Archeologia. Il Toro, un simbolo divino in Sardegna e nelle civiltà
a base agricola
di Enio Pecchioni e
Giovanni Spini
Prima di parlare della
Sardegna, ci sembra doveroso un rapido excursus per
mettere in evidenza l’importanza del toro nelle antiche culture mediterranee e
indoeuropee.
Nel 1851, Auguste Mariette
cominciò a scavare a Saqqara presso la piramide a gradoni eretta dal faraone
Zoser attorno al 2750 a.C., facendo una delle più straordinarie scoperte di
tutta la storia dell’archeologia: il cimitero sotterraneo dei tori Api.
Il toro rappresentava la forza
creatrice della natura, in particolare del Sole. Infatti, nelle raffigurazioni
in cui ci sono state tramandate le loro immagini, i tori portano il disco
solare tra le corna. Il toro Api si confonde anche con Osiride, il dio della
resurrezione dell’anima; questo animale aveva, perciò, molta importanza
nell’antico Egitto. Nel recinto sacro, a Saqqara, si teneva racchiuso, protetto
e adorato fino alla morte, un magnifico esemplare di toro che secondo la
leggenda dimagriva e ingrassava a seconda delle fasi lunari e aveva una
macchia bianca sulla fronte a forma di mezzaluna; al momento del trapasso,
veniva mummificato e sepolto con una solenne cerimonia alla quale partecipava
tutto il popolo. Ma subito, un nuovo toro lo sostituiva, a significare la
continuità della vita sulla terra. Il toro era venerato anche a
Cipro, in diverse località della Grecia continentale e nell’altopiano
anatolico. In tutti i paesi celtici l’animale rappresentava uno dei simboli
della regalità. Mitra, divinità di origine persiana, uccide il toro primordiale
affinché dallo spargimento del suo