Età del rame: domus de janas, dolmen e menhir
di Pierluigi Montalbano
Nel momento di
passaggio dall'età della pietra all'età del rame, in Sardegna si assiste alla
proliferazione di domus de janas, sepolture in grotticelle scavate nella
roccia. Le forme sono varie e si va da tombe con un'unica cella ad altre con un
consistente numero di ambienti. L'accesso dei tipi più antichi è a pozzetto,
più tardi diviene frequente un corridoio chiamato dromos. I portelli d’ingresso
sono elegantemente sagomati e aperti verticalmente sui costoni naturali, mentre
il dromos conduce in un vestibolo dal quale si passa a una cella centrale su
cui si aprono altre celle. Lo scavo era praticato con strumenti di pietra
appuntiti e sagomati in modo da renderne agevole l'impugnatura. Dopo l'uso
venivano abbandonati all'interno della domus, dove infatti sono stati rinvenuti
di frequente. Le decorazioni interne sono varie e vanno dalla rifinitura dei portelli
esterni e interni alla riproduzione di elementi architettonici come zoccoli,
pilastri con basi, architravi, trave centrale e altre travi scavate nella
roccia trasversalmente sul soffitto. Altri elementi rappresentano fedelmente
l'interno di una casa con pavimenti e pareti dove sono ricavate coppelle e
focolari. Il soggetto più frequentemente rappresentato è la protome taurina, da
riferirsi a una divinità simbolo della vita e della potenza generatrice, e
perciò protettrice dei defunti e principio della loro rigenerazione. Non
sappiamo se le domus fossero destinate a gruppi familiari o a caste, perché i
dati in nostro possesso non sono molti. Abbiamo testimonianze di un notevole
sviluppo dell'artigianato tessile con fusaiole, pesi da telaio,
rappresentazioni sulla ceramica di figure femminili con abiti elaborati. Altre
sepolture sono costruite con lastre di pietra, ad esempio i Dolmen, realizzati
con due o più pietre fissate verticalmente sul terreno e coperte da una o più
lastre piatte. Sono documentati Dolmen a pianta semplice, Dolmen a corridoio e
alles couverte, ossia tombe a galleria. Quello semplice è costituito da un
tumulo che contiene una camera quadrangolare fatta con ortostati, lastre
infisse verticalmente nel terreno, e ricoperto da un'unica lastra. Nel Dolmen a
corridoio il sepolcro è preceduto da un lungo corridoio costituito da due file
di ortostati. L'alles couverte è formata da due lunghe file di ortostati paralleli,
coperte da lastre orizzontali. A volte sono realizzati dentro una trincea del
terreno che li nasconde parzialmente. Esistono anche strutture megalitiche in
tecniche trilitiche, ossia con tre pietre, due verticali e una orizzontale
sovrapposta. Secondo qualche archeologo le domus de janas sono collegate agli
agricoltori, mentre i Dolmen sono espressione di comunità di pastori.
In Sardegna si contano
circa ottocento menhir, isolati o in gruppo, alcuni con superfici rozze, mentre
altri presentano le facce lavorate a martellina. Alcuni menhir presentano nella
faccia anteriore degli incavi circolari chiamati coppelle. Le testimonianze più
antiche risalgono alle fasi finali del neolitico, durante la cultura di Ozieri,
ossia alla fine del quarto millennio avanti Cristo. Furono eretti ai margini
degli abitati o all'interno di vaste aree funerarie o in prossimità di antiche
vie percorse nelle transumanze dei pastori. Oltre che simulacri del culto degli
abitanti dei villaggi, erano segnali per i viandanti. Rimasero vivi a lungo
nella tradizione popolare, come oggetto di tabù magici o di cerimonie cultuali
a sfondo fertilistico. Ad esempio i barbaricini adoravano queste pietre fitte,
insieme agli idoli di legno, ancora nel medioevo, come testimonia Gregorio
Magno che fu papa dal 590 al 604.
Con la cultura di
Ozieri le raffigurazioni della divinità femminile diventano numerose sia in
pietra sia in argilla, con schemi geometrici definiti a placca intera. Spicca
il naso e sul busto sono sempre ben evidenziate le mammelle, testimoni del
ruolo primario di nutrice. Queste divinità sono nude e diventa difficile
stabilire un netto confine tra immagini di esseri umani e rappresentazione di
esseri divini. La cultura di Ozieri non mostra una fine brusca e si assiste a
una graduale modificazione nell'ambito di tutta l'età del rame, un periodo nel
quale hanno luogo profondi mutamenti nella vita e nell'assetto economico
sociale delle comunità. La ricerca dei giacimenti e la necessità di
approvvigionarsi in quantità sempre maggiori dei nuovi materiali, i metalli, oltre
allo sviluppo di un artigianato specializzato, impone di destinarvi stabilmente
alcuni operatori determinando una serie di reazioni a catena. Nel continente
europeo si assiste a fenomeni nuovi che accompagnano gradualmente la
metallurgia: necropoli, fortificazioni, tracce di azioni violente, commercio su
lunghe distanze. In Sardegna, invece, si nota un'evoluzione graduale
caratterizzata da forme ceramiche non decorate o semplici motivi di file di
punti o di linee disposte in schemi elementari. Iniziano a comparire motivi
dipinti in rosso su superfici gialle, i colori dei metalli. È in questo periodo
che poniamo la cultura di filigosa, dal nome di una necropoli a domus de janas
nei pressi di Macomer abbiamo tazze, scodelle, ollette, vasi a collo, tripodi,
piccole punte di freccia in ossidiana e in selce. Si ha una presenza
consistente di oggetti in rame e argento che fanno presupporre un'attività
metallurgica locale fornita di buone capacità tecniche. La fase successiva è
denominata Abealzu, dal nome di una necropoli a domus de janas tra Sassari e
Osilo, caratterizzata da ceramiche semplici prive di decorazione e da mestoli
col manico stilizzato a forma di testa di uccello. Per quanto riguarda le
sepolture sono prevalentemente utilizzati ipogei preesistenti. Alla metà del
terzo millennio avanti Cristo si nota in tutta la Sardegna una nuova fase
culturale decisamente differente dalle precedenti. Conosciuta con il nome di
facies di Monte Claro, presenta ceramiche decorate a solcature larghe e
profonde, con vasi di grandi dimensioni ideali per la conservazione di derrate
alimentari. Motivi a file di punti impressi o a piccoli triangoli intagliati,
oltre a motivi solari e rametti schematici, decorano a stralucido le superfici,
con l'azione di una stecca passata sulla superficie del vaso prima della
cottura.
È documentata per la prima volta l'utilizzazione del piombo per la
realizzazione di grappe di restauro dei vasi. Si praticavano dei fori nei
frammenti combacianti e piccole strisce di piombo passavano all'interno tenendo
uniti i frammenti. Un altro aspetto nuovo di questa cultura è la realizzazione
di muraglie megalitiche poste a difesa di abitati o edificate su luoghi
elevati. La più nota di queste muraglie è quella di Monte Baranta di Olmedo. Di
questa fase conosciamo i muri perimetrali delle abitazioni, a pianta
rettangolare, talvolta con una parete arrotondata, spesso con suddivisioni
interne che suggeriscono una divisione funzionale degli spazi. I defunti sono
posti nelle domus de janas e nelle grotte naturali, ma si notano nuovi ipogei
con una o più celle a forno e pozzetto d'accesso, come quelle di via Basilicata
e di Sa Duchessa a Cagliari. Con la cultura di Monte Claro finisce del tutto la
produzione di statuine della dea madre, e negli spazi sacri delimitati da
grandi pietre si collegano diversi menhir.
Nelle immagini, dall'alto: Montessu, Sa Coveccada e Laconi.
nel territorio del mio paese esiste una grotta delle fate (domus de janas) del tutto simile a quelle sarde e non è detto che non ce ne siano altre, ancora da scoprire; in più il mio dialetto ricorda la lingua sarda: sono uguali l'articolo SU e molti finali di parola in U. Il fenomeno è reso ancora più curioso dal fatto che i dialetti dei paesi confinanti non somigliano a quello del mio paese, creandosi quindi una specie di enclave linguistica. In più le vostre janas sono le nostre janare. ho la passione per la storia e studiando l'origine del mio paese: Coreno Ausonio (FR) sono arrivato ad ipotizzare che possa essere stato fondato da commercianti sardi verso la seconda metà del primo millennio d.C.. Avete delle informazioni dirette o del materiale consultabile che possa suffragare questa mia ipotesi? GRAZIE!
RispondiEliminaChiederò al Prof. Pittau e le farò sapere.
RispondiEliminaMassimo Pittau scrive:
RispondiEliminaL'articolo sardo su, sa; sos, sas deriva sicuramente dal pronome latino ipsu(m), ipsa; ipsos, ipsas, ragion per cui non può essere riportato all'epoca dei Nuragici.
La latina Diana, Iana, dea della luna (perché astro notturno), della morte (perché navigava con una barca che trasportava i morti all'oltretomba, e della caccia (perché fornita dell'arco lunare) in tutta l'area dell'Impero romano è stata declassata dai cristiani al ruolo di "maga, strega, fata, ecc", per cui non c'è nulla di strano che sia documentata anche a Coreno Ausonio.
Tombe scavate nelle rocce si trovano in tutto il bacino del Mediterraneo, per cui è molto azzardato trarre da esse conclusioni di parentele fra i popoli antichi.
La presenza dei Nuragici nel Lazio antico è confermata da varie notizie antiche: si veda il mio studio sui PELASGI, pubblicato anche in questo sito.