Archeologia funeraria etrusca. Isola d'Elba: ipogeo di Marciana
scavato nel granito.
Riflessioni di Michelangelo Zecchini
L'ipogeo si apre a 386 metri s.l.m., sul pendio
settentrionale del Monte Capanne (fig. 1), in uno sperone di roccia
granodioritica degradante a scarpa all'estremità sud-occidentale dell'abitato
di Marciana. L'ubicazione è indicata, qui sotto, con una freccia blu (fig.
2). Sopra è stato costruito, fra XVI e XVII secolo, l'immobile di proprietà
di Grimaldo Bernotti, governatore locale e 'maior domo' della principessa
Isabella Appiani.
Sull'origine e sulla funzione dell'ipogeo, scavato
nella roccia granitica e a pianta cruciforme, sono state proposte tre ipotesi:
1) ZECCA
DEGLI APPIANI - “La
zecca, risalente al XVI secolo e dovuta ai principi Appiani, si presenta allo
stato attuale come una struttura di coniazione monetaria sita al pian terreno
della Casa Appiani. Essa consta di un ambiente di ingresso e di un cunicolo a
planimetria cruciforme che costituiva il caveau della
struttura”[1].
struttura”[1].
2) NEVIERA
O CISTERNA FORSE DEGLI APPIANI - “Il periodo di realizzazione dell'intero complesso, di epoca
imprecisabile, è forse da connettere con la presenza degli Appiani, sotto il
cui palazzo è ubicato e con il castello che si trova a pochi metri di distanza.
Nonostante la pianta dell'ipogeo si avvicini, anche se solo in parte, a quella
di una tomba etrusca (cfr ad la tomba Regolini Galassi di Cerveteri), non vi
sono elementi che possano portare a un'interpretazione certa come monumento di
età etrusca a carattere funerario; piuttosto l'opera di scavo all'interno
della granodiorite, essendo di gran mole, sembra rappresentare l'impegno di una
comunità per un manufatto a servizio della comunità stessa, quale potrebbe
essere un neviere o una cisterna”[2].
3). ARCHITETTURA FUNERARIA ETRUSCA - “I dati finora a disposizione portano alla
conclusione che quella di Marciana sia una tomba sotterranea etrusca
gentilizia, scavata nel granito fra la fine del 600 e il 500 avanti Cristo,
purtroppo spogliata del suo ricco corredo funebre in momenti non definibili e
privata di riscontri stratigrafici da uno scavo non qualificato eseguito nel
deposito residuo pochi anni fa (figg. 4 e 5). L'insieme delle
caratteristiche tipologiche riconduce all'architettura funeraria etrusca,
compreso l'orientamento sud-est/nord-ovest dell'asse maggiore”[3]
CARATTERISTICHE
TIPOLOGICHE DELL’IPOGEO
Elementi compositivi: A-Vano di accesso al
dromos, scavato nel granito (indicatore macroscopico è l'andamento delle
isoipse dell' area) ma all'aperto (fig. 7); Dromos discendente con due
scalini, inclinato di1,5 metri rispetto alla soglia d’ingresso (figg. 8-10);
C-Vestibolo; F- Piccola cella frontale (fig. 11); E e D- Corridoi
di accesso alle camere laterali con nicchie ogivali; (figg. 12-13); H e G- Celle
laterali; (figg.14-15); S- Superfetazioni in
laterizi o cemento (figg. 7, 12).
INDIZI
FAVOREVOLI ALL'IPOTESI DI ARCHITETTURA FUNERARIA ETRUSCA
Indizio n. 1 - Peculiarità dei processi di
fatturazione rocciosa che interessano la struttura ipogea.
I grafici a rosetta qui a lato “evidenziano
rispettivamente le discontinuità strutturali rilevate negli affioramenti nei
versanti soprastanti Marciana, e i piani verticali delle pareti prodotte
dall'escavazione finalizzata alla realizzazione dell'ipogeo. Si può notare che
vi è una coincidenza parziale della direzione di un piano (quello delle pareti
longitudinali, ma con spaziature a bassa frequenza o ad elevata distanza),
mentre sui piani delle pareti trasversali non si ha corrispondenza con le linee
di giunti naturali di fratturazione. Da cui la volontà di definire geometrie
con lavoro di scavo più gravoso in ordine a ben precise esigenze cultuali, come
farebbe palesemente ritenere l'assetto dell'ipogeo”[4].
Indizio n. 2 - Affinità planimetrica fra gli ipogei di Marciana e
Castellina in Chianti.
La planimetria dell'ipogeo di Marciana presenta
confronti molto stretti con l’ipogeo orientale di Castellina in Chianti, datato
al 600 circa a. C.[5] e con altre tombe a
croce sia dell’antica Etruria sia della Sardegna pre-nuragica e nuragica.
Indizio n. 3 -Per realizzare l'ipogeo sono state
estratte oltre 200 tonnellate di dura roccia monzogranitica. Ciò implica una motivazione molto forte che,
mentre esclude scopi banali, ben si adatta a una finalità
cultuale.
Il Catasto leopoldino del 1840
mostra sopra e accanto all’ipogeo due toponimi molto significativi
quali “Via della Tomba” e “La Tomba” (fig. 20). A quest' ultimo
viene dato un risalto grafico pari a quello di importanti toponimi 'storici'
quali Porta di Donna Paola Colonna e La Fortezza.
Secondo il glottologo Silvio
Pieri “L'applicazione di questo nome ... si riferirà spesso a più antiche
tombe, ne rimangano o no vestigia oggi”[6].
Il toponimo La Tomba, da tumba, lo troviamo
a S. Miniato (3 località), Montefalcone, Montepulciano,
Montopoli, (2 località), Palaja (3 località), Trequanda, Cetona, Roccastrada,
Orbetello, Sarteano, Campo nell'Elba.
Indizio
n. 5 - Il corredo funebre della tomba di Poggio scavata nel
granito.
A Poggio località Pianello, distante in linea
d'aria dall'ipogeo di Marciana circa 1,2 km, nel 1899 fu scoperta
una tomba a camera scavata nel granito intorno al 300 a. C. (fig. 21)[7]. Essa, per quanto più piccola dell'architettura
sotterranea marcianese, dimostra che lo scavo a sottrazione di roccia
granitica per scopi sepolcrali non era estraneo alla comunità etrusca che
abitava i pendii del Monte Capanne.
Indizio n. 6 - Incisioni configurate a 'volta' nelle
camere.
Le pareti dell’ipogeo presentano sottili incisioni
(larghezza: 2-4 mm) che si stanno rapidamente degradando per l'umidità
accentuatasi dopo l'apertura al pubblico dell'ipogeo come museo della zecca di
Marciana. Non c’è dubbio che occorra intervenire al più presto per salvarle.
Alcuni gruppi di incisioni, specie nelle camere destra e sinistra, sono
del tipo cosiddetto ‘a volta’ (figg. 22/24) e certamente non sono frutto
della casualità.
Il prof. Umberto Sansoni, direttore del Dipartimento
Valcamonica e Lombardia del Centro Camuno di Studi Preistorici, uno dei
maggiori studiosi di arte rupestre di epoca preistorica e storica, pur con le
riserve dovute al fatto che la sua opinione è basata su foto e descrizioni,
ritiene che “le sagome, specie quelle a volta, l'incavo circolare al centro
dell'insieme ed un certo ordine compositivo fanno pensare ad un
disegno preordinato con valenze simboliche; la tipologia nota dei
segni ed il luogo stesso in cui essi sono posti avvalorano la ipotesi” (gentile
comunicazione personale).
Singolare è il parere di L. Alderighi: “attraverso il
braccio destro del transetto si giunge ad un vano scavato nel granito le cui
pareti riportano tracce evidenti di piccone, che non sono
assolutamente da interpretare con incisioni appositamente realizzate né sono
degne di interesse storico artistico”[8]. È appena
il caso di notare che la punta del piccone lascia sulla roccia segni del tutto
diversi, per niente
sottili.
Indizio n. 7 – Probabile sostegno architettonico
rilevato
Sopra la porta della camera
sinistra c’è un elemento architettonico (cosiddetto ‘sostegno rilevato’),
emergente di circa 15 cm rispetto al piano, di tipologia affine a quelli
presenti in tombe etrusche di epoca arcaica. È visibile solo parzialmente
in quanto obliterato in alto da superfetazioni recenti in pietre e laterizi
(figg. 25/26). Potrebbe trattarsi di un sostegno a clessidra simile
al tipo presente, per esempio, nell' ipogeo di Grotte di Castro, necropoli di
Pianezze, tomba n. 2[9].
Indizio n. 8 - L'aspetto metrologico
Le ricerche metrologiche, grazie alle decisive
indicazioni del prof. Marcello Ranieri dell'Istituto Nazionale di Astrofisica,
hanno accertato che la parte ipogea della tomba (il corridoio esterno non è
esattamente misurabi-le perché ha subito vistosi rimaneggiamenti
successivi) è stata costruita su moduli basati sul piede olimpico (πούς
ὀλιμπικός=4 παλαισταί=16 δάκτυλοι) corrispondente a 0,3078 metri (fig. 27).
All'ipogeo non è applicabile, invece, alcuna misura lineare usata durante
il Medioevo o in epoche successive. Anche l'ipogeo orientale di Castellina in
Chianti sembra svilupparsi sulla base del metro olimpico, ma necessitano
verifiche. Inoltre è assai vicino il rapporto larghezza/lunghezza che
nell'ipogeo di Marciana è di 1:1,21 e nell'ipogeo orientale di Castellina in
Chianti di 1:1,24.
Indizio
n. 9 - Equinozio di primavera: i raggi del sole nel dromos
Il 21 e il 15 marzo 2016
(verifiche in situ e successive simulazioni) i raggi del sole (elevazione di
37°82” e 35°18”) si sono allineati rispettivamente alle ore 10,10 (fig. 28)
e 10,07 con l'asse maggiore dell'ipogeo (135°/315° rispetto al nord geografico;
nord magnetico con correzione di declinazione di 2.47° Est al
21-03-2016), percorrendo l'intero dromos e giungendo fino al vestibolo (in
parte solo virtualmente essendo decentrata rispetto all'asse la porticina che
si apre nel muro perimetrale di casa Bernotti). Pur considerando che la
cronologia della tomba fluttua nell'arco di circa un secolo e che gli
equinozi si sono spostati nel tempo a causa della precessione (con riferimento
a 2500 anni fa è stato calcolato un anticipo di circa 35,7gg.); pur
tenendo nel debito conto la variabilità del nord magnetico attraverso i
secoli (esempio: 10.12° E nel 1590 ma 18.55° W nel 1800, secondo NOAA
Magnetic Fild Calculator), tuttavia si fa strada l'ipotesi che tale
allineamento - il quale comunque si verifica nel periodo primaverile sensu
lato- sia legato al culto della Grande Madre (Cel per gli
Etruschi), in origine identificata con la roccia e con la terra dalle quali
nasce. In epoca romana le grandi feste in onore della Dea Madre
duravano dal 15 al 27 marzo, segnavano il ritorno della
vegetazione e celebravano il mistero della morte e della resurrezione. Il
calendario di Filocalo ne illustra date e sequenze[10].
Indizio n. 10 - L'asse maggiore dell'ipogeo rispetto al templum caeleste
Indizio n. 10 - L'asse maggiore dell'ipogeo rispetto al templum caeleste
L'asse sepolcrale Est-Ovest ha
un orientamento di 135°/315° dal Nord: la regione di 'partenza', secondo la
distribuzione del templum caeleste adottata da Marziano Capella (volgere tra IV
e V sec. d. C.), è quella delle divinità marine e solari,
mentre la regione di 'arrivo' è quella di importanti divinità del Sottoterra (fig.
29). Un orientamento simile mostra l'ipogeo orientale di Castellina in
Chianti che, come si è visto, con Marciana ha anche strette affinità planimetriche
e metrologiche.
Indizio n. 11 – L'asse longitudinale dell'ipogeo e
l'area sepolcrale dell'Omo Masso
Le 'coincidenze' favorevoli all'ipotesi di
architettura funeraria etrusca si chiudono (per ora) con il fatto
che, prolungando l'asse Est-Ovest dell'ipogeo, si centra l'area sepolcrale
dell'Omo Masso, dove sono state scoperte tombe che si datano in gran
parte fra XI e IX secolo a. C.[11], ma che sembrano
essere state utilizzate fino al VII- VI secolo a. C.
LE OBIEZIONI DEL PROF. DONATI
Vengono esposte, infra, le
obiezioni sull'uso sepolcrale dell' ipogeo di Marciana avanzate dal
prof. Luigi Donati[12] in un saggio equilibrato
(ma a mio avviso in gran parte non condivisibile) comparso su una rivista
elbana[13] . Tali obiezioni sono qui riproposte in
corsivo tra virgolette, e sono seguìte dalle mie repliche per facilitare il
raffronto immediato fra le due diverse opinioni.
1. Prima obiezione - Prof. Luigi
Donati, cit.: “Le tombe etrusche sotterranee sicure (numeri a tre
cifre) sono tutte scavate, per evidenti ragioni, in masse rocciose
relativamente tenere: tufo, peperino, calcare (Populonia), marna, ecc... Non si
conoscono utilizzazioni in rocce intrusive come quelle di affiliazione
granitica, fra le più dure”.
1.
Replica - Le
eccezioni, in archeologia, sono quasi una regola: molto spesso c'è una
prima volta. Né bisogna trascurare il fatto che in Sardegna le tombe
ipogee (domus de janas) venivano scavate nel granito[14] già
molti secoli prima dell’ipogeo di Marciana[15] peraltro
con strumenti (litici e poi metallici con l'aiuto del fuoco e di
imbibizioni di acqua) assai più inadatti rispetto a quelli a disposizione del
popolo etrusco (ferro temprato). E non si trattava di escavazioni di poco
conto, visto che, per esempio, la camera di una delle tombe di Iselle-Buddusò è
grande più o meno come la cella destra (ancora integra) dell'ipogeo marcianese.
Forse ancora più convincente è il richiamo alla domus de janas di S. Sebastiano,
situata all'interno dell'abitato di Buddusò, che ha una pianta a croce e
che alcuni connettono con il culto della Grande Madre.
2. Seconda obiezione - Prof. Luigi Donati, cit.: “L'ingresso del dromos, nelle tombe di un
certo tenore scavate sul fronte di una parete rocciosa, si apre sempre in una
parte in vista della medesima, mai nell'angolo di un anfratto roccioso quale
appare nel caso in esame (il riferimento è alla parete rocciosa che avanza a
destra dell'ingresso)”.
3. Terza
obiezione - Prof. Luigi Donati,
cit.: “Nelle tombe etrusche pluricellulari, per quanto ci risulta dai dati
di scavo, le celle sulla parete di fondo sono sempre riservate a personaggi di
una qualche importanza (capostipite, titolare della tomba, pater familias) con
una scala gerarchica decrescente nell'impiego delle celle laterali. In un
complesso come quello in esame ci si aspetterebbero una coerente configurazione
e appropriate dimensioni della cella di fondo in asse col corridoio,
mentre al posto della cella vi è solo un breve prolungamento del corridoio
(lungh. m. 1,39; largh: m. 1,09). La mancanza di una cella centrale richiama il
caso della tomba est del grande tumulo di Montecalvario a Castellina in
Chianti, del VII-VI sec. a. C.. Ma a Castellina, come riporta L. Pernier in
Notizie degli Scavi 1916, p. 268, fig. 5, la cella manca proprio perché in quell'unico
punto gli scavatori etruschi si imbatterono in uno sperone di galestro
imprevisto, a differenza delle altre tre tombe del tumulo...”.
3.
Replica - Ma che
ostacolo poteva mai essere il masso roccioso abbastanza tenero (galestro), trovato da Pernier 1,20 metri oltre il muro di testa (fig.
34)? Gli Etruschi erano specialisti della lavorazione delle rocce tenere (a
confermarlo, peraltro, è lo stesso Donati) e, se ne avessero avuto
l’intenzione, avrebbero ampliato la cella a loro piacimento. Se l’hanno
costruita così è perché, sic et simpliciter, così l’avevano progettata e
così l'avevano voluta. Inoltre la cella di testa 'piccola' dell'ipogeo di
Marciana non è un caso a se stante: a Vulci Mandrione di Cavalupo ci sono tre
esempi di cella frontale poco pronunciata (fig. 35) e a Colle Val
d'Elsa, tomba n. 1 della necropoli “Le Ville”[17],
addirittura non c'è traccia della cella di testa (fig. 36).
Ma se, poi, si intende
procedere con l'analisi delle intenzioni, non c'è dubbio che le osservazioni di
Donati sulle cause della esiguità della cella frontale castellinese possano
essere estese all'ipogeo di Marciana: anche lì la cella di testa potrebbe
essere piccola e non finita ... Si deve sottolineare, infine, che la
tradizione delle tombe a croce senza cella frontale è attestata in Sardegna fin
da epoca preistorica/protostorica (fig. 37)[18].
4. Quarta
obiezione – Prof. Luigi Donati,
cit.: “I bracci che portano alle celle laterali nelle tombe etrusche sono
sempre molto corti, tanto che le celle risultano quasi adiacenti al dromos e
raramente superano il metro di lunghezza. Nel caso in esame i bracci sono
lunghi m. 2,30 e non possono essere stati allungati nel tempo con interventi
successivi (le “iperfetazioni” in laterizi non ne alterano le misure)”.
4. Replica - Anche in questo caso, come
per la cella di testa, i bracci lunghi dell'ipogeo di Marciana non sono un
fatto isolato. Se dovessimo basarci sulle piccole differenze, non
sostanziali, arriveremmo all’abnorme conclusione che tre delle quattro tombe
del tumulo di Montecalvario, come rilevò lo stesso Pernier profondamente
diverse l'una dall'altra, potrebbero non essere etrusche. Il fatto è che nel
territorio dell’antica Etruria è così dovunque, perché nella concezione
dell’architettura sepolcrale degli Etruschi non è mai esistita una tipologia
fissa, per così dire in serie. L’insieme poteva variare nelle dimensioni,
nell’orientamento, nella disposizione degli elementi compositivi, nella materia
prima. La regola non è l’uguaglianza ma è, di fatto, la diversificazione,
dovuta a fattori mutevoli quali la committenza e lo stato sociale, la natura e
la geologia dei luoghi, la capacità e l’estro della manovalanza, pur
all’interno di uno schema nel quale comune denominatore è l’impronta culturale
di un popolo. Questo concetto vale anche per i bracci, che non sempre sono
“molto corti” come asserisce Donati. Esempi: anche prescindendo dalle tombe
di Montecalvario (fig. 39), nella tomba n. 2 di colle Val d'Elsa (fig. 40)
i bracci distano dal vestibolo 1 metro e dal dromos 2 metri, mentre nel famoso
ipogeo dei Volumni (fig. 41), a Perugia, i bracci sono
distanti dal vestibolo circa 1,60 metri e addirittura 2,60 metri rispetto ad
dromos.
5. Quinta obiezione - Prof. Luigi
Donati, cit.: “Per gli Etruschi, come noto, la tomba era la casa
dell'eternità. Pertanto, a differenza delle abitazioni reali che erano
realizzate in materiale deperibile, doveva essere costruita in pietra o scavata
nella roccia. Nelle tombe in roccia ci si preoccupava di scegliere situazioni
di piena affidabilità ai fini della durata. In particolare, se la roccia non si
elevava sufficientemente rispetto al terreno, il dromos scendeva con una
pendenza molto forte in profondità, come si può vedere, fra i tantissimi
esempi, nelle vicine necropoli di Populonia sopra menzionate. Tutto questo non
si riscontra nel nostro caso, in particolare in corrispondenza della
camera sinistra, che allo stato attuale si presenta coperta con una volta di
laterizi e pietre. Sia che lo si consideri un intervento avvenuto in un secondo
momento (“metà del XX secolo”: Zecchini 2014, p. 96) o in altre circostanze,
significa che lo spessore della roccia era comunque molto sottile”.
5.
Replica - Per
l'appunto: quale casa può essere più eterna, meno deperibile, più affidabile,
più duratura di una casa scavata nel granito qual è l'ipogeo di Marciana? La
volta/soffitto (moderna) a laterizi e pietre (fig. 42) della camera
sinistra non lascia intuire né le motivazioni della sua costruzione, né cosa
può esserci al di là (non è mai stata effettuata alcuna verifica), né quale
fosse l'altezza originaria della cella. Di conseguenza le valutazioni sullo
spessore “molto sottile” della roccia sono prive di riscontri e, come tali,
lasciano il tempo che trovano.
6. Sesta
obiezione - Prof.
Luigi Donati, cit.: “Cella destra: ha una pianta quadrangolare, in
quanto la parete destra è sensibilmente sghemba e va a lambire lo stipite in
mattoni della porta; cella sinistra: presso l’angolo ovest il piano pavimentale
non è stato finito; pertanto vi emerge una notevole protuberanza rocciosa... La
forma anomala della camera destra e l'aspetto stranamente (o
apparentemente?) non finito del pavimento in quella di sinistra, comunque inadatto
ad ospitare un defunto. Due dati difficilmente spiegabili in un monumento
funebre di prestigio”.
6.
Replica - È vero: la pianta
della camera destra non è perfettamente geometrica, il pavimento di quella
sinistra presenta nell'angolo sud-orientale una leggera protuberanza: ma sono
anomalie così marcate da far respingere l'attribuzione dell'ipogeo marcianese
agli Etruschi e a un uso sepolcrale? Credo proprio di no. Le irregolarità e le
imperfezioni geometriche sono comuni negli ipogei etruschi. Quanto a “pareti
sghembe” non c'è che l'imbarazzo della scelta: si veda per esempio, la
pianta della Tomba dell'Iscrizione[19] nella
necropoli di Poggio Renzo a Chiusi, oppure l'ipogeo conosciuto cone l'Agresto
di Colle d'Elsa, o ancora la tomba Pierini di Colle Val d'Elsa. Per le
imperfezioni si prenda come esempio, fra i tanti possibili, il caso dell'ipogeo
dei Volumni a Perugia, monumento funebre di alto prestigio. Ebbene: il rilievo
morfometrico con laser scanner e stazione totale ha evidenziato irregolarità
nell'atrio, nel columen (rastremazione), nel piano di calpestio (quote non
costanti), le camere laterali di testa sono asimmetriche (angolazione
accentuata rispetto alle altre celle)[20]. Se si parte
dall'idea di forme geometriche perfette, si tratta indubbiamente di anomalie ma
tanto ininfluenti che, anche se fossimo privi del conforto dei corredi, a pochi
verrebbe in mente di utilizzarle per mettere in dubbio l'attribuzione culturale
e funeraria del monumento.
7-
Settima obiezione - Prof.
Luigi Donati, cit.: “In alternativa cosa potrebbe essere l’ipogeo? Sono
state fatte due ipotesi. La prima è che nell’ipogeo si potesse riconoscere una
sorta di “neviera”, intendendo con tale termine un ambiente refrigerante per
conservare sostanze alimentari. Tale locale, posto all'interno dell'abitato di
Marciana, avrebbe potuto sfruttare in loco la neve delle “neviere”che si
trovavano sul monte proprio sopra a Marciana: quella detta Buca della Nivera,
fra il Monte Capanne e Le Calanche; e le due nivere documentate presso il
Santuario della Madonna del Monte (una neviera canonica “grande” della consueta
forma tronco-conica, visitata da Napoleone nel suo soggiorno del 1814, ed una
“piccola” realizzata nella più inconsueta forma rettangolare)[21]…La
seconda ipotesi è che l'ipogeo fosse un apprestamento, una sorta di caveau,
facente parte della locale zecca che doveva essere di modeste dimensioni[22] stando a come la definisce Guido Antonio
Zanetti ... Da quanto riferisce lo Zanetti, se la notizia è attendibile, si
dovrebbe concludere che la zecca vera e propria dovesse essere sistemata al di
sopra dell'ipogeo, oppure negli ambienti sul fianco sinistro (che non ho potuto
visitare)... Oppure l'ipogeo avrebbe potuto essere entrambe le cose in
successione nel tempo... o nessuna delle due cose, e quindi ancora altro? Di
questo non mi intendo e quindi non mi esprimo... sono stati avanzati dubbi che
hanno ragione di esistere, ma non sono più circostanziati e numerosi di quelli
che impediscono ad un etruscologo di riconoscervi un monumento di sua
competenza”.
7.
Replica – Le
congetture di zecca e di neviera, di ambiente refrigerante e di caveau,
riportate da Donati ma di altrui paternità, sono tanto poco verosimili da
attirare una lunga sequela di argomentazioni contrarie (si veda infra).
Luigi Donati desta
marcate perplessità allorché afferma che i dubbi circa l'ipotesi di
ipogeo etrusco sono altrettanto circostanziati e numerosi di quelli che
concernono le ipotesi di neviera e di zecca: le tre ipotesi, insomma, avrebbero
lo stesso indice di affidabilità. È un'affermazione non
condivisibile: a mio avviso, infatti, le incertezze, che nel primo caso sono
non sostanziali e tutt'altro che inconfutabili, nei due casi rimanenti
diventano macroscopiche e avvertibili da chiunque in quanto non convincenti
sotto il profilo logico. Mi spiego meglio: lo scavo a sottrazione di oltre 200
tonnellate dalla dura roccia granitica, che ha comportato anni e anni di
pesante lavoro, deve aver avuto nel committente motivazioni molto forti,
visto anche il poderoso sforzo economico. Forse che può essere considerata
motivazione molto forte quella di ottenere, con un'immane escavazione, una banale
ghiacciaia o una zecca? Forse che l'una e l'altra non potevano essere costruite
in quattro e quattr'otto con le tecniche tradizionali producendo un immenso
risparmio di tempo e di danaro? Poniamo in evidenza un altro aspetto basilare:
avendo come base la pianta dell'ipogeo etrusco di Castellina (fig. 44),
si confronti la stessa con la conformazione dell'ipogeo di Marciana (fig. 43),
di due zecche del Cinquecento quali Lucca (fig. 45) e Venezia (fig.
46), nonché della buca della 'nivera' marcianese (fig. 47) citata da
Donati e della neviera di Masi Torello (fig. 48), secondo L. Alderighi[23] apparentata con l'ipogeo di Marciana. E' così
difficile distinguere quali, fra questi monumenti, mostrano strette somiglianze
oppure marcate differenze? La risposta a tale quesito è data, con la forza
dall'evidenza, dalla foto e dagli schemi planimetrici riportati infra alle
figg. 44-49.
SEQUELA
DI NO ALL'IPOTESI ZECCA
Il primo no all'ipotesi zecca
giunge dalla Soprintendenza BAPSAE di Pisa e Livorno: “non appare credibile la
destinazione dell’ipogeo a zecca, evidentemente bisognosa di spazi più idonei
per le lavorazioni del metallo”[24]. Segue,
autorevole e perentorio, il parere negativo della prof.ssa Lucia Travaini
dell'Università di Milano: “L'esistenza di una zecca a Marciana, accennata da
Zanetti, non trova conferme numismatiche e soprattutto gli ambienti nei quali
oggi si presume abbia avuto sede non sono assolutamente idonei all'uso
come zecca ...la struttura sotterranea attuale sede del 'Museo Numismatico' non
presenta nessun requisito idoneo … La storiografia italiana (e non solo)
presenta molti casi di zecche 'inventate', o per lo meno ingigantite, per amor
patrio (quasi un mito delle zecche)”[25].
Esiste, in effetti, un cumulo
di motivazioni, peraltro non di poco conto, che copre di una coltre di dubbi
l'ipotesi della zecca marcianese. Esaminiamole.
a - La tradizione orale è troppo recente per
essere considerata di qualche peso, tant'è che il Catasto Leopoldino del 1840
registra la zona come “La Tomba” e non come “La zecca degli Appiani”.
Altrettanto dicasi per la tradizione scritta: la prima proposta, non motivata,
di identificazione fra ipogeo e zecca risale al 1964[26].
b - Il settecentesco numismatico Guido Antonio
Zanetti così si esprime al riguardo: “Tali sono le monete, delle quali m'è
riuscito aver notizia, col nome dei principi di Piombino. Questi le fecero
coniare nella propria zecca, che avevano fatto erigere sì in Piombino, in luogo
vicino alla Cittadella, ove ancora si conserva la Fabbrica, sebben negletta,
che in Follonica; come pure nell'Isola d'Elba oltre Rio ed anche in Marciana
restando oggidì nominata una stanza di ragione della Casa Bernotti la Offcina
della Zecca”[27].
Occorre rilevare, prima di
tutto, che se Zanetti avesse inteso davvero riferirsi all'ipogeo, avrebbe
parlato non di una sola stanza ma di più stanze, stante il fatto che l'ipogeo
stesso è composto da corridoio orizzontale, dromos discendente, vestibolo,
piccola cella frontale, due corridoi e due 'stanze' laterali, e quantomeno
avrebbe aggiunto sotterranee.
c – Luciano Giannoni, uno dei massimi fautori
dell'ipogeo come zecca, o comunque come caveau della stessa, evidenzia
giustamente che quattro officine per uno stato che contava non più di 6.000
abitanti erano eccessive ed esclude le due che non rispondono a nessun criterio
funzionale, cioè Follonica e Rio, oltretutto piccoli centri ben poco
difendibili. A suo avviso restano Piombino, con l'officina "...nei pressi
della Cittadella...(residenza dei principi) e Marciana nella "casa
Bernotti..." che guarda caso era il majordomo dei Ludovisi sull'Elba”[28]. Conseguenza prima di questo tipo di ragionamento è
che la testimonianza dello Zanetti è poco affidabile e, così come ha sbagliato
per due zecche (volutamente o no poco importa), può avere errato anche per la
terza, quella di Marciana, peraltro piccolo centro assai poco difendibile –
come dimostrano gli esiti dei devastanti attacchi barbareschi - non
diversamente da Rio e da Follonica. Rimane da aggiungere che in questo modo Giannoni
sconfessa sostanzialmente il numismatico Zanetti, sua fonte essenziale per la
costruzione dell' ipotesi 'zecca'.
d - In Toscana e in Italia (e forse nel mondo) non c'è
un solo locale adibito a zecca che sia fatto come l'ipogeo a croce marcianese o
che a quello assomigli sia pure vagamente.
e - Nel cunicolo della zecca non è stata scoperta alcuna
moneta o sua parvenza. I fautori della zecca asseriscono che essa ha avuto una
lunga attività, ma omettono di precisare che non è stata mai trovata, in nessun
luogo dell' universo conosciuto, una sola moneta riconducibile alla zecca
marcianese.
f - Nel deposito archeologico della zecca
marcianese non è emersa la benché minima traccia delle fasi di coniazione.
g - Agli inizi dell'ultimo decennio del XVI secolo
l'imperatore Rodolfo II, nominando Jacopo VII Principe di Piombino, gli
riconfermò il privilegio di battere moneta aurea et argentea: si tratta di un
dato univocamente accettato. Ma non c'è scritto da nessuna parte che
l'imperatore abbia indicato di costruire una zecca a Marciana e che tale zecca
sia stata usata.
h - Non c'è alcuna emissione monetale della zecca
di Marciana registrata nel Corpus Nummorum Italicorum; quest'ultimo (Toscana
zecche minori, XI volume, 1929, p. 207) liquida la questione con queste parole:
“Marciana. Nell'Isola d'Elba. Secondo Zanetti sembra che i principi di
Piombino, oltre che in questa città tenessero aperta una zecca anche in
Marciana. Non si conoscono però monete che portino il nome o il segno di questa
zecca”. Dal 1929 a oggi le monete provenienti dalla molto supposta zecca di
Marciana sono ancora zero.
i - Per quanto riguarda la zecca di Marciana
non esiste un elenco dei nominali messi in circolazione dall'autorità
emittente, né ci sono notizie sui nominativi del personale della zecca e delle
relative mansioni.
j - Tranne la predetta, succinta menzione di G. Zanetti
(1775), generica e molto poco indicativa anche perché il numismatico è ritenuto
un po' troppo dedito all'esaltazione del Principe, la zecca di Marciana è
bellamente ignorata sia dagli attenti eruditi elbani del tempo, sia dai
viaggiatori/scrittori del “Grand Tour” (XVIII-XIX secolo), sia da qualsivoglia
fonte documentaria o archivistica. A voler essere pignoli, una seconda
citazione della zecca c'è in Lorenzo Taddei Castelli[29],
ma egli non fa che riprendere la notizia da Zanetti in maniera ancora più
generica: “Nel 1588 risiedeva in Marciana il Signore di Piombino, e vi è sempre
il locale, dove in antico si batteva moneta, che si chiama la Zecca”.
Esistono forti dubbi che Taddei Castelli abbia visto il locale al quale
accenna. Per comprendere il tenore della sua testimonianza, basta leggere la
frase precedente: “Alla riva del mare presso Marciana vi è un sotterraneo nel
granito, che si chiama Cava d'Oro, ed è quasi sempre inondato dall'acqua del
mare medesimo”. È appena il caso di far presente che in realtà il
citato cunicolo minerario, che si apre in località Maciarello con uno stretto
ingresso rivolto a nord, si trova circa 15 metri sopra il livello del mare ed è
appena bagnato dagli spruzzi delle più violente mareggiate. Inoltre, stante il
fatto che la locuzione “sotterraneo del granito” gli era nota, avendola usata
per la Cava dell'Oro, se l'pogeo marcianese lo avesse visto davvero lo avrebbe
qualificato così o con un'espressione del genere.
k - Non appare credibile che gli Appiano abbiano
collocato la loro zecca nell'ipogeo, ambiente privo sia di luce sufficiente sia
dell'aerazione indispensabile nel processo di lavorazione dei metalli e
vitale per gli stessi addetti ai lavori.
L - Non si capisce perché gli Appiano debbano aver
intrapreso un lavoro immane e costosissimo (tale è da considerare lo scavo di
200 tonnellate di roccia granitica) mentre, con poca spesa e in tempi rapidi,
avrebbero potuto costruire un immobile, ampio e luminoso, da adibire a zecca.
m - Sarebbe illogico ammettere che gli Appiano
abbiano voluto scavare un immenso 'caveau' lontano dalla fortezza (che si trova
circa 75 metri più in alto) e, per di più in una zona aperta, facilmente
identificabile e indifendibile in caso di attacchi corsari, brutali e
distruttivi, come quelli perpetrati ai danni dell'Isola, Marciana compresa, nel
XVI secolo, da parte di Ariadeno Barbarossa e di Dragut.
n - Che cosa, gli Appiano, avrebbero dovuto
nascondere e proteggere nel grande caveau marcianese? forse il tesoro di
Montecristo o le riserve auree di Fort Knox? Anche in questo caso è lo stesso
Giannoni a rispondere indirettamente a tale domanda ironico-retorica affermando
che, eventualmente, a Marciana si sarebbero coniate monete di poco conto:
“Dovendo fornire di propria moneta l'isola era molto meno rischioso trasportare
da Piombino all'Elba il rame che non le monete già coniate. Parlo di rame
perché da alcuni documenti che ho trovato di recente nell'Archivio Segreto
Vaticano risulta che l'argento fosse utilizzato rifondendo monete spagnole
(Portolongone) o fiorentine (Portoferraio) presenti sull'Elba. Da questo
documento avrei motivo di supporre che sull'Elba venisse coniata solo moneta di
piccolo taglio (mezzi giulij, crazie e quattrini) che serviva all'uso
quotidiano della popolazione”[30].
In altre parole: chi può
credere che gli Appiano abbiano costruito un capolavoro di caveau per
custodirvi monetine da elemosina?
o - Di un'impresa titanica, molto lunga e onerosa,
qual è da considerare l'escavazione di una gran massa di granito, dovrebbe essere
rimasto un ricordo multiplo e vivace negli archivi; al contrario, non ne è
stata scoperta la minima traccia né in quello di Marciana, né in quelli di
Piombino o di Firenze, né in quelli del Vaticano, né altrove.
p - Il Palazzo (o Casa) degli Appiani di Marciana, che
viene sempre associato alla zecca quasi come condicio sine qua non
dell'esistenza della stessa, in realtà è sconosciuto ai documenti.
A questo punto è da prendere
in seria considerazione una verità scomoda per certuni, ossia che la zecca di
Marciana sia da inserire fra le molte zecche mai esistite, create ad arte nel
passato per “provare l'autonomia di una località oppure desunte da errate
letture di documenti scritti”[31]. D'altronde
l'importanza di Marciana nell'ambito dello scacchiere geo-politico della
Toscana e della stessa Signoria (poi Principato) degli Appiani dovette essere
'residuale': né è controprova, per esempio, il fatto che nella nutrita
documentazione dell'Archivio di Stato di Firenze riguardante la “Casa
d'Appiano”, pubblicata di recente (Miscellanea Medicea III, 2014), il nome di
Marciana compare una sola volta (filza 562, anno 1612).
ARGOMENTI
CONTRARI ALL'IPOTESI NEVIERA
Dopo aver affermato, come si è
visto, che l'ipogeo “sembra rappresentare l'impegno di una comunità per
un manufatto a servizio della comunità stessa, quale potrebbe essere un
neviere o una cisterna”[32], L. Alderighi replica la
sua opinione asserendo che “A supporto della funzione di neviera o
cisterna potremmo addurre la somiglianza con la neviera della Tacchinella a
Canzano (TE), che, sebbene di dimensioni più ampie, ne ricorda alcuni
particolari come il corridoio in discesa e le nicchie per i lumi, oppure la
neviera di Masi Torello (FE) che, pur anch'essa rivestita da una cortina
di laterizi come quella della Tacchinella, presenta un cordolo in rilievo a
circa 1 m di altezza da terra come l'ipogeo di Marciana”[33].
Occorre rilevare che sia la
neviera di Tacchinella sia quella di Masi Torello sono totalmente
difformi dall'ipogeo di Marciana per pianta (circolare) e materiali da
costruzione (laterizi). Nella seconda, per di più, il cordolo citato
dall'Alderighi ha ben poco a che vedere con la risega o zoccolo dell'ipogeo
marcianese.È da notare infine che l'immobile (Casa Bernotti) costruito
(questo sì in epoca appianea!) sopra l'ipogeo, ha un orientamento diverso
(120°SE/ 300°NW) rispetto a quello dell' architettura sotterranea
(135°SE/315°NW).
Contrario all'ipotesi neviera
è l'arch. Riccardo Lorenzi della Soprintendenza alle Belle Arti di Pisa, che
così si esprime: “Appare poco credibile l’enorme lavoro di scavo nella roccia
granitica per il solo recupero di ambienti del genere, così angusti e
particolari, destinati alla sola conservazione o all’immagazzinamento di beni e
cibi e bevande”[34]. Simili a quelle di
Lorenzi sono le valutazioni delle prof.sse Barbara Aterini[35] e
Lucia Lo Priore[36] (cortese comunicazione
personale), due specialiste degli studi sulle neviere.
In conclusione, l'ipogeo di Marciana non è una neviera
perché:
- non presenta altre aperture oltre al corridoio
d'ingresso;
- non ha buche di carico;
- non ha in alto un camino di aspirazione che permetta la circolazione dell’aria;
- non ha in alto un camino di aspirazione che permetta la circolazione dell’aria;
- non presenta aperture o canali per la
fuoriuscita dell’acqua di fusione;
- non esistono neviere con pianta a croce o con
architettura sia pure lontanamente simile;
- non è credibile che qualcuno (principe o
comunità poco importa) abbia potuto procedere all'escavazione di circa
200 tonnellate di granito per ricavare un semplice ambiente refrigerante.
CONCLUSIONI
Non si può non concordare con Donati sulla “incompletezza delle
indagini” finora effettuate sull'ipogeo di Marciana. Ci sarebbero diversi
aspetti da approfondire, ma chi avrebbe avuto il potere e il dovere di farlo
nei tre anni passati da quando è iniziato il dibattito si è mosso ben poco. Né
- questa è la libertà di ricerca - è stata data la possibilità allo scrivente e
ad altri studiosi di compiere le verifiche desiderate.
Ciò premesso, si deve rilevare
che alla luce delle conoscenze attuali una pluralità di dati multidisciplinari
porta alla conclusione che l'ipogeo altro non sia che una tomba etrusca
gentilizia, forse non priva di influssi sardi, scavata nel granito
probabilmente fra il VI e il V secolo avanti Cristo, purtroppo spogliata del
suo ricco corredo funebre in momenti non definibili o, con assai minore
verosimiglianza, non usata per motivi che potrebbero essere i più vari.
Le rimanenti ipotesi (zecca,
neviera, cisterna degli Appiani o comunque di epoca post rinascimentale) non
presentano elementi tipologici, documentali, toponomastici, logici a loro
conforto e, di conseguenza, appaiono prive di fondamento. Si sta parlando,
ovviamente, delle origini e delle funzioni originarie del monumento, non dei
suoi riutilizzi. È opportuno precisarlo perché nel dibattito si è
verificato talvolta che, all'occorrenza, il concetto di funzione originaria è
stato fatto traslare ad arte, quasi che fossero la stessa cosa, sul concetto di
“riuso”. Anche se in questa sede ha un interesse marginale, si precisa che, in epoca
recente (fine XIX secolo/Anni Settanta), è documentato un riuso come
deposito di vino, di vettovaglie varie, di ricovero per attrezzi da lavoro di
un fabbro. Non ci sono seri indizi che l'ipogeo sia servito, in momenti non
precisabili, come ambiente refrigerante o per contenere metalli adatti a
coniare monete per una zecca che si trovava altrove, e tuttavia non si può
neppure escluderlo in assoluto, così come non si può escludere che sia
stato usato a mo' di riparo per animali o di rifugio per esseri umani in tempi
di guerra, o chissà per cos'altro.
La strada maestra della
ricerca dovrebbe partire da una constatazione che è al contempo un programma di
indagine: è un dato di fatto che per realizzare l'ipogeo sono state
estratte oltre 200 tonnellate di roccia granodioritica e l'intervento, che
presuppone forti motivazioni, ha comportato un grande sforzo economico e lunghi
tempi di lavorazione (senza dubbio anni e anni), sia per la durezza del granito
sia per la ristrettezza del dromos e dei corridoi nei quali poteva operare un
solo scalpellino. La si vuole individuare e analizzare questa motivazione
forte, oppure è preferibile continuare a inoltrarsi in sentieri che sono
autentici culs-de-sac? È forse da considerare “forte” la motivazione di chi
(Appiani o altri) si sarebbe speso in un'opera titanica per ricavare una
geometrica neviera cruciforme per un manipolo di abitanti, o una cisterna
là dove acqua ce n'era in abbondanza, o una coassiale zecca esposta alle
devastanti incursioni piratesche, o un inutile caveau per monetine di
terz'ordine, mentre avrebbe potuto ottenere lo stesso risultato, con un enorme
risparmio di tempo, di energie e di denaro utilizzando altre
tecniche di costruzione conosciute e consolidate (per esempio pietre, laterizi
e calce)? Mutuando un concetto espresso
dal prof. Mallegni[37], si può concludere che con i
dati finora a disposizione non si scorgono all'orizzonte - eccezion fatta per
quella di monumento funerario etrusco - altre proposte che abbiano una parvenza
di attendibilità. Se per caso qualcuno le avesse, sarebbe opportuno che le
presentasse senza remore alla comunità scientifica.
[1] S. Ferruzzi, Zecca di Marciana. Progetto di riqualificazione
storica ad uso didattico e museale, s. d. (2008?).
[2] L. Alderighi, in nota Soprintendenza Beni Archeologici della
Toscana, 27-10-2014 prot. 16720.
[3] G. A. Centauro, C. A. Garzonio, M. Zecchini, Conservazione
dell'architettura funeraria etrusca. Il caso dell'ipogeo di Marciana scavato
nel granito, in RA-Restauro Architettonico, Università di Firenze, 2, 2015.
[4] G. A. Centauro, C. A. Garzonio, M. Zecchini, Conservazione, cit.,
2015.
[5] L. Pernier, Castellina in Chianti. Grande tumulo con ipogei
paleoetruschi sul Poggio di Montecalvario, in Notizie Scavi, 1916, pp.
263-281.
[6] S. Pieri, Toponomastica della valle dell'Arno, 1919, p.
361.
[7] Cfr. M. Zecchini, Elba isola, olim Ilva, 2014, p. 100. Va precisato che
nella tomba, sul finire dell'Ottocento, si imbatterono alcuni operai, che non erano
certamente in grado di valutarne l'artificialità o meno. Il loro racconto è
stato poi ripreso da vari autori, secondo i quali si tratterebbe di una cavità
naturale. Sta di fatto, però, che, pur considerando eventuali adattamenti, la
'cavità' presenta una forma geometrica tutt'altro che simile alle cavità
naturali granitiche (tor, tafoni, spaccature) usate come sepolture dagli
Etruschi nel territorio insulare (Montecatino, Madonna del Monte, Omo Masso,
Serraventosa, Bagno, Monte Moncione). Per di più le formazioni granitiche
naturali dell'Elba risultano essere state utilizzate fino al 550 circa a. C. e
mai in epoca ellenistica.
[8] L. Alderighi, nota Soprintendenza Archeologia Toscana del
01-07-2015, prot. 10359.
[9] Cfr. A. Naso, Architetture dipinte: decorazioni parietali non figurate
nelle tombe a camera dell’Etruria meridionale: VII-V sec. a. C., 1996, figg.
152-153, 154, pp. 202-205, fig. 1 di p. 210, pp. pp.
282-283.
[10] Si veda A. M. di Nola in Enciclopedia delle religioni, 1971, II,
cc.
142-159).
[11] Cfr. M. Zecchini, Isola d'Elba: le origini, 2001, p. 60 s.
[12] Già ordinario di etruscologia all'università di Firenze e attuale
segretario generale dell'Istituto di Studi Etruschi e Italici. Sono lieto
che Donati abbia avviato sul problema un serio confronto scientifico: le
ricerche future diranno qual è la soluzione giusta.
[13] Cfr. Considerazioni sull'ipogeo di Marciana Alta, in “Lo Scoglio”, dicembre
2016, n. 108. Le obiezioni di Donati erano state sostanzialmente anticipate
nella nota alla SBAT del 16 dicembre 2015 dal titolo “Considerazioni
sull'ipogeo di Marciana”.
[14] Mi pare che su tale argomento esista una buona bibliografia (si vedano,
per es., A, Taramelli, Buddusò, Monumenti preistorici varii, in Notizie Scavi
1919, pp. 128 ss.; E. Contu, L'ipogeismo nella Sardegna pre e protostorica, in
L'ipogeismo nel Mediterraneo: origini sviluppo, quadri culturali, Atti del
Congresso Internazionale di Sassari, 2000, pp. 313-366; M.G. Melis, Aspetti
dell'ipogeismo nell'alta valle del Tirso, Ibidem, pp. 779-787). L. Donati
ritiene invece che le domus de janas non siano mai state scavate nel granito:
“I Sardi scavavano i loro sepolcri, segnatamente le Domus de Janas, in
conformazioni rocciose sedimentarie (calcare) o magmatiche effusive (trachiti)
e non magmatiche intrusive come le rocce di affiliazione granitica: rocce
quindi che presentano una migliore lavorabilità”.
[15] Si veda M. G. Melis, Problemi di cronologia insulare. La Sardegna tra
il IV e il III millennio a. C., in Cronologia assoluta e relativa
dell’età del rame in Italia, 2013, pp. 197-211.
[16] A. De Agostino, Castelnuovo Val di Cecina (Pisa). Tomba etrusca a
camera in località via Piana, in Notizie Scavi, 1953, pp. 9-10.
[17] La planimetria è rielaborata da spazioinwind.libero.it/Etruschi.
[18] A tale proposito si veda la tomba XX (circa 6,50 x 5,20 metri) della
necropoli di Angelu Rùju scavata nell'arenaria e riferita alla cultura di
Ozieri, la cui cronologia di base è compresa fra il 3800 e il 2900 ca cal. (E.
Contu, L'ipogeismo nella Sardegna pre e protostorica, in L'ipogeismo nel
Mediterraneo: origini sviluppo, quadri culturali, Atti del Congresso
Internazionale di Sassari, 2000, pp. 313-366), ma con adattamenti e
attardamenti d'uso che potrebbero arrivare fin oltre il 1000 a. C.. D'altronde
sono noti sia i remoti contatti culturali fra Sardegna e Elba (cfr. M.
Zecchini, Elba isola olim Ilva. Frammenti di storia, 2014, pp. 24-29, 44-46,
56-60) sia il fatto che il toponimo Ilva - è un'osservazione del
linguista Massimo Pittau - in epoche molto antiche connotava sia l'Elba stessa
che l'isola della Maddalena.
[19] A. Martelli, L. Nassori, in Annali di Archeologia e Storia antica,
N.S. n. 5, 1998, pp. 81-101, fig. 6.
[20] M. Balzani, D. Blersch, in Paesaggio antico, 2, 2007.
[21] Donati introduce, dunque, una nuova ipotesi
poco convincente: l'ipogeo/neviera di Marciana sarebbe stato una sorta di
centro di raccolta nel quale confluivano la neve e il ghiaccio delle neviere
della Madonna del Monte e delle Calanche. Si deve aggiungere che la datazione
di queste ultime è registrata dai documenti d'archivio e
collocata entro la prima metà del XIX secolo: periodo al quale parrebbe, per
estensione, che Donati facesse risalire la costruzione anche dell'ipogeo di
Marciana. Di quest'ultimo, però, guarda caso, per quanto abbia comportato un
lavoro enormemente più importante e più duraturo rispetto alle suddette neviere
'secondarie', non esiste alcuna testimonianza scritta né alcuna tradizione
orale.
[22] Ancóra un' ipotesi poco credibile: un grande e
inspiegabile caveau (l'ipogeo) per una assai supposta zecca molto piccola, per
la cui ubicazione si brancola nel buio: è un modo, a mio avviso, non per
avvicinarsi alla soluzione ma per aggiungere perplessità a una pletora di
controindicazioni già esistenti.
[23] Soprintendenza Archeologia Toscana: nota del 26-01-2016 prot. n.
1256.
[24] Nota del 12-12-2014, prot. 15146.
[25] Web, Wikipedia, voce 'zecca di Marciana', nota del 29-03-2016.
[26] E. Lombardi, Santuario della Madonna del Monte, 1964.
[27] G. Zanetti, Nuova raccolta delle monete e
zecche d'Italia, 1775, cap. 40.
[28] Web, L. Giannoni, in LaMoneta.it, 18 agosto 2014.
[29] Descrizione istoriografa dell'isola dell'Elba dedicata a sua
eminenza il sig cardinale conte Anton Felice Chigi Zondanari arcivescovo di
Siena, 1814, p. 29.
[30] Web, L. Giannoni, in LaMoneta.it, 18 agosto 2014.
[31] Così annota, parlando delle zecche in genere, L. Travaini in Le zecche
italiane fino all'Unità, Roma 2011.
[32] Nota SBAT del 27-10-2014 prot. 16720.
[33] Nota SAT del 26-01-2016, prot. n. 1256.
[35] Autrice del volume “Le ghiacciaie: architetture dimenticate”,
Firenze 2008.
[36] Autrice del libro “Le neviere in Capitanata – Affitti, appalti e
legislazione”, Foggia 2003.
[37] Si veda l'efficace sintesi di F. Mallegni,
L'ipogeo di Marciana: ma che zecca, ma che neviera!, in Tenews, 18 novembre
2016.
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