venerdì 12 giugno 2015

Archeologia. Porti e Approdi della Sardegna Nuragica: Monte Sirai

Archeologia. Porti e Approdi della Sardegna Nuragica: Monte Sirai
di Pierluigi Montalbano


Su un promontorio a breve distanza dall’approdo di Sulki, sorge un insediamento costituito da necropoli, acropoli e tofet. Gli archeologi propongono una datazione dell’VIII a.C. con funzione di fortezza con mastio e cinta muraria fortificata. Il mio pensiero sul sito ruota intorno a un’originaria pacifica funzione di mercato, pertanto non condivido questa interpretazione, ma il punto di vista accademico è sempre doveroso citarlo. Fino alla conquista romana del 238 a.C., fu un centro di controllo del territorio, in seguito urbanizzato, con la conseguente demolizione delle fortificazioni. Nel 38 a.C., data dello scontro fra Cesariani e Pompeiani, Monte Sirai fu abbandonata definitivamente.
Verosimilmente fu edificato dagli abitanti di Sant’Antioco e Portoscuso. L’organizzazione urbanistica mostra edifici che suggeriscono una collaborazione fra fenici e nuragici, con ceramiche locali realizzate a mano. Gli studiosi ritengono che parte dell’insediamento fu distrutto fra il 540 e il 510 a.C. dai cartaginesi del generale Malco, ma questa interpretazione non mostra convincenti dati a supporto.

L’attacco avrebbe determinato una decadenza del centro, ripopolato poi con alcune famiglie cartaginesi. Ciò sarebbe in linea con la tipologia delle sepolture, africana libica, costituita da 13 tombe familiari. Un cambiamento importante avvenne nel 380 a.C. quando in Sardegna si nota la costruzione di una serie di
fortificazioni nelle città puniche. Monte Sirai divenne forse sede di una guarnigione, ma nel 238 a.C. furono demolite le fortificazioni e il centro, fino al 110 a.C., visse nuovamente come città pacifica.
L’acropoli, sulla parte superiore della collina, è costituita da 4 isolati disposti parallelamente. In assenza di piazze, se non quella vicina all’ingresso, le vie di comunicazione sono in terra battuta. Nuragici, fenici e punici non lastricavano le strade, furono i romani a introdurre l’uso di vie rivestite di ciottoli.
L’ingresso all’insediamento è fiancheggiato da una serie di strutture e da un fossato, delimitato da un muro rettilineo. L’andamento zigzagante delle mura, tipico delle fortificazioni puniche, ha integrato le strutture arcaiche in blocchi bugnati di trachite. Davanti all’ingresso, una serie di torri erano forse funzionali alla difesa ma Bartoloni parla di strutture romane abitative e non di torri, con un corridoio che conduceva alle strutture interne. L’abitato presenta case tradizionali con corridoio centrale che porta alla corte, sulla quale si affacciano gli ambienti domestici. L’unico edificio pubblico identificato è il mastio, costruito su un nuraghe che fu smontato per ottenere materiale già pronto per realizzare altri edifici. Si trova nell’unica piazza di Monte Sirai, e nell’ultima fase di vita dell’insediamento fu utilizzato come edificio sacro. Subì un incendio alla fine del VI a.C. e fu ristrutturato nel V a.C. con l’aggiunta di una torre cava con 6 vani ciechi, forse magazzini, e in seguito fu anche rifasciato. Per Bartoloni si tratta di un tempio con cisterna dedicato ad Astarte. I fenici, integrati fra i sardi, usarono il nuraghe per le funzioni religiose e per accogliere i loro simboli cultuali. I manufatti scavati rimandano al sacro: oggetti votivi, lucerne, bronzetti, placchette in osso. La copertura era piana con travi di legno o cannucciato perché le tegole arrivano solo in età romana.
La statua di Astarte, del VII a.C., ha la testa rifinita e il corpo abbozzato, e risente dell’influenza siriana. Il braccio sinistro è appoggiato sul ventre e il destro è sul petto col pugno chiuso. Forse portava una stola sulla spalla. In una celletta c’erano una serie di placchette lavorate, una sfinge accosciata in osso e una palmetta. La lavorazione a Monte Sirai è a incisione, mentre negli oggetti orientali è a rilievo. Due bronzetti fenici trovati nei vani insieme alla statua, rappresentano “il Citaista” e un personaggio nuragico che versa da una brocca askoide in una coppa. Sono datati al VI a.C. e dimostrano la convivenza pacifica fra nuragici e fenici, caratteristica riscontrabile in tutti i siti costieri.
La grande necropoli è divisa in settori. Quella fenicia è vicina all’abitato, quella punica è più in basso. Il tofet si trova in una valle ancora più in basso.
La necropoli fenicia ha tombe a incinerazione primaria, con fosse scavate nella terra e nella roccia. Terminato il rito, prima di sigillare la tomba si aggiungeva il corredo e poi si poneva un cippo in superficie. Le tombe arcaiche sono un centinaio, poco regolari, mentre quelle puniche sono rettangolari. Alcune sepolture sono a inumazione, con la presenza della brocca a orlo espanso. Una donna è di fianco, la tipica inumazione della zona libica di Kerkouane, mai documentata a Cartagine. Le tombe puniche a camera sono 13, dotate di scale nel lato breve del dromos. Le camere sono quadrangolari con sarcofagi e nicchie risparmiati nella roccia. Una delle tombe presenta al centro una colonna, forse per sostenere la copertura. Nel tramezzo è visibile il simbolo di Tanìt capovolto, forse perché riferito al mondo dei defunti. Alcune tombe sono ricavate da preesistenti domus de janas. Nella parete di una camera tombale ci sono 3 facce maschili demoniache; in un’altra area ci sono anche delle tombe infantili a enkitrismos.

Il tofet è del 370 a.C. quando ci fu lo sviluppo urbanistico e demografico dell’insediamento. Si trova 200 m a nord dell’abitato e ha restituito 300 urne e 140 stele. Si divide in tre fasi sovrapposte: la prima vede le urne appoggiate direttamente sulla roccia all’interno di casse scavate e conta poche stele. Alla fine del IV a.C. viene fatta una gettata di terra e argilla, sostenuta con muretti laterali. Intorno al 250 a.C. abbiamo la terza fase: sono posti dei lastroni di trachite per contenere la colmata di terra e si costruisce un edificio di culto. Recentemente è stato restaurato malamente con dei gradini ma in origine sorgeva su una piattaforma alla quale si accedeva attraverso una rampa, ora coperta dalla gradinata. Al di sopra c’era un saccello di 8 x 6 m datato alla fine del III a.C. costituito da un ampio vestibolo affiancato da vari ambienti. La parte più sacra vedeva un penetrale caratterizzato nello spigolo da un doppio altare. Gli archeologi hanno trovato tracce di fuoco e resti ossei di animali vicino all’altare. Le stele documentate nel tofet mostrano una stretta correlazione con Sulci ma gli artigiani non raggiungono l'abilità dei sulcitani. Nelle edicole troviamo sacerdoti con stola, e divinità con fiori di loto. 

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