domenica 28 febbraio 2016

Il santuario di Monte d’Accoddi, spigolature su un singolare toponimo della Sardegna, di Roberto Casti

Il santuario di Monte d’Accoddi, spigolature su un singolare toponimo della Sardegna
di Roberto Casti



Origine e significato del nome

Il santuario preistorico di Monte d’Accoddi, uno tra i più straordinari monumenti preistorici della Sardegna, è stato oggetto fin dai primi  anni ’50 di diverse campagne di scavo che pur parzialmente ne hanno chiarito la funzionalità e la cronologia delle diverse fasi costruttive.
Se però molti dei tanti segreti che si celavano dietro questo singolare monumento sono stati svelati, resta ancora avvolta nel più fitto mistero l’etimologia della denominazione Monte d’Accoddi.

Esaminiamo innanzitutto cosa scriveva Ercole Contu sull’origine e sul significato del nome (Nota 1).

“Come l’origine della collinetta, persino il nome, “Monte d’Accoddi”, risultava piuttosto misterioso. E di esso si avevano anche altre versioni, come Monti d’Agodi (nel recente catasto) o Monti d’Agoddi o Monte d’Acode o Monte La Corra (sulle carte dell’I.G.M.). Intanto nessuno si meravigliava della denominazione di “monte”, che in Sardegna, che di monti veri ne ha pochi, viene data anche alle colline (anzi in Gallura sta a significare persino solo “una pietra”). Più problematica appariva la seconda parte del nome, che venne fatta derivare da un’erba (kòdoro, cioè terebinto) o da “luogo di raccolta”(accoddi) o da corno (la corra) o, addirittura, dall’espressione che in sardo si usa per dire “facciamo l’amore?”! Solo di recente il Prof. Virgilio Tetti ha potuto accertare che il nome più antico documentato nelle carte catastali è “Monte de Code”, che significava” “Monte-collina delle pietre” (coda/e = pietra/e). Il riferimento alla
pietra si ritrova anche nella traduzione spagnola, risalente al ‘600, del condaghe medievale di San Michele di Salvennor, con la quale la collina viene chiamata “Monton de la Piedra”.

ancora Ercole Contu  così precisa nei ‘ringaziamenti’  quale sia la sua fonte (Nota 2).

“Il suggerimento sulla corretta etimologia del toponimo “Monte d’Accoddi” (confermata poi dal glottologo Prof. Giulio Paulis) lo debbo all’amico Prof. Virgilio Tetti”.

Questo il parere di Massimo Pittau nel suo trattato sistematico sui toponimi della Sardegna settentrionale (Nota 3).

Aggoddi, para d' (Sorso), Monte d’Accoddi (Sassari): potrebbe derivare dal lat. collis «colle», oppure dal gentilizio lat. Collius (RNG) (al vocativo) di un proprietario romano di Turris Libisonis. Cfr. cognome Goddi.”
 
e leggiamo anche la sintesi proposta da Alberto Moravetti in un suo articolo su Monte d’Accoddi pubblicato nel supplemento n.1 della rivista Quaderni di Darwin (Nota 4)   dove lo studioso presenta un quadro essenziale sui risultati degli interventi di scavo, fornendoci anche la sua spiegazione sul significato e l’origine del nome (Nota 5).
Le sue argomentazioni non si discostano da quanto già presentato da Ercole Contu né vengono aggiunti elementi di novità a quanto già detto, come peraltro dimostra lo stesso titolo.

“ Il mistero del nome”

 “Il nome Monte d’Accoddi, risultava, al pari della collinetta, piuttosto misterioso. E di esso si avevano anche altre versioni, come Monte d’Agodi o Monti d’Agoddi o Monte d’Acode  o Monte la Corra ( sulle carte dell’I.G.M.). Intanto, non stupiva la  denominazione di  «monte» a un modesto rilievo al momento  che in Sardegna viene data anche alle colline. Meno agevole, invece, appariva l’interpretazione della seconda parte del nome, che venne fatta derivare da un’erba (kòdoro, cioè terebinto) o da « luogo di raccolta » (accoddi) o da corno (la corra). Solo di recente si è potuto accertare che il nome più antico documentato nelle carte catastali è «Monte de Code» , che significava « Monte collina delle pietre». Il riferimento alla pietra si ritrova anche nelle traduzione spagnola, risalente al ’600, del condaghe medievale di San Michele di Salvennor, nel quale la collina viene chiamata «Monton de la Piedra». E infatti, prima degli scavi, le poche pietre ancora affioranti davano proprio quest’aspetto alla ‘misteriosa’ collinetta”.

L’indagine archeologica

Già dai primi interventi di scavo, condotti da E. Contu dal 1952 fino al 1958, era emerso in tutta evidenza la natura santuariale del monumento; l’area indagata presentava infatti elementi utili perché la struttura di Monte d’Accoddi venisse considerata santuario di età prenuragica; tesi pienamente confermata dai successivi scavi ripresi nel 1979 da Santo Tiné dell’Università di Genova e durati per circa un decennio.
Le indagini archeologiche hanno evidenziato diverse fasi costruttive.
Il primo impianto di forma trapezoidale  provvisto di rampa d’accesso fu innalzato al centro di un esteso villaggio-santuario preesistente in un periodo intorno alla fase finale della c.d. cultura di Ozieri e alla cui sommità fu realizzato un tempietto le cui pareti erano intonacate e dipinte a pittura rossa così com’era dipinto di rosso il pavimento nonché il paramento murario intonacato della prima terrazza; da qui la denominazione di tempio rosso.
Successivamente ristrutturato a seguito di un incendio, con l’aggiunta di una ulteriore terrazza sopraelevata e la costruzione di un nuovo tempio più grande sulla sommità, il santuario ebbe il suo massimo sviluppo durante le culture di Filigosa e Abealzu.
Il rarefarsi della frequentazione nella fase finale della c.d. Età del Rame porta al  progressivo abbandono del santuario nella fase iniziale della successiva Età del Bronzo, intorno alla metà del secondo millennio.

Per quest’ultima fase e per le successive così si esprime Alberto Moravetti (Nota 6).

“…. Ma già ai tempi della cultura di Bonnannaro, nel I Bronzo (1800-1600 a. C.) il santuario doveva essere in abbandono anche se non mancano tracce di frequentazioni più recenti come quelle molto rare nuragiche, fenicio-puniche, di età romana e medievale”.  

Toponomastica e Sovrapposizioni

Gli elementi a disposizione, compresa quest’ultima considerazione di Moravetti sulle successive frequentazioni del monumento, ci hanno indirizzato verso una nuova ipotesi sull’origine del toponimo che potrebbe far luce sul mistero che avvolge questa ‘singolare’ denominazione del monte.
Quell’antica denominazione Monte de Code riportata nelle carte catastali potrebbe essere, a mio parere, la riproposizione corrotta di un precedente toponimo attribuito a quell’altura sormontata dal più antico santuario della Sardegna da genti che parlavano una lingua diversa incomprensibile a coloro che hanno trascritto quel termine sconosciuto travisandone il reale significato, così cancellato per sempre dalla memoria di tutti.
Gli esempi di improprie sovrapposizioni toponomastiche sono peraltro numerosi.
Basti solo ricordare quanto è avvenuto in tempi più recenti per l’antico toponimo di una piccola isola del sud Sardegna, la cui denominazione originaria venne erroneamente trascritta con toponimo di significato totalmente diverso a causa di una errata interpretazione della lingua sarda da parte dei cartografi piemontesi.
Infatti l’isola de is cavurus, ossia l’isola dei granchi, si è trasformata, da un momento all’altro, per un’errata trascrizione, in quella che oggi noi tutti chiamiamo l’isola dei Cavoli; allo stesso modo l’isola di Maleventum (in sardo  Maluentu) è diventata isola di Maldiventre.
Oppure, come dimostra quest’altro esempio che riguarda un’altra isola della Sardegna, può essersi verificato lo stesso millenario percorso linguistico da cui è scaturita l’attuale denominazione dell’isola di San Pietro chiamata originariamente ‘ynsm in età fenicia, poi Iεράχων νήσος, Enosim, Enusin e Accipitrum insula, nomi tutti diversi in lingue diverse per indicare lo stesso significato originario: isola dei rapaci e infine isola di San Pietro con l’avvento del cristianesimo.
 

Il Monte del Santuario

Non è quindi da escludere che in modo pressoché analogo ai  granchi presi per cavoli dai cartografi piemontesi, sia avvenuto lo stesso per il toponimo Code; anche in questo caso probabile esito di un’errata trascrizione dell’originaria denominazione del monte il cui reale significato potrebbe essere stato stravolto e confuso con un ammasso di pietrame, forse in età medievale.
Dietro quel termine Code di dubbia interpretazione, se abbiamo visto giusto,   potrebbe essersi conservata l’originaria denominazione attribuita a quel luogo sacro già dalle stesse genti che lo costruirono in età prenuragica o forse, più plausibilmente, da altre genti arrivate successivamente in età storica.
Nonostante le indagini archeologiche evidenzino un progressivo abbandono del santuario già nella prima fase dell’età del bronzo, è verosimile che il ricordo dell’antico Monte del Santuario come luogo sacro sia rimasto tale nella memoria collettiva anche in epoche successive, ancor più dopo l’arrivo di nuove genti semitiche di cultura, religione e soprattutto lingua diverse (leggi fenici e punici).
L’antico Santuario, per  gli autoctoni da sempre luogo sacro, non poteva  non essere denominato dai nuovi arrivati che in un solo modo: QDŠ (Qodesh), il termine semitico per indicare il santuario e quindi Monte del Qodesh ossia Monte del Santuario.
La denominazione Monte del Qodesh potrebbe essersi quindi perpetuata nel tempo per altre centinaia d’anni finché il santuario non cadde definitivamente in rovina, distrutto dal tempo e dall’arrivo di nuove genti e infine, con l’arrivo degli spagnoli, il termine Qodesh perse l’ultima consonante e insieme a quella lettera anche la memoria del suo originario significato legato al sacro.
L’antico toponimo Monte del Qodesh, ormai corrotto in Monte de Code e degradato a un qualsiasi Monton de la Piedra dai nuovi colonizzatori venne definitivamente rimosso dalla memoria collettiva.
Nel medioevo nessuno ricordava più che quel luogo era sacro fin dall’età prenuragica e quella ‘collinetta’ ricoperta di pietre da Monte de Code divenne Monte d’Agodi o Monte d’Agoddi per poi trasformarsi ancora e giungere fino a noi in quell’enigmatico toponimo che tutti noi conosciamo: Monte d’Accoddi, una riproposizione moderna dell’antica denominazione Monte del Qodesh ovvero Monte del Santuario che ancora oggi dopo diversi millenni suscita meraviglia per essere unico per tipologia in Europa e in tutta l’area mediterranea.

 A rafforzare la nostra ipotesi aggiungiamo che il termine Qodesh, il cui significato è connesso al sacro e alla sacralità in genere, risulta ampiamente attestato da migliaia d’anni nelle diverse lingue semitiche come l’accadica, la fenicia e l’ebraica e che ancora oggi quello stesso termine Qodesh indica in lingua ebraica il tempio e il santuario in genere, così come anche il Sancta-Sanctorum è ancora chiamato in quella lingua millenaria Qodesh ha-Qodashim (le cose sante tra le sante).

Si potrà dire che non abbiamo prove e che al momento tutto questo è indimostrabile, ma è comunque innegabile che il termine Qodesh, in età storica e in particolare in età punica, indicasse tutti i santuari della Sardegna e quindi anche l’intera area del santuario a terrazza, forse ancora sporadicamente frequentato sia dai punici che dalle genti del luogo.

L’ipotesi qui presentata non ha la pretesa di dare una risposta definitiva sul significato del ‘singolare’ toponimo, ma solo offrire un ulteriore contributo alla ricerca sull’origine del misterioso nome del santuario dalle origini altrettanto misteriose.
Con l’auspicio che un domani eventuali riscontri oggettivi possano confermare la nostra ipotesi, per noi al momento niente più che stimolante suggestione, concludo queste mie riflessioni con le parole di Ettore Pais (Nota 7).

 Io mi guardo bene dal dare a questa mia ipotesi un’importanza qualsiasi. E mi arrenderò ben facilmente agli argomenti di chi provi che la mia ipotesi sia erronea. Questa ipotesi affaccio senza alcuna pretesa e senza insistervi. Alla peggio sarà da mettere a fianco di tante altre.   


Note:
1 Ettore Contu, L'altare prestorico di Monte d'Accoddi, Guide ed Itinerari n.29, Carlo Delfino Editore, Sassari 2000, pp. 37-38.
2 Contu 2000 p.78.
3 Massimo Pittau, Toponimi della Sardegna settentrionale significato e origine. Editrice Democratica Sarda 2013 v. voce Agoddi .
4 Alberto Moravetti, Gli altari a terrazza di Monte d’Accoddi, in Darwin Quaderni, n. 1 supplemento alla rivista Darwin n.14, editoriale Darwin s.r.l., Roma 2006 pp. 4-19 2006 pp. 6-19.
5 Moravetti 2006 p. 8.
6 Moravetti 2006, pp. 18-19.
7 Ettore Pais, Sull’etimologia della parola “Nuraghe” in Archivio Storico Sardo Vol. VI, Appendice II, Tip. G. Dessì, Cagliari 1910 p. 190.

Riferimenti bibliografici

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3 commenti:

  1. Cosa dice il Prof Pittau sul significato di tale toponimo??Amministratore modera!!

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  2. C'è scritto nell'articolo, bisogna leggerlo. C'è anche la bibliografia.

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  3. secondo me,alio alfo,hanno ragione sia il contu che il semitologo quando il secondo associa lo ziggurat sardo alla scritta "qds"
    Il senso del sacro,secondo l`etima antico-egizia,viene da "skr" cioe (secondo il sign-list del Gardiner,G10),
    divinitá che caratterizzava ,nella festa delle Pamilie il morto membro che risuscita (H.Bonnet p.580,RdäR 2000)

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