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giovedì 12 ottobre 2023

Sardegna, Baini (Villa Verde), 17 Ottobre 1744, una data importante che segna la fine di un’epoca e l’inizio dell’era moderna, recando la speranza di una vita migliore. Articolo di Vitale Scanu

Sardegna, Baini (Villa Verde), 17 Ottobre 1744, una data importante che segna la fine di un’epoca e l’inizio dell’era moderna, recando la speranza di una vita migliore.

Articolo di Vitale Scanu


Questa data segna la fine di un’epoca e l’inizio dell’era moderna, recando la speranza di una vita migliore.

                Diversi nobili spagnoli che possedevano feudi in Sardegna, sul finire del XVIII secolo, si trovarono ad essere vincolati da un rapporto di fedeltà alla monarchia iberica e titolari, allo stesso tempo, di concessioni feudali ma ubicate, ora, nel territorio di uno Stato diventato nemico.

Il 30 luglio del 1744, il re di Sardegna, Carlo Emanuele III, dispone il sequestro dei beni posseduti nell’isola dai feudatari iberici, tra i quali Gioacchino Català, marchese di Quirra. L’atto di confisca viene notificato a Bannari (che appartiene al marchesato di Quirra) al maggiore di giustizia Leonardo Mely, a cui è affidato il compito di mantenere l’ordine pubblico nella “villa” e di esigere i tributi feudali. Il sindaco si chiama Juan Sanna, momentaneamente assente (forse un’assenza strategica…).

Siamo a ottobre. Alle otto del mattino del giorno 17, i vassalli bainesi ascoltano l’atto che dispone la confisca della villa, radunati nella “plaza de Mayor”, nel “lugar acostumbrado”, cioè il luogo dove solitamente si tengono le assemblee della comunità, nel quale sono stati convocati sotto la penale di un’ammenda di 25 soldi. Alla fine della lettura, eseguita in lingua sarda, tutti si dichiarano pronti ad osservare quanto disposto dall’ordinanza regia, riconoscendosi ora vassalli del re, e prestano il relativo giuramento. Di tutti i presenti, solo due, Domingo Esquirru e mestre Joseph Cadau - forse gli unici in grado di leggere e scrivere – appongono la propria firma in calce al documento. A questo punto la commissione si reca a Cùccur’e Funtãa, per avere la possibilità di abbracciare con lo sguardo dall’alto “saltos (su sattu), montes, prados, fuentes y rios” di pertinenza della villa, e dichiarare di prenderne possesso in nome del re. Rientrati nella villa i commissari si recano presso la casa del maggiore di giustizia dove prendono in consegna la chiave del “sipo que sirve de càrcel”, ossia il ceppo a cui, in mancanza di un vero e proprio carcere, vengono incatenati i soggetti in detenzione. La commissione, dopo aver ricevuto dai presenti il giuramento di fedeltà al re, conferma nelle loro cariche il maggiore di giustizia, il suo vice Pedro Escano ed i giurati: Felice Acey, Antioco Melony, Antonio Aquas, Dionisio Escano, Moncerrat Esquirru e Diego Salis.

Quella mattina del 17 ottobre 1744 finiva così, a mio modesto parere, il lunghissimo medioevo e il periodo feudale di Baini, aprendo l’età moderna. Un periodo di immobilismo civico e di fiscalismo esasperato che lasciò le nostre popolazioni incollate alla terra, devastate dalle carestie e giugulate dalle tasse feudali e dalla fame. Dopo i rastrellamenti di tanto grano da parte degli ispettori del feudatario chi giranta pe is axròbas, restavano ancora da pagare le “tasse generiche sul feudo, sul vino, il deghino per le pecore, lo sbarbagio dei maiali, il diritto sulle stoppie, sul mezzo portatico, il diritto di presenti o di regalo, il donativo, il diritto di carcelleria (per le carceri) e di messarìa, il diritto sul miele e sulla cera”, ecc. (G.Sotgiu, "Storia della Sardegna"). Il grano requisito doveva inoltre essere trasportato a spese del contadino fino ai piedi del marchese, che risiedeva a Cagliari. Era la famigerata “roadìa”, che deprivava i contadini anche di parecchi preziosi giorni lavorativi. Ulteriore fonte di feroci contrasti col feudatario. Baini, con gli altri villaggi di Parte Usellus, protestarono violentemente (1760) per questo strozzinaggio che aveva maggiorato la tassa di radìa di 40 starelli di grano in più (“Acudieron los sindicos […] querandose a que los havia cargado demàs al solito, quarenta estareles de trigo”). Aggiungete al tutto la micidiale malaria, le cavallette, le malattie varie e fate il conto.  Da una crisi all’altra, “si raggiunse il culmine della desolazione con la carestia del 1540, che squassò tutta la Sardegna. Gli abitanti dei villaggi non ebbero scampo. L’episodio più tragico di quella carestia si verificò ad Ales: una madre, impazzita per la fame, dopo aver invano invocato con due figli l’elemosina, girando per i villaggi altrettanto affamati, uccise il figlio minore e si cibò della sua carne” (B. Anatra, "La Sardegna dall’unificazione aragonese ai Savoia", p 253). E’ in seguito a questo sfacelo che i vescovi di Ales – in durissima opposizione al marchese e agli usurai che arrivavano a far prestiti al 200 per cento - fecero costruire  nei villaggi i monti granatici, per dare ai contadini anticipi e prestiti di grano molto agevolati. Il monte granatico di Bannari, del 1770, era proprio davanti alla chiesa. Altro pezzo perduto della nostra identità, che s’è portato via con sé tante memorie collettive, pagine e pagine della storia dei nostri padri. In particolare figurano i vescovi Beltran (che iniziò a far costruire i “monti”), Pilo ecc., che arrivarono a vendere l’argenteria e tanti mobili della Chiesa per aiutare i poveri a vivere. Vescovi doc, grandiosi.

Su Cùccur’e Funtãa (c. foto antica. Ora non esiste più nel suo aspetto originale), detto anche Mont’e Aba, Monte della nonna, è un sito importante di storia per Baini, perché rappresenta - con la sua millenaria fonte perenne (non più perenne, purtroppo) di acqua che le sgorgava ai piedi - il primo agglomerato dei nostri avi bainesi “emigrati” dal Brunk’e s’Omu, calamitati a valle da questa preziosa sorgente. A lato (vedi la foto in b/n) della fonte correva un sentiero, altrettanto millenario, il quale, secondo me, era il percorso che portava verso la preziosa ossidiana dei monti di Pau. Ai nostri tempi antichi, in tempus de mèssi, le nostre nonne e mamme andavano a Cùccur’e Funtãa a bentuai sa spiga raccolta dietro i messadòris, perché l’aria che lì correva era più ventilata.

Rispettiamo e comprendiamo meglio il nostro passato! Come diceva Cicerone: "Non conoscere il proprio passato e le vicende della propria terra è come non conoscere se stessi".

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