martedì 28 marzo 2023

Sardegna, una storia millenaria, il nuovo libro di Pierluigi Montalbano. Recensione di Felice di Maro.

Sardegna, una storia millenaria, il nuovo libro di Pierluigi Montalbano.

Recensione di Felice di Maro



In stampa, un nuovo libro di oltre 200 pagine, arricchito con 116 foto a colori in alta definizione di Sergio Melis, Nicola Castangia, Maurizio Cossu, Fabrizio Bibi Pinna, Natalia Guiso (Naty Guì) e Cesare Fronteddu. Strutturato in 8 capitoli: Paleolitico, Neolitico, Età del rame, Civiltà Nuragica, Età del ferro, Arte, Navigazione e approdi, Attività produttive. Sarà disponibile in libreria, nei principali siti archeologici, nella sede Honebu e on line presso Feltrinelli, Mondadori, Ibs, libreria universitaria, amazon o direttamente dall'editore Capone. A breve saranno organizzate presentazioni presso associazioni e comuni.

Pierluigi Montalbano, Sardegna - Una storia millenaria, Capone Editore 2023 

Sulla Sardegna abbiamo un nuovo libro che presenta le fasi dalla preistoria all’età del ferro. Analizza la storia millenaria di un’isola che, obiettivamente, è sempre stata popolata, con i vari aspetti che hanno caratterizzato tanto il «vivere insieme» quanto la «cultura materiale» e, legate a quest’ultima, troviamo quelle delineazioni dei saperi, compreso quello, molto caratteristico, del «saper fare» dei primi abitanti della Sardegna. Al riguardo basta osservare le  Domus de Janas, i nuraghi, le varie tombe e quell’insieme dei processi che hanno dato un senso esistenziale alle

attività di quei primi gruppi umani che abitarono l’isola. L’Autore è Pierluigi Montalbano, Direttore dell’Associazione Honebu e del Quotidiano Honebu di Storia e Archeologia.

Per cogliere i significati che si evidenziano in questa pubblicazione, penso che sia opportuno presentare le tematiche che vengono esaminate seguendo una delle dichiarazioni dell’Autore presenti nell’introduzione del libro, p.3:

«ci si è basati sugli studi più aggiornati, senza mai perdere di vista il più ampio contesto europeo e mediterraneo: le diverse forme di insediamento nel corso dei secoli, i modi in cui le comunità si procuravano e producevano cibo, i mutamenti della dieta alimentare, la varietà delle attività produttive, la divisione dei compiti e i ruoli sociali in base al genere e all’età, gli aspetti dell’organizzazione sociale, i rituali e le pratiche funerarie e cultuali, il variegato mondo delle espressioni simboliche, i contatti e le reti di scambio nell’isola e oltremare».


È un’opera importante perché, come sappiamo, l’archeologia sarda non è stata sempre all’attenzione dei media specialistici della cultura, e naturalmente, e parlo in generale s’intende, al riguardo però è da notare che mentre i processi degli studi scientifici non sono mai stati interrotti, quelli collegati alla divulgazione scientifica spesso sono stati non adeguati, anzi, a volte quasi assenti, nonostante che la Sardegna abbia un patrimonio considerevole di aree archeologiche con monumenti che hanno caratteristiche, soprattutto architettoniche, tra le più antiche del Pianeta Terra. Sarà bene, prima di presentare in sintesi alcune delle articolazioni del libro sulle quali desidero presentare delle osservazioni, esporre alcuni dati che ritengo siano necessari per cogliere il quadro discorsivo di questa recensione, e sono anche importanti per mettere meglio a fuoco le relazioni tra i significati che avrà questo libro che si pone tra le opere di diffusione scientifica dell’isola e, come io penso, il peso culturale che ha in sé che è davvero notevole.   

La Sardegna si trova tra il 41º e il 39º parallelo, il 40º la divide quasi a metà, ed occupa nel Mediterraneo una posizione strategica in quanto verso la penisola italiana ad Oriente, e quindi in direzione della Grecia e delle coste dell’Asia è stato possibile, almeno fin dalle fasi micenee in riferimento alle documentazioni degli  archeologici, percorrere agevolmente in navigazione, e obiettivamente sotto costa.

È stato possibile anche seguendo le varie rotte frequentare i vari scali commerciali del Mediterraneo, ma è situata nel Mediterraneo occidentale e il suo territorio coincide con l'arcipelago sardo, costituito quasi interamente dalla stessa isola di Sardegna e da un considerevole numero di piccole isole e arcipelaghi circostanti che nell’insieme rappresentano un’area con un popolamento che è sempre stato ben articolato a partire dalla preistoria.

Una caratteristica importante da considerare in funzione del suo popolamento è la lunghezza tra i suoi punti più estremi, quali Punta Falcone a nord e Capo Teulada a sud che è di 270 km, mentre 145 sono i km di larghezza, da Capo dell'Argentiera a ovest e Capo Comino a est. A nord, soltanto 11 km con le Bocche di Bonifacio la separano dalla Corsica mentre il Mari di Sardegna la separa a ovest dalla penisola Iberica e dalle isole Baleari, mentre soltanto 178 Km, tra Capo Spartivento e Cap Serrat la separano con il Canale di Sardegna dalle coste tunisine del continente africano.

Si tenga conto che più dell'80% del territorio è montuoso e collinare ed il 68% è formato da colline e da altopiani rocciosi per un'estensione complessiva di 16 352 km², l’altimetria media è di 334 s.l.m., le montagne costituiscono il 14% del territorio per un'estensione complessiva di 3 287 km² e quindi è un territorio in prevalenza alquanto complesso ma ha anche aree pianeggianti con terre fertili. Ha un paesaggio naturale che complessivamente presenta quindi profili montuosi, ma con delle macchie arboree e foreste, nonché stagni e lagune, con torrenti dinamici che formano gole e cascate, Inoltre, ha, ed è una caratteristica ben nota, lunghe spiagge sabbiose con scogliere frastagliate e falesie a strapiombo.

Questi, in estrema sintesi, sono i dati dell’orografia della Sardegna che fanno pensare che gli abitanti in antico vivendo in un ambiente naturale obiettivamente equilibrato tra monti e mare e anche tra tratti di aree pianeggianti e zone collinose probabilmente non si ritenevano che fossero abitanti di un’isola anche considerando che la Sardegna poteva essere unita con la Corsica. Al riguardo, questa è un’ipotesi almeno come io ho colto (da, La fauna sarda e la flora nel Paleolitico, p.11) ed è importante considerare che la distanza dall’Italia è di soltanto 188 Km tra Capo Ferro e Monte Argentario, ma un altro dato è da considerare con maggiore attenzione e riguarda la sua superficie complessiva dell’isola che è di 24100 km² e si tratta di un’area che è notevole per estensione tanto che è classificata la seconda isola del Mediterraneo dopo la Sicilia, ed è la terza regione italiana, dopo la Sicilia e il Piemonte. La sua posizione strategica è stata sempre una ricchezza a livello di mobilità marittima nel Mediterraneo insieme ai minerali presenti sull’isola che hanno favorito fin dall'antichità attività di produzione alle quali è legato lo sviluppo del suo popolamento in riferimento ai noti traffici commerciali e, naturalmente, ai scambi culturali con gli altri  popoli del Mediterraneo.

Il quadro geomorfologico della Sardegna, qui sommariamente presentato, è quello che, obiettivamente, Montalbano ha avuto come quadro orografico generale di riferimento per questa pubblicazione che ha per titolo, Sardegna, una storia millenaria, che non è soltanto il titolo di una descrizione generale dell’archeologia della Sardegna dalla preistoria all’età del ferro, ma è anche il titolo di un’analisi in profondità sui siti archeologici che l'autore ha fatto in questi anni. Ricordo che con l’associazione Honebu ha presentato, in diretta Facebook, vari scavi realizzati da archeologi impegnati sull’archeologia della Sardegna, e lui stesso è stato relatore su tematiche storico-archeologiche sulla Sardegna e le altre aree archeologiche del Mediterraneo.

Il libro, però, è anche una guida che presenta un un itinerario da percorrere in quanto, anche se non è esplicitato, è tutto il contesto che lo evidenzia, anche se, obiettivamente come io colgo, si presenta alquanto idealizzato e soltanto un programma di ricognizioni, in diretta Facebook, sia chiaro, potrebbe concretizzarlo per coloro che non risiedono in Sardegna.

Sia chiaro, con la lettura del libro che presenta i siti archeologici della Sardegna, non solo in maniera descrittiva ma anche analiticamente, troviamo in un capitolo, il sesto, i reperti archeologici mobili portati alla luce nelle varie aree archeologiche che, secondo me, costituiscono le tappe dell’itinerario complessivo dell’archeologia della Sardegna. I lettori lo noteranno leggendo i vari capitoli, e noteranno che sono tra di loro collegati e costituiscono una catena di significati storico-archeologici e artistici.

È il caso di dire che il libro si legge facilmente in quanto presenta sì, una descrizione rigorosa di dati e osservazioni, ma queste non sono soltanto in funzione del quadro archeologico dei siti, che è corredato da belle foto di paesaggi, di aree archeologiche e dei monumenti più importanti ma, questo lavoro di Montalbano, si presenta con un linguaggio che è quello delle divulgazioni scientifiche pur se non appesantito da termini prettamente scientifici e di difficile comprensione. L’insieme degli 8 capitoli, oltre l’introduzione, presenta nell’insieme un corpus editoriale che in generale non troviamo nelle pubblicazioni che trattano la storia e l’archeologia di un territori, e ciò rappresenta un valore aggiunto in progressiva evoluzione dinamica, in funzione della/e lettura/e che si fanno e che, attenzione, ricordiamolo, vanno fatte progressivamente su ogni capitolo, in quanto la descrizione dell'archeologia della Sardegna è arricchita da importanti digressioni interne ai vari capitoli, anche sulle nuove tecnologie adoperate negli scavi archeologici.

Nell’insieme, il libro si presenta in linea con le nuove tendenze di divulgazione scientifica, che sappiamo essere sempre più raffinate e in evoluzione, funzionalmente legate ai processi di elaborazione scientifica dell’archeologia. Un esempio eloquente è rappresentato dall’attenzione di Montalbano sui resti dei pasti e della flora e della fauna che gli archeologi hanno documentato con i loro scavi: si tratta di un nuovo modo di vedere l’archeologia che va oltre la tradizionale visione riferita alla cultura materiale studiata in senso statico, come avviene quando si osservano solo i manufatti. Al riguardo, Montalbano spiega la funzione del polline, ossia quel pulviscolo giallo o arancione prodotto dalle piante che si deposita, come sappiamo, sulle antere dei fiori e che contiene le microspore che fecondano gli ovuli. Ecco un breve passo:

«è oggi la migliore fonte di informazioni sui cambiamenti della vegetazione avvenuti nel passato. Le indagini archeobotaniche sui semi, frutti, carboni e altri micro-resti di piante, forniscono la testimonianza di come le risorse vegetali fossero usate in ciascun sito come combustibile, materiale da costruzione, produzione di stuoie, sostanze alimentari o medicamentose (da, La fauna sarda e la flora nel Paleolitico, p.12)».

Tutto questo sul piano delle innovazioni delle tecniche di scavo archeologico, ma l'autore suggerisce che bisogna tener conto di altre considerazioni che riguardano la vita delle popolazioni di quest’isola. Mi ha colpito questa frase che si presenta un po’ nascosta tra le righe ma presenta una interpretazione importante, ecco:        

«La natura era sfruttata per la produzione, e non solo per fornire cacciagione. L’introduzione della religione fornì agli uomini un grande vantaggio psicologico e lo pose al di sopra di animali e piante (da, Simboli e rappresentazioni)».

Naturalmente, nella società contemporanea, si sa, le religioni hanno a volte un valore relativo, e non è che oggi non giocano nessun ruolo, ma riferendoci al ruolo che hanno avuto dopo la rivoluzione neolitica bisogna dire che hanno dato all’uomo un vantaggio piscologico, come dice Montalbano, proprio in riferimento alle fasi storiche più antiche che non può passare inosservato perché le religioni sono state, al dà delle varie pratiche, soprattutto il collante ideologico, anche quando nelle ricostruzioni storiche sembrano quasi invisibili: univano le varie popolazioni con un insieme di ideologie condivise. Un esempio al riguardo è questa osservazione di Montalbano:

«… se un uomo vede un suo simile all’interno del proprio tempio, sente di potersi fidare, anche se non lo conosce (da Simboli e rappresentazioni, p.9)».

Quindi, è importante cogliere il senso di questa frase che ci aiuta a comprendere, insieme ai significati reconditi delle aree archeologiche, quelle delle religioni e, chiaramente, anche delle ideologie del tempo in relazione ai vari monumenti con i vari reperti mobili che non sono soltanto dei documenti di cultura materiale figurativa in sé, ma hanno valore storico nonché antropologico in quanto sono legati ai modi di pensare e alle relazioni degli uni con gli altri nelle varie fasi.     

Montalbano compie un’operazione educativa importante, intanto è da dire che il suo libro non è rivolto solo ai sardi, come si potrebbe forse pensare, ma si rivolge anche a chi sardo non è, ed io dico soprattutto. Sia chiaro, l’archeologia è alquanto facile da apprendere per coloro che conoscono, per frequentazione abituale, il territorio di riferimento, ma la Sardegna è un’isola e non si trova vicinissima allo stivale italiano. Ciò significa che bisogna andarci apposta, con tutti i problemi economici che naturalmente non hanno peso per la divulgazione scientifica in Italia.  

Ecco quindi l’importanza delle articolazioni nei vari capitoli, unite alle digressioni citate che sono a metà tra il livello d’interpretazione generale delle fasi che si presentano e le descrizioni dei siti, che, come dire, sono come chiodi sul terreno presenti sull’isola dai quali per le ricostruzioni storiche non si può non tenerne conto. Queste presenze archeologiche hanno una notevole importanza almeno per idealizzarne, per quanto è possibile, la funzione socioeconomica che hanno avuto le popolazioni sarde a livello storico. Sia chiaro, per gestire le operazioni di conoscenza dell’archeologia della Sardegna e fare quindi ricerca bisogna analizzare maggiormente soprattutto il contesto storico di riferimento e questa ricerca di Montalbano presenterà, successivamente, anche una necessità obiettiva di approfondimento, e sarà proprio questa che  inevitabilmente provocherà futuri viaggi di lettori non residenti in Sardegna su queste aree archeologiche.

Come sappiamo, il miglior modo per conoscere l'archeologia è quello di imparare facendo (e non facendo scavi s’intende che vanno fatti dagli archeologi). E questo è acquisito dai cultori nei diversi gradi di attivismo, ma questo libro svolge al riguardo una funzione importante: stimola tutti coloro che vogliono avvicinarsi all’archeologia sarda coinvolgendoli nel cimentarsi con la ricerca e l'approfondimento. Il fenomeno, ovviamente, non sarà rumoroso in quanto l’archeologia è una disciplina che impone razionalità e meditazione. Leggere e approfondire le descrizioni dei siti, e al riguardo la bibliografia che si presenta è importante e ben scelta, produrrà una naturale propensione allo studio e alla ricerca, e ricordo che «imparare facendo» è nata nell’Italia moderna-contemporanea grazie a Gramsci, sardo nato ad Ales, del quale sono noti i suoi principi educativi.  

E passiamo alle osservazioni sulle articolazioni di alcuni capitoli. Il capitolo quarto, La Civiltà Nuragica, presenta le fasi finali del Bronzo medio, la Facies Sa Turricula, l’età del Bronzo recente con le torri, miniere e organizzazione sociale, la fase del Bronzo finale con il nuovo piano territoriale, e i pozzi sacri.

Premesso che i nuraghi sono costruzioni in pietra posizionata a secco, e hanno una forma troncoconica, alcuni sono complessi e molto articolati, e sono anche unici trovandosi soltanto in Sardegna. Su questi monumenti, come è noto, gli studiosi non hanno ancora presentato un quadro di definizioni definitive, almeno come io so, sulla loro funzione originaria. Importante, secondo me, è la loro datazione che va dal 1800 al 1100 a. C. circa, e quindi sono anteriori alle costruzioni micenee. Per come penso, visto che furono costruiti su alture, in prossimità di sorgenti e ruscelli, ma anche in terre fertili, avevano sì, una funzione difensiva, ma non era prevalente perchè la maggior parte si presta anche a un uso abitativo. Certo, i più grandi si presentano come arcaici castelli, con imponenti torri che in alcuni casi raggiungono un'altezza che sfiora i 30 metri, e questo suggerisce che in qualche modo avessero una qualche funzione difensiva. Importante è quella che viene definita la facies Sa Turricula (nella zona di Bonnannaro, in provincia di Sassari) che rappresenta l’inizio dell’età nuragica, alla fine del Bronzo Antico. I villaggi sono poco frequentati e il paesaggio non presenta ancora i nuraghi arcaici, ossia quelli a bastione privi di torri, i cosiddetto protonuraghi. A tal proposito, Montalbano ci dice che:

 «Tutti i materiali arrivano da contesti funerari, si dovranno attendere due secoli per notare la ripresa delle attività negli insediamenti. Nella fase Sa Turricula, gli studiosi riconoscono l’alba della Civiltà Nuragica, con la presenza di un nuraghe, del villaggio e, a poca distanza, un dolmen, come nel territorio di Osilo (località Funtana ’e Casu) e di Sedilo (Iloi). Una capanna del villaggio, rettangolare e absidata, è stata ricavata in parte nella roccia e in parte delimitata da uno zoccolo murario di cui restano pochi filari. Dalla cima dell’altura su cui sorge il sito, si gode una vista mozzafiato su tutto il territorio circostante, che non lascia dubbi sulla scelta strategica effettuata dai sardi nuragici. L’andamento della struttura del nuraghe è influenzato dalla posizione sulla cresta del Monte Tudurighe. Presenta un breve corridoio che immette in un vano semicircolare dotato di nicchia sul lato sinistro. Per la costruzione sono utilizzate la tecnica megalitica all’ingresso e nella parte finale dell’ultimo vano, e la tecnica a secco con pietre di media grandezza nel resto dell’edificio. Lo scavo del nuraghe ha documentato una frequentazione punica del sito intorno al III secolo a.C. (monete puniche della zecca di Sardegna datate tra il 241 e il 216 a.C.) e numerosi elementi riferibili al periodo romano, prova inconfutabile che quando i luoghi sono adatti alle attività economiche la loro frequentazione procede senza soluzione di continuità. A poche centinaia di metri dal nuraghe c’è la Tomba di Giganti di Monte Simeone, realizzata con lastre megalitiche che delimitano il corridoio del sepolcro. È priva di esedra, ma il ritrovamento a valle di un frammento della stele centinata la riconduce alla classica tipologia con facciata e corpo absidato (p.93)».

La descrizione di Montalbano, riportata qui per un brevissimo tratto, è importante perché ci documenta che siamo in presenza di una «… prova inconfutabile che quando i luoghi sono adatti alle attività economiche la loro frequentazione procede senza soluzione di continuità». In Sardegna i luoghi dei nuraghi sono stati quindi, obiettivamente, quasi sempre popolati e quel “saper fare»  dei sardi, nel tempo ha portato a costruire quelle costruzioni chiamate nuraghi, oggi simbolo dell’archeologia sarda

Siamo giunti in finale. L’ultima considerazione riguarda il capitolo sesto, che io considero un capitolo aperto e da approfondire. Riguarda le forme artistiche, e presenta una serie di paragrafi: le caratteristiche culturali e la metallurgia protostorica, le Risorse minerarie in Sardegna, La metallurgia tra il calcolitico e l’età del Ferro, Bronzetti, Navicelle Bronzee, la Storia degli studi delle navicelle bronzee, Metallurgia, la spinta evolutiva del progresso, Navi e Navicelle, e Aspetti formali delle navicelle, Dettagli nautici delle barchette, Le colombelle sulle barche e altri animali, Protomi, alberi e ballatoi, Considerazioni sugli aspetti formali e simbolici, Classificazione delle forme, I Giganti di Mont’e Prama.

Come si vede, si tratta di un capitolo molto articolato che rappresenta il cuore dell’archeologia sarda, almeno come cultura materiale. Obiettivamente, è alquanto complesso in quanto pone problematiche in evoluzione continua, considerate sempre in funzione di una lettura che promuova approfondimenti. L’intero capitolo va analizzato, e penso che sia il capitolo più importante del libro. Montalbano ha fatto bene a presentare questo capitolo così come è articolato, le mie osservazioni riguardano l’incipit del capitolo, ossia le Caratteristiche culturali e la metallurgia protostorica. Ecco un breve tratto:

«Mentre l’Italia continentale protostorica ha già da qualche tempo acquisito un inquadramento cronologico alquanto definito, lo stesso non può ancora dirsi per la Sardegna. Ciò deriva da alcune peculiarità della cultura nuragica caratterizzata, come sottolineato da vari autori, da un forte senso di continuità. Inoltre, le specificità tipologiche dei reperti ceramici e metallici sardi spesso non consentono immediati agganci con altre facies culturali meglio conosciute. Un contributo importante è stato dato dal recente lavoro di archeologi che hanno pubblicato classificazioni aggiornate. La problematicità nella periodizzazione è non di meno connessa con le vicende legate alla storia degli studi. Nonostante nell’isola sia stato condotto un numero relativamente elevato di indagini archeologiche, in villaggi, santuari e nuraghi, poco di tali ricerche e stato pubblicato in maniera estensiva ed esaustiva. Sebbene negli ultimi anni sembra potersi osservare una inversione di tendenza, tali carenze limitano l’accesso, da parte della comunità scientifica, a dati indispensabili alla comprensione della cultura nuragica. Tuttavia, negli ultimi quindici anni gli studiosi sono riusciti a colmare la lacunosità nell’edizione dei materiali, e hanno elaborato una sequenza cronologica complessiva delle varie classi di materiali. Un buon esempio è costituito dai ripostigli, rinvenuti in notevole numero nell’isola. Questi, per la loro stessa natura, possono essere formati da manufatti di diversi periodi ed è sempre difficile la classificazione. Di essi ancora oggi la grande maggioranza resta inedita o pubblicata in maniera approssimativa; spesso si dispone unicamente di vecchie e imprecise illustrazioni, talora risalenti alla meta dell’Ottocento, come per taluni studi dello Spano. È risultato in tal modo assai difficile condurre uno studio moderno e puntuale sui materiali archeologici. La carenza risulta tanto più grave considerando l’enorme importanza rivestita dal metallo e dalla metallurgia nello sviluppo di tutta la preistoria della Sardegna (p.133)».

Le problematiche che Montalbano pone sono cruciali e accompagneranno i lettori anche nelle loro ricerche, ma sono spie che qualcosa sta cambiando nell’archeologia a livello di documentazione degli scavi, anche grazie alla Rete e all’attenzione continua dei media perché per l’archeologia, in generale, vi è un interesse sempre crescente anche sotto l’aspetto storiografico e per la pubblicazione degli scavi,  anche se ormai per quelli fatti in passato e non pubblicati poco si può fare e non saranno purtroppo recuperabili.

Sappiamo bene quanto la Sardegna sia stata ricca di giacimenti metalliferi e ancora lo è: è noto che sono presenti il rame, il ferro, il piombo, l’argento e anche, pur in ridotte quantità, lo stagno. I giacimenti metalliferi sono diffusi in gran parte del territorio, come i Gerrei, l’Iglesiente, l’Arburese, il Sarrabus, il Sarcidano e la Nurra. Com’e noto, la necessità di approvvigionarsi di tali metalli fu la principale motivazione che spinse i naviganti egei a stabilire contatti continuativi con le comunità indigene della penisola e di altre regioni occidentali italiane fin dagli inizi della media Età del Bronzo e della prima metà del II millennio a.C., ma già in quel periodo la Sardegna aveva una lunga tradizione metallurgica, le sue prime attestazioni di lavorazione dei metalli risalgono alla fine del Neolitico e fanno supporre, come dice Montalbano, che:

 «… l’isola sia pervenuta in modo autonomo alla scoperta delle tecniche di estrazione dei metalli (p.133)».

Ecco che il “saper fare»  dei sardi ricompare ed è una caratteristica di questo popolo sardo che nel libro è stata ottimamente segnalata. In conclusione, i numerosi nuraghi sono stati eretti a salvaguardia del territorio perché dovevano difendere un patrimonio di materie prime, pascoli, risorse idriche, miniere e comunità, senza dimenticare gli oggetti di metallo, le ceramiche e i prodotti dell'artigianato tessile che nell’insieme erano produzioni da esportare e da scambiare. Tuttavia, dagli scavi emerge la possibilità che si tratti anche di residenze temporanee per piccoli gruppi umani che, in qualche modo, erano poi collegati a insediamenti che andarono ad assumere dimensioni protourbane. I nuraghi sono espressione di una civiltà complessa con un livello alto di cultura non solo materiale ma anche di ideologie relazionate e intrecciate con le pratiche religiose e commerciali che in quel tempo erano praticate in tutto il bacino del Mediterraneo.


Felice Di Maro                       

 

 

 

 

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