domenica 1 marzo 2015

Archeologia.La Civiltà Micenea

La Civiltà Micenea
di Pierluigi Montalbano


Fino al 1500 a.C. circa, nel Mediterraneo vigeva la talassocrazia minoica, un potere marittimo di matrice cretese che distribuiva merci pregiate attraverso una fitta rete di porti e approdi amministrati pacificamente. All’inizio della seconda metà del millennio, sono gli Achei a prendere il loro posto. Guerrieri e marinai, queste genti di stirpe greca si organizzano in potenti città-Stato fra cui spicca Micene, tanto che per questo sono chiamati anche Micenei. Delle loro imprese militari e dei loro viaggi nel Mediterraneo si conserverà traccia nella mitologia greca e nei poemi di Omero, ma lo svolgimento della loro vita quotidiana è testimoniato nelle numerose tavolette d’argilla rinvenute nei loro palazzi.
Le loro vicende possono risalire all’inizio del II Millennio a.C. quando genti provenienti da nord s’insediano nella penisola greca, precedentemente abitata da gruppi di pastori e agricoltori. Nel giro di pochi secoli danno vita a numerosi insediamenti e raggiungono, grazie anche all’influsso della più avanzata civiltà minoica, un rilevante grado di potenza e sviluppo. Intorno al 1500 a.C., approfittando del declino del potere minoico, i più intraprendenti iniziano ad amministrare la rete commerciale, insediandosi nelle città-palazzo di Creta, quali Cnosso e Festo, e attivando
una potente flotta, con base militare a Micene, che in breve tempo domina il Mediterraneo. Il nome di quel popolo, come ci testimoniano i documenti ittiti ed egizi, è Akhiyawa. Sono gli Achei di cui parla Omero nei suoi poemi, definiti anche micenei.

Di origine indoeuropea, portano nel mondo greco alcune novità importanti: la lingua, innanzitutto, che è già greca, il culto del dio del cielo, una nuova tecnologia nella lavorazione del metallo e una ferrea organizzazione sociale e politica. Sulle popolazioni micenee, raggruppate in medie organizzazioni statali, regna un sovrano (wanax), affiancato da una burocrazia di corte e militare; a capo dell’esercito è il generale (lawaghetas), scelto tra le famiglie aristocratiche (lawoi). Ai margini della piramide del potere c’è il popolo (damo) di agricoltori e artigiani, e infine gli schiavi (doeroi). Soltanto agli aristocratici è concesso possedere terre e bestiame; il popolo, come nell’Europa medievale, può solamente coltivare la terra dei signori e trattenere una piccola parte del raccolto. Il palazzo, già centro della vita politica e culturale minoica, si cinge di mura e diviene il nucleo del potere miceneo. Nella grande sala del focolare (mègaron) si tengono banchetti e si cantano le vicende del mito.
È proprio in questa civiltà, antenata di quella greca classica, che i Greci collocano le figure degli eroi a loro più cari: Achille, Ulisse, Agamennone e Menelao, personaggi dell’epica arcaica tramandata dai poemi di Omero.
La scoperta moderna dei resti della civiltà micenea inizia a metà dell’Ottocento, quando Heinrich Schliemann, leggendo l’Iliade e l’Odissea sogna di recuperarne le origini, mette da parte ingenti ricchezze e va alla ricerca degli eroi di Omero e della città di Troia. Con l’Iliade in mano parte dalla Germania e si reca nella Penisola Anatolica, alla ricerca dei luoghi cantati nei poemi: il fiume Scamandro, la baia di Troia, le sorgenti. Deriso dalla comunità scientifica che non è persuasa dell’esistenza di quel mondo antichissimo, dopo alcuni anni di scavi vede avverarsi il suo sogno: da un’altura vicino al fiume che scorre verso il Mare Egeo cominciano a riemergere le rovine di una città circondata da torri e da mura, con palazzi ed edifici sontuosi. Le mura e le case recano i segni di un enorme incendio che ha causato la rovina della città. La notizia fa il giro del mondo e Schliemann riceve l’incarico di andare alla ricerca anche degli altri regni micenei: Itaca, Pilo, Micene. Uno dopo l’altro porta alla luce i grandi palazzi delle capitali micenee, e con essi gli straordinari gioielli indossati dalle principesse achee: i Greci hanno finalmente ritrovato i loro antichi padri. Tuttavia restava da chiarire quale lingua parlavano gli Achei. Nonostante i magazzini dei palazzi della Cnosso di età micenea e di Pilo contenessero molte tavolette scritte, i segni con i quali sono redatti questi documenti rimangono sconosciuti, cosa che non permette di arrivare alla scoperta della lingua micenea. Questo mistero è svelato nel 1952 da un architetto inglese, Michael Ventris, che riesce a trovare le combinazioni giuste per decifrare quei segni. La scoperta è sensazionale: la lingua micenea è il greco scritto in un sistema sillabico di scrittura (lineare B).
Le tavolette di Pilo e di Cnosso sono gli archivi economici dei palazzi: registrazioni di conti e di donazioni, di entrate e di uscite, di sacrifici e di eventi di cronaca. Da quelle antiche tavolette di argilla riemerge un mondo popolato da contadini e fabbricanti di armi, fabbri e vasai, tessitori e sacerdoti, potenti signori e aristocratici guerrieri. È il mondo cantato da Omero, riscoperto e sottratto all’oblio del tempo.

Analizzando i testi di Omero e confrontandoli con le tracce archeologiche, gli studiosi hanno iniziato a ricostruire le vicende dei micenei. Innanzitutto c’è l’assedio della città originato dall’episodio mitico del rapimento di Elena da parte del principe di Troia Paride. Nella conseguente spedizione punitiva achea si può vedere il ricordo delle antiche lotte tra i potenti micenei del continente greco e i popoli dell’Asia minore per il controllo delle rotte commerciali verso il Mar Nero e le regioni dell’Est. Proprio intorno al 1300-1200 a.C. i Micenei iniziano a spostarsi dalle città della Grecia verso le isole e le coste dell’Asia, dove fondano nuovi insediamenti. È quella che gli studiosi chiamano prima colonizzazione, uno spostamento enorme di uomini e di merci dal continente verso le terre fertili delle isole e delle coste asiatiche, che diventano greche e rimarranno tali per oltre duemila anni, fino alla conquista turca del 1500.
I miti che coinvolgono gli eroi achei sono spesso miti di viaggio, avventure straordinarie attraverso il Mediterraneo: pensate a Giasone e agli Argonauti, ma anche ai viaggi di Ulisse. Il viaggio è quindi una realtà assai importante nel mondo miceneo, dal punto di vista sia commerciale sia culturale. Gli Achei non viaggiano solo in direzione dell’Oriente e dell’Asia minore: Ulisse, Diomede e altri protagonisti del mito arrivano con le proprie peregrinazioni fino all’Italia e alla Sicilia, alla Sardegna e persino alla Spagna.
Dopo il 1200 a.C., le tavolette micenee iniziano a registrare frenetici preparativi militari di difesa, allarmi per imminenti sciagure e sacrifici per placare la vendetta divina. Il pericolo viene forse dal mare, con scorrerie di genti definite dai testi egizi e ittiti popoli del mare. Provocano terrore e sconvolgimenti in tutto il Mediterraneo. I Micenei, che pure hanno rappresentato per circa tre secoli una potenza rilevante, non riescono a sostenere l’avanzata di questi invasori. I palazzi dei principi achei, uno dopo l’altro, sono devastati e dati alle fiamme: finisce così, tragicamente, una delle civiltà più importanti della storia antica.
Dal Nord, intanto, giungono altre genti di origine indoeuropea, più forti militarmente ma meno evolute culturalmente. Secondo gli studiosi più accreditati si tratta dei Dori, guerrieri che sostituiranno le aristocrazie achee al vertice della società. I palazzi saranno in parte abbandonati, s’interromperanno i grandi viaggi lungo il Mediterraneo, addirittura la scrittura sarà dimenticata, ma nella memoria e nelle storie cantate dai poeti rimarrà vivo il ricordo delle imprese e dei personaggi del mondo miceneo, e sarà proprio di qui, con i poemi di Omero, che tre o quattro secoli più tardi ripartirà la grande avventura del popolo greco.


3 commenti:

  1. beh, le cose non stanno esattamente così... http://pierluigimontalbano.blogspot.it/2014/05/schliemann-scopritore-della-citta-di.html

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  2. Ad esempio, quali sarebbero i punti da approfondire?

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  3. le identificazioni della civiltà micenea con il mondo omerico sono il frutto di continue forzature interpretative, se non di veri e propri imbrogli, come nel caso del buon Schliemann. Ma non tornano i tempi e i luoghi, è per quello che è nata la questione omerica e non si sa come risolverla, se non inventanto continuamente correlazioni inesistenti. Lo spiego anche qui http://pierluigimontalbano.blogspot.it/2014/05/iliade-e-odissea-omero-racconto-delle.html

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