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sabato 17 luglio 2010

Phoenike - Fenici in Sardegna - Golfo di Oristano - Othoca


Il Golfo di Oristano
Fu importante in età mediterranea e punica per le risorse agrarie e come via di accesso dal mare verso l’interno. Era controllato da tre città: Neapolis a sud, nel territorio di Guspini, Othoca al centro, nel territorio di Santa Giusta e Tharros a nord nel territorio di Cabras. Neapolis significa città nuova e Othoca indica città vecchia. La città più antica sarebbe Othoca, risalente al VIII a.C., poi Tharros e infine Neapolis dopo la conquista cartaginese. Ultimamente a Neapolis sono stati recuperati materiali dell’VIII a.C. e quindi anche questo centro potrebbe essere una fondazione mediterranea. Erano tre città indipendenti in seguito controllate da Cartagine.
Othoca
Si trova in corrispondenza del bacino lacustre dell’attuale Santa Giusta. Le ultime ricerche hanno arricchito i ritrovamenti nonostante il centro moderno sia sorto sopra il vecchio insediamento, che era sotto l’attuale Basilica di Santa Giusta, l’unico rilievo che svetta sulla piana. Sotto la cripta della chiesa sono state individuate negli anni Novanta delle strutture in parte attribuite ad età nuragica (quelle curvilinee), e in parte ad età punica (quelle rettilinee che si incontrano ad angolo retto). Nell'abitato, sulla collina dove si trova la basilica di Santa Giusta, ci sono tracce puniche, forse l'Acropoli. Nella zona del sagrato c'è una cortina muraria a doppio paramento con blocchi poligonali in basalto. All'esterno c'è un fossato e, fuori contesto, ci sono materiali arcaici (VIII a.C.) Nella stessa area, sotto la cripta, sono documentate strutture nuragiche di un villaggio e altre con materiali di età ellenistica (III a.C.). A fine 1800 sono stati trovati alcuni carnofòiri (bruciatori) con testa femminile, dedicati a Demetra, un culto introdotto in tarda età e proveniente dalla Sicilia. In via Foscolo è stato trovato un muro a L con blocchi di basalto attribuito alle fortificazioni arcaiche, come il muro del sagrato. Gli scavi degli anni Novanta nella parte settentrionale dell’abitato hanno permesso di individuare delle strutture che forse si riferiscono a fortificazioni o ad abitazioni. C’è stata continuità d’uso fino al medioevo e ciò che conosciamo meglio è la necropoli, ubicata nella zona sud di Santa Giusta, in corrispondenza della chiesa romanica di Santa Severa, lungo la via principale. Già nell’Ottocento furono scavate un gran numero di tombe, ma i materiali sono stati prevalentemente venduti. Solo pochi reperti sono stati esposti nei musei. Nel 1910, in occasione della costruzione dell’edificio dell’ex genio civile, vennero individuate una serie di sepolture e nel 1984 sono riprese le indagini quando, nel corso della sistemazione del giardinetto della chiesa di Santa Severa, la ruspa intercettò una grande tomba mediterranea a camera, costruita sul fondo di una fossa a 4 metri di profondità. Furono utilizzati grandi blocchi in arenaria perché il materiale litico non è presente a Santa Giusta, infatti il territorio è una piana alluvionale. É una tomba ricchissima, con oltre cento manufatti ceramici punici e di importazione, un piatto attico, gioielli, amuleti e strigi (strumenti in ferro ricurvi di tradizione greca utilizzati per detergere e cospargere d’olio gli atleti che partecipavano a giochi o frequentavano le palestre). Già qualche decennio fa fu trovata una tomba simile, dalla quale furono prelevati tanti materiali, in parte dispersi, ma quella tomba non è più stata rintracciata. Il pavimento è in lastre, i paramenti murari presentano delle nicchie e la copertura è costituita da 4 lastre poste di piatto. La tomba è stata in uso dal VII a.C. fino al IV d.C. ma alcuni studiosi ritengono che sia punica, visto che i materiali si datano prevalentemente dal V a.C. Il modulo d’accesso è scavato nel bancone alluvionale ma la forma dell’ingresso non è chiara perché la tomba risulta aperta più volte. Furono rinvenute delle pitture che purtroppo sono svanite poche ore dopo l’apertura a causa della luce e dell’aria che hanno rovinato velocemente l’intonaco non più sigillato. Pare ci fosse la rappresentazione di un cane e di un simbolo astrale colorato di nero. Le deposizioni erano ad inumazione, ad eccezione di un’incinerazione deposta all’interno di un’urna cineraria romana.

Nella stessa area, vicino alla chiesa, sono venute fuori tante tombe ma altre si trovano sotto le costruzioni attuali. La maggior parte sono mediterranee e romane perché probabilmente la necropoli punica è ubicata in un’altra zona. Le più antiche, del VII a.C., sono a fossa ad incinerazione secondaria con corredo formato da brocche panciute. Sono sempre coperte da lastre in arenaria sovrapposte. Il corredo è completato da brocche con orlo a fungo, coppe proto-corinzie, brocche trilobate, piatti, pentole ed elementi etruschi come i buccheri. In associazione ci sono oggetti d’ornamento e oggetti di importazione: anelli in argento, scarabei, amuleti e vaghi. A Santa Giusta è documentata anche l’incinerazione primaria, si nota dalla lunghezza e dalle tracce di bruciato, nonché dall’argilla delle pareti interne che risulta vetrificata dal calore. In due casi abbiamo tombe a cista litica con lastre poste a coltello, verticalmente. La maggior parte delle tombe sono del VI a.C. Le urne sono composte da vasi, a volte tagliati, con all’interno le ossa, il piatto e il pentolino. In qualche caso i sarcofagi punici sono andati a finire trasversalmente a precedenti tombe mediterranee, a dimostrazione della frequentazione assidua della zona. Le tombe puniche, quelle a partire dal V a.C., presentano prevalentemente dei sarcofagi. In un caso è stata rinvenuta una punta di lancia. Un grande sarcofago punico, lungo oltre due metri, è stato riutilizzato dai romani come luogo di incinerazione del defunto, si nota dalle bruciature laterali. I materiali presenti nel sarcofago sono stati spostati all’esterno per fare posto alle ossa del romano e al suo corredo.
Ci sono anche tombe infantili ad enkitrismos con corredo di braccialetti e altri materiali.
A Santa Giusta l’incinerazione è arrivata prima del resto della Sardegna, con tracce risalenti al VI a.C., forse a segnalare che l’influenza cartaginese arrivò precocemente. Questa ipotesi è rafforzata dalla presenza, in una tomba del VI a.C., di un rasoio, strumento tipico dei cartaginesi non presente in ambito mediterraneo arcaico.
In epoca romana si passò all’incinerazione entro urne formate da semplici pentole con coperchio, mentre più rare sono le tombe ad inumazione.
Dal 2005 sono iniziate le indagini subacque nello stagno. Già nel corso di scavi precedenti erano state ripescate delle anfore mediterranee e puniche con all’interno resti ovi-caprini di ossa macellate ma la soprintendenza ha deciso di approfondire l’indagine. I materiali erano sparsi in una vasta area e si è deciso di montare il cantiere in un’area limitata a 60 x 60 m, con delle maglie di 13 m di lato, per scendere in profondità. Purtroppo l’acqua non è limpida e solo di mattina si sono potute fare delle foto che hanno evidenziato la situazione. Con una pompa è stato asportato il sedimento e si è grigliato il materiale. La situazione archeologica ha mostrato la dispersione dei manufatti e si è notato che sotto un primo strato di fango di circa 50 cm c’erano decine di anfore sotto le quali si trovava uno strato di conchigliette. Sotto le conchiglie c’era un altro strato di fango e sotto di questo sono stati rinvenuti numerosi legni (di imbarcazioni e forse di qualche struttura), alcuni curvi e altri bruciati. Se i legni fossero rimasti in mare non si sarebbero conservati ma in questo caso la fauna ignivora non era presente perché gli strati erano sedimentati nel fango. All’interno delle anfore c’erano resti di animali, pesci e derrate alimentari: semi di uva, pigne intere, pinoli, semi di ciliegie, nocciole, olive, mandorle e altro. L’interpretazione di questo straordinario giacimento distante 600 m dalla riva pone problemi di natura morfologica perché sappiamo che il mare si è innalzato di oltre 2 metri negli ultimi 3500 anni e non sappiamo come fosse conformata la linea di costa. Certamente i materiali sono stati sepolti al massimo nel giro di qualche giorno, altrimenti le genti del luogo li avrebbero recuperati. Probabilmente si trattò di un evento alluvionale che ha provocato lo straripamento del Tirso con conseguente trascinamento dei materiali a valle. Forse una nave carica di anfore è affondata ed è stata portata lì dalla corrente. I materiali, venuti a contatto con il mare, non sono stati recuperati. Il contenuto delle anfore attesta attività di allevamento e di conservazione del pesce. Solo in Sardegna ci sono quel tipo di anfore e siamo dunque certi che la zona, in quell’epoca, svolgeva un ruolo economico importante. Solo a Olbia sono state trovate anfore con pesce, ma nella maggior parte degli scavi si trovano resti animali. Questo recentissimo ritrovamento è importante anche per conoscere la situazione faunistica di quel periodo, il VII a.C., perché si potrebbero datare i reperti entro un margine di 25 anni e scoprire razze che oggi sono estinte. Nel Mediterraneo sono stati trovati due relitti di navi antiche cariche di merci: una in Spagna, esposta al museo di Cartagena, e l’altra a Marsala. Con i ritrovamenti di Othoca si è scoperto che nelle anfore delle navi venivano trasportati, oltre il vino e l’olio, anche molti altri generi alimentari.
Nelle immagini di Sara Montalbano: Tharros.

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