Archeologia, miti e misteri. Atlantide di Platone e Honebu dell'Egitto sono
lo stesso luogo?
di Pierluigi Montalbano
E se il misterioso Hanou-Nebout fosse la mitica Atlantide di
Platone?
"In tempi lontani era possibile valicare l'immenso
Atlantico perché vi era un'isola che stava innanzi a quella stretta foce che ha
nome Colonne d'Ercole (oggi è lo Stretto di Gibilterra ma in tempi antichi
potrebbe essere altrove). A chi procedeva da quella, si apriva il passaggio ad
altre isole; e da queste isole a tutto il continente opposto. Quest'isola si
chiamava Atlantide, e in essa vi era una grande dinastia regale che governava
l'intera isola e molte altre a parte del continente. Passarono i secoli,
terremoti spaventosi e cataclismi si succedettero. Quella stirpe guerriera,
tutta senza eccezione, sprofondava sotto la terra. Il mare sommerse Atlantide e
tutto scomparve. Per questo motivo, nel mare, da quella parte, vi sono fondi
bassi e fangosi, che producono grave impedimento alla navigazione. L'isola,
sprofondando, a questi bassi fondali diede origine".
Questa è una pagina del Timeo, il primo dei tre libri che
Platone dedicò ad Atlantide, basandosi sulle notizie raccolte in Egitto dal
legislatore ateniese Solone, vissuto dal 630 al 558 a.C.
Nel corso di un suo viaggio in Egitto, vide delle iscrizioni
del faraone Ramesse III sulle mura del
tempio di Medinet Habu, che si riferivano a fatti accaduti molti secoli prima. Solone si fece tradurre in greco il testo di tali iscrizioni, certo di trovarsi di fronte a documenti di grande importanza, ma la morte gli impedì di farne uso. Gli appunti pervennero a Platone che, per approfondire la questione, si recò egli stesso in Egitto per cercare altre testimonianze.
tempio di Medinet Habu, che si riferivano a fatti accaduti molti secoli prima. Solone si fece tradurre in greco il testo di tali iscrizioni, certo di trovarsi di fronte a documenti di grande importanza, ma la morte gli impedì di farne uso. Gli appunti pervennero a Platone che, per approfondire la questione, si recò egli stesso in Egitto per cercare altre testimonianze.
Platone descriveva Atlantide in 10 zone che il fondatore
della stirpe, Poseidone, divise fra le cinque coppie di gemelli, suoi figli
maschi. Al maggiore, Atlante, dette la priorità sugli altri fratelli, che
portavano i nomi delle zone a loro assegnate: Gadiro, Anfere, Euemone, Mneseo,
Autoctono, Elasippo, Mestore, Azae e Diaprepe. La morfologia della città regale
era basata sul cerchio. Ogni "capitale" era racchiusa in un anello di
mura, alle quali succedeva un secondo cerchio d’acqua, concentrico al primo, e
poi ancora una larga fascia circolare di terra, ed ancora un altro cerchio d'acqua,
ed ancora terra, ed ancora acqua, ed ancora terra. Sulle zone occupate dalle
acque c’erano ponti che collegavano le terre tra loro, e per ultimo un largo
canale congiungeva il mare aperto con il primo cerchio d'acqua, in modo che le
navi potessero accedervi come in un porto. Già dalle prime parole di Crizia,
Platone pare rivelare al lettore il suo atteggiamento nei confronti di tutto il
racconto su Atlantide. Si legge nel Timeo: “Ascolta, Socrate, un discorso
certamente singolare, ma tutto vero, come lo raccontò un giorno Solone, il più
saggio dei sette».
Socrate, nel dialogo in risposta a Crizia, conferma la
veridicità del racconto che questi si accinge a narrare, considerando quindi
essere verità e non semplice leggenda. Platone così, per bocca di Socrate, offre
indirettamente il suo chiaro giudizio su tutta la vicenda atlantidea.
Nella trilogia Timeo – Crizia – Ermocrate si nota una
complessa genealogia dataci da Platone. Il vecchio sacerdote (autorizzato ad
accedere alla casa dei libri, presente in tutti i templi egiziani) aveva
raccontato la storia a Solone che l’aveva ripetuta a Dropide, che l’aveva detta
a Crizia il vecchio, che, arrivato all’età di quasi 90 anni, l’aveva detta a
Crizia cugino di Platone. Solone era morto verso il 560 a.C., mentre Crizia il
giovane era nato nel 460 ed era morto nel 403 a.C., quando Platone aveva 24
anni. A colmare la lacuna tra Solone e Crizia il giovane abbiamo Dropide e il
longevo Crizia il vecchio.
È esistita una linea di trasmissione lungo la quale una
tradizione egiziana è pervenuta sino a Platone?».
Benché oggi sembrerebbe insolito dare peso all’attendibilità
di un insieme di notizie tramandato oralmente, c è da precisare che in
antichità l’uso e le tecniche di conservazione mnemonica erano diffuse, anche e
soprattutto in contesto di non alfabetizzazione. Scrive la Reggiani: “In un
mondo come quello antico, in cui gli strumenti di divulgazione della cultura
erano limitati, la trasmissione orale era coltivata sotto varie forme; e
soprattutto veniva tenuta in esercizio la memoria”.
Se poi ci riferiamo al mito, quest’ultimo, ci ricorda J.P.
Vernant, è peculiarmente orale, per propria natura, e non è vivo se non è
raccontato di generazione in generazione. Nonostante Crizia affermi di far
riferimento al ricordo infantile di una narrazione fatta da un vecchio, compare
un accenno riguardante un manoscritto in cui Solone trascrisse di proprio
pugno, ed in greco, i più importanti nomi propri utilizzati nella narrazione,
giacché gli Egiziani li avevano trascritti traducendoli nella loro lingua. Così
leggiamo nel Crizia a riguardo: «(Crizia) è d’uopo tuttavia, prima di iniziare
il discorso, fornire ancora una breve chiarificazione, perché non vi
sorprendiate di sentire pronunciare nomi greci per uomini barbari: ne
apprenderete la causa. Solone, poiché aveva in mente di usare questo racconto
per la sua poesia, cercando informazioni sul senso di questi nomi, trovò che
quegli Egiziani che per primi avevano scritto questi nomi, li avevano tradotti
nella propria lingua, e di nuovo egli, a sua volta, recuperando il significato
di ciascun nome, li trascrisse trasferendoli nella nostra lingua. E questi
scritti appunto si trovavano in possesso di mio nonno, attualmente sono ancora
in mio possesso, e me ne sono molto occupato quando ero un ragazzo». (Platone,
Crizia, 113a-b)
Tutto pare dunque basarsi sul buon senso di Solone:
quest’ultimo fu o non fu vittima di un racconto favolistico di matrice
egiziana? In una trattazione di Strabone (I a.C.) circa la questione di
Atlantide, è citata un esclamazione in cui, secondo il filosofo ellenistico
Posidonio (Siria, 135 a.C. - Rodi, 50 a.C.), amico e maestro di Cicerone,
Pompeo e Varrone, Platone stesso ribadisce che probabilmente questa storia non
è un invenzione. (Posidonio in Strabone II, 102).
Essendo questa l’unica fonte a riportare una frase così
illuminante circa l’opinione di Platone in merito al resoconto di Atlantide,
non se ne può assolutamente comprovare la veridicità; la sola osservazione
indirettamente a favore sarebbe considerare sia Strabone sia Posidonio
testimoni abbastanza degni di fiducia, i quali hanno avuto la possibilità di
consultare materiali bibliografici su Platone, di cui non siamo a conoscenza.
Platone comunque sospende volontariamente il suo giudizio
sulla verità del racconto pervenuto sino a lui perché, evidentemente, non era
in grado di dimostrarne l’autenticità. Di una cosa però pare essere certo: la
leggenda di Atlantide fu perfettamente confacente ai suoi fini narrativi.
Non soltanto Platone ci ha fornito notizie riguardanti una
mitica e ricca civiltà scomparsa; anche la Bibbia contiene riferimenti ad un
continente inghiottito dalle acque. Ezechiele narra della distruzione di un
arcipelago chiamato Isole di Tarsis, cosa che ha indotto a supporre che si
tratti di Tartesso, un impero contenente grandi ricchezze, nel quale imperavano
il lusso sfrenato e la degradazione morale. Un’ipotesi è che si tratti di una
grande città fondata dagli abitanti di Tiro sulla costa spagnola, simbolo dei
luoghi più lontani del mondo allora conosciuto. La degradazione provocò l’ira
di Dio. “Quando avrò fatto di te una città deserta, come sono le città
disabitate, e avrò fatto salire su di te l’abisso e le grandi acque ti avranno
ricoperto, allora ti farò scendere nella fossa, verso le generazioni del
passato, e ti farò abitare nelle regioni sotterranee, in luoghi desolati da
secoli, con quelli che sono scesi nella fossa, perché tu non sia più abitata:
allora io darò splendore alla terra dei viventi. Ti renderò oggetto di spavento
e più non sarai, ti si cercherà ma né ora né mai sarai ritrovata”. (Ezechiele.
26, 19-21).
Sono parole dure intenzionalmente rivolte alla ricchezza e
alla sfrontatezza rappresentate da città mercantili come Tiro. Tra quest’ultima
e Tarsis vi erano attivi scambi commerciali e Tarsis pare possedesse ingenti
materie prime: “Tarsis commerciava con te, per le tue ricchezze d’ogni specie,
scambiando le tue merci con argento, ferro, stagno e piombo”.
(Ezechiele. 26, 19-21).
Nel Timeo si riporta: “dopo che avvennero terribili terremoti
e diluvi, trascorsi un solo giorno e una sola notte tremendi, tutto il vostro
esercito (gli antichi Achei) sprofondò insieme nella terra e allo stesso modo
l’isola di Atlantide scomparve sprofondando nel mare.” ( Platone, Timeo, 25c-d)
Successivamente all’epoca di Platone, molti scrittori
conobbero e commentarono la storia di Atlantide. Ad esclusione di Aristotele di
Stagira, il discepolo privilegiato di Platone, che esprime convinto scetticismo
riguardo alla ubicazione del continente atlantideo (Strabone, Geografia, II,
611), nei tre secoli che seguirono nessun scritto originale superstite cita mai
Atlantide.
In un saggio del 1978 sui riscontri storici concernenti
l’Atlantide, J. R. Fears riferì che in assenza di qualsiasi citazione in fonti
egizie, il silenzio di Erodoto, Tucidide, Isocrate ed Elio Aristide sembra una
prova conclusiva. Ad ogni modo, due secoli più tardi il filosofo Posidonio,
deluso della posizione di Aristotele, volle contestare tale scetticismo
prendendo in considerazione i possibili eventi catastrofici naturali, come i
terremoti. Il passo in specifico, condiviso da Strabone nella sua Geografia, è
il seguente: “d’altra parte (Posidonio) correttamente riferisce nella sua opera
che a volte la Terra si solleva e subisce processi di assestamento, e che i
terremoti e altri eventi del genere provocano dei cambiamenti. E da questo
punto di vista egli fa bene a citare l’affermazione di Platone secondo la quale
forse la storia di Atlantide non è un invenzione. In proposito sappiamo da
Platone che Solone, dopo avere rivolto delle domande ai sacerdoti egiziani,
raccontò che un tempo Atlantide era esistita, ma poi era scomparsa un isola non
più piccola, come dimensioni, di un continente; e Posidonio ritiene che sia
meglio mettere le cose in questo modo piuttosto che affermare: il suo inventore
l’ha fatta scomparire, proprio come il Poeta con il muro degli Achei”
(Strabone, Geografia, II, 614).
Lo storico greco Erodoto di Alicarnasso ha lasciato nei suoi
scritti diversi accenni a un nome simile all’Atlantide, così come ad un ignota
città nell’Oceano Atlantico, considerata da molti una colonia atlantidea o la
stessa Atlantide: la già citata Tartesso. Egli così riporta nelle sue Storie:
“questi Focesi furono i primi dei Greci a darsi ai grandi viaggi e furono essi
a scoprire il golfo Adriatico, la Tirrenia, l’Iberia e Tartesso. Questo scalo
commerciale era a quel tempo ancora inesplorato; sicché i Sami, ritornati in
patria, realizzarono con le merci i guadagni più elevati di tutti i Greci di
cui abbiamo precise informazioni”. (Erodoto, Storie, I, 163)
In un altro punto della stessa opera, Erodoto tratta di un
popolo detto degli Ataranti: ”sono gli unici fra gli uomini, che noi
conosciamo, che non abbiano nomi propri: tutti insieme, infatti, si chiamano
Ataranti, ma non c’è un nome particolare per ciascun individuo”. Continua poi
parlando di un monte, l’Atlante, che da il nome al popolo degli Atlanti: “è di
base ristretta e rotondo da ogni parte, ma così alto che non è possibile
vederne le cime, poiché le nubi non le abbandonano mai, né d’estate, né
d’inverno: sostengono gli abitanti del luogo che esso sia la colonna che
sostiene il cielo. Da questo monte gli indigeni hanno avuto la denominazione,
poiché si chiamano Atlanti. Si dice che non si cibino d’alcun essere vivente e
che non vedano mai sogni”.
Come sostiene Berlitz, Erodoto si interessava alla storia
antica come a quella dei suoi tempi e credeva che l’Atlantide fosse finita nel
bacino del Mediterraneo a seguito di un terremoto che spezzò un ponte di terra
a Gibilterra. E ancora, riflettendo sulle conchiglie di mare ritrovate sulle
colline egiziane, pensò alla possibilità che grandi terre del passato fossero
finite in mare, mentre altre ne emergevano.
In due suoi "Dialoghi" (Timeo e Crizia), Platone
narra una favola morale di due grandi città che entrarono in conflitto tra loro:
Atene, l'attuale capitale della Grecia, e Atlantide, città che si inabissò e
sparì dalla faccia della Terra.
Dai racconti di Platone non è però possibile identificare con
certezza il possibile luogo (se mai sia esistito) di ubicazione di Atlantide, e
d'altronde l'Utopia di Platone sembrerebbe non essere altro che una creazione
letteraria a sostegno degli argomenti che il grande filosofo voleva proporre
alla società del suo tempo. Molti studiosi, tra cui esperti vulcanologi e
archeologi, hanno evidenziato come l'eruzione del vulcano di Santorini possa
essere in qualche modo ricollegata alle descrizioni di Platone su Atlantide e
come all'eruzione vulcanica possa ricondursi la distruzione della fiorente
colonia cretese di Akrotiri e la scomparsa della civiltà minoica cretese.
Sembra difatti che l'eruzione del vulcano abbia provocato il sollevamento delle
acque intorno, con alte onde che avrebbero raggiunto la costa settentrionale di
Creta, lungo la quale si trovavano i principali insediamenti. In realtà il declino
di Creta si verificò circa 200 anni dopo la data in cui geologi segnalano
l'eruzione di Santorini e quasi certamente Creta non ha niente a che vedere con
Atlantide. I riferimenti di Platone al Palazzo dove le acque affluivano
rigogliose dalle vicine colline pare si possano rintracciare nei siti
archeologici di Cnosso, a Creta, e Akrotiri, nell’isola di Santorini. Il
Palazzo di Atlantide che viene descritto da Platone come un edificio a più
livelli situato su un grande piano in cima a una collina terrazzata, è simile
sia al Palazzo di Cnosso che a quelli di Akrotiri, così come lo sono la
descrizione architettonica e i materiali usati nella sua costruzione.
Nel 1967 nella località di Akrotiri in Santorini, gli
archeologi riportarono alla luce un antica città, quasi completamente intatta e
ricoperta da ceneri, come Pompei. Diverse case furono portate alla luce e
presentavano un sofisticato sistema idraulico, con bagni e acque correnti che
defluivano in un perfetto sistema fognario. Platone descrive le rocce bianche,
scure e rosse estratte dalle cave dell’isola di Atlantide per costruire i
palazzi della grande città dell’isola. La descrizione è simile alle rocce della
terra di Santorini. In ultimo, Platone si riferisce alla fonte del mito di
Atlantide, gli egiziani. Gli egiziani, secondo Platone, chiamavano Atlantide
"Keftiu", nome che viene storicamente usato per il popolo dell’isola
di Creta, culla della civiltà minoica.
È da notare infine che nelle rovine della città di Akrotiri,
non è stato ritrovato alcun resto umano (al contrario di Pompei). Si pensa
quindi che i suoi abitanti avessero trovato in qualche modo una via di scampo
prima della famosa eruzione vulcanica, in luoghi ancora oggi sconosciuti. Ma c’è
un’altra possibilità: i corpi sono sepolti in qualche parte dell’isola non
ancora scavata.
Carissimo Pierluigi
RispondiEliminaEzechiele profetizzava contro tutti. Nabucodònosor avrebbe dovuto fare un sol boccone anche dell’Egitto.
Usare Ezechiele, e le sue profezie, per scrivere di Storia … mi sembra esagerato.
Ezechiele 29 (Conferenza Episcopale Italiana (CEI))
Contro l'Egitto
29 Il dodici del decimo mese, anno decimo, mi fu rivolta questa parola del Signore: 2 «Figlio dell'uomo, rivolgiti contro il faraone re d'Egitto e profetizza contro di lui e contro tutto l'Egitto. 3 Parla dunque dicendo: Così dice il Signore Dio:
Eccomi contro di te, faraone re d'Egitto;
grande coccodrillo, sdraiato in mezzo al fiume,
hai detto: Il fiume è mio, è mia creatura.
4 Metterò ganci alle tue mascelle
e farò sì che i pesci dei tuoi fiumi
ti si attacchino alle squame
e ti farò uscire dalle tue acque
insieme con tutti i pesci dei tuoi fiumi
attaccati alle squame;
5 getterò nel deserto te
e tutti i pesci dei tuoi fiumi
e andrai a cadere in mezzo alla campagna
e non sarai né raccolto né sepolto:
ti darò in pasto alle bestie selvatiche
e agli uccelli del cielo.
6 Tutti gli abitanti dell'Egitto
sapranno che io sono il Signore,
poiché tu sei stato un sostegno di canna
per gli Israeliti.
7 Quando questi ti vollero afferrare
ti rompesti lacerando loro tutta la spalla
e quando si appoggiarono a te, ti spezzasti
facendo vacillare loro tutti i fianchi».
8 Perciò dice il Signore Dio: «Ecco, io manderò contro di te una spada ed eliminerò da te uomini e bestie. 9 L'Egitto diventerà un luogo desolato e deserto e sapranno che io sono il Signore. Perché egli ha detto: Il fiume è mio, è mia creatura. 10 Ebbene eccomi contro di te e contro il tuo fiume. Io farò dell'Egitto, da Migdòl ad Assuan, fino alla frontiera d'Etiopia, una terra deserta e desolata. 11 Piede d'uomo o d'animale non vi transiterà e rimarrà deserto per quarant'anni.12 Ridurrò l'Egitto una terra desolata fra le terre assolate e le sue città saranno distrutte, rimarranno una desolazione per quarant'anni e disperderò gli Egiziani fra le genti e li disseminerò fra altre regioni».
13 Perché dice il Signore Dio: «Al termine dei quarant'anni io radunerò gli Egiziani dai popoli in mezzo ai quali li avevo dispersi: 14 muterò la loro sorte e li ricondurrò nel paese di Patròs, nella loro terra d'origine, e lì formeranno un piccolo regno; 15 sarà il più modesto fra gli altri regni e non si ergerà più sugli altri popoli: li renderò piccoli e non domineranno più le altre nazioni. 16 Non costituiranno più una speranza per gli Israeliti, anzi ricorderanno loro l'iniquità di quando si rivolgevano ad essi: sapranno allora che io sono il Signore Dio».
17 Ora, il primo giorno del primo mese dell'anno ventisettesimo, mi fu rivolta questa parola del Signore: 18 «Figlio dell'uomo, Nabucodònosor re di Babilonia ha fatto compiere al suo esercito una grave impresa contro Tiro: ogni testa è diventata calva e ogni spalla è piagata, ma il re e il suo esercito non hanno ricevuto da Tiro il compenso per l'impresa compiuta contro di essa. 19 Perciò così dice il Signore Dio: Ecco, io consegno a Nabucodònosor re di Babilonia il territorio d'Egitto; porterà via le sue ricchezze, si impadronirà delle sue spoglie, lo saccheggerà; questa sarà la mercede per il suo esercito. 20 Per l'impresa compiuta contro Tiro io gli consegno l'Egitto, poiché l'ha compiuta per me. Oracolo del Signore Dio.
21 In quel giorno io farò spuntare un potente per la casa d'Israele e a te farò aprire la bocca in mezzo a loro: sapranno che io sono il Signore».
RoBer
Se Tarsis era in Occidente c'è un unico luogo dove poteva trovarsi. E se si considera l'intera età del bronzo nel Mediterraneo occidentale credo che solo un cieco avrebbe difficoltà ad ubicare esattamente la posizione della madre di Tiro. In Sardegna. Che altro c'è in Occidente per 1000 anni se non la civiltà nuragica? Quale altra civiltà d'Occidente ha lasciato testimonianze materiali, concrete e indiscutibili a Lipari, Creta, Cipro?
RispondiEliminaSolone è stato in Egitto, laddove i greci al suo tempo facevano una sorta di pellegrinaggio culturale. Andavano lì per impare, per istruirsi e questo vale anche per uno dei sette savi dell'antichità. Il racconto appreso, passando di bocca in bocca, potrebbe aver subito sostanziali modifiche. Magari fin dalla ricezione da parte di Solone. Così i mesi diventano anni, un'incomprensione dovuta alla diversità nel contare il tempo. Così "s'inventa" un cataclisma per giustificare l'improvvisa eclissi di una civiltà. Il ritrarsi dell'ondata dei Popoli del Mare, che per secoli aveva terrorizzato, ma anche fecondato l'Oriente. Se non è "un'aggiunta" funzionale alla più ampia narrazione platonica sulla civiltà ideale.
In definitiva: se Atlantide e Tarsis non sono una totale invenzione, se effettivamente si trovavano a Occidente di Egitto e Grecia, non vi è proprio scelta. E' sotto gli occhi di tutti: la Sardegna nuragica. A meno che davvero non si voglia scavare il fondo degli oceani alla ricerca della civiltà perduta, punita per la sua superbia e annientata dall'ira di un dio. Ma perché tanta ostinazione e cecità?
ma se la Sardegna fosse stata Atlantide e anche Tarsis, mi sapete dire dove sono i tantissimi cadaveri che ci sarebbero dovuti essere (una civiltà per essere "grande" ha bisogno di tantissime persone)?
Eliminafalso Antonio