Archeologia. L’alba della Civiltà Nuragica, in Sardegna compaiono i primi nuraghi.
Articolo di Pierluigi Montalbano
La Civiltà
Nuragica, quella che costruì i nuraghi, si sviluppò in Sardegna
durante tutta l’età del Bronzo, dal XVII al X a.C., e continuò poi per altri 5
secoli, attuando una serie di profondi cambiamenti sociali, in un periodo in
cui i sardi non costruivano più torri. Il substrato che consentì il suo
sviluppo si andò formando sul finire del III Millennio a.C., quando la cultura
locale, conosciuta come facies Monte Claro, fu fortemente influenzata dalle
genti del Vaso Campaniforme, portatori d’innovazioni importanti quali
l’architettura dolmenica, nuove tecnologie per la fusione dei metalli e una
forte specializzazione nell’uso delle armi. All’inizio del II Millennio a.C. i
sardi si dedicavano ad attività agricole, alla pastorizia, alla pesca e alla
filiera dei metalli, soprattutto rame e argento. Fino a quel periodo le
architetture dei vivi erano costituite da piccoli edifici nei quali vivere e
svolgere le
attività quotidiane. I sepolcri erano di due tipologie: le Domus de
Janas, già in uso fin dal Neolitico, e le Tombe di Giganti, evoluzione delle
tombe a galleria introdotte dalla metà del III Millennio a.C. dalle genti della
cultura Monte Claro. Le tracce più antiche di questa Civiltà sono da ricercare
nella cultura Bonnannaro, alla fine del Bronzo Antico, un periodo in cui si
notano ceramiche povere, prive di decori, portate alla luce prevalentemente in
siti funerari. Per circa un secolo, si nota un decremento demografico, e
l’abbandono sistematico dei villaggi, forse a causa di un cambiamento
climatico, o per i conflitti territoriali dovuti alla carenza di cibo. E’ in
questa fase che iniziano a comparire le prime armi metalliche, con forme
derivate dai pugnali dell’età del Bronzo. Nelle fasi successive, denominate Sa
Turricula e Sant’Iroxi, i sardi introducono le leghe, mescolando al rame
piccole quantità di arsenico per indurire il metallo. Il secolo seguente, alla
fine del XVII a.C., si giunge alla lega di bronzo, con lo sviluppo e la rapida
evoluzione di tutte le attività legate alla produzione di oggetti di bronzo. L’isola,
ricca di miniere, ben presto iniziò a collaborare con i popoli che si
affacciavano nel Mediterraneo alla ricerca di metalli. E’ l’epoca dei primi grandi
edifici nuragici, denominati nuraghi a corridoio, bastioni in pietra alti dai 5
agli 8 metri, con ingressi a sezione quadrangolare, provvisti di un corridoio
interno, una scala per salire sul tetto e caratterizzati da piccoli vani a
pianta irregolare, utili per riporre attrezzi e oggetti funzionali alle
attività svolte nel nuraghe. In queste strutture si nota l’imponente massa
muraria che prevale con decisione sugli spazi interni sfruttabili. Si conoscono
un migliaio di questi nuraghi a corridoio, nelle loro varie tipologie evolutive,
ma si deve aspettare fino al XV secolo a.C. per vedere le prime torri svettare
sul panorama sardo. Inizialmente c’è un’evoluzione delle strutture con la copertura
a doppio spiovente, sempre in pietra, che sostituisce quella a lastre
orizzontali. In questo modo, con la tecnica denominata ad aggetto, era
possibile elevare di qualche metro il nuraghe e ampliare lo spazio interno. Mentre
la funzione dei nuraghi a corridoio è prevalentemente quella di circondare il
territorio di pertinenza di una comunità, con scopi evidentemente legati alla
protezione della vallata, del corso d’acqua, dei terreni coltivati e del
villaggio, i nuovi edifici mostrano caratteristiche che fanno pensare a un
utilizzo misto, con funzioni religiose e sociali che si mescolano
indissolubilmente con quelle di “segni indelebili del possesso di un territorio”.
Il materiale da costruzione è generalmente la pietra locale, ma si nota la
presenza di pietre “speciali” poste in punti cospicui dell’edificio, ad esempio
l’architrave dell’ingresso. I sardi nuragici arrivano presto ad aggiungere
torri a quelle già in essere, unendole con poderose mura e bastioni, e a
specializzare una forma più rotondeggiante delle camere interne, con il
vantaggio di poter elevare l’altezza degli edifici, giungendo facilmente a
superare i 10 metri. Verso la metà del XIV a.C. le torri sono ormai maestose,
con camere interne perfettamente circolari, ingressi tronco ogivali e massi
sbozzati con cura per favorirne il posizionamento nelle pareti e consentire di
lo sviluppo di una struttura elicoidale tronco conica che punta verso l’alto.
All’interno, il soffitto a tholos rende il nuraghe assai bello da vedere. In
questo periodo, siamo nel 1300 a.C., c’è la svolta architettonica, nella quale
si notano tutte le abilità ingegneristiche, progettuali ed esecutive dei sardi:
la sovrapposizione di torri. Nascono maestosi edifici che vedono fino a tre
torri montate una sull’altra, in uno sforzo edilizio unico al mondo. Si
superano i 20 metri di altezza e, in qualche caso, si arriva a sfiorare il
tetto dei 30 metri, come nel caso del nuraghe Arrubiu di Orroli e del Santu
Antine di Torralba. Questi prodigiosi nuraghi che sfidano le leggi della
statica, furono per millenni i più alti edifici vivibili del pianeta, secondi
solo alle piramidi che, però, non consentono la vita all’interno. Nei nuraghi è
sempre presente l’acqua, con cisterne che garantivano la possibilità di
utilizzo autonomo per brevi periodi. Le tecniche costruttive dei maestri
artigiani sardi precedono di qualche decennio quelle, più celebri, delle tholos
micenee e dei corridoi a sesto acuto di Tirinto e Hattusa, e testimoniano
relazioni culturali fra la Civiltà Nuragica e quelle prospicienti il Mar Egeo.
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