Archeologia. Due relitti dell'età del Bronzo carichi di metalli: Capo Gelidonya e Dokos.
Articolo di Pierluigi Montalbano.
Il relitto di Capo Gelidonya è un’imbarcazione
dell’Età del Bronzo, identificata da pescatori di spugne alla fine degli
anni Cinquanta del secolo scorso. La campagna di scavi subacquei fu condotta da Peter Throckmorton e George
Bass nell’area di Gelidonya, un promontorio della penisola di Teke,
nell’Anatolia meridionale, che separa la baia di Finike a ovest, dal Golfo
di Antalya a est, e portò alla luce un relitto adagiato su un fondale roccioso ai piedi di
una scogliera, a 25 metri di profondità. Il carico presentava importanti tracce di corrosione e concrezione,
suggerendo allo staff di spostare tutto in superficie e iniziare le
operazioni
di pulitura e restauro. L’affondamento dello scafo avvenne nel 1300 a.C.,
datazione stabilita con il metodo del radiocarbonio effettuato su due vasi in
stile miceneo IIIB in
buono stato di conservazione. Il carico comprendeva 40 lingotti d’oro di 20 kg ciascuno,
contrassegnati da marchi di fonderia, 30
lingotti di bronzo discoidali, 20 a barra lunga e 4 lingotti di stagno. Inoltre, c’erano
centinaia di utensili come asce, picconi, scalpelli e lame, tutti in cattivo stato, forse destinati alla
rifusione, come suggerisce il ritrovamento di strumenti per la lavorazione del
metallo. Alcuni oggetti del carico forniscono indizi sulla provenienza
dell’equipaggio perché quattro scarabei, una targa scarabeo a forma di lampada
a olio, e una serie di mortai in pietra di tipologia cananea, suggeriscono una
provenienza dalle città costiere della Siria meridionale e del Libano,
confermando che la rotta che passava per le coste meridionali anatoliche aveva
nella città di Ugarit un porto privilegiato.
Il relitto dell’isola di Dokos,
nel Mar Egeo, si trova a circa 60 miglia a est di Sparta, nel Peloponneso.
Tra le tante testimonianze di frequentazioni antiche le sue acque ospitano i
resti di un naufragio considerato il più antico conosciuto dagli archeologi,
che risale alla fine del III Millennio a.C., un periodo in cui iniziava l’uso
del bronzo e i contatti con le popolazioni vicine sono testimoniati dalle
tecniche condivise di lavorazione sviluppate nell’Anatolia occidentale. Dai
ritrovamenti in mare si presume che esistessero contatti culturali con gruppi
etnici sparsi nel Mediterraneo. Importanti siti, risalenti a quel periodo, sono
stati ritrovati concentrati sulle sponde egee della terraferma in Beozia e in
Argolide (Manika, Lerna, Pefkakia, Tebes, Tiryns) e sulle isole costiere
di Aegina (Kolonna) e Eubea (Lefkandi). Una caratteristica comune era la
fabbricazione di ceramiche con forme e decorazioni influenzate da forti influenze
stilistiche dell’Anatolia occidentale e realizzate con rudimentali torni. I
resti del naufragio si trovano a 25 metri di profondità, vicino all’isola di
Dokos (Aperopia) nel Mar Egeo. Il carico, scoperto nel 1975 da Peter
Throckmorton, era composto di centinaia di vasi d’argilla e altri manufatti.
Tutto iniziò nel 1959 con la scoperta del relitto di Capo Gelidonya, Turchia, quando
Throckmorton, insieme all’archeologo subacqueo George Bass, proposero di
iniziare lo scavo del relitto con le stesse metodologie impiegate negli scavi
terrestri. Bass fu nominato direttore dello scavo, mentre a Throckmorton fu
affidata l’organizzazione della squadra di ricerca. Con le Soprintendenze greche, nel
1975 e nel 1977, i due studiosi effettuarono nuove ricerche che portarono a una
datazione più accurata del sito, concludendo che si trattava del relitto navale
più antico mai scoperto, datato al 2200 a.C.. Dopo la sua scoperta, il sito fu
scavato dall’archeologo Papathanasopoulos, alla fine degli anni Ottanta del secolo
scorso. Fu utilizzato un nuovo sistema, la Sonic High Accuracy Ranging e
Positioning, ideale per tracciare e mappare i reperti subacquei nei fondi
marini irregolari. Questo strumento era in grado di produrre immagini del fondo
marino con estrema accuratezza, ed è stato confermato il periodo risalente a
quello elladico. Furono portati alla luce oltre 15000 manufatti in
ceramica che furono trasportati al Museo Spetses per essere studiati e
conservati. Fra questi, spiccano gli oltre 500 vasi d’argilla prodotti in
Argolide e destinati al commercio con i piccoli villaggi costieri attorno al
Golfo di Argos e al Mar di Myrtoan. La nave presentava una serie di lingotti di
piombo, una grande varietà di anfore, bracieri, vassoi da forno, askoi, pithoi
e utensili da uso comune come stoviglie, tazze e salsiere, simili a quelle trovate
ad Askitario in Attica, a Lerna e nelle Cicladi. La rotta ricostruibile
attraverso i reperti portava dall’Eubea meridionale verso Saron e l’Argolide. Nella
nave c’erano anche due ancore in pietra forate, forse abbandonate prima del
naufragio.
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