Il santuario di Monte
d’Accoddi, spigolature su un singolare
toponimo della Sardegna
di Roberto Casti
Origine e
significato del nome
Il santuario preistorico di Monte d’Accoddi, uno tra i più straordinari monumenti preistorici
della Sardegna, è stato oggetto fin dai primi
anni ’50 di diverse campagne di scavo che pur parzialmente ne hanno
chiarito la funzionalità e la cronologia delle diverse fasi costruttive.
Se però molti dei tanti segreti che si celavano dietro
questo singolare monumento sono stati svelati, resta ancora avvolta nel più
fitto mistero l’etimologia della denominazione Monte d’Accoddi.
Esaminiamo innanzitutto cosa scriveva Ercole Contu
sull’origine e sul significato del nome (Nota 1).
“Come
l’origine della collinetta, persino il nome, “Monte d’Accoddi”, risultava
piuttosto misterioso. E di esso si avevano anche altre versioni, come Monti
d’Agodi (nel recente catasto) o Monti d’Agoddi o Monte d’Acode o Monte La Corra
(sulle carte dell’I.G.M.). Intanto nessuno si meravigliava della denominazione
di “monte”, che in Sardegna, che di monti veri ne ha pochi, viene data anche
alle colline (anzi in Gallura sta a significare persino solo “una pietra”). Più
problematica appariva la seconda parte del nome, che venne fatta derivare da
un’erba (kòdoro, cioè terebinto) o da “luogo di raccolta”(accoddi) o da corno
(la corra) o, addirittura, dall’espressione che in sardo si usa per dire
“facciamo l’amore?”! Solo di recente il Prof. Virgilio Tetti ha potuto
accertare che il nome più antico documentato nelle carte catastali è “Monte de
Code”, che significava” “Monte-collina delle pietre” (coda/e = pietra/e). Il
riferimento alla
pietra si ritrova anche nella traduzione spagnola, risalente
al ‘600, del condaghe medievale di San Michele di Salvennor, con la quale la
collina viene chiamata “Monton de la Piedra”.
ancora Ercole Contu
così precisa nei ‘ringaziamenti’ quale sia la sua fonte (Nota 2).
“Il suggerimento sulla
corretta etimologia del toponimo “Monte d’Accoddi” (confermata poi dal
glottologo Prof. Giulio Paulis) lo debbo all’amico Prof. Virgilio Tetti”.
Questo il parere di Massimo Pittau nel suo trattato
sistematico sui toponimi della Sardegna settentrionale (Nota 3).
“Aggoddi, para d' (Sorso), Monte
d’Accoddi (Sassari): potrebbe derivare dal lat. collis «colle», oppure dal gentilizio lat. Collius (RNG) (al vocativo) di un
proprietario romano di Turris
Libisonis. Cfr. cognome Goddi.”
e leggiamo anche la sintesi proposta da Alberto
Moravetti in un suo articolo su Monte d’Accoddi pubblicato nel supplemento n.1
della rivista Quaderni di Darwin (Nota 4)
dove lo studioso presenta un quadro
essenziale sui risultati degli interventi di scavo, fornendoci anche la sua
spiegazione sul significato e l’origine del nome (Nota 5).
Le sue argomentazioni non si discostano da quanto già
presentato da Ercole Contu né vengono aggiunti elementi di novità a quanto già
detto, come peraltro dimostra lo stesso titolo.
“ Il mistero
del nome”
“Il nome Monte d’Accoddi, risultava, al pari
della collinetta, piuttosto misterioso. E di esso si avevano anche altre
versioni, come Monte d’Agodi o Monti d’Agoddi o Monte d’Acode o Monte la Corra ( sulle carte dell’I.G.M.).
Intanto, non stupiva la denominazione
di «monte» a un modesto rilievo al
momento che in Sardegna viene data anche
alle colline. Meno agevole, invece, appariva l’interpretazione della seconda
parte del nome, che venne fatta derivare da un’erba (kòdoro, cioè terebinto) o
da « luogo di raccolta » (accoddi) o da corno (la corra). Solo di recente si è
potuto accertare che il nome più antico documentato nelle carte catastali è
«Monte de Code» , che significava « Monte collina delle pietre». Il riferimento
alla pietra si ritrova anche nelle traduzione spagnola, risalente al ’600, del
condaghe medievale di San Michele di Salvennor, nel quale la collina viene
chiamata «Monton de la Piedra». E infatti, prima degli scavi, le poche pietre
ancora affioranti davano proprio quest’aspetto alla ‘misteriosa’ collinetta”.
L’indagine archeologica
Già dai primi interventi di scavo, condotti da E.
Contu dal 1952 fino al 1958, era emerso in tutta evidenza la natura santuariale
del monumento; l’area indagata presentava infatti elementi utili perché la
struttura di Monte d’Accoddi venisse
considerata santuario di età prenuragica; tesi pienamente confermata dai
successivi scavi ripresi nel 1979 da Santo Tiné dell’Università di Genova e
durati per circa un decennio.
Le indagini archeologiche hanno evidenziato diverse
fasi costruttive.
Il primo impianto di forma trapezoidale provvisto di rampa d’accesso fu innalzato al
centro di un esteso villaggio-santuario preesistente in un periodo intorno alla
fase finale della c.d. cultura di Ozieri e alla cui sommità fu realizzato un
tempietto le cui pareti erano intonacate e dipinte a pittura rossa così com’era
dipinto di rosso il pavimento nonché il paramento murario intonacato della
prima terrazza; da qui la denominazione di tempio rosso.
Successivamente ristrutturato a seguito di un
incendio, con l’aggiunta di una ulteriore terrazza sopraelevata e la
costruzione di un nuovo tempio più grande sulla sommità, il santuario ebbe il
suo massimo sviluppo durante le culture di Filigosa e Abealzu.
Il rarefarsi della frequentazione nella fase finale
della c.d. Età del Rame porta al
progressivo abbandono del santuario nella fase iniziale della successiva
Età del Bronzo, intorno alla metà del secondo millennio.
Per quest’ultima fase e per le successive così si
esprime Alberto Moravetti (Nota 6).
“…. Ma già ai
tempi della cultura di Bonnannaro, nel I Bronzo (1800-1600 a. C.) il santuario
doveva essere in abbandono anche se non mancano tracce di frequentazioni più
recenti come quelle molto rare nuragiche, fenicio-puniche, di età romana e
medievale”.
Toponomastica e Sovrapposizioni
Gli elementi a disposizione, compresa quest’ultima
considerazione di Moravetti sulle successive frequentazioni del monumento, ci
hanno indirizzato verso una nuova ipotesi sull’origine
del toponimo che potrebbe far luce sul mistero che avvolge questa ‘singolare’
denominazione del monte.
Quell’antica denominazione Monte de Code riportata nelle carte catastali potrebbe essere, a
mio parere, la riproposizione corrotta di un precedente toponimo attribuito a
quell’altura sormontata dal più antico santuario della Sardegna da genti che
parlavano una lingua diversa incomprensibile a coloro che hanno trascritto quel
termine sconosciuto travisandone il reale significato, così cancellato per
sempre dalla memoria di tutti.
Gli esempi di improprie sovrapposizioni toponomastiche
sono peraltro numerosi.
Basti solo ricordare quanto è avvenuto in tempi più
recenti per l’antico toponimo di una piccola isola del sud Sardegna, la cui
denominazione originaria venne erroneamente trascritta con toponimo di
significato totalmente diverso a causa di una errata interpretazione della
lingua sarda da parte dei cartografi piemontesi.
Infatti l’isola
de is cavurus, ossia l’isola dei
granchi, si è trasformata, da un momento all’altro, per un’errata
trascrizione, in quella che oggi noi tutti chiamiamo l’isola dei Cavoli; allo stesso modo l’isola di Maleventum (in
sardo Maluentu) è diventata isola di Maldiventre.
Oppure, come dimostra quest’altro esempio che riguarda
un’altra isola della Sardegna, può essersi verificato lo stesso millenario
percorso linguistico da cui è scaturita l’attuale denominazione dell’isola di San Pietro chiamata
originariamente ‘ynsm in età fenicia,
poi Iεράχων νήσος, Enosim, Enusin e Accipitrum insula,
nomi tutti diversi in lingue diverse per indicare lo stesso significato
originario: isola dei rapaci e infine isola di San Pietro con l’avvento del cristianesimo.
Il Monte del Santuario
Non è quindi da escludere che in modo pressoché analogo ai granchi presi per cavoli dai cartografi piemontesi, sia avvenuto lo stesso per il toponimo Code; anche in questo caso probabile esito di un’errata
trascrizione dell’originaria denominazione del monte il cui reale significato
potrebbe essere stato stravolto e confuso con un ammasso di pietrame, forse in
età medievale.
Dietro quel termine Code di dubbia interpretazione, se abbiamo visto giusto, potrebbe essersi conservata l’originaria
denominazione attribuita a quel luogo sacro
già dalle stesse genti che lo costruirono in età prenuragica o forse, più
plausibilmente, da altre genti arrivate successivamente in età storica.
Nonostante le indagini archeologiche evidenzino un progressivo
abbandono del santuario già nella prima fase dell’età del bronzo, è verosimile
che il ricordo dell’antico Monte del
Santuario come luogo sacro sia rimasto tale nella memoria collettiva anche
in epoche successive, ancor più dopo l’arrivo di nuove genti semitiche di
cultura, religione e soprattutto lingua diverse (leggi fenici e punici).
L’antico Santuario,
per gli autoctoni da sempre luogo
sacro, non poteva non essere denominato
dai nuovi arrivati che in un solo modo: QDŠ
(Qodesh), il termine semitico per indicare il santuario e quindi Monte del Qodesh ossia Monte del Santuario.
La denominazione Monte
del Qodesh potrebbe essersi quindi perpetuata nel tempo per altre centinaia
d’anni finché il santuario non cadde definitivamente in rovina, distrutto dal
tempo e dall’arrivo di nuove genti e infine, con l’arrivo degli spagnoli, il
termine Qodesh perse l’ultima consonante
e insieme a quella lettera anche la memoria del suo originario significato
legato al sacro.
L’antico toponimo Monte
del Qodesh, ormai corrotto in Monte
de Code e degradato a un qualsiasi Monton
de la Piedra dai nuovi colonizzatori venne definitivamente rimosso dalla
memoria collettiva.
Nel medioevo nessuno ricordava più che quel luogo era
sacro fin dall’età prenuragica e quella ‘collinetta’ ricoperta di pietre da Monte de Code divenne Monte d’Agodi o Monte d’Agoddi per poi trasformarsi ancora e giungere fino a noi in
quell’enigmatico toponimo che tutti noi conosciamo: Monte d’Accoddi, una riproposizione moderna dell’antica
denominazione Monte del Qodesh ovvero
Monte del Santuario che ancora oggi
dopo diversi millenni suscita meraviglia per essere unico per tipologia in
Europa e in tutta l’area mediterranea.
A rafforzare la
nostra ipotesi aggiungiamo che il termine Qodesh, il cui significato è connesso al
sacro e alla sacralità in genere, risulta ampiamente attestato da migliaia
d’anni nelle diverse lingue semitiche come l’accadica, la fenicia e l’ebraica e
che ancora oggi quello stesso termine Qodesh
indica in lingua ebraica il tempio e il santuario in genere, così come anche il
Sancta-Sanctorum è ancora chiamato in
quella lingua millenaria Qodesh ha-Qodashim
(le cose sante tra le sante).
Si potrà dire che non abbiamo prove e che al momento
tutto questo è indimostrabile, ma è comunque innegabile che il termine Qodesh, in età storica e in particolare in età punica, indicasse tutti i santuari della
Sardegna e quindi anche l’intera area del santuario a terrazza, forse ancora
sporadicamente frequentato sia dai punici che dalle genti del luogo.
L’ipotesi qui presentata non ha la pretesa di dare una
risposta definitiva sul significato del ‘singolare’ toponimo, ma solo offrire
un ulteriore contributo alla ricerca sull’origine del misterioso nome del
santuario dalle origini altrettanto misteriose.
Con l’auspicio che un domani eventuali riscontri
oggettivi possano confermare la nostra ipotesi, per noi al momento niente più
che stimolante suggestione, concludo queste mie riflessioni con le parole di
Ettore Pais (Nota 7).
Io mi guardo bene dal dare a questa mia
ipotesi un’importanza qualsiasi. E mi arrenderò ben facilmente agli argomenti
di chi provi che la mia ipotesi sia erronea. Questa ipotesi affaccio senza
alcuna pretesa e senza insistervi. Alla peggio sarà da mettere a fianco di
tante altre.
Note:
1
Ettore Contu, L'altare prestorico di Monte d'Accoddi, Guide ed Itinerari n.29,
Carlo Delfino Editore, Sassari 2000, pp. 37-38.
2
Contu 2000 p.78.
3
Massimo Pittau, Toponimi della Sardegna settentrionale significato e origine.
Editrice Democratica Sarda 2013 v. voce Agoddi .
4
Alberto Moravetti, Gli altari a terrazza di Monte d’Accoddi, in Darwin
Quaderni, n. 1 supplemento alla rivista Darwin n.14, editoriale Darwin s.r.l.,
Roma 2006 pp. 4-19 2006 pp. 6-19.
5
Moravetti 2006 p. 8.
6
Moravetti 2006, pp. 18-19.
7
Ettore Pais, Sull’etimologia della parola “Nuraghe” in Archivio Storico Sardo
Vol. VI, Appendice II, Tip. G. Dessì, Cagliari 1910 p. 190.
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Cosa dice il Prof Pittau sul significato di tale toponimo??Amministratore modera!!
RispondiEliminaC'è scritto nell'articolo, bisogna leggerlo. C'è anche la bibliografia.
RispondiEliminasecondo me,alio alfo,hanno ragione sia il contu che il semitologo quando il secondo associa lo ziggurat sardo alla scritta "qds"
RispondiEliminaIl senso del sacro,secondo l`etima antico-egizia,viene da "skr" cioe (secondo il sign-list del Gardiner,G10),
divinitá che caratterizzava ,nella festa delle Pamilie il morto membro che risuscita (H.Bonnet p.580,RdäR 2000)