisteva una forte necessità di individuare delle entità di livello superiore all’umano a cui chiedere protezione e soluzione dei problemi più difficili. Nascono quindi le figure sociali (sacerdoti) a cui si attribuiscono i poteri di intermediazione tra il fedele e la divinità, figure che col tempo assumono un ruolo sempre più importante e decisivo per le sorti delle comunità controllando e condizionando il potere costituito; capi tribù, faraoni, re e imperatori nel passato e i loro omologhi del presente.  Sono queste figure che stabiliscono le regole, i riti e amministrano i doni dei fedeli e sono sempre loro che danno potere alle cose stabilendone la sacralità.

L’aspetto cultuale-religioso pertanto è presente nel tessuto sociale fin di tempi più remoti.

 Ed infatti lo troviamo ben presente anche in tutto l’arco che ha visto prima nascere e poi morire la civiltà nuragica. Che, potremmo pensare, sia stata il risultato della sinergia di diverse etnie e culture che si sono incontrate ed hanno unito le loro conoscenze nell’isola. Tra gli elementi caratterizzanti l’arco temporale compreso tra il XXII ed il IX secolo a.C. troviamo in prima posizione l’uso del bronzo. Con l’apparizione di questo metallo, che soppianta il rame, vengono meno tutti i valori religiosi che avevano contraddistinto quel periodo. Riporto per esteso quanto affermato da Caterina Bittichesu in “Culto degli antenati nell’età del bronzo della Sardegna” Edizioni Nuove Grafiche Puddu 2017 presentato da Ercole Contu “Ripudio della religione rappresentata dalle statue-menhir, distruzione dello stesso e loro riutilizzo, come materiale da costruzione in tombe megalitiche (Murisiddi-Isili, Aiodda-Nurallao). Questo avveniva appunto nel I Bronzo 2200 a.C. Inizia così a delinearsi la struttura portante del mio ragionamento. Perché l’avvento del bronzo fa crollare la precedente civiltà del rame? Anche il rame era un metallo con il quale si realizzavano oggetti di varia natura e destinati ad usi diversi del vivere quotidiano e soprattutto,  si costruivano le armi con le quali si vincevano le guerre contro coloro che tale materiale ancora non conoscevano o non usavano. È credibile che, proprio in relazione a questo importante potere, il metallo venisse considerato sacro e quindi divinizzato. Torniamo al bronzo. La potenza di tale metallo rispetto al rame è nota, la spada di bronzo spezzava quella realizzata col rame. Il dio bronzo era superiore al dio rame. Sembra una battuta ma credo che si possa concretamente dimostrare il contrario.

C’è un elemento attraverso la cui interpretazione si può accertare se quanto sopra enunciato sia sostenibile o meno. Si tratta di esaminare con attenzione il processo produttivo del bronzo e interpretarne le singole fasi. Tale metallo, è noto, si ottiene mediante la fusione di due elementi: il rame e lo stagno. Già in questo primo passaggio abbiamo da analizzare tre importanti fattori: la presenza di due componenti (la dualità), la fusione e il prodotto finito. Non vi viene in mente niente? Questo processo non ricorda qualcosa? Andiamo avanti, nella vita umana quali sono gli eventi più importanti? Non sono forse la vita e la morte? Ebbene la vita come si realizza? Attraverso l’unione di un uomo ed una donna si crea la vita che avviene mediante l’uscita del feto, immerso nel liquido amniotico, dall’utero materno. Benissimo, allora anche il bronzo nasce dall’unione di due metalli attraverso la fusione che si presenta come un liquido dal quale si ottiene la nuova creatura e cioè il bronzo. Trattandosi di elementi prodotti dalla natura che era considerata divina, a sua volta la fusione, con molta probabilità (anzi ne sono certo, e cercherò di dimostrarlo) anch’essa e quindi il bronzo erano considerati sacri e protetti da divinità. Ricordo che è esistito Vulcano come dio del fuoco. Non so quanti di voi, cari lettori, siete mai stati nel bellissimo sito archeologico chiamato “S’Arcu e is Forros” di Villagrande Strisaili in provincia di Nuoro, se non lo avete mai visto, vi suggerisco di andarci, non si può perdere l’emozione di trovarsi al cospetto di un’opera così intensa di significati. Uno dei quali appunto è dato dalla presenza di un altare policromo (bellissimo) e qui consentitemi di aprire una brevissima parentesi per denunciare l’assurdo comportamento di coloro che sono investiti dell’autorità di salvaguardia e controllo dei beni storici, che hanno consentito la demolizione e la rimozione dell’altare nuragico e la sistemazione di una copia in resina. Un vero delitto.

Cosa può significare, dunque, la presenza di un altare, un elemento cultuale, in un luogo dedicato alla fusione dei metalli e quindi alla produzione del bronzo se non quello di ritenere tale processo fisico ed il prodotto che si ottiene, di natura sacra?

Se questa è, come sembra, la corretta interpretazione, ne consegue che è più facile capire perché, per esempio, i nuragici venivano considerati invincibili dai loro avversari (famosa l’affermazione del faraone Ramses II, riferita ai valorosi guerrieri Shardana “gli Shardana dal cuore impavido da sempre non si sapeva come combatterli; essi arrivavano col cuore fiducioso su vascelli da guerra dal mezzo del grande verde e non si poteva resistere davanti ad essi).  Le spade di bronzo che loro portavano erano superiori alle armi dei loro avversari e quindi il loro “dio” era superiore al dio del nemico. Per questo si sentivano protetti ed erano quindi fiduciosi.  Un altro importante elemento che consente di decifrare meglio la sacralità del bronzo, può essere una rilettura in chiave religiosa dell’oggettistica iconografica recuperata dagli archeologi per lo più in luoghi dedicati al culto. Mi riferisco al grande numero di bronzetti rinvenuti nei nuraghi, pozzi sacri, tombe dei giganti e via dicendo. In questo senso va interpretata anche la presenza di spade infisse nella pietra, rinvenute sempre in luoghi di culto (altare lacustre di “Su monte” di Sorradile, santuario di Abini-Teti ecc.). All’interno di questo scenario iconografico è anche possibile intravedere una figura importante dell’organizzazione strutturale religiosa dell’epoca nuragica e quindi del Bronzo. Trovo verosimile che i bronzetti raffiguranti personaggi che hanno la caratteristica di indossare a tracolla il classico pugnale definito “ad elsa gammata”, siano tutti appartenuti ad una classe sacerdotale che aveva un preciso ruolo e svolgevano una importante funzione rituale. Secondo la mia interpretazione questi personaggi avevano il compito di preparare la vittima sacrificale, uccidendo l’animale individuato, infilando la lama nella giugulare e facendo defluire il sangue. Operazione che ancora è in uso nelle nostre campagne. Questa riflessione deriva dalla osservazione dell’oggetto e quindi dalle sue caratteristiche. Un esame attento   evidenzia il fatto che la lama rispetto all’impugnatura, appare sproporzionata. È logico pensare che venisse utilizzata per funzioni particolari come quella prima descritta. Il bronzo quindi, divinizzato e adorato perché ritenuto capace di proteggere e rendere invincibili i suoi fedeli, accompagna per oltre un millennio la vita dei sardi che in tale arco di tempo hanno avuto la possibilità di far conoscere la grandezza della loro società costruendo migliaia di Nuraghi, centinaia tra pozzi sacri, tombe di giganti, santuari e villaggi che ancora oggi caratterizzano il panorama sardo.

Ma così come la civiltà Nuragica prende il sopravvento rispetto all’Eneolitico in cui il rame ha giocato un ruolo fondamentale anche in termini di sacralità rispetto alla pietra del Neolitico, sul nascere del IX/X secolo a.C. appare all’orizzonte un nuovo dio e una nuova civiltà.

Con la scoperta del ferro, inizia il declino del bronzo. Un nuovo dio dotato di un potere maggiore fa venir meno la fede nel bronzo che non protegge più i suoi fedeli, che delusi iniziano ad allontanarsi da tale religione per abbracciarne una nuova molto più rispondente alle preghiere e alle invocazioni dei nuovi adepti. Tale fenomeno lo si rileva archeologicamente a partire dal 1200 a. C. con la fine della costruzione di nuraghi e l’inizio della loro demolizione nella parte sommitale. Ciò significa a mio avviso che la parte più alta di questi monumenti era quella che conteneva la simbologia del culto che si celebrava dentro il nuraghe. Così come scientificamente dimostrato da Giuseppe Mura in un lavoro in corso di pubblicazione, che ho avuto il piacere e l’onore di leggere in anteprima. Come peraltro avviene ancora oggi per le nostre chiese.  Il simbolo della croce sopra le chiese cristiane, quello della mezzaluna per quelle islamiche, la croce di Davide per le sinagoghe. Tale caratteristica, infatti, è riscontrabile nei così detti “modellini di nuraghe” che consentono appunto di verificare l’esattezza della tesi. Osservando la parte terminale di tali manufatti, definita in linguaggio archeologico “corona” la stessa contiene dei simboli non sempre e non tutti della stessa natura ideografica. In alcuni è ben visibile il segno detto a zig-zag che dovrebbe riprodurre il significato di acqua, mentre in altri si può leggere un segno lineare verticale che verrebbe tradotto come “corona piumata,” come quella indossata dal “Sardus Pater” il santo protettore per eccellenza. Ciò porterebbe a concludere che i nuraghi fossero centri di culto e non fortezze come purtroppo viene fatto credere da una certa parte accademica.  In buona sostanza, per completare la narrazione, ogni civiltà è nata accogliendo al suo interno nuove divinità che ne hanno consentito lo sviluppo e la crescita e poi sono morte a causa del venir meno del potere di tali divinità di assecondare e soddisfare le preghiere e le invocazioni dei fedeli, i quali ripudiando i vecchi idoli, hanno dato il benvenuto ai nuovi credi.


4 commenti:

  1. Pierluigi, credo che questo tuo bellissimo articolo sull'Antica Civiltà dei Sardi e sul loro "Credo", possa ampliare l'insieme delle spiegazioni con la lettura de "Is contus de Nuraxìa", sette racconti eliminati senza alcuna ragione dalla Bibliografia sul "Mondo Antico dei sardi".

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    1. Buongiorno Paolo, l'articolo che ha letto lo ha ospitato Pierluigi in questa rivista ma l'autore, come ben indicato è il sottoscritto. Comunque grazie per averlo letto.

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