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sabato 9 settembre 2023

La Torre di Chia, nella Sardegna sud-Occidentale. Articolo di Elisabetta Sanna

 La Torre di Chia, nella Sardegna sud-Occidentale.

Articolo di Elisabetta Sanna

La torre di Chia si trova nel territorio comunale di Domus de Maria (CA), nella costa sud‐occidentale della Sardegna, quasi sulla punta estrema del Golfo di Cagliari. È localizzata sul promontorio che domina la spiaggia di Chia, e fu realizzata in un’area interessata da preesistenze archeologiche e da una lunga frequentazione umana. Nella collina in cui sorge si scorgono, infatti, i resti della città punico‐romana di Bithia, interpretabili come ruderi di abitazioni private e di fortificazioni. Al momento della sua edificazione l’area rientrava nella Baronia di Pula, appartenente al Conte di Quirra.  È sotto tutela della Soprintendenza di Cagliari dagli anni Cinquanta, quando fu dismessa dalla Guardia di Finanza, che la deteneva per il controllo del contrabbando sin dal 1842, anno della fine della Reale Amministrazione delle torri, ente preposto alla costruzione, al restauro e alla gestione delle torri. Una torre a Chia fu ipotizzata sin dal 1572 dal capitano di Iglesias, Don Marco Antonio Camos, nella relazione successiva al periplo della Sardegna da lui compiuto al fine di verificare i punti in cui realizzare i presidi per la difesa costiera, secondo quanto richiesto dal Viceré Don Juan Coloma. Gli anni in cui il Camos compiva il suo viaggio erano abbastanza travagliati: nel 1453, con la presa di

Costantinopoli, si costituiva l’Impero Ottomano e da quel momento in poi le coste del Mediterraneo furono soggette ai frequenti attacchi dei corsari turchi. Ad aggravare la situazione, nel 1570 ci fu per l’impero spagnolo la perdita, a favore degli ottomani, di Tunisi e nel 1574 de La Goletta, avamposto di Tunisi. A questo punto in tutto il Mediterraneo Occidentale si iniziò la costruzione di torri litoranee di difesa, anche perché la vittoria di Lepanto del 1571 da parte della Lega Cristiana non aveva arrestato il problema. La Sardegna, in cui tra l’altro nel XVI secolo gli attacchi corsari si erano fatti frequenti, divenuta ormai prima linea difensiva spagnola, non poteva non essere dotata di torri. Con queste motivazioni svolse il suo compito il capitano Camos, anche se la sua relazione rimase infeconda e ben poche torri di quelle da lui proposte vennero realizzate. Occorrerà attendere il piano del De Moncada per vedere realizzata la torre, che pare ultimata e utilizzata con certezza nel 1592‐1594, anni ai quali risalgono dei documenti, conservati presso l’Archivio di Stato di Cagliari, che riguardano la nomina del primo comandante, Giovanni Battista Charpino, delegato a sovrintendere alla sua costruzione, e l’avvicendamento di alcuni uomini alla carica di comandante.  La torre è di forma troncoconica, ha un’altezza di m 13 circa e un diametro di oltre m 10. Il terreno su cui si imposta sembra essere stato livellato; al di sopra di questo piano regolarizzato è stato eretto uno zoccolo sul quale si innalza la torre. Quest’ultima può essere divisa secondo tre livelli: l’opera morta, ossia la parte inferiore, contenente la cisterna e dei muri di controventamento riempiti di terra, utili a rendere la torre maggiormente resistente all’attacco delle artiglierie nemiche e agli scossoni dati alla struttura dalle proprie; un primo piano voltato con colonne di sostegno, botola per la cisterna, caminetto (oggi non più visibili) e una scalinata per salire nel terrazzo; un terrazzo o piazza d’armi, merlata, dove trovavano spazio le artiglierie. È rimasta traccia dei sostegni delle due garitte lignee, uno di pietra rivolto verso il mare (sud‐est), l’altro, verso terra (nord‐est) in legno. L’ingresso è situato a circa m 5 da terra e avviene tramite una porta inquadrata da un architrave e piedritti in arenaria. Lo spessore murario della torre si aggira attorno ai m 2,5 e al suo interno si sviluppano le scale d’accesso al terrazzo. La torre è stata costruita con blocchi di arenaria ben lavorati. Considerando le altre torri della Sardegna, la fretta e l’economicità con cui venivano edificate, si nota subito la maggiore regolarità di tecnica edilizia che la torre di Chia presenta rispetto a tante altre. Trovandosi inserita in un contesto archeologico più antico, ossia l’area della città punico‐romana di Bithia, è facile pensare che i costruttori abbiano trovato già pronte le pietre da utilizzare, semplicemente adattandole alla nuova forma. 

 La torre di Chia ha mezzo millennio di vita, per cui ha subito delle modifiche nel corso del tempo, anche per venire adattata alle tecniche militari in continua evoluzione, mutando l’aspetto e talvolta fissando le tracce di questi passaggi nella sua forma. Si cercherà di individuare queste trasformazioni attraverso l’analisi delle strutture murarie, intrecciando i dati, quando possibile, con le informazione offerte dagli archivi e dalle vecchie fotografie. La torre poggia su un basamento realizzato a tratti in maniera più regolare, a tratti impiegando blocchi di varie dimensioni. Nella parte superiore è possibile individuare l’utilizzo di pietrame di dimensioni minori rispetto al corpo della torre. È possibile che il corpo della torre fosse come lo si vede nella sua parte a nord, cioè costruito con blocchi di arenaria ben squadrati, cementati tra di loro con malta di calce. Le torri solitamente venivano costruite secondo la tecnica muraria detta “a sacco”, cioè mediante l’erezione di due muri paralleli tra di loro, uno interno ed uno esterno, tra i quali veniva lasciato uno spazio che si riempiva con un impasto di pietre e malta. I due muri venivano poi intonacati, ma l’intonaco esterno nel caso delle torri non doveva essere bianco, perché in questo modo la torre sarebbe stata più visibile ai nemici, bensì di un altro colore. Nella parte superiore la torre doveva essere sovrastata da merloni, in parte ancora visibili e probabilmente cambiati anch’essi nella forma col passare del tempo. Le notizie d’archivio parlano di restauri compiuti nel 1603 e nel 1605, anche se non danno indicazioni precise sulla loro natura, ma, rendendosi necessari a pochi anni dalla costruzione, dovevano essere interventi di manutenzione ordinaria, oppure relativi al ripristino di danni subiti durante qualche attacco. Nel 1614 la torre subisce un incendio. Anche in questo caso dei restauri dovevano essere stati necessari, ma non viene specificato che cosa fu fatto. Nel 1720 il Regno di Sardegna passa ai Savoia e i nuovi governanti si pongono il problema del sistema difensivo legato alle torri: diverse sono le relazioni di architetti o funzionari che descrivono lo stato in cui si trovano i baluardi. Il primo di questi è il Cagnoli, che nel 1720 descrive la torre di Chia in buono stato. Nel 1722, invece, il De Vincenti afferma che la torre di Chia necessita di una spesa di lire 465 per migliorarne la difesa, così come le torri di Cala d’Ostia e S. Lucia di Siniscola. La notizia che riporta il De Vincenti è importante perché certamente la torre dovette subire delle modifiche in epoca sabauda. Dal periodo della costruzione delle torri al dominio piemontese un po’ di anni sono passati e indubbiamente in questo lasso di tempo le artiglierie hanno subito delle evoluzioni. A tal proposito il Luogotenente d’Artiglieria Primo Marta del 1761 scrive riferendosi all’intero sistema torriero che la «ginocchiera delle ambrasure», cioè il parapetto delle feritoie risparmiato tra i merloni, risultava essere troppo alto nella maggior parte delle torri per via delle nuove artiglierie, impedendo la gittata in siti vicini alla costa, per cui si rendeva necessario abbassarlo per facilitare il movimento di queste nuove armi, naturalmente in maniera proporzionale a ciascuna torre16. Questa è un’informazione molto interessante, perché anche per la torre di Chia potrebbe essersi reso necessario l’abbassamento della ginocchiera, anche se ciò non ha lasciato tracce evidenti sul manufatto. Nel 1767 il Cav. Ripol, Capitano Comandante delle torri effettua una serie di visite alle varie strutture per verificarne lo stato, riprendendo quello che era stato il percorso già effettuato dal Camos. A proposito della torre di Chia indica una serie di restauri da fare:   (…) occorre passarla in paletta dentro e fuori ed equalizzare il corpo della torre per essere a fossi, più accomodare la mezzaluna con smalto perché quando piove l’acqua va nella piazza d’armi e gli soldati non vi dormono (…)”. Inoltre la torre necessitava di una porta nuova al boccaporto di ponente e libeccio, perché la vecchia era rotta, e «un caldaro per essere quello inservibile». Il Capitano notava, cioè, il fatto che la torre avesse bisogno di essere intonacata (passare in paletta), in quanto le sue murature si presentavano a fossi. Ancora oggi la struttura subisce l’azione corrosiva della salsedine, per cui necessita continuamente di risarcimenti in particolare sul lato che si affaccia verso il mare. Anche la mezzaluna, cioè la parte del terrazzo coperta che offriva riparo ai militari e poteva fungere da armeria, doveva essere impermeabilizzata. Probabilmente la voce del Ripol rimase inascoltata se nel 1769 all’ingegnere Perin e al misuratore Massey fu affidato un nuovo intervento di restauro sia per Chia, che per la torre del Coltellazzo presso Pula, certamente effettuato perché come risulta dai documenti d’archivio, per i mesi di settembre e novembre dello stesso anno vengono registrate le spese dovute ai compensi di coloro che eseguirono i lavori. Quattro anni più tardi, però, le stesse torri necessitarono della medesima tipologia di restauri proposti dal Ripol: il misuratore Viana segnala nel 1773 l’urgenza di intonacare all’esterno la torre verso mezzogiorno, verso ponente e presso la mezzaluna su entrambe le facciate, esterna e interna, poiché il «fornello» (la cavità in cui si introduceva la carica dell’esplosivo) rischiava altrimenti di venire bagnato. L’espressione utilizzata dal compilatore del documento per indicare il rifacimento dell’intonaco è «arricciatura con scagliamento di pietre in calcina»; arricciatura è il termine che indica il primo strato di intonaco. Il documento riporta anche altri dati: i materiali dovevano essere di buona qualità; la calcina e i mattoni si dovevano prendere dai dintorni di Cagliari, mentre la sabbia e l’acqua dolce dal fiume Domus de Maria, poco distante dalla torre, che è il ruscello che ancora oggi sgorga sulla spiaggia ai piedi della torre; i lavori dovranno essere eseguiti secondo le migliori regole d’arte, altrimenti non sarebbero stati collaudati; si allude dunque a una qualche prova che i lavori dovevano superare per essere considerati idonei. Nel 1784 si registra un nuovo intervento da parte del capomastro Eusebio Carta e dall’ingegnere Marciot. Nel 1786 appare diroccata la santabarbara, «nuovamente costrutta dall’impresario di quelle riparazioni», riferendosi al restauro del 1784, che evidentemente non era stato abbastanza efficace. Viene utilizzato il termine «riparazioni» a proposito di quelle del 1784, forse ad indicare che si trattava per l’appunto di restauri non di stravolgimenti delle strutture. Nel 1808 e nel 1818 furono effettuati ulteriori lavori su calcolo dell’arch. Girolamo Melis e con la manodopera del muratore Salvatore Peddis. Nel 1840 i documenti ricordano i lavori del mastro Raffaele Fadda, che saranno anche gli ultimi, poiché nel 1842 l’Amministrazione, con Regio Decreto n. 93 del 17 settembre, verrà abrogata. A questo punto le 63 torri ancora presidiate furono assegnate alle Regie Fortificazioni. Con Regio Decreto 25 aprile 1867 viene abolito l’utilizzo militare di piazzeforti e torri costiere. La torre di Chia rientra nell’elenco dei castelli, delle torri e delle fortezze smilitarizzate in base al decreto suddetto.   In realtà la torre, a partire dal 1842 passò alla gestione del Ministero delle Finanze, per essere utilizzate nella lotta al contrabbando. Tale passaggio comportò delle modifiche nel suo utilizzo e di conseguenza anche nelle strutture. In generale per le torri che subirono la stessa sorte si può dire che alle scale rimovibili si sostituirono quelle in muratura, fisse; feritoie e troniere furono trasformate in larghe finestre; nuovi elementi si costruisco sulla piazza d’armi; le cannoniere vengono tamponate; il terrazzo o semplicemente la mezzaluna vengono trasformati in ambienti chiusi coperti da solai in muratura. La torre di Chia venne gestita dalla Guardia di Finanza fino agli anni Cinquanta del Novecento. Già a partire da quella data gode della tutela della Soprintendenza ai Beni Artistici, Architettonici e Ambientali. Dall’archivio di tale ente si ricostruiscono le vicende relative al XX e al XXI secolo. La torre subì dei restauri nel 1987, nel 1993 e nel 2012, che le hanno conferito l’aspetto attuale, mentre nel 1979 la torre fu chiesta dal Soprintendente Ferruccio Barreca come base logistica per gli scavi presso la città punico‐romana di Bithia. La torre ha subito dei mutamenti nel corso del tempo. Sul lato ovest si notano diverse azioni. Ciò che salta più all’occhio è l’utilizzo di tre diversi colori di intonaco. La parte a destra permette di capire che nella ristrutturazione furono utilizzati calce e sabbia, non cemento, in modo da rimanere fedeli ai materiali utilizzati dai costruttori.   Il documento del 1773 parla ad esempio dell’impiego nell’intonaco di “calcina e arena”. Il sig. Cugis ricorda quattro tipologie diverse di scale alternatesi nel tempo: una in ferro, una in muratura, un’altra in ferro e quella in uso tutt’oggi.   La scala che ha preceduto quella del 2012 è del 1988 ed è documentata nel testo di Montaldo. L’arco della cannoniera nel 1988 appariva foderato di mattoni in cotto forati, tuttora presenti, che compaiono qua e la tra l’intonaco di recente fattura.   Sotto l’apertura sono stati lasciati in evidenza due quadrati che permettono di valutare un aspetto particolare della muratura: delle pietre ben squadrate disposte regolarmente a quattro a quattro in ogni riquadro. Infine, questa facciata è contrassegnata da una striscia di cemento moderno, che fiancheggia a sinistra quello bianco: si tratta dell’ultimo lavoro eseguito nel 2012 sulla torre, necessario per inserire i fili elettrici destinati ad alimentare il rilevatore che campeggia su uno dei parascheggia. Sul lato sud predomina l’intonaco recente, lo stesso usato nel lato ovest, ma più rovinato. Nel 1988 la torre appare rovinata e si nota una fenditura nella muratura che la attraversa nell’intera altezza. Essendo stata costruita con massi d’arenaria, la muratura è poco resistente all’aggressione degli agenti atmosferici.   Le pietre mancanti sono state risarcite in ogni modo possibile durante il restauro; Dalle foto d’archivio si nota che nel 1934 non è visibile nessuna scala, neppure quella con le grappe in ferro. Il passaggio alla giurisdizione del Ministero delle Finanze non comportò, dunque, per Chia una simile sistemazione. Nella stessa foto è evidente l’inserimento nell’ambrasura di fianco alla mezzaluna, tra merlo e al merlone, di una bocca da fuoco quadrata, realizzata con materiale diverso rispetto a quello della torre; sembra poggiare sulla muratura questo significa che è stata aggiunta in un secondo momento. È più piccola dell’altra, dunque serviva per artiglierie di dimensioni minori. L’altra, invece, appare più ampia, sia rispetto al 1988 che al 2012, ha dunque subito dei rimaneggiamenti nel corso dell’ultimo secolo, come in parte si è già detto a proposito del lato ovest. Nella foto del 1934 si vede la stessa fenditura verticale del 1988, soprattutto la mancanza di vegetazione consente di notare addirittura un buco sotto la cannoniera più recente; dovrebbe trattarsi di un pluviale per lo scolo delle acque piovane, che è stato interpretato in questo modo anche dai restauratori del 1993 che hanno posizionato in corrispondenza una tegola. È possibile che il danno alla parete, di cui si è detto, sia dovuto all’azione dell’acqua in caduta. Nella foto si osserva un altro dato importante: due ulteriori sostegni lignei per una garitta; dunque la torre era dotata di tre garitte, non di due come testimoniano i sostegni tuttora presenti. Oltre alle garitte posizionate a sud‐est e nord‐est, ne era presente un’altra a nord‐ovest. Su questo lato attualmente predominano tre tipi di intonaco: grigio, beige sopra il grigio, bianco. In una foto del 1946 si rileva un elemento interessante: la torre fu risarcita in cima con pietrame di dimensioni più piccole, diverse nel taglio da quelle utilizzate nella costruzione. Si vede nettamente, a destra dei sostegni per la garitta, una sorta di cuneo che si differenzia nel modo in cui è stato costruito dal resto della muratura.  Al di sotto del risarcimento è notabile una crepa lungo tutta l’altezza della torre. Si tratta di una situazione analoga a quella riscontrata sul lato sud e determinata dalla presenza del pluviale. Potrebbe ipotizzarsi, anche in questo caso, l’inserimento di un pluviale in un momento successivo rispetto a quello di costruzione dell’edificio, aggiunto per facilitare il fluire dell’acqua dalla terrazza.   Attualmente la copertura recente non permette di percepire questi particolari. Sempre sulla sommità si osservano i due sostegni in pietra per la garitta che sono tutt’ora in quella posizione e non sembrano mutati. Per il lato nord non si dispone di nessuna fotografia storica. Si faranno comunque fare alcune considerazioni a riguardo. Innanzitutto non è stato intonacato di recente per cui consente di valutare la struttura muraria in originale e anche il suo rivestimento. È presente in questo lato l’unica feritoia che la torre possiede. Si sono conservati anche i due sostegni lignei per la terza garitta. Il fatto che i sostegni siano realizzati con materiali diversi, due in legno e uno in muratura, può indicare due momenti diversi di messa in opera. Il permanere dell’intonaco precedente ai restauri permette di percepire un particolare: un disegno inciso, una semicirconferenza, realizzata con due linee curve chiuse da due linee verticali quasi parallele; all’interno di questo spazio così delimitato sono incise delle altre linee trasversali. A destra del semicerchio, sulla parte bassa, è tracciata una circonferenza completa di dimensioni minori. L’unico confronto chi si è potuto stabilire è stato con la “Sphaera” di J. Sacrobosco, in particolare con un disegno del 1519. La “Sphaera” è un planetario, uno strumento che indica il movimento dei corpi celesti nella volta. A Chia potrebbe essere stato usato come calendario. Sacrobosco (1195‐1256) era un matematico e astronomo inglese la cui opera fu apprezzata e seguita fino alla metà del Seicento. La forma nella quale si manifesta a Chia è del 1519, ben precedente dunque all’edificazione della torre, anche se è possibile che il manoscritto in cui tale disegno circolava, sia rimasto in uso per diverso tempo. Oppure chi l’ha inciso a Chia lo ha visto da qualche parte riproponendolo in maniera molto simile. Qualcosa è cambiato infine anche a proposito del terrazzo. La parte sommitale si distingue in due parti: una detta spalamento (a nord‐ovest, verso terra), caratterizzata da una muratura più alta rispetto al resto della terrazza e costituita da una serie di merli, almeno tre secondo la ricostruzione che si è potuta fare mediante le foto storiche; una detta parapetto definita da una successione di merloni, alternativamente piatti e strombati, cioè di profilo obliquo, per agevolare la respinta delle schegge delle artiglierie nemiche. Tra i merloni si aprivano le bocche da fuoco. La terrazza nelle torri aveva varie funzioni: era un punto di avvistamento, di guardia, il luogo da cui si inviavano le segnalazioni e da cui partiva il fuoco di artiglieria. A Chia il mutamento di questa parte dell’edificio, sull’affaccio esterno e visibile, lo si è potuto constatare attraverso le informazioni tratte dai documenti e osservando le fotografie. Per poter verificare i cambiamenti subiti nella parte interna del terrazzo, soprattutto in seguito al restauro, vengono in soccorso i documenti dell’archivio della Soprintendenza e le fotografie inserite nel testo di Montaldo del 1992. Dai documenti della Soprintendenza, in particolare dalle foto, si nota un accesso al terrazzo diverso da quello attuale, protetto da un piccolo vano rettangolare, dotato di porta, che non sembra di fattura troppo remota, ma appare come una costruzione novecentesca, evidentemente demolito durante i restauri in quanto ritenuto di recente fattura. A proposito dello spalamento, nel 1986 era ancora presente un altro merlo, oltre a quelli ancora visibili (prospetto N); inoltre quello attualmente intatto solo in parte allora era un po’ più integro; quest’ultimo ha subito un’azione di consolidamento proprio nel 2012. Nel restauro è stata prevista l’infiltrazione di malte speciali fluide tra gli interstizi e si è fatta attenzione ai colori armonici delle malte. In questo punto la merlatura sembra essere costituita da pietrame di dimensioni più piccole e varie rispetto al corpo della torre. Il merlo in cui si apre la cannoniera sembra aver già subito dei restauri, perché essa appare foderata da mattoni cotti bucati. Nel testo di Montaldo del 1992 si notano anche ammanchi nella muratura, forse gli stessi della foto del 1934. Il terzo merlo documentato e non più presente corrisponde alla canna fumaria, di cui tuttora è visibile il foro d’uscita, ed è costruito con pietrame di taglio irregolare. Tra merli e merloni si osservano delle vasche rettangolari prefabbricate con tre fori ciascuna, che sembrano delle fioriere, disposte sia nel lato nord, nord‐ovest che nel lato sud. Tali vasche sono visibili anche nella foto del testo di Montaldo. Ad un certo punto questi elementi sono stati asportati. Le torri costiere della Sardegna sono generalmente distinte in due categorie, segnalatorie e di difesa. Le segnalatorie sono le torri più piccole, dette anche di guardia, speculatorie   o senzillas, hanno un diametro che va dai m 4,5 ai m 10 e un’altezza da m 7 a m 12. Le torri di difesa, o de armas o fortallesas, o gagliarde, hanno un diametro da m 9 a m 21, un’altezza che va dai m 12 a m 18. Erano dotate di cannoni ed avevano la funzione di comando su torri più piccole. Chia con i suoi m 13 circa di altezza e m 10 di diametro può essere considerata una torre di difesa, anche perché fu provvista di armi. Il suo aspetto e le sue dimensioni saranno riconsiderate nel confronto con le altre torri della Sardegna. Innanzitutto al momento della progettazione dell’intero sistema torriero il Camos ritiene che a Chia debba essere organizzato un punto di osservazione (atalaya) per due uomini «en una torre senzilla», cioè ipotizza un piccola costruzione, non una torre armata. Con la stessa funzione di Chia il Camos indica delle altre torri, tra cui Capo Pula, Montarbu presso Sant’Antioco, la torre di Gonnesa, quella di Capo S. Marco, Punta Argentina, Punta di Capo Negro, Monte Falcone (Torre del Falcone), Capo Comino, Nuraghe dell’Aquila, Torre di Arbatax, Punta Negra, Punta di Monteroxo (Torre del Monte Rosso), Monte delle Saline, Torre di Capo Ferrato, Cala Peras (Torre di Cala Pira), Monte de la Columbara, Capo Carbonara, Capo Boi, Capo Vacca, Cala Sarreyna. A parte le atalaias senza torre, le senzillas per due uomini erano quelle più piccole e in proporzione quelle più numerose. Infatti vengono elencate delle altre torri, sempre definite senzillas, ma con tre uomini di guardia: Cala Piombo (Teulada), Isola dai Francesi presso S. Antioco, Isola Rossa (Trinità d’Agultu in Gallura), Longonsardo (Torre di S. Teresa di Gallura), Capo Cavallo. Naturalmente non tutte le torri indicate dal Camos furono realizzate, o furono costruite in altri punti della costa rispetto a quelli indicati da lui. Per ciò che riguarda le torri più grandi, le gagliarde, il Camos ne ipotizza una a Capo Malfatano (Teulada), per quattro uomini che difenderà il porto con due pezzi di artiglieria, un’altra presso l’Isola Rossa (forse la torre del Budello, Teulada), una presso Capo Galera (Alghero) con due pezzi di artiglieria, una a Porto Conte (Alghero) con tre uomini di guardia e due pezzi di artiglieria, con, in aggiunta, un rivellino ai piedi della torre; infine riteneva che fosse necessaria una torre gagliarda in Ogliastra, nel punto dove si imbarcavano o sbarcavano le merci, dotata di due pezzi di artiglieria. Precisa a riguardo che i vascelli si riparano a ridosso dell’isoletta che si trova vicino alla chiesa di S. Maria Navarrese, dovrebbe dunque trattarsi della torre di quest’ultima località. La torre presso la Foce di Olla, al contrario, non è definita gallarda, ma senzilla con rivellino dove possono stare due falconetti. Effettivamente le torri di Santa Maria Navarrese, di Capo Galera, di Capo Malfatano e del Budello furono torri de armas. La torre di Foghe, di ridotte dimensioni, rimase, invece, una punto di avvistamento. La torre di Chia, stando alla proposta del Camos, doveva rientrare tra le più piccole. Nella realtà non sarà così, in quanto Chia è una torre di medie dimensioni che fu dotata di armamenti. Si considererà a questo punto la torre di Chia in confronto alle altre di cui si è detto, in particolare con quelle con le quali è stata riscontrata qualche analogia o edificate nello stesso periodo della struttura in esame. La torre di Capo Pula è la torre di Sant’Efisio o del Coltellazzo, costruita tra il 1582 e il 1589; essa è alta m 11, ha un diametro alla base di m 12; ha una forma troncoconica. Nel 1700 funzionava come torre de armas, per cui non era un semplice edificio di avvistamento, così come prevedeva il Camos, anzi fu protetta da una linea difensiva avanzata, un rivellino, la cui prima menzione è del 1767. Chia e il Coltellazzo nel 1769 furono soggette ad un restauro da parte dell’ingegnere Perin e del misuratore Massey, ma quattro anni più tardi le stesse avevano ancora bisogno di restauri52. A parte questo dato e l’essere inserite entrambe in area archeologica, le due torri non sembrano avere molto in comune. Anche la tecnica muraria delle due torri è diversa: a Chia è più regolare. La torre di Punta Argentina (Bosa) fu costruita tra il 1580 e il 1584. È alta m 10,50; essendo una torre cilindrica su tronco di cono, i diametri di riferimento sono due: m 9 per il cilindro, m 10,5 massimo per il tronco di cono. Effettivamente fu una torre di guardia ma per tre persone, un comandante e due soldati, inoltre ad un certo punto fu munita d’armi (1778). Nel 1628 un impresario, affittuario di una tonnara nei pressi, vi fece costruire un rivellino e dei magazzini. La tecnica edilizia si presenta irregolareLa torre di Cala Pira, territorio di Castiadas, si costruì a partire dal 1599. Si presenta nelle dimensioni come una torre de armas. È di forma troncoconica, diametro alla base di m 14,60 circa e un’altezza di m 10,50 fino al lastricato del terrazzo. Dunque, anche in questo caso, l’idea del Camos non fu rispettata. Interessante notare la presenza di una cannoniera ampia e svasata, vicina ad esempi quali alcune bocche da fuoco di cui è dotato il Forte di S. Ignazio di Cagliari, realizzato nel 1792. Nelle sue vicinanze la guarnigione di stanza aveva costruito una capanna quadrangolare utilizzata o come ricovero alternativo alla torre, che versava in condizioni pessime, oppure sfruttata dai torrieri per favorire abusivamente il contrabbando. La capanna fu demolita dalle autorità nel luglio del 1789. La torre di Capo Boi (Sinnai) fu nella pratica una torre di guardia per due uomini. Era attiva già dal 1584. Ha una caratteristica forma a tronco di cono molto svasata, con un’altezza di m 11 e un diametro di m 11 alla base. La tecnica edilizia è irregolare. Anche in questo caso si segnala la costruzione di una baracca nel 1828 poiché la torre non era fruibile come alloggio. La torre dell’Isola Rossa (Trinità d’Agultu), ipotizzata dal Camos con tre uomini di guardia, fu terminata nel 1595 e nel 1729 era una torre de armas. Ha una forma cilindrica, diametro di m 14, altezza di m 11,50 al pavimento del terrazzo. È una torre particolare perché si cercò di conferirle una aspetto più grazioso, abbellendola con una decorazione a mensole proprio sotto la cannoniera, tentativo comune ad altre torri del nord Sardegna (es. torre della Pelosa, torre dell’Isola Piana). Ha una tecnica edilizia irregolare. La torre di Longonsardo (o Santa Teresa di Gallura) fu edificata tra il 1587 e il 1598. Nel 1729 era una torre de armas, così come vuole la sua possente struttura: m 11 di altezza al pavimento della piazza d’armi e m 19 alla base, m 16,20 nel corpo principale, infatti si tratta di una torre di forma cilindrica con una scarpatura alla base. La tecnica edilizia è irregolare, ha l’ingresso rivolto verso terra protetto da una cannoniera soprastante. Fu dotata di rivellino nel 1791. Tra le torri ipotizzate come gagliarde dal Camos, quella di Capo Malfatano (Teulada) rispettò l’idea originaria del capitano di Iglesias. Ha in comune con Chia la forma troncoconica e lo zoccolo di base, mentre la tecnica costruttiva sembra più irregolare. Le sue misure sono m 10 di altezza fino al pavimento del terrazzo e senza considerare lo zoccolo, m 12 di diametro alla base. Era attiva sin dal 1593. Interessante ciò che è stato notato intorno alla torre durante un sopralluogo effettuato da chi scrive nel giugno 2014: tra l’ingresso e il fronte mare emerge la cresta di un muro rettilineo; potrebbe trattarsi, se non di un vero e proprio un rivellino, non documentato dalle fonti scritte, di una sorta di protezione o di resti di unʹaltra struttura legata alla torre. Soltanto indagini archeologiche più approfondite potrebbero fugare i dubbi a riguardo (fig. 21) Anche la torre di Porto Conte o Torre Nuova fu una vera e propria torre de armas. Si sa che con certezza nel 1584 era già stata costruita. Era una delle torri più grandi di tutto il sistema costiero: m 12,80 di altezza al terrazzo e m 18,50 di diametro alla base. Ha forma troncoconica. Il Camos a proposito di questa torre riteneva necessaria la presenza di un rivellino, di cui però non c’è traccia scritta. La torre di Santa Maria Navarrese fu costruita tra il 1578 e il 1584. Purtroppo la parte sommitale ha subito delle modifiche sostanziali nel corso del 1900, per cui non si può dire molto. Rassu ne ha identificato l’altezza originaria a m 10, mentre il diametro alla base è di m 12. Ha forma troncoconica. Ci sono delle altre torri che per determinate caratteristiche si avvicinano alla torre di Chia. Innanzitutto la torre dell’isola di San Macario che quanto a tecnica edilizia regolare è l’unica ad avvicinarsi a Chia per questo aspetto. Infatti secondo il padre cappuccino Giorgio Aleo (1620‐1684), studioso di storia della Sardegna, per costruirla furono utilizzate le pietre del monastero bizantino presente sull’isola stessa; secondo Massimo Rassu furono sfruttate, invece, le rovina di Nora. Giorgio Aleo afferma, inoltre, che si iniziò la sua edificazione nel 1580, mentre risulta certamente operativa dal 1595. Fu una torre gagliarda di forma troncoconica, alta quasi m 13 e con diametro alla base di m 12,40. Interessante valutare la presenza di un rivellino residuo anche nella torre di Tramariglio presso Alghero, non citato dalle fonti. Si tratta di una torre de armas, costruita tra il 1585 e il 1598. La torre ha un’altezza di m 11 fino al pavimento del terrazzo e un diametro di m 14. Si tratta di un cilindro su tronco di cono66. Genericamente non tutte le torri furono costituite seguendo le istruzioni del Camos. Le torri di Coltellazzo e Cala Pira, che per il Capitano di Iglesias dovevano essere un punto di avvistamento per due persone, Isola Rossa e Longonsardo, per le quali il Camos aveva ipotizzato una senzilla per tre uomini, sono nella realtà tutte delle torri gagliarde. Neppure la torre di Chia rispetta i dettami del Camos, in quanto con i suoi m 13 di altezza e 10 di diametro si avvicina alle torri di San Macario (13x12,4) o dell’Isola Rossa (m 14x11,50), che sono delle gagliarde, piuttosto che alle torri di Capo San Marco a Cabras (diametro m 7,5), di Cala Regina a Quartu S. Elena (m 6,60x7), di Capo Ferrato a Muravera (m 8x5,5) e di Monte Rosso a Villaputzu (m 8x6,5 circa), che sono delle senzillas vere e proprie. Fu dunque una torre de armas, sempre munita di cannoni e ospitante una guarnigione di cinque persone. Le torri citate sono state realizzate nello stesso periodo di Chia, al massimo con differenze di qualche anno. Non sono pertanto indicatori cronologici la forma (contemporaneità di strutture troncoconiche, cilindriche, cilindriche su tronco di cono o particolarmente svasate nell’aspetto) o la tecnica edilizia, che si presenta regolare solo a Chia e a San Macario. A tal proposito c’è da dire che la muratura dipendeva dal materiale utilizzato: i costruttori sfruttavano la pietra locale (calcare, arenaria, scisto, ecc.).   Nel caso di Chia e di San Macario furono probabilmente utilizzate le pietre tratte dagli antichi insediamenti. Questo fatto è più evidente se si mette a confronto la muratura della torre di Chia con un muro relativo all’insediamento di Bithia, vicino alla torre. Oltre alla torre di San Macario, vicine alla struttura della torre di Chia, anche in considerazione delle ristrutturazioni subite, si presentano la torre di Capo Ferrato e quella di Capo Malfatano: tutte hanno forma troncoconica, ingresso protetto da una cannoniera e, ad esclusione di Capo Ferrato, uno zoccolo di fondazione. Anche Cala Pira ha l’ingresso protetto da una cannoniera. Chia conserva, inoltre, tracce dello spalamento (parte merlata più alta rispetto alla restante), così come le due torri di Cala d’Ostia (Pula) e di Santa Lucia di Siniscola, citate insieme all’edificio in esame nella relazione del Cagnoli del 1722. L’aspetto interessante di queste ultime due costruzioni è che furono ricostruite in epoca sabauda: la torre di S. Lucia tra il 1775 e il 1777, quella di Caladostia nel 1774 a dieci metri dalla precedente struttura di epoca spagnola. È dunque possibile che il terrazzo di Chia sia stato modificato nel corso del Settecento. Le cannoniere a sesto ribassato di cui sono dotate sia la torre di Chia che quella di Santa Lucia hanno, infatti, riscontri nell’architettura militare piemontese del XVIII secolo, come nei casi del Forte di S. Ignazio di Cagliari datato 1792, o del fortino di Monte Cresia di S. Antioco successivo al 1893; interessante anche il confronto con la porta di Altamira sempre a Cagliari, voluta dal Viceré nel 1692. La porta fu poi rinforzata nel 1756 e nel 1826, dopo l’abbassamento del livello del fossato, venne smontata e ricostruita più in basso, rimontando zoccolo, soglia e arco; nel 1912 ne vennero assottigliati i piedritti dell’arco di ingresso7Interessanti le considerazioni che si possono fare a proposito dei rivellini. Le fonti documentano per le torri del Coltellazzo, di Longonsardo e di Punta Argentina la costruzione di un rivellino. Si è conservato un rivellino anche presso la torre di Tramariglio, non documentato dai dati d’archivio, mentre sono attestate delle capanne presso le torri di Cala Pira e di Capo Boi. Una sorta di muro di cui è difficile determinare con precisione la funzione è stato notato anche nei pressi della torre di Capo Malfatano. Questi esempi fanno pensare alla possibile costruzione di ulteriori ambienti o rivellini a corredo delle torri, rilevabili mediante attenta osservazione. A Chia le fonti scritte non riferiscono di simili strutture, tuttavia, davanti all’ingresso della torre si nota l’esistenza di un muro che ad un certo punto piega a gomito verso la torre e si conclude con un’ulteriore traccia muraria di forma ovale, oggi non più visibile perché oggetto di scavo archeologico da parte dell’equipe di archeologi che cura lo scavo della città di Bithia. La traccia ovale sembrava costruita con materiale tagliato più grossolanamente e più piccolo rispetto alle altre due parti del muro. È possibile ipotizzare anche per Chia la presenza, se non di un vero e proprio rivellino (troppo ristretto risulta infatti lo spazio tra torre e muro per ipotizzare manovre di armi o persone), di un muro a protezione dell’ingresso o con altra funzione, che ha lasciato le proprie tracce sul terreno. In un secondo momento ciò che rimase del muro in questione fu coperto dalla base della scala in muratura.   Lo scavo archeologico tuttora in corso ha portato alla luce in quest’area così prossima alla torre una situazione effettivamente riferibile a strutture e reperti attribuibili alle fasi di vita della torre, di cui si attende la pubblicazione. La torre di Chia rappresenta l’unico caso in Sardegna in cui sono stati eseguiti degli scavi archeologici proprio a ridosso delle sue strutture. La conoscenza degli esiti scientifici sarà, dunque, di grande importanza per illuminare non solo le vicende storiche riferibili all’edificio in esame, ma anche quelle dell’intero comparto torriero isolano. In conclusione di quanto detto si cercherà di dividere la storia della torre in fasi. La prima è la fase di realizzazione dell’edificio. Venne innanzitutto realizzato uno zoccolo di fondamento sul quale si costruì la torre. I dati d’archivio ci informano che questo avvenne intorno al 1592. Segue la fase di vita vera e propria della torre, in cui non si verificano dei cambiamenti strutturali, ma soprattutto dei restauri. Con l’arrivo dei piemontesi in Sardegna si colloca il terzo periodo, in cui la torre subì delle modifiche importanti soprattutto riguardo allo spalamento. Anche con i Savoia furono frequenti i restauri, per tutto il corso del Settecento e poi dell’Ottocento, fino all’abolizione della Reale Amministrazione delle Torri. Il quarto momento è quello in cui la torre passò nelle mani della Guardia di Finanza, su cui non è dato sapere molto. È possibile pensare a dei restauri. Nel corso della seconda metà Novecento si concretizza la quinta fase: si costruiscono ben quattro tipi di scale d’accesso e si continuano risarcire la muratura e l’intonaco (restauri 1987 e 1993). Un’altra parte che subisce modifiche è il terrazzo: si provvede a rifare la pavimentazione, compaiono delle vasche rettangolari prefabbricate tra i merli, poi eliminate, vengono consolidate le merlature, scompaiono le tracce della terza garitta.


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