Giove e la geometria
astronomica dei Babilonesi. Una scoperta che rivoluziona i libri di testo: per
calcolare la posizione di Giove gli studiosi dell'antica Babilonia usavano una
tecnica matematica che si riteneva sviluppata a Oxford solo nel XIV secolo
di Michael Greshko
La scoperta, pubblicata sulla
rivista Science, rivela che i babilonesi erano in grado di prevedere la
posizione in cielo del pianeta utilizzando figure geometriche come i trapezi.
Le tavolette infatti contengono istruzioni attraverso le quali, calcolando
delle aree di una specifica figura trapezoidale, si potevano determinare le
posizioni di Giove lungo l’eclittica per i successivi 60 e 120 giorni, a
partire da un determinato giorno in cui il pianeta faceva la sua comparsa
appena prima dell’alba, come stella del mattino. Una scoperta stupefacente, che
ci obbliga a riscrivere i libri di storia: finora infatti si riteneva che
questa tecnica fosse stata inventata a Oxford, in Inghilterra, oltre un
millennio dopo.
I ricercatori sanno da tempo che gli antichi Babilonesi, che abitavano l'attuale Iraq, possedevano notevoli conoscenze matematiche: erano in grado ad esempio di calcolare con un buon livello di
approssimazione I ricercatori sanno da tempo che gli antichi Babilonesi, che abitavano l'attuale Iraq, possedevano notevoli conoscenze matematiche: erano in grado ad esempio di calcolare con un buon livello di
la radice quadrata di 2 e
utilizzavano il teorema di Pitagora già un millennio prima della nascita del
matematico greco che gli ha dato il nome, quasi 4.000 anni fa.
Erano anche astronomi di talento, che riuscivano a documentare con le osservazione notturne fenomeni come il passaggio della cometa di Halley, e ricorrevano ai calcoli aritmetici per le loro previsioni astronomiche.
Nessuno però finora si era imbattuto in un calcolo astronomico babilonese che testimoniasse la loro straordinaria conoscenza della geometria pura. Ci è riuscito Mathieu Ossendrijver dell'Università Humboldt di Berlino, dopo aver trascorso 13 anni cercando di decifrare "quattro bizzarri calcoli sui trapezi” risalenti a 2.000-2.400 anni fa.
Ossendrijver è stato il primo ad accorgersi che le tavolette, conservate al British Museum fin dal 1880 circa - avevano a che fare con Giove. Ma senza conoscere il modo il cui i Babilonesi codificavano alcune posizioni del pianeta, come la sua comparsa all'orizzonte, quelle iscrizioni sembravano non avere alcun senso.
Alla fine però Ossendrijver è riuscito a trovare nella sterminata collezione del museo una tavoletta intatta e non ancora decifrata che descriveva l'intero movimento di Giove nel cielo, consentendogli così di ricostruire anche il significato delle altre tavolette.
Le sue traduzioni rivelano che gli astronomi babilonesi ricorrevano ai trapezi per rappresentare in maniera astratta velocità, tempo e posizione. Per scoprire la distanza coperta dal pianeta tra un avvistamento e l'altro, ad esempio, i babilonesi misuravano l'apparente velocità nel cielo durante ogni avvistamento, ne calcolavano la media, dopodiché moltiplicavano la velocità media per il tempo trascorso tra un avvistamento e l'altro. Le tavolette mettono in relazione diretta questa formula con il calcolo dell'area del trapezio, con i lati che rappresentano le velocità e il tempo trascorso.
Le conoscenze dei Babilonesi oscurano quelle degli astronomi greci ed egizi loro contemporanei, ma quel che è più sorprendente, rispecchiano in maniera sbalorditiva il teorema della velocità media sviluppato da un gruppo di matematici inglesi nel XIV secolo noto come gli Oxford Calculators (i calcolatori di Oxford), quasi tutti iscritti al Merton College di Oxford e perciò soprannominati la Scuola di Merton.
La scoperta delle tavolette rappresenta probabilmente solo la punta di un iceberg matematico. “Ci sono migliaia di tavolette disseminate nei musei che non sono mai state tradotte”, dice Ossendrijver. “Non solo: spesso siamo in grado di tradurle ma di comprenderne il significato solo in un momento successivo".
Erano anche astronomi di talento, che riuscivano a documentare con le osservazione notturne fenomeni come il passaggio della cometa di Halley, e ricorrevano ai calcoli aritmetici per le loro previsioni astronomiche.
Nessuno però finora si era imbattuto in un calcolo astronomico babilonese che testimoniasse la loro straordinaria conoscenza della geometria pura. Ci è riuscito Mathieu Ossendrijver dell'Università Humboldt di Berlino, dopo aver trascorso 13 anni cercando di decifrare "quattro bizzarri calcoli sui trapezi” risalenti a 2.000-2.400 anni fa.
Ossendrijver è stato il primo ad accorgersi che le tavolette, conservate al British Museum fin dal 1880 circa - avevano a che fare con Giove. Ma senza conoscere il modo il cui i Babilonesi codificavano alcune posizioni del pianeta, come la sua comparsa all'orizzonte, quelle iscrizioni sembravano non avere alcun senso.
Alla fine però Ossendrijver è riuscito a trovare nella sterminata collezione del museo una tavoletta intatta e non ancora decifrata che descriveva l'intero movimento di Giove nel cielo, consentendogli così di ricostruire anche il significato delle altre tavolette.
Le sue traduzioni rivelano che gli astronomi babilonesi ricorrevano ai trapezi per rappresentare in maniera astratta velocità, tempo e posizione. Per scoprire la distanza coperta dal pianeta tra un avvistamento e l'altro, ad esempio, i babilonesi misuravano l'apparente velocità nel cielo durante ogni avvistamento, ne calcolavano la media, dopodiché moltiplicavano la velocità media per il tempo trascorso tra un avvistamento e l'altro. Le tavolette mettono in relazione diretta questa formula con il calcolo dell'area del trapezio, con i lati che rappresentano le velocità e il tempo trascorso.
Le conoscenze dei Babilonesi oscurano quelle degli astronomi greci ed egizi loro contemporanei, ma quel che è più sorprendente, rispecchiano in maniera sbalorditiva il teorema della velocità media sviluppato da un gruppo di matematici inglesi nel XIV secolo noto come gli Oxford Calculators (i calcolatori di Oxford), quasi tutti iscritti al Merton College di Oxford e perciò soprannominati la Scuola di Merton.
La scoperta delle tavolette rappresenta probabilmente solo la punta di un iceberg matematico. “Ci sono migliaia di tavolette disseminate nei musei che non sono mai state tradotte”, dice Ossendrijver. “Non solo: spesso siamo in grado di tradurle ma di comprenderne il significato solo in un momento successivo".
Fonte: http://www.nationalgeographic.it
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