lunedì 6 settembre 2010
Intervista ad una archeologa.
Intervista all’archeologa Angela Ruta
Autore: Martina Calogero
L’archeologa Angela Ruta, è Direttore Archeologo Coordinatore in pensione dal luglio 2009. Archeorivista l'ha intervistata per voi.
D. Qual’è stato il suo percorso formativo?
R. Laurea in lettere classiche all’università di Padova e scuola di specializzazione in archeologia all’università di Pisa.
D. E il suo percorso professionale?
R. Dal 1978 archeologa presso la Soprintendenza Beni Archeologici del Veneto con incarichi di tutela del territorio delle province di Belluno, Treviso, Vicenza e Padova, dal 1992 al 2009 direttore del museo nazionale atestino di Este e coordinatore della tutela archeologica di Padova, quindi con molte esperienze di scavo urbano.
D. Di cosa si occupa attualmente?
R. Continuo a lavorare su argomenti come i riti funebri, la sfera del sacro, la confinazione, lo sviluppo urbano, nel Veneto del primo millennio a.C. Rivolgo la mia attenzione anche a temi di comunicazione museale, archeologica e più in generale culturale.
D. Per quali enti o istituzioni lavora?
R. Collaboro con progetti scientifici e divulgativi per alcuni musei del Veneto; conduco, come volontaria, una trasmissione di archeologia e beni culturali per una radio indipendente che si chiama Radio Cooperativa.
D. Il progetto più importante su cui ha lavorato?
R. In ambito all’attività di direttore del museo di Este, ma non solo, la realizzazione di mostre archeologiche scaturite da nuove scoperte di scavo, incentrate sui Veneti antichi.
D. Il prossimo impegno lavorativo?
R. Non so…quando si va in pensione più che mai bisogna saper scegliere!
D. Il suo sogno nel cassetto?
R. L’archeologia alla portata del grande pubblico.
D. Cosa pensa dello stato attuale dell’archeologia italiana?
R. Non tanto bene, soffocata dai sistemi di potere accademici e ministeriali.
D. Quali sono le tre emergenze che andrebbero risolte?
R. Una dignitosa sopravvivenza quotidiana invece dei progetti speciali, il precariato giovane e non più giovane, la non consapevolezza dell’ oro buttato (come l’ha chiamato Corrado Jacona in un’ottima trasmissione televisiva) ma è un’utopia.
D. E quali le tre peculiarità da valorizzare?
R. I musei e le aree archeologiche meno famose, ma altrettanto fascinose che costituiscono il tessuto connettivo portante del nostro paese, invece affogano nell’abbandono della manutenzione ordinaria. Ma sono molto più di tre!
D. Cosa dovremo imparare dall’estero?
R. Una migliore valorizzazione dei nostri beni culturali, materiali e immateriali.
D. Cosa possiamo invece insegnare loro?
R. A scegliere in direzione della qualità e a differenziare offerte e prodotti culturali.
D. Scavare e pubblicare: ci vorrebbe un limite massimo di tempo per farlo?
R. Certo, ma era previsto nella legge Ronchey un limite di 5 anni; è giusto farlo valere.
D. La sua opinione sui musei italiani?
R. Alcuni davvero ottimi, parecchi ancora troppo bui, sopraffatti dall’ossessione della cronologia e della tipologia, ma il museo-manuale non piace…nemmeno agli addetti ai lavori; per chi ne ha l’esigenza ci sono i cataloghi e l’accesso ai magazzini.
D. Come aumenterebbe il numero dei visitatori?
R. Con investimenti forti nella promozione; ci sono tanti musei validi, del tutto sconosciuti al pubblico, anche dietro l’angolo.
D. La cultura deve essere a pagamento o sul modello British Museum?
R. La visita quotidiana è giusto che sia gratuita per le scuole, o anche per tutti, mentre possono essere a pagamento gli eventi, gli effetti speciali che possono animare i musei, dalle visite tematiche, ai concerti, alle presentazioni di libri o film, etc .
D. Ritiene utile la “realtà virtuale” nei musei? Se si, in che misura può esserci?
R. Sicuramente, ma vanno evitati gli eccessi, altrimenti vengono a mancare la sorpresa, la curiosità, l’approfondimento.
D. Archeologia e informazione. Come vede questo rapporto?
R. Un rapporto ancora da sviluppare.
D. Gli archeologi italiani sanno divulgare?
R. Pochi, la maggioranza cade nell’autoreferenzialità.
D. E le riviste, fanno buona divulgazione archeologica?
R. Alcune riviste specializzate e non specialistiche sono ottime, mentre i quotidiani mediamente sono ancora legati ai vecchi schemi del mistero, per non parlare dello scoop della scoperta. La scoperta quasi sempre è il frutto di un lavoro a monte. Idem per le trasmissioni televisive; alcune presentano un’archeologia inesistente o deteriore.
D. Cosa pensa dell’affidamento dei beni archeologici ai privati?
R. Bene con cautele e garanzie.
D. Ritiene la Ronchey una buona legge?
R. Si.
D. I fondi a disposizione dell’archeologia italiana sono sufficienti?
R. Assolutamente no.
D. Meglio continuare a scavare, o studiare e valorizzare quel che è nei magazzini?
R. Sicuramente la seconda, ma spesso scavare è un’urgenza di tutela.
Fonte Archeorivista
Propongo questa intervista perché ritengo che alcune risposte offrano lo spunto per approfondimenti, e ho evidenziato in neretto alcune fra le frasi più interessanti.
La Prof.ssa suggerisce uno nuovo studio sui materiali già scavati e attualmente depositati nei magazzini. Più volte ho sottolineato che la rilettura di ciò che abbiamo a disposizione, filtrata attraverso i nuovi dati acquisiti nel tempo, apre prospettive illuminanti per chiarire qualche teoria ancora nebulosa. Spesso rileggiamo gli autori antichi, e scopriamo nuovi dettagli, acquisiamo dati particolari che prima non riuscivamo a notare. L'Università di Cagliari è impegnata in un progetto che va in questo senso e i laureandi lavoreranno fianco a fianco con disegnatori, ricercatori, fotografi e archivisti per cogliere nuove ipotesi di utilizzo dei materiali.
Il secondo punto segnalato in neretto riguarda l'autoreferenzialità dei docenti. Trovo scontato che questo accada. Ogni studioso si immerge nelle proprie convinzioni e segue determinate strade, cercando dati che avvalorino le proprie teorie. Qualora si dovesse verificare che i dati trovati portano a conclusioni differenti bisognerebbe avere il coraggio di cancellare le proprie convinzioni e seguire altre strade, ma ciò significherebbe ammettere di aver sbagliato. Poche persone hanno il coraggio di cospargersi il capo con la cenere e ricominciare daccapo, ma quelli che lo fanno...meritano rispetto e tutto l'incoraggiamento possibile.
Autore: Martina Calogero
L’archeologa Angela Ruta, è Direttore Archeologo Coordinatore in pensione dal luglio 2009. Archeorivista l'ha intervistata per voi.
D. Qual’è stato il suo percorso formativo?
R. Laurea in lettere classiche all’università di Padova e scuola di specializzazione in archeologia all’università di Pisa.
D. E il suo percorso professionale?
R. Dal 1978 archeologa presso la Soprintendenza Beni Archeologici del Veneto con incarichi di tutela del territorio delle province di Belluno, Treviso, Vicenza e Padova, dal 1992 al 2009 direttore del museo nazionale atestino di Este e coordinatore della tutela archeologica di Padova, quindi con molte esperienze di scavo urbano.
D. Di cosa si occupa attualmente?
R. Continuo a lavorare su argomenti come i riti funebri, la sfera del sacro, la confinazione, lo sviluppo urbano, nel Veneto del primo millennio a.C. Rivolgo la mia attenzione anche a temi di comunicazione museale, archeologica e più in generale culturale.
D. Per quali enti o istituzioni lavora?
R. Collaboro con progetti scientifici e divulgativi per alcuni musei del Veneto; conduco, come volontaria, una trasmissione di archeologia e beni culturali per una radio indipendente che si chiama Radio Cooperativa.
D. Il progetto più importante su cui ha lavorato?
R. In ambito all’attività di direttore del museo di Este, ma non solo, la realizzazione di mostre archeologiche scaturite da nuove scoperte di scavo, incentrate sui Veneti antichi.
D. Il prossimo impegno lavorativo?
R. Non so…quando si va in pensione più che mai bisogna saper scegliere!
D. Il suo sogno nel cassetto?
R. L’archeologia alla portata del grande pubblico.
D. Cosa pensa dello stato attuale dell’archeologia italiana?
R. Non tanto bene, soffocata dai sistemi di potere accademici e ministeriali.
D. Quali sono le tre emergenze che andrebbero risolte?
R. Una dignitosa sopravvivenza quotidiana invece dei progetti speciali, il precariato giovane e non più giovane, la non consapevolezza dell’ oro buttato (come l’ha chiamato Corrado Jacona in un’ottima trasmissione televisiva) ma è un’utopia.
D. E quali le tre peculiarità da valorizzare?
R. I musei e le aree archeologiche meno famose, ma altrettanto fascinose che costituiscono il tessuto connettivo portante del nostro paese, invece affogano nell’abbandono della manutenzione ordinaria. Ma sono molto più di tre!
D. Cosa dovremo imparare dall’estero?
R. Una migliore valorizzazione dei nostri beni culturali, materiali e immateriali.
D. Cosa possiamo invece insegnare loro?
R. A scegliere in direzione della qualità e a differenziare offerte e prodotti culturali.
D. Scavare e pubblicare: ci vorrebbe un limite massimo di tempo per farlo?
R. Certo, ma era previsto nella legge Ronchey un limite di 5 anni; è giusto farlo valere.
D. La sua opinione sui musei italiani?
R. Alcuni davvero ottimi, parecchi ancora troppo bui, sopraffatti dall’ossessione della cronologia e della tipologia, ma il museo-manuale non piace…nemmeno agli addetti ai lavori; per chi ne ha l’esigenza ci sono i cataloghi e l’accesso ai magazzini.
D. Come aumenterebbe il numero dei visitatori?
R. Con investimenti forti nella promozione; ci sono tanti musei validi, del tutto sconosciuti al pubblico, anche dietro l’angolo.
D. La cultura deve essere a pagamento o sul modello British Museum?
R. La visita quotidiana è giusto che sia gratuita per le scuole, o anche per tutti, mentre possono essere a pagamento gli eventi, gli effetti speciali che possono animare i musei, dalle visite tematiche, ai concerti, alle presentazioni di libri o film, etc .
D. Ritiene utile la “realtà virtuale” nei musei? Se si, in che misura può esserci?
R. Sicuramente, ma vanno evitati gli eccessi, altrimenti vengono a mancare la sorpresa, la curiosità, l’approfondimento.
D. Archeologia e informazione. Come vede questo rapporto?
R. Un rapporto ancora da sviluppare.
D. Gli archeologi italiani sanno divulgare?
R. Pochi, la maggioranza cade nell’autoreferenzialità.
D. E le riviste, fanno buona divulgazione archeologica?
R. Alcune riviste specializzate e non specialistiche sono ottime, mentre i quotidiani mediamente sono ancora legati ai vecchi schemi del mistero, per non parlare dello scoop della scoperta. La scoperta quasi sempre è il frutto di un lavoro a monte. Idem per le trasmissioni televisive; alcune presentano un’archeologia inesistente o deteriore.
D. Cosa pensa dell’affidamento dei beni archeologici ai privati?
R. Bene con cautele e garanzie.
D. Ritiene la Ronchey una buona legge?
R. Si.
D. I fondi a disposizione dell’archeologia italiana sono sufficienti?
R. Assolutamente no.
D. Meglio continuare a scavare, o studiare e valorizzare quel che è nei magazzini?
R. Sicuramente la seconda, ma spesso scavare è un’urgenza di tutela.
Fonte Archeorivista
Propongo questa intervista perché ritengo che alcune risposte offrano lo spunto per approfondimenti, e ho evidenziato in neretto alcune fra le frasi più interessanti.
La Prof.ssa suggerisce uno nuovo studio sui materiali già scavati e attualmente depositati nei magazzini. Più volte ho sottolineato che la rilettura di ciò che abbiamo a disposizione, filtrata attraverso i nuovi dati acquisiti nel tempo, apre prospettive illuminanti per chiarire qualche teoria ancora nebulosa. Spesso rileggiamo gli autori antichi, e scopriamo nuovi dettagli, acquisiamo dati particolari che prima non riuscivamo a notare. L'Università di Cagliari è impegnata in un progetto che va in questo senso e i laureandi lavoreranno fianco a fianco con disegnatori, ricercatori, fotografi e archivisti per cogliere nuove ipotesi di utilizzo dei materiali.
Il secondo punto segnalato in neretto riguarda l'autoreferenzialità dei docenti. Trovo scontato che questo accada. Ogni studioso si immerge nelle proprie convinzioni e segue determinate strade, cercando dati che avvalorino le proprie teorie. Qualora si dovesse verificare che i dati trovati portano a conclusioni differenti bisognerebbe avere il coraggio di cancellare le proprie convinzioni e seguire altre strade, ma ciò significherebbe ammettere di aver sbagliato. Poche persone hanno il coraggio di cospargersi il capo con la cenere e ricominciare daccapo, ma quelli che lo fanno...meritano rispetto e tutto l'incoraggiamento possibile.
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