domenica 3 febbraio 2013
Una pintadera…diversa, e altri reperti.
Una pintadera…diversa, e altri reperti.
di Aldo Casu
La trovò un contadino in un campo in prossimità del sito archeologico di Brùncu s’Ollàstu , poco distante dall’abitato lungo la SS 387 andando verso Cagliari.
Inizialmente la scambiò per un sasso, la prese in mano per scagliarla lontano, notò che era troppo leggera per essere una pietra, la guardò bene e, pur non capendo che cosa fosse, se la mise in tasca e se la portò a casa. Qualche tempo dopo mi chiamò e me la mostrò.
È un disco di terracotta rossastra del diametro di cm 8,4 e dello spessore di cm 1,3, in un buon stato di conservazione, che in entrambe le facce ha delle figure di animali, scolpite in negativo, contornate da figure di vegetali.
In una faccia (vedi foto 1), all’interno di due scanalature circolari che fungono da cornice, è raffigurato un volatile (probabilmente una pernice) con la testa rivolta all’indietro e con intorno una foglia che sembra essere di menta e altri elementi vegetali di difficile comprensione a causa delle abrasioni che il manufatto ha subito nel tempo.
Nell’altra faccia (vedi foto 2), all’interno di due scanalature circolari e di una terza cornice di globetti, è raffigurato un coniglio (o una lepre) con, sotto, due foglioline che sembrano essere di menta e, sopra, dei frutti che sembrano essere dei fichi.
Questa è una di quelle “…matrici circolari tradizionalmente dette “per focacce”, diffuse in Sardegna dall’epoca punica a quella romana imperiale…”(1), è stata datata III – I sec. a.C. e, “…mentre la raffigurazione del volatile (…) è presente su una matrice di Tharros (…) e in uno stampo inedito del Sulcis…”(2) “…la raffigurazione del coniglio o lepre non trova al momento confronti specifici…” (3).
L’archeologa che ha curato il Censimento Archeologico Comunale, alla quale ho mostrato il reperto e ho dato modo di fotografarlo e di farne fare una copia, in una sua relazione del 4 novembre 2002, contenente “Analisi preliminare delle emergenze archeologiche” e “Proposte di indagine e valorizzazione”, presentata al Comune per i P.O.R., di questa pintadera ha scritto: “…un’eccezionale matrice doppia (…) che non ha eguali nel panorama dell’artigianato punico – romano in Sardegna…”.
In effetti è un reperto particolarmente interessante sia per la sua unicità, sia per la sua strabiliante lavorazione ma, soprattutto, perché le immagini, in essa raffigurate, fanno pensare a un periodo di grande prosperità possibile solo in un tempo di pace.
Per inciso, ben diverse sono le pintadere d’epoca nuragica (vedi foto 3, 4 e 5) (4) che sono caratterizzate da figure geometriche tra le quali ricorre spesso quella dei cinque raggi.
A proposito di questa, c’è da sottolineare che è una figura che si trova in natura, in molte parti della Sardegna, “scolpita” nella pietra, in quanto caratteristica degli Echinidi Irregolari (che sono fossili miocenici) quali il Pentagonasteride, il Clypeaster, l’Amphiope lovisatoi, lo Spatangus, che nella parte superiore hanno cinque cosiddette “zone petaloidi” con al centro l’organo riproduttivo detto “periprocto”, e nella parte inferiore hanno cinque “solchi ambulacrali” con al centro la bocca (vedi foto da 6 a 9).
I cinque raggi, che ritroviamo riprodotti nelle pintadere d’epoca nuragica, quindi, sono copiati da una di quelle figure che si trovavano scolpite nelle “pale” adorate dagli antichi abitatori dell’enclave nuragico di “Frea” e, pertanto, a mio modesto avviso, avevano e hanno un significato religioso. Anche le figure a V e quelle circolari si ritrovano in quelle “figure scolpite nelle pietre”: le prime ricordano la forma di certe conchiglie, le seconde quella di alcune forme di Briozoi come, ad esempio, quella che si vede nella foto 10.
Inoltre si può pensare che dalla figura dei 5 raggi che,
ripeto, si trova tra le “figure scolpite nella pietra”, sia derivata anche la più antica rappresentazione della figura umana oltre alla sacralità del numero 5, che potrebbe essere all’origine dei nuraghi pentalobati come quello Arrùbiu di Orroli e, per ora, pochissimi altri. Tornando ai reperti archeologici di questo paese, i più importanti sono, per ora, sicuramente quelli rinvenuti in località “Lìnna Pertùnta”, oggi nota col nome di “S’ótt’’e Boèru”, a meno di un km dal paese, lungo la SS 547 in direzione di Senorbì.
Questi “ex voto”, (vedi foto da 11 a 20) documentano “…il perdurare del culto, attraverso forme diverse di offerte, per un lungo arco di tempo…”.(5)
Il Taramelli, infatti, descrive così il ritrovamento: “…a pochi passi dal paese, fu rinvenuta una favissa con terracotte votive (…) Vi erano in prevalenza terracotte di età romana, con figure di mani, piedi ed altre membra umane deposte come voti, evidentemente a divinità curativa; ma in mezzo a queste vi erano anche singolari placchette (vedi foto 11, n.d.a.) con le fattezze embrionali della figura umana, che hanno un riflesso arcaico e una grande analogia con terrecotte prefenicie dell’Iberia…”.(6)
La scoperta avvenne nel 1866 e fu pubblicata da G. Spano (7) che descrive la favissa come “…un edificio in grossi blocchi squadrati, a quattro metri di profondità dal piano di campagna…”(8) ma i reperti “…furono consegnati da tale Giuseppe Loddo il 15 febbraio 1867…”(9) e oggi sono nel Museo di Cagliari inventariati (esclusi i reperti altomedievali) con i nn. 5276-5310. Molto probabilmente lo Spano non visitò personalmente il sito del ritrovamento ma riportò soltanto quello che gli era stato riferito perché, se lo avesse fatto, avrebbe annotato molte più informazioni sull’ubicazione e sulla struttura della favissa e non avrebbe omesso di segnalare (oltre alla notevole dispersione nell’area di frammenti fittili d’epoca punica) la presenza, anche in superficie, di numerosi blocchi squadrati e bugnati, che ancora oggi si possono osservare nell’area (vedi foto da 21 a 26) né, tantomeno, quella di alcuni altri blocchi della lunghezza di circa m. 2 e dello spessore di circa cm 25 (vedi foto 27) che hanno la non certo trascurabile particolarità di avere degli incavi (vedi foto 28 e 29), uno solo, due o tre.
Inoltre lo Spano, nei suoi “Emendamenti ”(10) accenna a delle “lastre di marmo con iscrizione “ di cui, però, si è persa ogni traccia. In realtà è il Lamarmora (11) che ne parla descrivendo questo paese di cui, tra l’altro, ha scritto: “…Nelle strade e nei piazzali delle case non si vedono che frammenti di stoviglie e tasselli di mosaici…”, “…Vi si trovano sepolture di ogni genere, si raccolgono monete ad ogni passo…”,“…Si trovano anche frammenti di lastre di marmo con iscrizioni…” e “…Vi era un tempio perché si trovò una favissa piena di ex-voti da cui si estrassero centinaia di figure, piedi, mani ecc., vasi di bronzo e oggetti d’oro…”.
Nessun cenno alla località Linna Pertunta? Si estrassero centinaia di figure? Oggetti d’oro?
I conti non tornano.
Il Lamarmora non cita il nome della località di “Linna Pertunta” ma cita altre località dove sono stati fatti ritrovamenti di ben minore importanza; parla di “centinaia di figure” estratte dalla favissa mentre i reperti consegnati dal Loddo sono solo 35 e con quelli altomedievali, inventariati in un secondo tempo, non si arriva a un totale di cento. E gli “oggetti d’oro”? Tra quelli consegnati dal Loddo vi sono solo un orecchino in oro (vedi foto 19, figura 51) e un orecchino in argento (vedi foto 19, figura 50) e gli altri dove sono finiti?
Infine, quando dice che “…vi era un tempio…” lo dice sottintendendo “nel villaggio” e tutto questo fa pensare che quella del ritrovamento casuale a quattro metri di profondità sia solo una “storiella” raccontata per evitare dei guai con la giustizia e che i reperti noti ormai come rinvenuti in Linna Pertunta, in realtà siano stati trovati, non certo per caso, nel centro abitato e che siano stati consegnati solo quelli di poco valore mentre quelli più preziosi sono stati trattenuti dal sig. Loddo e dai suoi compari sconosciuti che, di certo, non erano immuni (come la maggior parte degli abitanti del paese, allora e non solo) da quella che il Taramelli ha stigmatizzato come “furia smaniosa del tesoro sognato”.
Nonostante ciò la grandissima importanza storica e archeologica degli “ex- voto” resta immutata così come nulla cambia per quanto riguarda la continuità, per un lunghissimo periodo, del “culto delle acque sorgive con potere curativo” che essi testimoniano; cambia solo il fatto che questo culto non era praticato nella località di Linna Pertunta bensì nel centro dell’attuale abitato, in quella che oggi è nota come Piazza Roma, e nell’ area a essa adiacente che, proprio per la sua importanza religiosa dovuta all’abbondante presenza di acque sorgive perenni, era il centro, il “sancta sanctorum” sul quale era imperniato il sistema nuragico esistito in questa parte dell’attuale territorio comunale.
Ancora oggi all’interno dell’abitato ogni tanto vengono trovati dei reperti archeologici.
Non molti anni fa, per esempio, sono stati rinvenuti alcuni frammenti fittili (vedi foto 30) tra cui quello di un’ansa di anfora con sopraimpresso un timbro (vedi foto 31).
Ingrandendo questo particolare (vedi foto 32) si possono riconoscere due parole greche con a fianco la raffigurazione del sole.
Le due parole greche sono “YAKINTHI” e “ARISTEI” (ΥΑΚΙΝΘΙ ΑΡΙЅΤΕΙ) e in pratica è il
il “marchio di fabbrica” dell’artigiano che ha realizzato l’anfora, una di quelle con le quali si importava il vino per le truppe romane in epoca imperiale.
Non è un reperto di grandissima rilevanza storica ma un nuovo tassello del mosaico da cui lentamente sta emergendo che il centro romano, sulle cui rovine sorge l’abitato attuale, oltre a quella religiosa, aveva anche una certa importanza militare e, se dall’area ellenica si importava il vino per i soldati che vi erano stanziati, significa che il centro non era poi così piccolo e che era inserito nei circuiti commerciali del tempo perché, col vino, le navi che solcavano il mediterraneo, trasportavano sicuramente ogni sorta di prodotti.
In pieno centro abitato, circa quaranta anni fa, nel corso di lavori in una casa antistante la chiesa parrocchiale, nella terra di scavo furono trovati alcuni altri piccoli oggetti (vedi foto 33, 34, 35, e 36) che sicuramente facevano parte di un corredo funebre poiché vennero trovati assieme a dei frammenti di cranio umano.
Si tratta:
1. di una ciotola del diametro interno di cm 12,2, alta cm 5, con diametro di base di cm 9 e uno spessore di cm 0,5;
2. di una piccola anforina, mancante del manico, alta cm 9,8, con un diametro massimo di cm 7,5, un diametro di base di cm 5,3, diametro esterno minimo del collo di cm 1,9, diametro interno massimo di cm 2 e spessore dell’orlo di cm 0,4;
3. di una lucerna, mancante del manico, lunga cm 10,2, alta cm 3,5, diametro interno massimo di cm 5,5 e spessore di cm 0,4;
4. di un pendaglio in bronzo e alcune maglie di una catenina con la quale lo si portava al collo.
Questi reperti, inediti come quelli illustrati sopra, risalgono all’epoca romana, sono di produzione locale e ricordano molto da vicino i corredi funerari rinvenuti in tombe, sempre all’interno dell’abitato, nel 1924 e nel 1936 (vedi risp. foto 37 e 38)(12) e datate III-IV sec..
In sé non costituiscono certo una grande scoperta, ma conoscere l’esatto punto di ritrovamento è un elemento molto importante, assieme all’ubicazione di tutti gli altri ritrovamenti di cui si ha notizia, per la riscoperta dell’antico centro romano e per una stima, anche soltanto indicativa, della sua estensione.
Note:
1) R. Relli (a cura di): “Sant’Andrea Frius, dal Neolitico alla Rifondazione”, Edizioni NGP Ortacesus 2006, cit. pag. 153;
2) R. Relli, ibidem;
3) R. Relli, ibidem;
4) Tratte da :http://www.google.it/search?q=pintadere+sarde&hl=it&tbo=u&tbm=isch&source=univ&sa=X&ei=Out
5) D. Salvi: “La continuità del culto. La stipe votiva di S. Andrea Frius”, in “AFRICA ROMANA, atti del VII convegno di studio”, Sassari, 15 – 17 dicembre 1989, Edizioni Gallizzi, cit. pag. 467;
6) A. Taramelli: “Scavi e scoperte nell’antichità – 1920 – 1939”, IV volume, cit. pag.291;
7) G. Spano: “Scoperte archeologiche fattesi nell’isola in tutto l’anno 1866”, Cagliari 1867, pag. 40;
8) D. Salvi: opera citata, cit. pag. 465;
9) D. Salvi: opera citata, cit. pag 467, nota 8;
10) G. Spano: “Emendamenti ed appunti all’Itinerario dell’isola di Sardegna del conte Alberto della Marmora e A. Taramelli,
S.Andrea Frius. Tomba di età romana scoperta nell’abitato”, pag. 77;
11) A. Lamarmora: “Itinerario di viaggio in Sardegna”, pag. 177;
12) Le foto da 11 a 20, la n. 37 e la n. 38 sono tratte da D. Salvi, “Contesti votivi e sepolcrali dall’età punico-romana
all’altomedioevo” in “Sant’Andrea Frius, dal Neolitico alla Rifondazione”, opera citata.
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Grazie!
RispondiEliminaGrazie - come sempre - per i tuoi dotti, articolati ed interessantissimi post, carissimo Pierluigi.
I tuoi articoli sono per me - che risiedo sulla Terraferma - il cordone ombelicale (mai reciso!) con la nostra Sardegna e dal quale traggo linfa per rafforzare il senso dell'identità e dell'appartenenza, nel solco della storia delle nostre Genti.
Un caro saluto.
beniamino agus