lunedì 16 gennaio 2017

Archeologia della Sardegna. Culto e Misteri dei Bronzetti Sardi Nuragici.

Archeologia della Sardegna. Culto e Misteri dei Bronzetti Sardi Nuragici.
Riflessioni sul tema, di Mariano Piras 
(copyright Mariano Piras, tutti i diritti sono riservati all'autore)
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Dea Madre
La divinità principale dei Nuragici era la Dea Madre, considerata il principio femminile della Natura e identificata con essa. Il suo corpo era la Terra sulla quale viviamo, il suo respiro era il vento (aria), il suo sangue era l’acqua che scorre nei fiumi e il suo spirito era la luce (fuoco). Per queste caratteristiche veniva rappresentata con sembianze umane: una Madre il cui culto si diffuse in tutto il mondo già nella preistoria, sorprendentemente anche tra popolazioni distanti tra loro. Probabilmente, questa ideologia religiosa legata alla Dea Madre, fu diffusa e tramandata da una popolazione che viaggiò per i vari continenti ma potrebbe esserci una spiegazione alternativa: nel paleolitico superiore, quando l’uomo viveva in perfetta simbiosi con la Natura, la Dea Madre potrebbe avere impresso nella mente dell’uomo la consapevolezza della Sua presenza, insieme all’istinto e alla morale.
Oggi la scienza arriva pian piano a scoprire questioni che i nostri antenati conoscevano fin dall’alba dei tempi. Nel glossario del suo libro “Non a Sua immagine”, John Lamb Lash (Uno Editori, I edizione 2/2013), riferendosi alla Terra cita il termine “autopoietico” per indicare un sistema capace di rigenerarsi e creare le
sostanze adatte alla sua sopravvivenza. Questa parola fu coniata negli anni Settanta del secolo scorso, insieme al termine ecofemminismo, una dottrina moderna che vede un legame tra la subordinazione delle donne e lo sfruttamento e il degrado della natura. Un’altra recente scoperta, pur se i nostri antichi antenati ne erano già a conoscenza, è che la Terra è un superorganismo vivente e senziente, dotato d’intelligenza che si regola in base alle forme di vita che lo abitano. Tutto ciò fu scritto dallo scienziato inglese James Lovelock nel 1979 in “Gaia, a new look at life on Earth”. Gli uomini si accorsero che il susseguirsi delle stagioni era conseguenza di fenomeni celesti. L’interazione ciclica tra i fenomeni che avvengono in cielo e in terra dà luogo alle stagioni, e la natura offre un ciclo che va dalla nascita, alla crescita, alla maturazione, alla morte e, infine, alla rinascita.
Il seme deve morire per dare vita a una nuova pianta, per cui in esso c’è qualcosa di eterno che si conserva dopo la morte.  E cosa ci può essere di eterno nell’uomo? L’anima!
L’anima, per queste culture antichissime, si separava dal corpo dopo la morte e saliva in cielo prendendo posto nel grande orologio cosmico che è lo zodiaco. Successivamente si reincarnava in un nuovo corpo.

Il moto annuale del Sole all’interno delle costellazioni dello zodiaco scandiva le stagioni, e la costellazione in cui si trovava in Primavera, durante la civiltà nuragica, era la costellazione del Toro.
L’anima dell’uomo morto, affinché rinascesse in un nuovo corpo, doveva raggiungere la costellazione del Toro, dove avveniva l’equinozio di Primavera e la natura rinasceva.
Il rito funerario, che con le sue pratiche permetteva all’anima di separarsi dal cadavere, avveniva al sorgere di questa costellazione, in varie ore del giorno e della notte secondo la stagione.
L’elemento principale della costellazione del Toro sono le corna e tutto doveva riferirsi a questo elemento. Le tombe dei giganti, i sepolcri monumentali in cui si seppelliva in quei tempi, hanno la forma delle corna del toro. La nave che trasportava le anime nell’aldilà sino allo zodiaco, aveva sulla prora una protome taurina. I guerrieri portavano l’elmo con le corna non per far paura al nemico ma perché se fossero morti in battaglia e non avessero ricevuto il rito di sepoltura, potevano comunque sperare che la loro anima raggiungesse la costellazione. In altre parole, attuavano le condizioni per la reincarnazione. Queste conoscenze risalgono a una dozzina di migliaia di anni fa quando la costellazione in cui si trovava il Sole all’equinozio di primavera era il Leone. Queste rivelazioni furono apprese dalle donne con intercessione della Dea Madre. In Egitto, gli uomini riuscirono fin dal Neolitico ad apprendere queste conoscenze dalle sacerdotesse. Si andò formando una classe di uomini che si dedicavano alla religiosità. Fecero costruire le tre grandi piramidi e la sfinge, manifestando con esse uno sfoggio di magnificenza e potenza. Uno dei principali scopi di questi immensi edifici sacri, era quello di indirizzare l’anima nella costellazione del Leone, precisamente nella stella Regolo, in prossimità della quale si trovava il Sole all’equinozio di primavera. Mentre altrove la sfera del sacro attuata dalle sacerdotesse riguardava tutti, in Egitto il rito funerario era riservato al faraone, a sua moglie e al figlio. La grande piramide era per il faraone, quella media per la moglie e la piccola per il figlio, se fosse morto prima di diventare faraone. Il corpo veniva deposto all’interno della piramide fino alla fuoriuscita dell’anima, agevolata dalla lettura dei passi del libro dei morti. Dopodiché il corpo veniva portato nella tomba.

Le tre piramidi di Giza, come disse Bouval nel suo libro “il Mistero di Orione”, sono allineate secondo le tre stelle della Cintura di Orione. Da principio, per gli egizi, Orione era Nu, raffigurato a mezzo busto mentre sorreggeva la barca funeraria. Ma l’Orione a mezzo busto non si vide mai nei cieli egizi. Per vederlo così bisognava salire sino all’alta Mesopotamia e nelle terre che si trovavano alla latitudine di 40°, ad esempio in Sardegna, a Creta, nell’Andalusia e in altre terre. C’è da precisare che questo fenomeno avveniva intorno al 10000 a.C. Successivamente, in Egitto, Orione-Nu diventò Orione-Osiride, con la stessa funzione di accompagnatore dei morti all’aldilà.
Tuttavia, gli egizi non avevano compreso bene l’antica conoscenza, o la dimenticarono nel tempo, perché quando, successivamente, gli equinozi di primavera non avvenivano più nel Leone ma nel Cancro, poi nei Gemelli e in seguito anche nel Toro, loro continuavano a compiere gli stessi riti nelle piramidi.
Fu solo intorno al 1300 a.C., con il faraone Ramses II della XX dinastia, che si nota una novità nelle tombe egizie. Il faraone era deluso dai risultati dei riti, e i suoi sacerdoti cercavano, invano, di riportare alla luce l’antico sapere. Quando incontrarono gli Shardana, i sacerdoti riferirono al faraone che quel popolo possedeva l’antica conoscenza, avendo osservato il rituale che riservavano ai loro morti. Gli Shardana confidarono al faraone che provenivano da un’isola che sta in mezzo al Grande Verde, il Mare Mediterraneo. Egli pensò si trattasse di quel popolo, citato negli antichi scritti, che trasmise la conoscenza al mondo. Forse questo fu uno dei motivi per i quali gli Shardana furono arruolati nella sua guardia reale: voleva farsi raccontare le loro conoscenze. Da quel momento, in Egitto furono edificati templi e santuari particolari, alcuni dei quali somigliano a quelli sardi, templi a megaron e pozzi sacri, proprio perché svolgevano funzioni similari. Inoltre, nelle tombe, da quel momento in poi fu disegnata la posizione del sole tra Toro e Ariete come si trovava in quei tempi: all’equinozio di primavera.

In Sardegna, invece, non si guardò a immense costruzioni, neanche nell’era del Leone. Vediamo, ad esempio, i menhir con il simbolo della costellazione scolpito in rilievo. C’è da dire che non era il Leone perché i sardi non lo conoscevano, infatti, le tre stelle posteriori del Leone, ossia Kertan, Zosma e Denebola, appartenevano a un’altra costellazione. Rappresentavano il simbolo che conosciamo: la costellazione del Leone senza le tre stelle posteriori (foto 5-5.1). Dopo 3000 anni furono realizzati i Dolmen, a imitazione della costellazione dei Gemelli, e dopo altri 2000 anni le tombe di giganti a forma di testa di toro. Ritengo che nell’era del Cancro (VII e VI millennio a.C.)furono realizzate delle Domus de janas che imitano il guscio del granchio, dove il defunto veniva sotterrato insieme a gusci di crostacei, bagnato e ricoperto di ocra rossa, il colore del granchio. Queste tombe furono riutilizzate nell’era del Toro (IV millennio a.C.), per cui risulta stravolta la datazione.

La simbologia zodiacale è più antica di quanto si pensi e gli abitanti della Sardegna la conoscevano dalla notte dei tempi. L’elemento caratteristico delle costellazioni, era quello che doveva attuare la separazione dell’anima dal corpo.  Nell’era dei Gemelli, segno d’aria, 6500 a.C. – 4500 a.C., il corpo veniva lasciato a scarnificare prima di essere sepolto. Nell’era del Toro, segno di terra, 4500 a.C. – 1200 a.C., il defunto veniva seppellito inizialmente nelle domus de janas e poi nelle tombe dei giganti. Nell’era dell’Ariete, Cervo per i nuragici, segno di fuoco, dopo il 1200 a.C., il cadavere veniva sottoposto al rogo rituale prima di essere seppellito.
Con la nascita di agricoltura e allevamento, intorno al 12000/10.000 a.C., le popolazioni divengono stanziali, iniziano le relazioni sociali e l’uomo attenua la sua simbiosi con la natura. E’ come se la Grande Madre, visto che le comunità desideravano il distacco dalla simbiosi a favore di uno sfruttamento intensivo della natura, avesse detto che da quel momento avrebbero dovuto sottostare alle conseguenze. Fu come un tradimento verso la Gran Madre perché la terra era ricca di beni, dalle piante agli animali, e non c’era bisogno di produrre più di quanto necessario per cibarsi. Le genti si distribuirono anche in zone inospitali, manipolando l’habitat, disboscando e sfruttando intensivamente le terre. Dal lavoro si generò il profitto e, da questo, l’avidità. Questa progressione di eventi alimentò guerre per il possesso di nuovi territori. Con l’invenzione della moneta, si manifestarono a cascata tutti quei fenomeni che complicano la vita rendendola una ricerca frenetica di qualcosa che non si può ottenere e, spesso, non si sa neanche cosa sia.
Le guerre arricchivano i vincitori ma avevano aspetti cruenti e provocavano distruzione. Per convincere le genti ad andare in guerra, servivano strumenti di controllo sui popoli. Il culto della Gran Madre fu messo da parte, e presero piede le divinità maschili, fino ad allora considerate per il ruolo di fecondatori.
In ogni angolo della terra nacquero religioni caratterizzate da divinità maschili che incitavano i fedeli alla guerra, pur se subdolamente si professavano come religioni di pace.
La Sardegna, per le sue doti di ricchezza alimentare come agricoltura, allevamento e pesca, dovute anche all’isolamento, si mantenne lontana da questi eventi cruenti per un certo tempo. La divinità maschile del culto della Gran Madre era Sardan: il figlio che nasceva a primavera, cresceva, diventava lo sposo della Madre fecondandola per poi morire e rinascere.


Nelle sue forme antiche, la Dea Madre mediterranea era rappresentata da un corpo di donna stilizzata con le braccia aperte, una sorta di croce somigliante alla costellazione della Croce del Sud (foto 1-1.1-1.2). Alle nostre latitudini, nel paleolitico e nel neolitico, questa costellazione si poteva osservare alta sull’orizzonte, per il noto fenomeno del movimento di precessione dell’asse terrestre. Anche le statuine più antiche della Gran Madre, quelle ritrovate nella necropoli Cuccuru Is Arrius, nei pressi di Cabras, mostrano una donna seduta, grassa, con il bacino largo, evidenziano un restringimento ai piedi e alla testa, e simboleggiano la Croce del Sud. Questa costellazione è la più lontana dal Nord, origine del vento freddo, mentre i venti caldi spirano dalle direzioni da cui si poteva osservare la Croce dal suo sorgere al suo tramontare. Questa simbologia è riferibile al fatto che la vita è calda mentre la morte è fredda.
L’uomo preistorico percepiva la vita come un mistero, non riusciva a comprendere le connessioni tra il suo corpo e la sua intelligenza, verosimilmente perché non era ancora consapevole della sua anima. Ritengo che fu la Gran Madre a rivelarsi. Fin dal Paleolitico superiore, insegnò alle donne l’utilizzo di piante enteogene, ossia quelle che avevano la capacità di rivelare all’individuo che le assumeva la presenza della Divinità all’interno della Natura. Le sacerdotesse crearono un’organizzazione che custodiva i misteri ai quali, di volta in volta, accedevano altre donne grazie alle conoscenze che si tramandavano e all’elaborazione di particolari riti. Nacquero le Sacerdotesse della Dea Madre, chiamate anche sciamane. Ognuna di esse aveva una discepola, una bambina alla quale insegnava nel tempo le sue conoscenze. Gli uomini rispettavano questa loro facoltà, e nelle comunità divennero consigliere e guaritrici. Lo sciamanesimo è la comunione con la natura. Non sorprende che l’accesso alla sua conoscenza è aiutato dall’assunzione di specifiche piante, infatti è la Gran Madre che genera il mondo vegetale e con esso fornisce la possibilità, a chi predisposto, di comunicare con Lei.
In Sardegna, l’antica conoscenza proseguì per millenni in mano a sacerdotesse che riuscirono a preservarla e tramandarla, anche grazie all’isolamento. Queste donne conoscevano i meccanismi della natura e avevano la facoltà di agire sui fenomeni naturali. Per queste caratteristiche erano rispettate e temute. Ritengo che gli uomini avessero altri interessi e non si occupavano di questi fenomeni. Ancora oggi, in vari paesi della Sardegna, i sindaci sono giovani donne e gli uomini le lasciano lavorare senza creare problemi.


Immagino che un giorno, una sciamana che aveva fatto buon uso delle sue piante, osservando la Croce del Sud, ossia la Gran Madre, vide che sopra vi era una costellazione che raffigurava una donna nell’atto di mostrarle qualcosa. Era come se questa costellazione procedesse dallo sviluppo della Croce del Sud, verso l’alto. Si trattava della costellazione della Vergine (foto 2.1-2.2). Noi diciamo che la costellazione mostra una vergine che tiene in mano una spiga di grano, ma osservandola non si vede niente del genere. Invertendo la direzione d’osservazione di 90°, ossia guardandola da Nord verso Sud (al suo passaggio al meridiano) e comprendendo anche parte della nostra costellazione del Centauro, e più a Sud la Croce del Sud, si vede l’immagine del bronzetto sardo ritrovato a Vulci, un’antica città etrusca (Foto 2)

Questa piccola scultura di bronzo, è conservata nel museo di civiltà etrusca Villa Giulia, a Roma, e viene definita sacerdote-pugilatore. Sacerdote per il cappello a punta e l’abito che termina dietro con una coda a punta. Pugilatore perché sotto la mano destra che saluta si nota qualcosa che somiglia a un guantone. Il gonnellino a punta, che rappresentava la Croce del Sud, quindi la Dea Madre, era la parte posteriore del vestito delle sacerdotesse e in seguito dei sacerdoti, come nella costellazione, perché loro ne erano la manifestazione.
Cosa rappresenta quel bronzetto lo rivela la costellazione stessa a cui fa riferimento. Tra le stelle, si nota chiaramente una mano destra lanciare in una scodella delle piccole stelle che le sciamane interpretarono come chicchi di grano. La stella Menkent, che per noi appartiene alla costellazione del Centauro, è il bordo destro della scodella. Nella mano sinistra ha un lungo telo avvolto e tenuto per un lembo sotto il braccio sinistro. La parte alta di questo telo è costituita dalle tre stelle sopra citate a proposito del Leone, ossia Zosma, Kertan e Denebola. Questa costellazione, era la rivelazione della Gran Madre nell’atto di insegnare i misteri alle sciamane. Quando la rivelazione fu completamente interpretata nacque l’insegnamento organizzato dei misteri.

Le sciamane adottavano una bambina fin dalla tenera età. Per la scelta osservavano due caratteristiche particolari: l’iride degli occhi, e le posizioni degli astri al momento della nascita. La bambina per tutta la vita viveva come una persona normale, come se la sciamana fosse sua madre. Le insegnava la conoscenza, con la raccomandazione di non trasmetterla ad altri. Poi, alla fine dell’adolescenza, veniva sottoposta a quattro prove: della Terra, dell’Aria, dell’Acqua e del Fuoco. Gli insegnamenti ricevuti avevano lo scopo di rivelare la presenza della propria anima alla bambina, inizialmente inconsapevole di ciò. Le prove avevano lo scopo di far morire l’Ego e dare vita a un nuovo essere che fisicamente non era cambiato, se non nel portamento. La vera metamorfosi avveniva a livello psichico-spirituale. Le ultime due prove avevano luogo nei celebri pozzi sacri presenti in Sardegna. Non tutti questi luoghi erano adatti al rituale. Uno di essi è il pozzo di Santa Cristina, nel comune di Paulilatino. Questo edificio rappresenta la Gran Madre, e ha la forma del simbolo di Tanìt. 

Nella Gran Madre si nasce, si muore e si rinasce. Il simbolo di Tanìt, aspetto della Gran Madre che riguarda la morte e la reincarnazione, simboleggia il principio e la fine delle cose, ciò che per altri popoli erano l’Alfa e l’Omega.
Chi conosce i riti di iniziazione nota subito che il pozzo di Santa Cristina è un santuario dove avvenivano la prova dell’acqua e quella del fuoco. La candidata, la bambina, la pupilla della Sacerdotessa, veniva fatta entrare nel pozzo bendata e vestita con una bianca tunica di lino. Il pozzo veniva oscurato e lei poteva togliersi le bende. Seguendo le istruzioni impartite, scendeva rapidamente la scalinata senza temere le conseguenze, altrimenti la prova non sarebbe riuscita. Naturalmente la bambina non doveva conoscere la struttura del pozzo e, come lei, nessun altro doveva conoscere il pozzo, quindi questi luoghi erano accessibili solo alle sacerdotesse in carica. Una volta caduta in acqua, nell’oscurità completa, travolta dal panico e a un passo dalla morte, con il fiato in gola, cercava la salvezza. Quando trovava la scalinata, dopo aver sentito con le mani solo pareti diritte che le facevano temere di essere finita in una trappola mortale, la bambina riusciva a orientarsi nell’oscurità, e risaliva la scalinata fermandosi ai primi gradini per prendere respiro. Aveva sfiorato il mondo dell’aldilà. Lì, nel buio, dove i suoi occhi non potevano catturare alcuna luce, sentiva la superficie dell’acqua calmarsi, e allo stesso modo qualcosa si calmava in lei: stava comunicando con la profondità della Terra. A un passo dalla morte sentiva crescere la consapevolezza della futilità delle cose mondane, percepiva un cambiamento e le si rivelava lo scopo degli insegnamenti ricevuti. Tutta la sua vita era stata organizzata per preparare quel momento, e lei lo comprendeva in tutta la sua profondità. Nel buio si accorgeva di poter vedere perché era diventata chiaroveggente: le si era manifestata la presenza della sua anima.

La chiaroveggenza, a volte confusa con il potere di prevedere il futuro, è la facoltà di essere consapevoli della propria anima. Non è sufficiente dire: ”Si, io so di avere un’anima”; il chiaroveggente la percepisce e ne usa il potenziale come usa i suoi occhi, le sue mani e tutto il resto.
Arrivata a questo livello, dall’esterno al pozzo sollevavano il tappo della cupola e un fascio di luce solare penetrava nell’oscurità illuminando il pozzo. Ciò che vedeva era sorprendente perché la superficie dell’acqua era, allo stesso tempo, il riflesso della cupola. Inoltre, anche la scalinata aveva il suo riflesso. C’era un momento in cui la bambina non distingueva l’alto dal basso, e questa era la rivelazione. Il fuoco l’aveva illuminata: ciò che è in basso è come ciò che è in alto, ciò che è in cielo è come ciò che è in terra. Questo concetto non è semplice come sembra, e chi non è iniziato non percepisce l’essenza che va oltre la comprensione dei fenomeni.
Dall’esterno del pozzo, la sacerdotessa, nelle vesti della Gran Madre, la chiamava a nuova vita. Si eliminava la copertura dell’entrata e le parole che la sacerdotessa pronunciava dovevano essere formulate secondo precisi rituali. Forse erano: “Io sono il principio e la fine, risorgi dalle acque e vieni a noi”, ossia alle altre sacerdotesse sedute intorno al pozzo.
E’ curioso il fatto che in lingua sarda per dire “vieni qui” si dice, “beni innoi”. Questa affermazione è ancestrale, usata sin dalla notte dei tempi, prima ancora che da qualsiasi altra parte. Uscita dal pozzo, trovava davanti a sé la sacerdotessa che con il braccio destro alzato la salutava mentre lasciava cadere dei chicchi di grano all’interno della scodella legata al suo polso. Poi, la sacerdotessa mostrava il grano germogliato all’interno della scodella e quando vedeva che la candidata iniziava a comprendere, lasciava cadere il telo tenuto avvolto al suo braccio sinistro rivelando le lunghe spighe di grano maturo. Quella era la rivelazione dei misteri della vita, un rito che funzionava per chi era già stato, come lei, iniziato alla comprensione dei misteri.
E’ chiaro che nel bronzetto non c’è rappresentato il grano nella scodella, e nemmeno all’interno del telo avvolto, perché il bronzetto era conservato nell’abitazione della sacerdotessa e la bambina candidata alla comprensione dei misteri poteva vederlo. Non doveva sapere cosa era fino a quando le sarebbe stato rivelato alla fine delle prove come descritto.

Da quel momento, se tutto era andato come doveva, era nato un nuovo essere, con lo stesso aspetto fisico di prima ma diverso spiritualmente. Le si manifestava davanti la vita con tutti i suoi misteri, e ne comprendeva l’essenza e la meccanica perché possedeva il potenziale della propria anima. La metamorfosi subita a livello psichico-spirituale la rendeva incapace di provare interesse verso per le cose mondane, compreso il sesso, e da ciò si capisce il motivo della verginità delle sacerdotesse. Proprio per questo la costellazione della Vergine fu chiamata così, pur se solo pochi sapevano di preciso dove era collocata nel cielo. Queste donne iniziavano a vivere per servire la comunità.
Il primo recinto di pietra, quello che contorna il pozzo, rappresenta l’inizio del cammino del nuovo essere, mentre il recinto esterno è l’uovo cosmico dal quale l’essere usciva a nuova vita.
Questo rituale ricorda i Misteri Eleusini celebrati in Grecia, posteriori di molti secoli. Il bronzetto di Vulci è del IX secolo a.C., ma il rituale in Sardegna è molto più antico perché in quella data la costellazione della Croce del Sud si trovava troppo bassa sull’orizzonte per essere valutata come rappresentazione della Dea Madre. Inoltre, ai misteri Eleusini poteva partecipare chiunque lo avesse richiesto. Era una scuola che educava l’individuo per aumentarne la morale e avere meno paura della morte, niente a che fare con l’antico rito iniziatico sardo.

Capotribù
Prendendo in esame il bronzetto del Capo Tribù ritrovato a Uta, in provincia di Cagliari, la forma è rappresentata dalla nostra costellazione dell’Aquila. (foto 3.1-3.2).  Il bronzetto di Uta (Foto 3) ha il viso stilizzato e tiene con la mano destra una spada poggiata sulla spalla, mentre con la mano sinistra tiene il bastone inclinato verso i suoi piedi, come rappresentato dalla costellazione.

Egli è la rappresentazione della divinità, mentre gli altri bronzetti di Capo Tribù hanno i lineamenti del viso più umani. Con la mano destra salutano e con la sinistra tengono il bastone diritto. La loro postura è sempre quella indicata dalla costellazione. Questi ultimi erano la rappresentazione di familiari defunti, Capi Tribù e pastori.


I bronzetti possono essere divisi in categorie:
1) Divinità, quando hanno l’esatta postura della costellazione cui fanno riferimento e non salutano.
2) Persone, quando sono i familiari morti rappresentati durante lo svolgimento del loro mestiere. Hanno la postura della divinità ma non salutano la divinità stessa ma i familiari vivi che li guardano ai quali augurano ogni bene offrendo cibo ricavato dal loro lavoro.
3) Animali. Sono quelli che appartengono alle costellazioni e ne riproducono la postura. Alcuni appartengono alla parte di cielo soggetta al ciclo di alba/tramonto e sono animali buoni; altri, appartengono al mondo degli inferi senza possibilità di ritorno perché la costellazione che li rappresenta non tramontava mai, essendo situata oltre i 50° Nord della volta celeste della Sardegna di quel tempo.

Guerriero Quattro occhi e Quattro braccia
Uno fra i bronzetti che ha incuriosito maggiormente gli studiosi è il guerriero con quattro occhi e quattro braccia, forse perché è diverso dagli altri. Ha un viso mostruoso, due lunghe corna che terminano con cappucci sulle punte e le punte stesse sono ravvicinate sino a toccarsi.

Questa figura è rappresentata in cielo dalla combinazione di tre costellazioni: il corpo è la costellazione del Boote, lo scudo destro è la costellazione della Corona Boreale e le due lunghe corna sono parte della nostra costellazione del Dragone. (foto 4-4.1-4.2).
Queste tre costellazioni, all’inizio della civiltà nuragica facevano parte di un’unica costellazione che non tramontava completamente, essendo situata nel cielo del Nord, ossia quella parte di cielo che va dall’orizzonte in direzione Nord, sino al polo Nord celeste, il quale è una parte di cielo che non tramonta mai, né di giorno né di notte né in nessuna stagione.

Già queste caratteristiche fanno intuire che il personaggio appartiene al mondo degli inferi, un luogo dal quale non si può ritornare poiché si trova nella regione del cielo non soggetta al ciclo del sorgere, tramontare e risorgere.
Ora prendiamo in considerazione la navicella con tre scimmie conservata al Bible Lands Museum di Gerusalemme. A differenza delle altre navicelle, questa procede con la poppa trasformata in prora come si nota facilmente osservando la protome taurina che, contrariamente a tutte le altre navicelle, si trova dalla parte opposta dell’avanzamento dello scafo. Inoltre, le corna sono incappucciate. 

A bordo dell’imbarcazione si trovano tre macachi senza la coda. Uno di questi è grande ed è posto al centro dello scafo. Guarda alla sua destra e nella mano sinistra tiene un oggetto a forma di boomerang parandosi con esso le terga. Le altre due scimmie sono sedute sui due bordi della nave, e hanno la mano sulla fronte come se guardassero qualcosa d’imprecisato all’interno della navicella. Uno di essi, ha il dito indice puntato verso qualcuno che non si vede all’interno della navicella. Sembra dire: “Fermo lì”. Vi è anche un cinghiale che morde la coda a una volpe. Una delle due scimmie piccole tiene la volpe per un orecchio in modo da non farsi mordere. Poi, ancora, c’è un topo che percorre il bordo della nave.

La scimmia centrale è l’esatta riproduzione della nostra Orsa Maggiore (foto 6-6.1-6.2), compresa la navicella con le corna rappresentate dalle due stelle Alula Australis e Alula Borealis, e l’oggetto con il quale si copre le terga si trova proprio nella parte finale della nostra costellazione, in pratica ne è la coda. Anche questa costellazione non tramontava durante la civiltà nuragica, quindi che cosa era?

Come ho già scritto, il culto della Gran Madre prevedeva la reincarnazione dell’anima, come avviene per ogni cosa che appartiene al ciclo naturale. Per reincarnarsi, l’anima, doveva raggiungere la costellazione del Toro che era quella in cui avveniva l’equinozio di primavera e la rinascita della natura, (Come è in Cielo, così è in Terra).Veniva trasportata da una navicella con protome taurina con le corna non incappucciate.
Il rito funebre doveva aver luogo durante il sorgere di questa costellazione. Se nel momento in cui la costellazione sorgeva a Est, giravamo lo sguardo a Nord, vedevamo la navicella della grande scimmia (Orsa Maggiore) posarsi sulla terra con movimento da Ovest verso Est trovandosi in quel momento oltre il polo Nord celeste. 

La grande scimmia, con lo sguardo rivolto alla sua destra, guardava l’anima del defunto in risalita. Se si trattava di un’anima buona la lasciava andare. Se era malvagia, invece, la bloccava lanciando un segnale alla piccola scimmia (costellazione delle Pleiadi, foto 7) posta di guardia davanti alla costellazione del Toro. La piccola scimmia infilava due cappucci alle corna della navicella che trasportava l’anima rendendole impossibile raggiungere il Toro, e la barca veniva deviata verso il Nord, il regno dei morti senza ritorno. 

L’artista che ha fuso la navicella con le tre scimmie ha rappresentato il viaggio dell’anima verso il mondo degli inferi senza ritorno, imbarcando su essa le tre scimmie (Orsa Maggiore, Orsa Minore, Pleiadi.) anche se non era quella la loro posizione nel cielo.

Ritornando al Guerriero con quattro occhi, egli era inizialmente un giovane guerriero risalito nel cielo del Nord per catturare la Grande Scimmia portando con sé uno scudo e una mazza a forma di boomerang. Tenendo la Grande scimmia per la coda, come si può vedere osservando il cielo, gliela strappò e la Piccola Scimmia sopra di lui gli infilò due cappucci nelle corna dell’elmo, condannandolo al regno dei morti senza ritorno (foto 8-8.1). I bronzetti 89-96-97 e 104, della classificazione dell’archeologo sardo Giovanni Lilliu nel suo “Sculture della Sardegna Nuragica”, rappresentano la metamorfosi subita da questo guerriero sino allo sdoppiamento del suo corpo per farlo diventare un demone con quattrocchi e quattro braccia. Rappresentava il Demonio dei nuragici e abitava il Nord (l’inferno nuragico).

Veniva rappresentato con due scudi, e le code delle scimmie strappate sono posate sulle spalle  e usate come fruste per ricattare e dominare le creature di quel mondo. Battendo i suoi due scudi provocava i tuoni e con i suoi quattro occhi lanciava le saette. Data la paura che i nuragici avevano di quell’Essere, lo rappresentavano con le corna incappucciate e cortocircuitate, infatti le due estremità, cioè le punte, si toccavano, diversamente da ciò che vediamo nella costellazione dove le corna sono diritte. Ovviamente i nuragici non conoscevano la corrente elettrica ma il cortocircuito di un’energia è intuitivo.
Altra curiosità è che il Polo Nord celeste in quei tempi era situato tra l’Orsa Maggiore e l’Orsa Minore, cioè tra le due scimmie. Nel Sulcis scimmia si dice moninca, ed è curioso come il nome del vento che proviene da nord, la tramontana, somigli a tramonincana (tra le scimmie). Il vento freddo che viene dal Nord, dal regno dei morti, è un vento gelido, e nel tempo il termine tramonincana è diventato tramontana, indicando il vento che è freddo perché proviene dai monti. Ciò non è realistico perché la tramontana è fredda anche quando proviene dalle pianure o dal mare. Tutto ciò suggerisce che forse la lingua sarda non deriva dal latino, ma era già parlata prima della romanizzazione operata dai romani. Una considerazione che vorrei fare sulla Sardegna vista come granaio di Roma è che i nuragici praticavano scambi commerciali con i romani traendo profitto dallo scambio perché se così non fosse stato l’avrebbero dato agli animali o bruciato prima di consegnarlo.

A Mogoro è stato trovato un bronzetto che riproduce un bottone, sulla cui sommità, secondo alcuni studiosi, compare un cacciatore che infilza un cervide con una lancia. Il cervide è azzannato alla gola dal cane del cacciatore. In realtà, penso che ciò che il bronzetto rappresenta in realtà un giovane guerriero che diviene il demonio nell’atto di strappare la coda alla scimmia. Prima di tutto infilare una lancia dietro un’animale, anche se è mortale, non è etico per nessun cacciatore di nessun tempo, inoltre la posizione del cervo è quella della scimmia con lo sguardo rivolto a destra. Il cane è la volpe, traditrice come tutte le creature che abitano il Nord. Il cacciatore è sbilanciato, si vede che sta tirando e non infilzando. Il bronzetto è molto rovinato ed è stato restaurato facendo risultare una lancia quella che, invece, era verosimilmente la coda della scimmia. Le orecchie della scimmia sono state ripulite facendole sembrare le corna di un cervo o di un muflone.

I due Lottatori e gli Oranti
Altri bronzetti che incarnano le divinità del cielo sono i due Lottatori e gli Oranti. Si tratta del mito dei Gemelli. Entrambi sono la rappresentazione della costellazione dei Gemelli, (foto 9-9.1-9.2-9.3-9.4). In questa costellazione, osservando da una precisa angolazione, si vedono due fratelli che lottano o che si abbracciano. 

Non avendo, i nuragici, sviluppato un sistema di scrittura autoctono, hanno lasciato una tradizione orale. Per capirne il significato, come per il Boote, occorre confrontare le leggende di altri popoli come sumeri, greci, egizi, romani e altri. I personaggi sono due affiatati fratelli Gemelli che un giorno litigano per una donna e lottano. Sfortunatamente uno di loro batte la testa e muore. Il fratello rimasto vivo è sconcertato e pentito di quanto accaduto.

Nella sua disperazione, per evocare il ricordo e rivedere il fratello, si specchia nell’acqua. Nel nostro caso, le due piccole sculture di bronzo sono due oranti che risultano essere uno il riflesso dell’altro. Affranto dal dolore, il fratello ancora in vita si affida alle divinità chiedendo di morire per espiare la sua colpa. In quel frangente entra in scena una divinità che lo accontenta e, un istante dopo essere spirato, viene trasformato in costellazione insieme al fratello. 

Da allora, nella costellazione dei Gemelli si vedono due fratelli che si abbracciano, o che lottano, simbolo degli opposti. Gli opposti sono elementi uguali nell’essenza ma con diversa polarità, Giorno e Notte, Inverno ed Estate, Cielo e Terra, Sole e Luna, maschio e femmina, bene e male, ecc. Questa costellazione, durante l’equinozio di primavera dal 6000 a.C. al 4000 a.C., portava il Sole e ispirò la costruzione delle tombe a Dolmen che sono la sua rappresentazione simbolica.



La Madre dell’ucciso
Una linea di sculture di bronzo interessanti per il nostro discorso è quello che raffigura le madri con i figli in braccio. Il bronzetto che rappresenta la divinità è quello in cui la madre ha il braccio destro rotto, la testa molto grande e gli occhi squadrati. Sono la Gran Madre con il figlio Sardan in braccio. Il viso di Sardan è uguale al viso che si trova raffigurato nella moneta coniata dai romani, precisamente da Azio Balbo, e dedicata al Sardus Pater, come lo chiamavano i romani.

Il bronzetto della divinità prende la sua configurazione dalla nostra costellazione di Cassiopea (foto 10-10.1-10.2) che in età nuragica si trovava vicina alla parte di cielo che non tramontava mai, il Nord, tuttavia essa tramontava e quindi non apparteneva a quella zona. Era la Gran Madre che alla fine dell’estate portava suo figlio, che era anche il suo sposo e il principio maschile della vita, nel regno degli inferi. Sardan, nel momento della sua morte non raggiungeva lo Zodiaco, ma andava nel regno degli inferi alla fine dell’estate, e la Terra piombava sempre più nel freddo. Fino a quando il suo principio maschile rimaneva in quella zona, la Terra continuava a precipitare nel freddo. 

Anche dopo il solstizio d’inverno, quando il Sole ritornava ad apparire sempre più in alto nell’orizzonte meridionale, la Terra continuava a precipitare sempre più nel freddo gelido dell’inverno, sino a che Sardan non rinasceva e ritornava la primavera.
Anche dopo il solstizio di inverno, momento in cui le giornate ritornano ad allungarsi, la terra continua a sprofondare nella morsa del freddo, e lo fa fino al momento in cui Sardan risorge, e cioè a inizio primavera. In questa tipologia di bronzetti, il bambino seduto in braccio alla madre non sembra un bambino morto, come invece ritiene Lilliu, infatti la rappresentazione è quella del personaggio quando era in vita, come per tutti gli altri bronzetti: rappresentano personaggi defunti quando erano ancora in vita.

Considerazioni finali
Da quanto detto e mostrato si conclude che i bronzetti sardi fanno parte di un culto che comprende divinità e defunti, fondamentale della vita dei nuragici. Le rappresentazioni dei personaggi sono ispirate alle persone vere, compresi i costumi indossati.
Una cosa che si nota è che nei bronzetti non vi è nessun riferimento alle stelle o alla costellazione che rappresentano. L’unico caso è quello dell’elsa delle spade infilate nello scudo del demone. E’ fatta a X nel punto in cui vi è una stella, tuttavia è difficile notarlo. Quindi, la volontà di chi ha progettato i bronzetti era quella di non far sapere di preciso cosa rappresentava la loro postura: le sacerdotesse tenevano occultato il loro sapere.
I bronzetti dei familiari morti, insieme con alcuni appartenenti a divinità sentite dalla famiglia, venivano custoditi nell’abitazione, su una mensola in legno o pietra. Sopra di essi si appendeva una navicella riempita di cera dove venivano inseriti tanti stoppini a seconda delle anime da ricordare. Dopo un anno dalla morte del familiare si poteva richiedere il rito di auspicio alla rinascita del defunto. Questo rito veniva celebrato nei pozzi dalle sacerdotesse, e comprendeva l’impiombatura dei piedi, da noi vista come un sigillo o la stipula di un accordo. Ciò ha indotto i ricercatori a ipotizzare che nei pozzi si stipulavano accordi di scambio.

Il potere e l’indispensabilità raggiunti dalle sacerdotesse grazie a questi riti era grande, ma esse non agirono mai per solo interesse personale ma per il bene della comunità. A volte, durante i rituali veniva rappresentato l’intero cielo, comprese le creature demoniache che, anche se temute, facevano comunque parte di un aspetto della natura. Infliggevano la giusta punizione a chi l’aveva meritata.  I bronzetti rimanevano nei pozzi con i piedi impiombati per un certo tempo, poi venivano riutilizzati per altri familiari, la cosa importante era che dovevano rappresentare un defunto che aveva lo stesso ruolo nella vita di tutti i giorni. Ad esempio, un pastore non poteva essere rappresentato da un fornaio. Il culto delle figure rappresentate dai bronzetti non inizia con la loro fabbricazione con il bronzo, probabilmente ne esistevano già di legno.

Nota: Per le tombe e i monumenti egizi vedere il libro “Stargate Il cielo degli egizi” di Massimo Barbetta, Uno Editori, I edizione 9/2015. Per i riti iniziatici in Egitto vedere il libro “Iniziati e riti iniziatici nell’antico Egitto” di Max Guilmot, Edizioni Mediterranee 1999.

4 commenti:

  1. Ricevo in redazione e pubblico.
    Ciao Pierluigi, ho letto l'articolo e ho trovato degli spunti interessanti. Se Piras conoscesse l'antroposofia, molte cose per lui sarebbero più chiare. Vediamo alcuni punti:
    Parla del percorso delle anime dopo la morte, che Steiner spiega benissimo, mentre lui li mutua da Papiri dell'Egitto, però non riesce ad avere una visione chiarissima. È notevole però che agganci la conoscenza della reincarnazione all'antica civiltà sarda, che io ipotizzo essere più d'una. E questo è un elemento di valore indiscutibile.
    Ciò che va aggiunto è il fatto che, perlomeno fino a una certa data, gli uomini erano in grado di vedere i defunti e gli Dei con la chiaroveggenza atavica, e, quindi, di seguire la vita dei trapassati senza particolari difficoltà(ciò è spiegato nel libro "Scienza occulta"
    Ciò in epoca egizio caldaica si stava spegnendo e sorgeva l'esigenza di performare potenti rituali magici per assicurare al ka e al ba del Faraone e di altri il percorso di rientro alle Divine Sedi (il Faraone e i Governanti erano considerati di rango divino.
    Un'altro spunto importante è che abbia fatto risalire questa civiltà ad un'epoca antichissima che Steiner chiama atlantidea. Anche secondo me le nostre civiltà sono così risalenti e per me - è una mia opinione personale - anche di più.
    La teoria di Bauval, che ritengo in parte accettabile per il solo Egitto, dove tutto il Cielo era rappresentato, non solo la cintura di Orione, solo che le altre parti monumentali sono ancora sottoterra o sono state distrutte. Anche se, va detto, quel popolo incentrava molto del suo culto su Sirio, perchè la sua levata eliaca, se da noi portava la canicola ( infatti, si congiunge al Sole nella Costellazione del Cane Minore), lì segnava le piene del Nilo con tutto ciò che questo significava.
    Il suo esame delle Costellazioni andrebbe visto secondo la precessione degli equinozi e del cielo di quel periodo qui in Sardegna. Io non ho però le conoscenze necessarie.
    Ciò che in Sardegna non è stato fatto è quello che ha fatto proprio Bauval, misurare la precessione in base a certe rappresentazioni monumentali: questo autore parla del 10.500 a.C. solo in merito alla Sfinge, le Piramidi sono un po successive per cui alcuni calcoli andrebbero rivisti.
    I riferimenti sardi nella cosmizzazione sono alle Pleiadi e all'Orsa Maggiore, ma nessuno ancora ha datato e scoperto quale Stella Polare si puntava (cambia con la precessione).
    Era fondato e diffuso il culto della Dea Madre con i suoi Misteri. In tutta l'area Mediterranea ed europea, ma non solo, anche in Oriente. Tuttavia quel culto era uno dei culti, legati alla Natura e alla Vegetazione. Non vi erano solo sacerdotesse.
    Tuttavia questo culto andò scomparendo con la cultura atlantica che segue a quella atlantidea( ora siamo nella quinta epoca post atlantica sempre secondo la scienza occulta)...segue

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  2. ...segue...In merito al Pozzo di Santa Cristina c'è un prezioso lavoro di Lebeouf che sto leggendo che ne chiarisce il significato del tutto lunare (gli alchimisti del Medioevo e del Rinascimento parlavano della Coda di Melusina per indicare il ciclo lunare al quale agganciavano il compimenti di talune operazioni. Ma di questi cicli ne parla anche Steiner nel ciclo "Domande umane e risposte cosmiche".
    Altri spunti sono legati allo sviluppo delle parti costitutive dell'uomo che nelle varie epoche si trova ad elaborare, ma mi dilungherei troppo...
    Possiamo inoltre parlare della Sardegna che in quell'epoca era unita alla Saturnia Tellus, una terra che copriva tutto il Mar Tirreno, che progressivamente si è sfaldata, e gli ultimi inabissamenti sembrano esserci stati dopo Ramses. Quella terra era molto verde, ricca d'acqua, di risorse, di animali. Come del resto l'Egitto e il Sahara fino al 5000 a.C..
    Insomma io penso che anche tutto ciò che fa riferimento al toro, risale ad un'epoca di molto molto precedente, a una civiltà che è scomparsa con l'inabissarsi delle terre e che poi è tornata a galla e riutilizzata dai nuovi abitatori.
    Ancora: secondo Steiner l'iniziazione più evoluta sull'Atlantide non era quella dei Misteri della Grande Madre. Esisteva un oracolo solare che doveva portare l'anima dell'uomo verso un pensiero individuale, staccandolo dal grembo delle gerarchie.
    Allora, abbiamo Giganti e poi altri.
    I Giganti erano un'umanità che nel terzo periodo post atlantico è definitivamente scomparso. Erano chiaroveggenti. Tutti i miti del terzo millennio a. C. e altri successivi, anche quelli biblici e greci, ci raccontano come l'uomo nuovo avesse accecato i giganti, e evolutivamente superato la visione del ciclope, cioè la chiaroveggenza atavica. Erano uomini atlantici, il cui sviluppo corporeo era legato ad altre condizioni climatiche e di pressione atmosferica presenti sulla terra. Anche gli alberi erano più alti Questi sono il sostrato più antico secondo me. Dell'epoca precessionale del toro, ma atlantidea, non post atlantica. E avevano città intere in Sardegna. I loro scheletri si rinvengono e sono numerosissimi. Questa è un'umanità che si stava assemblando secondo la nuova forma.
    I nuragici vennero un po dopo, uomini già "nuovi", pronti al passaggio alla nuova epoca, ma ancora in grembo alle gerarchia come si vede dalla loro architettura.
    Insomma tutto fa pensare che ciò che noi studiamo, sia una sovrapposizione delle vere civiltà prenuragiche, e anche gli shardana, popoli del mare, avevano già perso i legami con le antiche tradizioni.
    Mi scuso se queste considerazioni non sono ordinate, è quello che mi è venuto in mente leggendo l'articolo, che come ho detto, ritengo prezioso perché si avvicina alle mie conoscenze.

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  3. Pierluigi, scusa, ma la coppia di figure (gemelli?) in bronzo di Fig. 9 da dove viene? E a quando risalirebbe?

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  4. So che sono bronzetti diversi, ma se dovessi costruire la sequenza "sportiva", io metterei le figurine in quest'ordine: 9.2 (lo studio della presa) - 9 (l'applicazione della presa) - 9.1 (la proiezione e forse fine della lotta).

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