Il culto dei
santi nella Sardegna medievale
di Rossana
Martorelli
Il
convegno tenuto a Cagliari nell’ambito delle celebrazioni per
il Giubileo, ha offerto un’importante occasione di confronto sul tema dei santi
e della devozione ad essi riservata dall’età antica ai tempi moderni,
soprattutto per quanto concerne l’esame delle molteplici forme in cui si sono
manifestati, diversificate nei tempi. In quella circostanza si offrivano i
primi risultati di una ricerca avviata da alcuni anni sul culto dei martiri/santi
in epoca tardo antica e medievale in Sardegna. Si trattava di una relazione
preliminare, in cui veniva esposto lo stato di avanzamento fino ad allora
conseguito. Il tempo trascorso dal convegno e le ragioni contingenti hanno
indotto a pubblicare altrove il contributo presentato in quella circostanza. Il
lavoro, poi, negli anni successivi è proseguito e un nuovo status
quaestionis è stato illustrato in Corsica nel 2003. A questo punto la ricerca è
giunta quasi alla fine e dunque i dati acquisiti in questi anni sono più cospicui e consentono di delineare un panorama dai contorni maggiormente
definiti. Pertanto, si coglie l’occasione del presente volume per riprendere
nuovamente il problema, aggiornando lo stato delle conoscenze ed insieme proponendo
le linee generali di un progetto che si intende realizzare. La ricerca consiste
in un censimento a tappeto di tutte le testimonianze relative ai culti
tributati a martiri e santi dalla prima comparsa sino alla fine del Medioevo
nell’intera Sardegna. Muovendo, dunque, dai più antichi santuari meta di
venerazione, dedicati rispettivamente a San Lussorio a Fordongianus e a San
Gavino a Porto Torres, i cui nomi (insieme a quello di Simplicio, sul quale
pesano però alcuni dubbi) sono inseriti nel martirologio Geronimiano e dunque
sono ritenuti antichi, l’indagine ha preso in considerazione ogni possibile
traccia di una memoria intitolata a martiri e santi, sia inerente a luoghi di culto
ancora esistenti, sia a toponimi, sia a luoghi scomparsi.
L’arco cronologico si
estende dalle origini del cristianesimo, che sulla base delle prime
attestazioni si possono collocare nell’isola durante il III secolo e per il
tema in questione nel corso del IV, sino alla fine del Medioevo, termine ultimo
che in Sardegna viene spostato avanti di un secolo e fatto coincidere con
l’anno 1479, quando con il re Ferdinando II il Cattolico l’isola passa alla Corona
di Castiglia, che si unisce a quella aragonese, entrando così a pieno titolo
nell’epoca moderna.Dunque, il lungo arco temporale vede il succedersi di
diverse dominazioni, che influiscono non poco sui diversi aspetti della vita,
non ultimo
l’ambito religioso. L’isola è una provincia dell’impero
romano sino alla metà del V secolo, quando entra nell’orbita dei Vandali, nel regno
dei quali rimarrà fino al 534, allorché verrà inglobata
nell’impero bizantino, dopo la battaglia di Tricamari, come
parte della provincia d’Africa. La lunga età bizantina, diversamente da altre
regioni del bacino mediterraneo, cesserà in un’epoca che ancora oggi non può
essere precisata, collocabile fra gli inizi dell’VIII secolo e l’XI, due
termini che si fissano rispettivamente sulla base della data relativa alla
distruzione di Cartagine da parte degli Arabi (697-698) e la comparsa
dei primi documenti attendi bili, che certifichino un diverso status di autocefalia dell’isola, non più sotto una sola autorità, emanazione della sede centrale (Costantinopoli), ma ripartita in quattro sedi autonome governate da altrettanti iudices. Alla metà del XIII secolo, sotto i Pisani e i Genovesi, la Sardegna entra nel medioevo europeo, mentre con i successori – gli Aragonesi – si concluderà l’epoca medievale. L’alternanza di popoli e dominazioni, con il rispettivo peculiare portato etnico e culturale, genera ripercussioni di volta in volta più o meno evidenti anche sui culti e sulle espressioni del sentimento religioso, che si manifestano con l’apporto di nuove figure, spesso venerate nella patria d’origine, insieme a nuove modalità nelle pratiche devozionali e nei rituali delle celebrazioni. La ricerca pertanto si è svolta tenendo presente la finalità ben precisa, non tanto di individuare i culti attestati in epoca medievale, quanto di delinearne il percorso, le ragioni e le modalità di diffusione e di svolgimento, valutando alcuni fattori,che nel corso del lavoro si sono rivelati determinanti, tanto da divenire dei parametri fissi sui quali si è di fatto impostata la ricerca.
dei primi documenti attendi bili, che certifichino un diverso status di autocefalia dell’isola, non più sotto una sola autorità, emanazione della sede centrale (Costantinopoli), ma ripartita in quattro sedi autonome governate da altrettanti iudices. Alla metà del XIII secolo, sotto i Pisani e i Genovesi, la Sardegna entra nel medioevo europeo, mentre con i successori – gli Aragonesi – si concluderà l’epoca medievale. L’alternanza di popoli e dominazioni, con il rispettivo peculiare portato etnico e culturale, genera ripercussioni di volta in volta più o meno evidenti anche sui culti e sulle espressioni del sentimento religioso, che si manifestano con l’apporto di nuove figure, spesso venerate nella patria d’origine, insieme a nuove modalità nelle pratiche devozionali e nei rituali delle celebrazioni. La ricerca pertanto si è svolta tenendo presente la finalità ben precisa, non tanto di individuare i culti attestati in epoca medievale, quanto di delinearne il percorso, le ragioni e le modalità di diffusione e di svolgimento, valutando alcuni fattori,che nel corso del lavoro si sono rivelati determinanti, tanto da divenire dei parametri fissi sui quali si è di fatto impostata la ricerca.
Mutamenti storici
La
predominanza di alcuni culti piuttosto che di altri e l’ampliamento del numero
delle figure venerate in determinati periodi, allo stato attuale della ricerca,
sembra riconoscere nell’assetto politico il fattore più determinante per la
formazione di un pantheon cristiano, rivelando un attaccamento da parte
dell’autorità dominante alla propria sfera religiosa e la volontà di non
rinunciare ad essa quando si insedia su un territorio a sua volta permeato da proprie
tradizioni (fig.1). Si ricollega a questo aspetto la funzione di
«intercessore», delegata al martire/santo, spesso invocato a garantire anche il
successo delle imprese. Un altro risvolto può essere individuato nell’influenza
della committenza privata (non di rado altolocata e laica), particolarmente
avvertita in Sardegna in epoca giudicale, che attraverso la ricorrenza di
alcune intitolazioni (di norma care alla Chiesa occidentale) e il sostegno spirituale
e materiale (anche finanziario) dei culti (quale la costruzione di diverse
chiese), manifesta concretamente e visivamente il potere ed insieme di chiara
obbedienza e dipendenza dalla Chiesa di Roma, trascurate dai predecessori, a
cui il papa Gregorio VII aveva richiamato attraverso un’epistola indirizzata
nel 1073 ai quattro giudici sardi. Si è constatata – ad esempio
– frequentemente nei siti legati alle famiglie giudicali una predilezione per
Santa Maria e San Michele.
Dinamiche economiche
Il
fattore economico-commerciale, apparentemente secondario, sembra ugualmente un
veicolo importante nella trasmissione dei culti (la devozione a Santa Restituta
sembra giungere dalla Campania nel VII secolo, proprio nel momento in cui si intensificano
le relazioni commerciali).
Eventi religiosi
I
fattori legati alla sfera delle manifestazioni più propriamente sacre
incrementano la circolazione di nuovi culti non solo in relazione alle modalità
consuete, ma anche alla nascita di fenomeni nuovi nel periodo medievale, ma
particolarmente incisivi nella sua fisionomia, quali il monachesimo e il
pellegrinaggio, che si muove anche dall’isola verso l’esterno, introducendo
diverse figure venerate (ad esempio San Leonardo di Noblat, protettore dei
viandanti). Nella dislocazione dei centri di culto, analogamente, la ricorrenza
di alcuni fattori ha permesso di individuare delle linee che sembrano
seguire un percorso non casuale:–l’impianto
dei luoghi di culto risulta coerente con il sistema viario principale;–la scelta delle aree – urbane o rurali – avviene
in relazione al tipo di culto e alla funzione riconosciuta e affidata al
martire/santo (San Michele, protettore delle mura urbiche, ma anche del lavoro
nei campi, viene posto prevalentemente su alture);
–un
legame sembra riconoscersi anche con i topoi letterari, che da
un certo periodo circolano sulle vicende dei singoli individui. I risultati
finora conseguiti sono piuttosto incoraggianti ed hanno disegnato un quadro
ricco di sfaccettature, che si rivela utile alla conoscenza del medioevo
sardo, al di là di quello che può essere il fattore specifico religioso.
Soprattutto hanno evidenziato la «confusione» attualmente esistente nel campo
della devozione popolare, che annovera nella schiera dei martiri/santi una
moltitudine di figure, sulla cui attendibilità storica, da verificare con gli
strumenti critici e metodologici a disposi-zione soprattutto della disciplina
agiografica, si deve al momento necessariamente dubitare. Evidenti sono le
cause di tale confusione, che debbono farsi risalire in buona parte all’epoca
della Controriforma, nell’isola vissuta in maniera abbastanza forte.
RIFLESSI DELLA RIFORMA PROTESTANTE E DELLA
CONTRORIFORMA IN SARDEGNA:LA POLEMICA FRA CAGLIARI E SASSARI PER
IL PRIMATO
In seguito al concilio di Trento (1545-1563) si sviluppa un
articolato dibattito sui principi delle dottrina cattolica, in un momento di
ricerca di nuove risposte da parte della comunità cristiana in pieno travaglio
ideologico, che conduce aduna vivace reazione alla cd. eresia
protestante,ruotante attorno al suo principale esponente Martin Lutero. Le
linee di condotta indicate dal nuovo movimento religioso (rapporto diretto del fedele
con Cristo, figlio di Dio; dottrina della Grazia e della Predestinazione)
orientano verso una teologia di fondo secondo la quale le azioni non sono
fondamentali per ottenere la Salvezza, incitando i credenti verso un sempre più
accentuato distacco dall’autorità costituita e creando forme di ribellione nei
confronti della Chiesa di Roma, che si manifesteranno in maniera anche violenta
in Germania, quando si chiederanno contributi in denaro per la costruzione
della nuova basilica di San Pietro in cambio di indulgenze.Uno dei principali
temi affrontati durante il concilio è il culto dei santi, figure alle quali non
si riconosce alcun ruolo particolare da parte dei Protestanti, in virtù del
rapporto diretto fra fedele e Dio; anzi il culto è definito «la più grossolana
superstizione e il ritorno al feticismo pagano». Con il decreto XXV il Santo
Concilio ordina ai vescovi e al clero che – secondo l’insegnamento dei Padri e in
linea con la tradizione della Chiesa di Roma –istruiscano i fedeli circa
l’intercessione dei Santi, la loro invocazione e l’onore da tributare alle
reliquie. L’autorità ecclesiastica romana indica non solo come legittima la
venerazione martiriale, ma anche meritoria, incoraggiando i vescovi delle singole
diocesi a riscoprire le tombe degli eroi della Fede per indicarle come modelli.
Un riflesso immediato e consistente si ha nella nascita di una
cospicua letteratura agiografica:Jean
Bolland (1596-1665) inizia la pubblicazione degli Acta sanctorum;
Cesare Baronio compila i suoi Annales, con riferimento a monumenti ed immagini:
i primi testimonianza della grandezza della prima Roma cristiana; le
seconde prove contro i Protestanti dell’uso delle immagini presso le antiche
comunità e utilizzate con effetti didascalici per trasmettere concetti
religiosi; inoltre,riordina il martirologio, arricchendolo di nuovi santi. Anche
in Sardegna una nuova sensibilità devozionale si sviluppa all’indomani del
Concilio di Trento, a cui la Chiesa locale aveva partecipato attivamente,
inviando otto vescovi e alcuni teologi, sebbene il protestantesimo registrasse
ben pochi seguaci. Il clima è comunque assai propizio nell’isola, posta sotto
il dominio della cattolica Corona di Spagna, con conseguenze che causano una
svolta non solo alla vita più propriamente religiosa: Filippo II nel 1564
ordina che in tutto il territorio dell’impero siano applicati i decreti del
Concilio, ma «salvi i diritti della Corona», tanto che gli interventi del
Tribunale dell’Inquisizione sembrano motivati maggiormente da ragioni
politiche. Il Fara, in Chorographia Sardiniae, ricorda la presenza nell’isola
di Inquisitori generali «che perseguono –secondo sanzioni canoniche, usi e
istruzioni della Spagna, di cui riconoscono come superiore l’Inquisitore
supremo – gli eretici, gli apostati e chiunque pratichi la stregoneria:
grazie alla loro vigilanza, saggezza e giustizia in Sardegna la fede
cattolica si conserva pura ed inviolata per cui l’isola è immune da
qualsivoglia eresia». Ben nota è la vicenda di Sigismondo Arquer, nato a
Cagliari,che, accusato di luteranesimo, nel 1571 viene giustiziato dal Tribunale a Toledo. Forte è il
potere del clero e la sua influenza sulla vita religiosa, ma anche politica. Le
devozioni sono un atto di fede cattolica in opposizione al protestantesimo, la
Chiesa introduce nuovi culti ed espressioni liturgiche, i pellegrinaggi ai
santuari si moltiplicano. È in questo periodo che si manifesta la rivalità fra
Cagliari e Sassari, nata inizialmente per ragioni politiche, quando i
sassaresi contestano a Cagliari i privilegi in materia fiscale accordati dal
sovrano spagnolo nel 1553. Lo screzio
fra le due città si estende poi alla sfera religiosa, soprattutto in relazione
alla polemica per il ruolo di Primate di Sardegna e Corsica, che entrambe
iniziano a rivendicare dal 1574, inserendosi nella cd. «questione religiosa» che investe nel Cinquecento tutto l’occidente.
Tra le motivazioni figurano la maggiore antichità della sede episcopale e
il più cospicuo numero di martiri. L’inevitabile conseguenza delle decisioni
assunte in sede conciliare, che assumono un valore normativo, costituisce
l’inizio di un processo di ricerca delle origini per poter ostentare un blasone
cittadino più antico e illustre possibile, avviando una sorta di rinascimento,
che in Sardegna si manifesta con contorni abbastanza chiari attraverso la letteratura
circolante nella medesima epoca.
LA RICERCA DEI «CUERPOS SANTOS»
Ad
una ricerca che si svolge in primo luogo nel campo letterario e della
tradizione scritta storica ed ecclesiastica, indirizzata alla conoscenza delle
vicende degli antichi martiri e alla ricostruzione delle cronotassi episcopali
delle rispettive città, si aggiungono ben presto lo studio dei monumenti e lo
scavo «archeologico», che a Roma porta all’eclatante riscoperta delle
catacombe, ma che anche in altre città si manifesta in maniera invasiva, al
fine di recuperare le antiche origini. In Sardegna è ben documentata la ricerca
dei «cuerpos santos», nel tentativo di garantire alla propria sede il maggior
numero di martiri. Il primo intervento sul campo sembra essere conseguente alla
scoperta casuale a Cagliari, nel 1585, di due sepolture nella chiesa di San
Bardilio, che la tradizione, ancora nota nel Settecento, riteneva con San
Saturnino la più antica della città. Nel1580 l’edificio, situato nel suburbio
orientale, dove oggi è l’entrata al cimitero monumentale di Bonaria, costruito
nella seconda metà dell’Ottocento, distruggendolo, in origine forse denominato Sancta Maria de Portu gruttis,
era ormai passato ai Padri Trinitari, con l’intitolazione alla Trinità. Si
interessa agli scavi l’arcivescovo Francesco Del Vall (1587-1595). È soprattutto l’arcivescovo Francisco Desquivel (1605-1624), che, nell’ambito di un
programma di riorganizzazione della diocesi e del clero e di ristabilimento
della disciplina ecclesiale, in piena sintonia con le indicazioni del Concilio
di Trento, «volle usare la pietà popolare, specie il culto dei santi e delle
loro reliquie, per riportare le anime a Dio».
L’incremento del culto dei santi è uno degli aspetti fondamentali della sua
missione, in armonia con il clima post-tridentino vissuto anche dalla Chiesa
sarda, che di tali figure venerate aveva fatto uno strumento per attirare i
fedeli, evitando la dispersione in seguito alla circolazione delle nuove
teorie. Il Desquivel, facendo dunque del culto dei santi un punto di forza
della sua azione pastorale, indirizza la sua attività in diverse direzioni, che
interessano tutto il territorio diocesano, tra le quali è utile ai fini di
questo discorso la particolare attenzione rivolta ai santi recenti e ai
monumenti. Infatti, sostiene l’impianto di nuove strutture, tra cui numerose
chiesette campestri che, in quanto sede spesso di feste e cerimonie popolari, favoriscono
la catechesi e la crescita spirituale dei fedeli; abbellisce gli edifici
esistenti, che ricostruisce sostituendo le lineari forme romaniche con la nuova
architettura rinascimentale, d’ispirazione soprattutto spagnola; dedica
cappelle in chiese già esistenti a vecchi e nuovi santi; infine, muovendo dai
dettami del Concilio di Trento e soprattutto dall’insegnamento secondo il quale
per mezzo dei santi Dio concede agli uomini molte grazie, si impegna a
ricercare le reliquie e a promuoverne la venerazione da parte dei suoi contemporanei.
Negli stessi anni viene avviata la ricerca delle reliquie anche nell’area
sassarese. Le indagini si svolgono nella basilica di Porto Torres, dedicata ai Santi
Gavino, Proto e Ianuario, ritenuti fra i più antichi martiri dell’isola.
Edificata in età giudicale, rimane un centro di pellegrinaggio anche quando la
sede del potere politico viene trasferita ad Ardara e nei secoli successivi,
allorché la fondazione di Sassari sposta il baricentro politico dell’area verso
la nuova città. Nel 1614 l’arcivescovo Gavino Manca de Cedrelles dà il via ad
una sistematica «caccia alle reliquie», ordinando di scavare nella suddetta
basilica turritana per ritrovare i resti dei martiri ivi venerati, dove la
tradizione riferiva essere state traslati dall’originario sepolcro a Balaida
parte di Comita, giudice di Torres, nell’XI secolo. Il ritrovamento dei residui
di scheletri umani, avvenuto scavando davanti all’altre maggiore, suscitò
emozione e causò la costruzione di un oratorio sotterraneo. L’anno seguente
egli fornisce al re di Spagna Filippo III una relazione corredata da un opuscolo
stampato a Madrid, sottolineando come la città vanti una maggiore
antichità rispetto agli altri centri dell’isola. Dopo i primi episodi sporadici
e in risposta alle scoperte sassaresi, è il gesuita Hortelàn a rinvigorire
l’impulso alle ricerche cagliaritane dei
cuerpos sanctos, quando l’8 settembre 1614 ritrova a San Saturnino
(considerato il più antico santuario cagliaritano, sorto in epoca
costantininana sulla tomba del martire Saturno o Saturnino, ucciso nella
persecuzione di Diocleziano, ma nel Seicento isolato nel suburbio
cagliaritano e in stato rovinoso), le reliquie di una Santa Olimpia,
assolutamente ignota dalle fonti. Alla fine dello stesso anno iniziano gli
scavi sistematici, a cura dell’arcivescovo Desquivel. Dopo i primi abbondanti
rinvenimenti, l’indagine viene estesa all’area circostante dove – accogliendo
la tradizione – si riteneva fosse stato sepolto Lucifero, il vescovo
impegnato nella lotta antiariana nel IV
secolo, deposto prope ecclesiam calaritanam, indicazione
topografica che si è sempre riferita alla chiesa più importante, cioè la già ricordata
San Saturnino, non essendo noto per i tempi altro edificio. Gli scavi
restituiscono tre mausolei, ritenuti chiese sotterranee, nei quali si crede di
aver ritrovato le sepolture dei Santi Lussorio, Cesello e Camerino e
soprattutto di San Lucifero, scoperte che creano grande scalpore per l’epoca,
tanto da essere solennizzate con fastose cerimonie alla presenza delle più alte
cariche civili e religiose del regno e della città. Sull’area fra il 1646 e il
1682 viene edificata la chiesa di San Lucifero, ancora oggi
esistente. Altre ricerche vengono intraprese a Santa Restituta, nel quartiere
di Stampace, già nel 1607, quando si ripristina la frequentazione della cripta (che
versava in stato di abbandono e si presentava ricolma di rifiuti), legata alla
tradizione dell’esistenza nello stesso sito della casa e della sepoltura di
Santa Restituta (ritenuta la madre di Eusebio, vescovo di Vercelli, ma sardo di origine). Il
14 dicembre 1614, anche in seguito alle
rivelazioni dell’Hortelàn, e il 26 dello stesso mese avviene l’invención
delle reliquie in un loculo a pozzetto sotto all’altare maggiore. Ulteriori
ricerche vengono condotte nel vicino Carcere di Sant’Efisio, dove non si
cercano le reliquie del martire, traslate a Pisa nel 1088 dal santuario di
Nora, bensì i resti di qualche altro santo, in modo da poter consacrare anche
questo luogo. Il 6 marzo 1616 si trova una sepoltura con lo scheletro di un uomo
adulto. Un tale che aveva partecipato ai lavori disse di aver trafugato
un’epigrafe di un sanctus Editius,
morto a 29 anni, finita fra le terre. Effettuata una ricognizione nel 1997, si
è visto che si tratta di un apografo seicentesco, come già detto dal Mommsen.
Vi è anche una colonna di marmo grigio coperta di macchie rosse,
certamente ruggine, ma allora ritenute sangue, attribuito secondo la prassi
dell’epoca ad un martire, che si suppose incatenato ad essa per la
flagellazione. Il rinvenimento di una quantità assai ingente di presunti
martiri cagliaritani porta all’allestimento di una Cripta sotto al presbiterio
della Cattedrale per accogliere il cd. «Santuario dei Martiri». Scavata nella
roccia, accessibile da due scale, intitolata alla Madonna Regina dei Martiri, è
consacrata con una processione nel 1618,
alla presenza di autorità, gremi, confraternite, ordini religiosi,quando
avviene la solenne traslazione delle reliquie. In seguito viene arricchita e
nel 1626 completata con altre due cappelle (dedicate rispettivamente a San
Saturnino e a San Lucifero). Ornata da preziosi marmi intarsiati, accoglie in
tutto 179 nicchiette in cui sono custoditi i caratteristici cofanetti rivestiti
di velluto cremisi contenenti le reliquie dei martiri recuperate dagli scavi
condotti a San Saturno e a San Lucifero, chiuse da formelle maiolicate, ognuna
contrassegnata dal nome e dalla figura dell’individuo, accompagnata dai caratteristici
simboli del martirio. Nel 1621 vi vengono portate
anche le reliquie di San Saturnino, che si riteneva fossero ancora conservate
in un sarcofago rinvenuto in una cappella a destra del presbiterio di San
Saturnino. L’individuazione era stata giustificata dal nome riportato su
un’iscrizione eseguita in caratteri gotici, che non è relativa evidentemente
alla sepoltura originaria, ma che risulta apposta in occasione di una
successiva sistemazione, effettuata nel corso di lavori nella chiesa verosimilmente
durante il medioevo, come indicherebbero anche le epigrafi relative ad altri
martiri. Nel 1623, analogamente, sono
traslate nella cripta della cattedrale anche le reliquie di San Lucifero,
riportate in luce nella cd. III chiesa sotterranea ed indentificate – come di
consueto – grazie ad un’iscrizione che menziona il santo come arcivescovo cagliaritano
primarius della Sardegna e della Corsica, una titolatura che è sospetta di
essere una falso seicentesco, ben inquadrabile nel pieno clima della polemica
fra le due città sarde. Secondo il racconto degli scopritori, sulle ossa era un
frammento marmoreo con S LUCFER
EPP, ma non vi sono prove dell’autenticità
di tali testimonianze. Altre ricerche vengono effettuate a Sulcis, dove nel
1611 l’arcivescovo Desquivel aveva fatto riaprire la chiesa di Santa Rosa,
ritenuta la madre di Sant’Antioco. Nel 1615 sotto all’altare nella cripta a sei
colonne, che si apre all’entrata della catacomba su cui
è costruita la chiesa, si rinvengono delle reliquie ritenute del
santo. Ad Iglesias resti di inumati sono recuperati presso San Salvatore. Anche
in luoghi minori della Sardegna si conducono» scavi archeologici» e tornano in
luce reliquie di presunti martiri: ad esempio, a Gergei, a San Sperate,
ad Aritzo, a Decimomannu. In tre sinodi tenuti a Cagliari, rispettivamente nel
1628, 1651e 1695, si ribadisce l’importanza per il cristiano dell’invocazione
dei santi e della venerazione delle reliquie, prevedendo severe sanzioni nei
confronti dei contravventori. Il culto dei santi continua ad essere utilizzato
come strumento per il recupero dei valori compromessi dalla Riforma Protestante,
incentivando la preghiera collettiva, i pellegrinaggi e le molteplici forme di
devozione popolare anche di nuova creazione (processioni, novenari, feste
campestri), con l’allestimento di apposite strutture di accoglienza, come le
«cum bessias» e i «muristenes», che costituiscono un’innovazione
caratteristica dell’epoca, complessi costituiti da case basse e a schiera,
dotate di logge e di uno spazio aperto (un cortile campestre), ruotanti attorno
al santuario. Il recupero dei «cuerpos santos» porta alla formazione di un pantheon
molto vasto e assolutamente privo di autenticità dal punto di vista storico,
con la conseguente creazione di un mercato di reliquie, che genera la
venerazione anche fuori dell’isola di figure ritenute antichi martiri e santi della
Chiesa sarda, ma che tali non sono. La proliferazione di martiri e santi – i
cd. sancti innumerabiles, che non trovano riscontro nei martirologi
ufficiali – genera anche una grande quantità di falsi epigrafici. Da un lato
vengono ritenute iscrizioni martiriali numerose lastre, sulla base di un’errata
procedura di lettura, laddove l’hedera di- stinguens, semplice segno
d’interpunzione, viene interpretata come un cuore trafitto, o le lettere BM
come abbreviazione di beatus martyr, invece che di bene
merenti o bonae memoriae. Dall’altro, invece, alcune epigrafi vengono
realizzate ad hoc nel Seicento. Si registra poi la fioritura di una nuova e più
ricca, quanto fantasiosa, letteratura «agiografica», sottoposta ad una severa
revisione critica già dai contemporanei, contribuendo a formare una religiosità
popolare infarcita di superstizione, contro la quale il Tribunale
dell’Inquisizione interviene spesso. Infine, notevole è l’impulso edilizio, che
si manifesta con la costruzione di nuovi santuari, il potenziamento di quelli
già esistenti, il ripristino spesso con diversa destinazione cultuale di
edifici di culto abbandonati, mediante l’allestimento ad esempio delle già
ricordate «cumbessias», strutture per alloggiare dei pellegrini durante il periodo
delle celebrazioni, che si vengono a sovrapporre spesso a villaggi antichi
abbandonati da tempo. Un aspetto peculiare dell’epoca è costituito dalla
nascita di confraternite e gremi, cui si deve un ulteriore incremento della
religiosità popolare. I suoi membri sono sottoposti alla protezione di un santo/patrono,
al quale devono obbligatoriamente atti di culto, che si espletano però spesso
attraverso forme spettacolari, in cui sempre più evidente è la
penetrazione della religiosità spagnola, coinvolgendo anche coloro che non ne
facevano parte. Si cerca, dunque, di catalizzare la devozione popolare con ogni
mezzo verso vecchi e nuovi santuari, secondo modalità vecchie e nuove, in piena
sintonia con il clima post-tridentino. La proliferazione dei culti, dei
santuari e delle forme di venerazione arricchisce anche la produzione
artiganale di piccoli souvenir, legati ai pellegrinaggi e alle cerimonie e
causa anche l’introduzione di nuovi manufatti legati alla devozione popolare.
Le sepolture, risalenti all’età moderna sempre più restituiscono grani di
rosari (fig.2) e medagliette da rosario o da appendere al collo (fig.3),
spesso rinvenuti in numero elevato e associati fra loro, grazie alle
indagini archeologiche che in tempi molto recenti hanno interessato siti
post-medievali. Ad esempio a Sassari, nelle sepolture sotto al Duomo; ad
Alghero, a Santa Chiara, nella sepoltura forse di una monaca (medaglietta di San
Pietro di Alcantara, 1669); a Posada, nella necropoli di Parte ‘e Sole; a Galtellì,
San Pietro, ad Ottana; a Bolotana, San Bacchisio; ad Usellus; a Cagliari, in
Vico III Lanusei e a Sant’Eulalia. Le medagliette recano di solito su una o entrambe
le facce immagini sacre, accompagnate da iscrizioni, che ne chiariscono il
significato. Prevalgono raffigurazioni che hanno come protagonisti Cristo
e la Vergine, ma non mancano altri santi,anche locali, a
testimonianza di una forte devozione popolare talvolta di tipo regionale.
CONCLUSIONI
Il
panorama tracciato, anche se solo nelle linee essenziali, evidenzia le ragioni
per cui si è ritenuto opportuno riprendere il problema, nell’intento di dare
una sistemazione a questa moltitudine di culti oggi noti nell’isola, per i
quali è d’obbligo una rigida selezione. Pertanto si è pensato all’elaborazione
di un nuovo dizionario dei martiri/santi venerati nell’isola dalle origini alla
fine del medioevo, che tenga conto di quanto detto sopra,
che basi l’individuazione sull’attendibilità delle fonti, sulla
menzione in testi sicuri (quali ad esempio i condaghi) e non sulla devozione
popolare. A tale scopo si sta elaborando un lemmario,che attualmente consta di
oltre 200 antroponimi, alcuni presenti nell’agiotoponomastica locale invarianti
dialettali, assunte nel tempo, ma comunque inerenti a luoghi di culto
ascrivibili all’età medievale. In generale, al momento sembra di individuare nel
rapporto fra territorio e luoghi venerati relativamente all’epoca in esame
frequenti motivazioni di ordine non strettamente religioso e dunque di cogliere
nella dislocazione geografica di tali luoghi diverse linee interessanti per la
storia insediativa dell’isola nel periodo medievale. Il progetto prevede quindi
che la redazione di tale dizionario, in cui siano accolti solo i santi il cui culto
è attestato in epoca medievale sulla base di testi scritti affidabili o di
testimonanze monumentali, sia in realtà uno strumento funzionale ad una
rilettura in chiave storico-archeologica del territorio sardo, delle forme
d’insediamento e delle ragioni dell’evoluzione e dello sviluppo cronologico e
geografico,attraverso la diffusione dei culti, uno dei fenomeni che
caratterizza la storia e la vita del medioevo.
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