Archeologia. Per una nuova
interpretazione del sito prenuragico di Monte Baranta a Olmedo (SS).
Riflessioni di Gustavo
Bernardino
Sulla natura funzionale del
sito archeologico di Monte Baranta esistono contrapposte interpretazioni, come
nel caso, forse più eclatante di un articolo del 20/06/2006 (Apparso sulla rivista Maymone) in cui gli autori Sandro
Angei, Gigi Sanna e Stefano Sanna,
contestano i risultati di uno studio realizzato da Alberto Moravetti.
Mentre quest’ultimo privilegia l'aspetto difensivo/militare del complesso
megalitico, i tre autori, appassionati di storia sarda, prediligono quello
religioso/astronomico. Con questo lavoro s’intende proporre una terza ipotesi
che risulta essere la somma delle altre due e consente una lettura più completa
del complesso.
Partendo dall’analisi del
nome, che ancora oggi appare misterioso, ci troviamo di fronte alla esigenza di
capirne il significato, da chi per primo
e perché è stato usato?
La soluzione potrebbe
apparire semplice, infatti BARANTA in lingua sarda significa quaranta ma perché
chiamare un monte con un numero? Sembrerebbe bizzarro, eppure è proprio così ma
dietro al numero c'è un
altro significato ben più importante.
Andando a cercare nei testi
giusti, si può venire a capo dei tanti misteri che ancora circondano i nostri
monumenti più belli, maestosi e caratteristici di un periodo della nostra
storia affascinante: l'epoca Nuragica.
Molte volte gli accadimenti
della vita, nascono da circostanze fortuite che non si possono attribuire che
alla casualità. In questo caso, la casualità è stata la partecipazione ad un
seminario.
Qualche mese fa, Pierluigi
Montalbano fondatore dell’Associazione culturale Honebu, ha organizzato un
seminario in occasione del quale il prof. Andrea Deplano ha illustrato il
risultato di un suo lavoro riguardante il “Canto a tenore” materia nella quale,
grazie ai suoi studi, è diventato un’autorità assoluta. Il prof. Deplano è
riuscito a tradurre (con l'aiuto del glottologo Salvatore Dedola) la parte di
un canto di Dorgali, che dopo la traduzione risulta essere un inno ad una
divinità.
La cosa fondamentale per
capire il senso di questa narrazione è che la lingua utilizzata per la
traduzione è il sumerico/accadico. Dunque esiste la possibilità di dimostrare
la presenza di popolazioni mesopotamiche nella nostra terra anche grazie
all'utilizzo della loro lingua e quindi non resta che individuare altre prove
per certificare la validità della tesi.
La curiosità, dopo aver
appreso questa notizia, è stata tale da indurre a cercare nuovi indizi per
stabilire ulteriori collegamenti con “La mezzaluna fertile”.
30 40 100 91 sembrerebbe a
prima vista una banale quaterna da giocare al Lotto, ma guardata con attenzione
si capisce che gli ultimi due numeri non sono proponibili per il Lotto. In
realtà, questa sequenza numerica viene utilizzata per stabilire il ritmo
musicale de “Su ballu torrau”.
Dietro i numeri, però, si nasconde un'altra verità. Ciascuno
di loro, infatti, cela un segreto che ora è forse possibile decifrare. Così
come hanno fatto Deplano e Dedola per il canto facendo riferimento alla lingua
sumerico/accadica, per capire il vero significato della sequenza numerica, è
necessario introdursi nei meandri della storia di quelle popolazioni per
carpirne i segreti delle loro usanze culturali e religiose.
Meno male che esistono gli
esperti e gli studiosi che permettono, attraverso i loro lavori di ricerca, di
venire a capo dei problemi.
Il prof. Luigi Cagni, che di
sumerologia si intendeva assai, aiuta a capire buona parte della sequenza.
Infatti, leggendo una delle
sue tante opere (La religione Mesopotamica in “Storia delle
religioni” di G. Filoramo “Enciclopedia del sapere” pag. 132) si
scopre che il numero 40 corrisponde alla divinità Enki/Ea (dio DELL'ACQUA) mentre il numero 30 corrisponde al dio Sin (dio della Luna), da altre fonti
apprendiamo invece che il numero 100 rappresenta i ME le regole divine
(i comandamenti) ed infine il 91 rappresenta il tempio (la ziqqurat
“Torre di Babele” aveva, infatti, una base quadrata di 91 metri di lato). Si
tratta quindi di una sequenza di carattere religioso e conseguentemente il
ballo doveva essere di corredo ad un rito sacro.
In effetti, per i Sumeri “....i
simboli più astratti della divinità erano i numeri. Anu(m) il dio sommo era il
numero 60, ossia il numero più alto del sistema sessagesimale
mesopotamico; Enlil era il 50 ecc. Con il simbolo numerico comunemente
usato nei testi al posto del nome proprio del dio, costituente pertanto un vero
logogramma- veniva assegnato alla divinità un preciso rango nella gerarchia
divina.” (tratto dalla stessa opera)
Ma in lingua sarda il numero 40
come detto, si dice baranta.
Allora può esserci un
collegamento tra il nome del sito e i Sumeri?
Prima di tutto, occorre
chiedersi se esistano prove, archeologicamente documentate, di reperti di
provenienza mesopotamica.
La risposta non può che
essere positiva vista la presenza di un reperto dell'importanza notevole come
quello della ziqqurat di Monte d'Accoddi ed inoltre i bronzi di Sardara, i
toponimi SINnai, SINdia, SINiscola, Uta (UT), Samassi (Šhamaš Dio Sole), Uri, l'antroponimo FARA (la città
famosa per gli archivi amministrativi )ecc. A ciò è da aggiungersi, ma in modo
necessariamente dubitativo, il sito
archeologico di Monte Baranta, che presenta elementi costruttivi “…
totalmente differenti da quelli riscontrati in altri monumenti del luogo...” (Alberto Moravetti “Il complesso prenuragico di Monte Baranta)
. Questi elementi sono, forse, più compatibili con le costruzioni megalitiche
mesopotamiche? E' possibile che la civiltà nuragica sia nata a seguito
dell'integrazione avvenuta tra popolazioni provenienti dal Mediterraneo
orientale e quelle autoctone? Non è certamente facile rispondere ma di sicuro
esistono alcuni presupposti che consentono di ritenere plausibile una
risposta affermativa.
Il Monte Baranta dunque
sarebbe un luogo sacro, un tempio dedicato al dio dell'acqua. L'importanza di
questo elemento, che in effetti è presente in abbondanza nell'area, con il Rio
Sardino–Su Mattone a carattere permanente ed il Rio Medadu più stagionale, era
rilevante per la sopravvivenza degli abitanti e degli animali. Anche i nomi di
questi corsi d'acqua farebbero pensare alla lingua sumero/accadica, ma qui
entriamo nel campo della glottologia..
Per quale motivo una
popolazione avrebbe dovuto destinare risorse ingenti per la costruzione di un
tempio, la realizzazione di un abitato di così grande rilevanza, con uno scopo
difensivo in un'area apparentemente insignificante, lontana dalla costa e senza
un evidente valore economico? La risposta è estremamente facile se si pensa al
valore che avevano allora i metalli. Certo valevano l'oro e l'argento perché si
potevano realizzare monili e altri oggetti che consentivano ai possessori di
ostentare ricchezza e appartenenza alle classi sociali più alte, ma valevano
molto anche il rame col quale si producevano le armi e con esse si
conquistavano i territori e si sottomettevano intere popolazioni ed altri
minerali.
I minerali quindi, potrebbero
essere l'origine della nascita di Monte Baranta.
Tutta la vasta area che parte
dalla costa con il porto Argentiera, fino a Osilo con i suoi importanti
minerali tra i quali il quarzo Ametista, la si può considerare un'area di
indubbio interesse per le popolazioni che cercavano i minerali come fonte di
commercio. Quindi è ancor più evidente l'importanza dell'acqua che serviva in
quantità notevole, soprattutto per il lavaggio del minerale per cui è
comprensibile la sua divinizzazione con il numero 40 ovvero
ENKI/EA.
C'è da aggiungere, alla luce
delle considerazioni fatte e delle novità emerse, che appare verosimile che il
villaggio nuragico di S. Caterina dentro l'abitato di Uri, possa essere stato
edificato ed abitato da genti provenienti dalla città di Ur (da cui il nome
Uri) proprio in funzione della ricchezza di minerali pregiati della zona.
http://maimoniblog.blogspot.com/2016/06/monte-baranta.html?showComment=1534172346097&m=1#c8444120924281527310
RispondiElimina(2016, non 2006)
Buon Ferragosto Pierluigi