Archeologia. Bitia, l'antica Chia, nella costa sud della Sardegna
Articolo di Piero
Bartoloni
Nel settore
nord-orientale del territorio sul quale sorge Bitia, la linea costiera,
coincidente con la Punta ‘e su Senzu e con l’attuale isolotto di Su
Cardolinu, è molto aspra e scoscesa, poiché dominata da una catena di
colline parallele al mare. Poco più a sud-ovest si apre la valle di Chia che si
affaccia sul mare con un’ampiezza di circa 1000 metri, interrotta solo per un
breve tratto dall’altura ove attualmente sorge la torre spagnola e che
verosimilmente accolse il primo fondaco fenicio. Si tratta di una pianura
abbastanza recente e di origine palesemente alluvionale, con una estensione di
poco più di 200 ettari. Questa pianura in origine costituiva evidentemente un golfo
e ancora attualmente è occupata per circa un terzo della sua estensione dallo
stagno di Chia e da zone paludose contermini. Questi terreni palustri
anticamente avevano certamente una estensione maggiore che, in età fenicia, era
probabilmente superiore alla metà dell’intera superficie pianeggiante.
Anteriormente rispetto all’epoca fenicia, probabilmente fino alla fine dell’età
neolitica, dove oggi è la valle doveva esistere un golfo con un’isola in
posizione centrale (fig. 106). Questa era costituita dall’attuale altura della
torre, in seguito captata dai tomboli formati dalle deiezioni del Riu Chia e
delle altre fiumare torrentizie che si gettano in questo settore. Agli occhi
dei primi naviganti fenici che giunsero
lungo questa costa,
l’enclave che in seguito comprese l’impianto urbano si presentò probabilmente
come una piana parzialmente
occupata da una laguna e interamente circondata da rilievi.
L’aspetto generale
dell’insediamento presentava dunque quei requisiti che risultano pressoché
costanti e indispensabili per uno stanziamento
commerciale fenicio anche temporaneo: un rilievo isolato e aggettante sul mare,
collegato alla terraferma da un
percorso facilmente controllabile e difendibile e un fiume almeno in parte navigabile
che, oltre al ricovero dei natanti, seguendo il suo corso consentiva di
penetrare nel cuore del territorio. L’impianto urbano di Bitia deve aver subito
sensibili modificazioni e parziali ampliamenti nel corso dei secoli, senza
dubbio in relazione al progressivo mutamento delle condizioni ambientali ed ai
repentini accadimenti politici intervenuti con la conquista anche cruenta della
Sardegna e quindi della stessa città da parte di Cartagine.
Dunque, il primo
insediamento, il cui antico nome era Byt’n, vocalizzato in Bitan,
come suggerito dalla ben nota iscrizione della fine del II secolo d.C.
rinvenuta nel tempio cosiddetto di Bes, dovette sorgere sull’altura della torre.
Tuttavia, almeno per il momento non sussistono tracce di strutture di età arcaica,
all’infuori di un lembo di muro che emerge sul crinale lungo il versante
settentrionale dell’altura e alla cui base vi sono vistose tracce di “ricerche”
più o meno clandestine. Sulla sommità dell’altura, come detto, non è conservata
traccia di alcuna costruzione antica, al di fuori della torre di età spagnola. Ricerche
attuali, condotte nel versante meridionale dell’altura hanno posto in luce
strati riferibili ai momenti più antichi della storia dell’insediamento.
Al
rilievo della torre si accedeva attraverso un ampio istmo oggi segnato da una
strada campestre edificata in epoca attuale su un argine artificiale di
bonifica. L’istmo era delimitato a ovest dallo stagno di Chia e a est da un ulteriore
lago costiero, attualmente evidenziato da un’ampia zona palustre situata tra
l’altura stessa e la foce del fiume. Su un piccolo dosso in prossimità
dell’istmo era ubicato l’edificio templare cosiddetto del dio Bes, che oggi è
ricoperto e ricade all’interno di un terreno privato. Nell’area e all’interno
del tempio furono rinvenute alcune sepolture di età fenicia, una stipe di età
ellenistica, un’importante iscrizione e una statua monumentale del dio Bes
(fig. 107), identificato probabilmente con il
dio fenicio Eshmun, a
cui il tempio era probabilmente dedicato. Mentre la statua è relativa alla
tarda età romana repubblicana, l’iscrizione è di carattere commemorativo e
riguarda evidentemente i restauri effettuati nel tempio stesso, forse nel
quadro degli interventi effettuati dall’imperatore Caracalla in numerosi
edifici sacri della Sardegna, tra i quali ad esempio il santuario di Antas o il
tempio di Cuccureddus di Villasimius.
La cronologia del
primo abitato fenicio in ogni caso risale almeno all’ultimo quarto dell’VIII
secolo a.C., come è testimoniato tra l’altro da un frammento di anfora etrusca
a doppia spirale recuperato fortuitamente nel versante sud-occidentale
dell’altura. Alcune strutture murarie sono visibili lungo il lato
settentrionale dell’altura, presso il sentiero che si inerpica verso la torre.
In particolare, si tratta di un muro forse di terrazzamento costruito con
grandi blocchi in arenaria, probabilmente relativo alle fortificazioni che
Cartagine dovette costruire anche a Bitia, in concomitanza con quelle che
edificò in numerosi centri della Sardegna nella prima parte del IV secolo a.C.
Del resto, questa cronologia è indirettamente confermata sia dal materiale
edilizio utilizzato per questa muratura che dalla presenza delle tombe puniche
riferibili a quel periodo. Per quanto riguarda le strutture riferibili all’età
fenicia o a quella punica, null’altro sussiste sulla sommità dell’altura della
torre. Probabilmente, proprio la necessità di costruire la torre spagnola ha certamente provocato
la demolizione di ogni struttura preesistente, con il reimpiego di una parte
dei materiali nella struttura e lo
scarico a mare di quelli restanti e inutilizzati. In ogni caso, probabilmente
l’insediamento fenicio doveva presentarsi come un agglomerato di piccoli edifici
addossati gli uni agli altri, come era comune per questo tipo di abitati. I
lembi di edifici che si possono ancora oggi vedere alla radice dell’altura,
lungo il versante nord-orientale, sono invece di età romana imperiale ed
appartengono verosimilmente al III e al IV secolo d.C. A nord-est dell’altura
attualmente occupata dalla torre, i rilievi culminano verso la costa con il già
citato promontorio denominato Punta ‘e su Senzu, sul quale sono ancora
ben visibili i resti di una torre nuragica. In questo settore la linea costiera
è formata da alte dune consolidate e depositate su una base di rocce schistose.
L’azione del vento e del mare e l’apertura di alcune cave in età tardo-punica e
romana ha provocato la parziale erosione o la scomparsa delle dune, che dunque,
nel caso siano molto esposte, risultano precipiti e assai frastagliate.
A
sud-ovest della suddetta punta si allunga nel mare l’isolotto di Su
Cardolinu (il fungo), oggi collegato alla terraferma tramite una lingua di
sabbia stagionale, ma che in epoca fenicia costituiva probabilmente un piccolo promontorio
diviso dalla linea di costa tramite una bassa sella formata da una duna
consolidata. Attualmente il promontorio è divenuto un isolotto poiché risulta completamente
separato dalla costa tramite un’ampia depressione sabbiosa, talvolta obliterata
dal mare. Questa depressione è stata causata probabilmente da una cava di
arenaria attiva in età tardo-punica e romana. L’isola di Su Cardolinu rappresenta
l’estremo lembo nord-orientale dell’insediamento fenicio e ha ospitato in età
arcaica il tofet della città, mentre in epoca successiva, ben dopo la
conquista cartaginese della Sardegna, e, probabilmente non anteriormente alla
prima metà del IV secolo a.C., vi fu eretto un santuario nel quale era evidentemente
procrastinato il ricordo del precedente luogo sacro. Il temenos coincideva
con l’area stessa dell’isolotto; un muro in blocchi di arenaria, che costituiva
probabilmente il peribolos dell’area al cui interno sorgeva il santuario
di età punica, appare eretto sulle pendici nord-occidentali dell’isolotto e
separa il santuario dal succitato istmo sabbioso. Un varco si apre circa a metà
della struttura, probabilmente l’antico ingresso al santuario. Il tofet non
ha reso strutture di età arcaica all’infuori di una ampia e rozza platea,
sistemata in modo approssimativo con schegge di roccia schistosa. Attorno a
questa sorta di podio e sempre relative a questo periodo, erano numerose urne al
tornio e di impasto. Quelle al tornio, in numero assai ridotto sia nel tofet
che nella necropoli, sono del tipo consueto per le cooking-pots del
periodo, con orlo obliquo a mandorla e con una sola ansa.
Quelle di impasto, invece,
più numerose, pur arieggiando la forma delle precedenti, sono generalmente
dotate di un duplice falso versatoio opposto all’ansa. Si tratta di recipienti
da fuoco utilizzati in questo caso come contenitori di ossa, come è accaduto in
tutti i santuari simili. La loro forma, sia pure in dimensioni minori, è
ricordata da alcuni esemplari fuori contesto provenienti dalla necropoli. Le
urne, alcune delle quali semplicemente ricoperte di terriccio, erano sistemate
nelle ampie crepe della roccia schistosa che compone l’isolotto. Altre erano
conservate in una piccola cista litica. La copertura delle urne era garantita da
piatti di tipo arcaico, ombelicati con piede umbonato, utilizzati in funzione
di coperchi. Dall’indagine sono emersi pochi altri oggetti, tra i quali sono
notevoli due piccole brocche piriformi, che contribuiscono a datare il
complesso nel periodo compreso tra l’ultimo quarto del VII e la seconda metà
del VI secolo a.C. Al pari del muro del temenos, due basamenti di
diversa ampiezza, sono relativi al successivo periodo punico e come detto, a
giudicare dall’arenaria utilizzata come materiale edilizio, plausibilmente non
sono anteriori al IV secolo a.C. Su questi basamenti probabilmente dovevano essere
erette due edicole sacre, simili come aspetto e dimensioni a quella rinvenuta a
Nora, presso il santuario di Eshmun-Esculapio di Sa Punta ’e su Coloru.
Sulla sommità dell’isolotto, circa a quota 14 s.l.m., come accennato, vi è una
sorta di ampia spianata di età arcaica, denominata Edificio C, rozzamente
sistemata con zeppe di pietra, attorno alla quale erano collocate le urne
citate più sopra. Per quanto riguarda la situazione antropica precedente all’arrivo
e all’insediamento delle popolazioni vicino orientali, oltre al nuraghe della Punta
‘e su Senzu, tutta la piana che faceva corona allo stagno era dominata da altre
torri nuragiche, talvolta anche complesse. L’accesso alla valle, in prossimità
del bivio dell’antica strada da Nora per Tegulae era controllato dal nuraghe
complesso Su Para ‘e Perda, mentre la parte ovest della piana era coperta
dal nuraghe Spartivento, collocato sulla tanca (collina) omonima.
Il settore settentrionale era controllato da un’altra torre, denominata Baccu
Idda e posta in località Giuanne Battista. Inoltre è possibile, ma
ormai non è più verificabile, che un’altro nuraghe sorgesse ove oggi è eretta
la torre di guardia di età spagnola. La pianura di Bitia è delimitata a
sud-ovest da una strettoia provocata verso sud dalla collina costiera nota con il
nome di Monte Cogoni, che taglia anche la linea di costa, e verso nord
dalle pendici del Monte Settiballas. Sul primo rilievo sorge un recinto
quadrilatero che si è voluto identificare come una fortificazione punica, ma che
probabilmente è da riferire a un momento anteriore, collocabile probabilmente
in epoca prenuragica. Alle falde del Monte Settiballas invece, nella
località denominata sintomaticamente Sa
Bidda Beccia, letteralmente ‘l’abitato vecchio’, esistevano fino a pochi
anni or sono consistenti tracce di strutture da riportare ad un abitato rurale
forse di età romana imperiale. In questa stessa località tra l’altro era stato
individuato un manufatto classificato come edificio, ma che in realtà era un forno
figulino di probabile età romana imperiale. Fino al 1965 la fornace era
praticamente intatta, mentre già nell’anno successivo il tracciamento della
pista in terra battuta che conduceva verso la zona di Malfatano aveva fatto
sparire i due bracci dell’ingresso e il praefurnium; attualmente il
forno risulta completamente distrutto dal successivo impianto della massicciata
stradale asfaltata. Risultano invece inesistenti alcuni nuraghi indicati da Gennaro
Pesce nella pianta di Chia da lui fornita nel rapporto di scavo: in particolare
non esiste, poiché invece si tratta di un pinnacolo roccioso naturale, la torre
anonima e i due nuraghi sottostanti indicati rispettivamente alle quote 176 e
179. Altrettanto inesistente è il nuraghe apparentemente anonimo indicato con
la quota 76, poiché in questo caso si tratta dei resti di una villa rustica di
età romana imperiale; infine, nella stessa documentazione planimetrica del
Pesce non risulta indicato il nuraghe che era ubicato sulla Punta ’e su
Senzu. Come accennato più sopra, il monumento più significativo della città
è senza dubbio il tempio cosiddetto di Bes. Fu esplorato dal Taramelli, che
mise in luce gran parte delle strutture assieme alla statua del dio e a una iscrizione
neopunica, relativa ai restauri del tempio effettuati probabilmente sotto
l’impero di Caracalla. Successivamente, a opera di Gennaro Pesce, fu messa in
luce tutta la zona del tempio, ivi compresa l’area della necropoli fenicia
adiacente, nonché la ben nota stipe votiva di età ellenistica relativa al
tempio stesso. Il tempio sorgeva su un dosso in prossimità del margine
occidentale della sottile lingua di terra che univa l’altura della torre alla
costa e che era stata resa più ampia grazie all’arretramento dello stagno
avvenuto in seguito alla deviazione del fiume.
L’antico insediamento
fenicio è conosciuto soprattutto grazie ai rinvenimenti effettuati nell’area
della necropoli. Le sepolture di età fenicia, databili tra la fine del VII e
l’ultimo quarto del VI secolo a.C., sono localizzate nella fascia sabbiosa
litoranea a ovest del promontorio di Torre di Chia, a sua volta sede
dell’abitato di età arcaica. La scoperta dell’area cimiteriale si deve a una
violenta mareggiata avvenuta nel 1926 e seguita dall’intervento di Antonio
Taramelli, allora Direttore della Soprintendenza alle Antichità. Questo
intervento di scavo portò all’individuazione di un lembo della necropoli
arcaica a incinerazione e di parte dell’abitato di età romana. Gli scavi, come
accennato, proseguirono nei primi anni ’50 grazie a Gennaro Pesce.
L’esplorazione sistematica dell’area della necropoli è stata avviata dal 1976.
La tipologia delle sepolture
attesta la predominanza del rito dell’incinerazione, sia in fossa direttamente
scavata nel terreno che in cista
litica (figg. 108-109); in percentuali nettamente inferiori è documentata anche
la pratica dell’inumazione. I
ricchi corredi, caratterizzati dalla presenza di brocche con orlo espanso e
bilobate (fig. 110), piatti, oil-bottles, olle stamnoidi e globulari (fig. 111)
nonché numerose importazioni prevalentemente etrusche, riflettono gli orizzonti
commerciali dell’antico centro, con le numerose forme ceramiche importate
attraverso gli scambi commerciali transmarini intrattenuti con le maggiori
regioni del Mediterraneo centro-occidentale e, nello specifico, verso le coste
nord-africane. Nell’età punica si diffonde in maniera quasi esclusiva la tomba
“a cassone” realizzata con grosse pietre disposte lungo il margine delle fosse. In conclusione, si
ricava l’impressione che Bitia sia un abitato esiguo e privo di una qualche
consistenza piuttosto che un agglomerato urbano degno di questo nome. È chiaro
che l’insediamento, nato in condizioni ottimali per l’epoca nella quale è stato
fondato, con il proseguire del tempo è stato proprio condizionato da questa situazione, che
ne ha impedito l’ampio sviluppo. In definitiva, sembra trattarsi di un centro
urbano di modeste dimensioni e
di un punto di riferimento per ulteriori piccoli agglomerati sparsi nel
territorio, che facevano capo a quello maggiore, posto attorno all’altura della
torre. Del resto, la stessa natura del luogo, con una valle non certo ampia e
occupata in gran parte da una laguna, non deve aver consentito la nascita di un
insediamento cospicuo. La situazione si è ripetuta probabilmente anche in età
romana, poiché, oltre alla necropoli, non sussistono abbondanti resti
monumentali relativi a quel periodo, se non quelli addossati al versante
nord-occidentale dell’altura della torre.
Fonte: https://www.academia.edu/36934582/Bitia_LA_SARDEGNA_FENICIA_E_PUNICA_Corpora_delle_antichit%C3%A0_della_Sardegna_Storia_e_materiali_REGIONE_AUT%C3%92NOMA_DE_SARDIGNA_REGIONE_AUTONOMA_DELLA_SARDEGNA
La storia della nostra isola a quanto pare rimane molto complessa.
RispondiEliminaCome sempre seguo con molta curiosità tutto quello che viene riportato nel tuo blog.Grazie.