Archeologia della Sardegna. La storia del Colle di Sant'Elia
Articolo di Alessandra Raspino.
La zona del capo S.Elia ha restituito i reperti più antichi di Cagliari. L’uomo preistorico ha scelto questo luogo per la sua vicinanza al mare da cui si procurava pesci e molluschi. La zona retrostante con stagni e lagune rappresentava sicuramente un habitat straordinario essendo l’anticamera della pianura campidanese dove praticare la caccia. Le testimonianze vengono sia dalle grotte del Bagno Penale, con tracce ancora visibili di ocra rossa, la grotta di S. Bartolomeo ormai ridotta a una macchia nerastra sulla roccia scavata per recuperare il calcare, dei Colombi ancora da indagare, e sopra la stazione di Marina Piccola dove è stato rinvenuto dal Taramelli, a mezza costa, un possibile villaggio con resti di cibo, il più datato. La grotta di S.Bartolomeo è stata utilizzata a lungo, considerato che la stratigrafia ha permesso di identificare una Domus de Jana. L’urbanizzazione ha distrutto gran parte di questi siti e quel poco che è stato raccolto, purtroppo è stato portato e conservato a Roma nel museo Pigorini.
I Fenici arrivarono a Cagliari guidati da due divinità: Melkart o Baal grazie al quale fondarono Tiro, identificato come il Dio del mare, considerato che era un popolo che di mare viveva grazie ai commerci marittimi. Il suo Tempio era nel porto (probabilmente il luogo dove si custodivano le ricchezze), ma non quello attuale, bensì a S. Igia, nella confluenza dei
fiumi Rio Mannu e Cixerri, dove era già presente un sito nuragico.I Fenici arrivarono a Cagliari guidati da due divinità: Melkart o Baal grazie al quale fondarono Tiro, identificato come il Dio del mare, considerato che era un popolo che di mare viveva grazie ai commerci marittimi. Il suo Tempio era nel porto (probabilmente il luogo dove si custodivano le ricchezze), ma non quello attuale, bensì a S. Igia, nella confluenza dei
La seconda divinità era Astarte, dea della fertilità, sposa di Baal con il quale genera ogni essere vivente. In tal senso è anche dea dell’amore, sia casto sia dissoluto. Per questo assume un ruolo di rilievo nella prostituzione sacra. Il suo tempio fu collocato sul promontorio di S.Elia a protezione dei naviganti, del resto era consuetudine erigere un tempio su un promontorio per renderlo visibile agli stessi naviganti, che in questo caso trovavano facile approdo nella vicina insenatura.
Nelle immagini l'ingresso della grotta dei Colombi, sottostante il promontorio e le tracce di ocra rossa visibili nella grotta del Bagno Penale, appena sopra l'edificio che un tempo era sede del Bagno Penale, da cui il nome. Del tempio dedicato alla dea Astarte, sul colle di S.Elia, è stata trovata testimonianza ad opera di Filippo Nissardi nel 1870, citato dallo Spano, in vicinanza alla torre, in un concio in pietra raffigurante due colombe stilizzate, simbolo rappresentante la dea Astarte, ed un frammento di marmo con una dedica alla stessa. Si ipotizza un altare bronzeo con un braciere dove era un fuoco perenne e tutt’intorno dei cortili dei quali sarebbero stati ritrovati alcuni elementi costituenti i pavimenti. Poco distante, nel versante rivolto verso l’altro promontorio detto di S.Ignazio, per la presenza del fortino così denominato, esiste una grossa cisterna rettangolare lunga 36 m di forma trapezoidale, simile a quelle rinvenute a Tharros. La grande quantità d’acqua che vi si poteva raccogliere, fa pensare che fosse destinata alle vasche per le abluzioni rituali in onore della divinità.
Un successivo scavo ha portato alla luce un’area pavimentata in buono stato, di circa 30 m x 6, con annesso un tratto murario che risulterebbe legato alla canaletta che faceva confluire l’acqua alla cisterna romana poco distante, individuata dallo Spano. Di forma tronco-conica, la cisterna è circondata da un complesso sistema di canalizzazione nella roccia, canali interrotti da piccole conche che garantivano la decantazione dell’acqua piovana raccolta. Risulta inoltre un secondo livello pavimentale circa 20 cm più in basso, da cui è deducibile che l’aria abbia avuto almeno due fasi di frequentazione.
Ulteriori scavi hanno allargato l’area d’indagine verso la torre pisana, rilevando la presenza di un presbiterio, a questo punto è stata confermata la presenza della chiesa di S.Elia al Monte. Non si hanno tracce dell’edificazione di questa chiesa prima del 1089 quando fu donata ai monaci Vittorini, esperti nel commercio del sale, dal giudice di Cagliari, e una successiva menzione in un documento del papa Onofrio nel 1218.
Perché il nome di S. Elia, non è ben chiaro, ma è stata fatta qualche ipotesi, magari intrecciata alle leggende che in questo luogo sono sorte numerose e diversificate. La Bibbia ci racconta che il profeta Elia visse agli inizi del IX sec a.C. A quel tempo il regno d’Israele era governato dal re Acab che con la sua regina seguivano il culto del dio Baal, la cui compagna come abbiamo detto era Astarte, divinità della pace e dell’amore sacro e profano, tanto che nei suoi templi era praticata la ierodulia, la prostituzione sia maschile che femminile. Il profeta Elia, ultimo fedele del Dio di Abramo, affrontò i sacerdoti del dio Baal per dimostrare la falsità del loro credo, con la prova del fuoco. Entrambi costruirono due grandi pire di legno che, invocando i rispettivi dei, avrebbero dovuto accendersi. I sacerdoti di Baal caddero svenuti ed Elia riuscì con la preghiera ad accendere la sua pira di legna verde e bagnata dimostrando la mendicità del culto al popolo che sgozzò i 450 sacerdoti. Nacquero così i seguaci di Elia che s’incontravano sul monte Carmelo, da cui il nome di carmelitani. In seguito agli attacchi saraceni si diffusero in tutta Europa e giunsero anche in Sardegna, qui al monte Falcone, questo l’antico nome del colle di S.Elia, dove era il tempio dedicato ad Astarte. Probabilmente vi si stabilirono e sarebbe lecito pensare che lo abbiano dedicato al loro mentore.
Nel 3^ secolo visse in una grotta un anacoreta di nome Elia, i sicari di Diocleziano arrivarono fino a lui perché predicava il perdono e quindi considerato destabilizzante del potere romano, prima gli infilarono un chiodo in testa e poi lo decapitarono. I suoi resti ritrovati fortunosamente, intorno al 1614, furono portati nella cattedrale di Cagliari ed alloggiati nella cripta dei Martiri. Anche in questo caso si potrebbe pensare che gli abitanti del luogo che amavano e stimavano molto questo novantenne, gli abbiano dedicato una cappelletta, divenuta poi chiesa.
Nel 1617, un piccolo edificio, che ricadeva come tutto il colle, sotto la giurisdizione di Quartu, fu restaurato dal popolo quartese e intitolato al martire Elia ed i monaci a cui era affidato, promisero di custodirne gli arredi. In occasione della festa del santo la popolazione dei dintorni si muoveva verso la chiesetta in processione per tutta la notte, poiché alle prime luci dell’alba veniva officiata la liturgia. I barbareschi attaccarono più volte in queste occasioni tanto che nel 1621 il conte Alfonso D’Eril emise un pregone al fine di cessare tali processioni per la sicurezza della popolazione. Nel 1717 quando gli spagnoli devastarono l’edificio, gli arredi furono messi in salvo e portati nella parrocchia di Quartu S.E. e nel 1761, in occasione di una visita pastorale, il vescovo decise che fossero assegnati alla chiesa rurale del Buon Cammino dove ogni anno veniva commemorato il Santo. Infine qualche decennio or sono, la chiesetta non officiando più, riconsegnò gli oggetti custoditi al museo parrocchiale di S.Elena. Il colle fu praticamente abbandonato.
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