Chenāqchī-ye 'Olya: un codice urbano immutato da
diecimila anni
di Franco Sarbia
Chenaqchi-ye Olya è un
villaggio Armeno situato in Iran su un altipiano tra le montagne del Markazi
alla quota di 2389 m slm, nei pressi di una sorgente, ai piedi del monte Kūh-e
Chenāqchī di 2883 m. È interamente edificato in mattoni crudi, e muri esterni
intonacati d'argilla impastata con paglia di cereali e sterco di mucca. Il
nucleo più antico non ha strade, attraverso le rampe d'accesso ai tetti piani
ricoperti d'argilla gli animali sono ricoverati nei cortili e nelle stalle, le
persone scendono alle case con piccole scale di legno.
Il villaggio condivide
queste caratteristiche costruttive, e molte altre, con Çatalhöyük: in assoluto
uno dei primi insediamenti protourbani neolitici al mondo, popolato dal decimo
all'ottavo millennio BP (Before Present: prima del presente), situato a
1533 chilometri di distanza a Ovest, nelle vicinanze del fiume Carsamba sul
fertile altipiano di Konia antistante il Tauro a 1008 m slm. Non risulta che
qualcuno, finora, abbia rilevato la speciale natura di Chenaqchi-ye Olya: un
organismo il cui codice generatore è giunto fino a noi immutato da 10.000 anni
come un fossile vivente.
A differenza di Çatalhöyük,
incendiato e abbandonato nel 7830 BP, eventuali tracce del nucleo originario di
questo borgo potrebbero essere state assimilate dal processo ininterrotto di
edificazione, manutenzione, restauro e ristrutturazione nel corso dei secoli. E
tuttavia le peculiarità strutturali dell’ambiente naturale accoppiato al
villaggio ne lasciano supporre una millenaria sostenibilità. Il rilievo sul
quale si trova è confinato da uno strapiombo di roccia ed è difendibile
su un solo fronte. Poiché sufficientemente lontano dalla parete della montagna,
e per la sua posizione sopraelevata, è al riparo sia da frane e valanghe,
sia da esondazioni. Dalla sorgente il rivo scorre alla base del poggio, prima
di precipitare, con la cascata Charagan, in un laghetto ai piedi del dirupo. La
neve copiosa d’inverno, in primavera lascia il posto ad abbondante foraggio,
poi permane a chiazze fino a giugno e alimenta le sorgenti per tutto l’anno. A
dispetto dell’altitudine, sull'altipiano sovrastante il villaggio, i
cereali giungono a maturazione, mentre a ridosso del paese, nel bacino di
afflusso alla cascata, verdeggiano latifoglie e varietà di alberi da frutta,
specialmente di noci. A valle i canali derivati dalla pozza sottostante
irrigano gli orti del lieve pendio che da questa si apre.
La pastorizia di bovini
oggi prevale in Chenāqchī-ye ‘Olyā come fu in Çatalhöyük, precocemente, alcuni
millenni prima che si diffondesse verso meridione lungo la valle dell’Eufrate.
Sebbene le capre s’adattino perfettamente al clima montano, l’abbondanza di
prateria erbosa degli alti pascoli e la scarsità di piante arbustive favorisce
assai più il pascolo dei
bovini. L’allevamento delle mucche si integra specialmente con l’agricoltura di montagna: non reca danni agli alberi da frutta e produce ottimo concime composto da sterco, foglie e paglia del letto. I buoi sono insostituibili per l’aratura del duro suolo d’altura e per il tiro di slitte o carri su strade scoscese.
bovini. L’allevamento delle mucche si integra specialmente con l’agricoltura di montagna: non reca danni agli alberi da frutta e produce ottimo concime composto da sterco, foglie e paglia del letto. I buoi sono insostituibili per l’aratura del duro suolo d’altura e per il tiro di slitte o carri su strade scoscese.
Quando la neve alta impedisce
il pascolo, i bovini richiedono un ricovero caldo e asciutto. E i coloni li
accompagnano dalle rampe sui tetti piani del villaggio fino ai cortili
d’accesso alle stalle. Le coperture ne reggono perfettamente il peso perché
sorrette da una potente travatura, talmente fitta di tronchi ravvicinati da
apparire sovradimensionata, vista dall'interno delle case. I solai sono
concepiti in modo da sostenere oltre al passaggio degli animali anche il massimo
gravame raggiungibile dalla neve. La copertura d’argilla fine e compressa,
incrostata dal sole ha una forte capacità impermeabilizzante. Anche quando la
manutenzione scarseggia non vi crescono erbacce neppure in primavera, tanto è
compatta. I tetti sono piani: in modo che il manto nevoso sciogliendosi non
crei rigagnoli e il lastrone di ghiaccio che si forma durante la notte alla sua
base non scorra verso i bordi erodendo la superficie. Se a quella altitudine
d’inverno, su montagne dove abbondano le precipitazioni nevose più che la
pioggia, su quel poggio esposto al vento, vi fossero strade sarebbero
immediatamente rese impraticabili dalla neve ventata. E sarebbe fatica improba
mantenerle sgombre. Così invece l’abbondante manto nevoso permane a lungo alto
sui tetti piatti, protraendo la sua azione termoisolante per tutta la stagione
fredda. Mentre la limitazione delle superfici esterne al muro periferico e
alle coperture minimizza la dissipazione di calore. Né la bufera può
arrecar danni alle case così protette sotto la spessa coltre.
La struttura del villaggio,
dimensionata per trarre vantaggio dalle rigide condizioni climatiche, è
altrettanto appropriata per contenere i danni dei movimenti sismici, grazie
all'altezza limitata delle case, alla fitta griglia di pareti di mattoni crudi,
dal lato esterno ispessito e impermeabilizzato con intonaco multicomponente,
alle robuste travature estese senza soluzione di continuità per l’intera area
coperta.
D’estate la configurazione
piana delle coperture e gli usci a scendere permettono di utilizzare il regime
di brezza per la termoregolazione. Al tramonto la fresca corrente di montagna
scende nelle case attraverso le aperture, mentre il sole più caldo del
mezzogiorno sui tetti pompa aria calda verso l’alto e aspira il fresco flusso
discendente verso il fondovalle attraverso le camere interrate. La compattezza
dell’insediamento e la quasi totale assenza di aperture lungo il perimetro
esterno lo rendono anche relativamente protetto dai razziatori e dai lupi, ma
le ragioni della configurazione compatta del villaggio, come s’è visto, non
sembrano principalmente difensive, al contrario di quanto s’era finora
immaginato per Çatalhöyük.
La quota di quest’ultimo
era inferiore al quella di Chenāqchī-ye ‘Olyā, e tuttavia durante il suo lungo
ciclo di vita tra il XII e l'VIII millennio BP, la mezzaluna fertile era caratterizzata
da condizioni climatiche diverse dalle attuali, con abbondanti precipitazioni
che sul Tauro oltre i mille metri erano principalmente nevose. Successivamente,
fino al VI millennio BP si sono andate progressivamente riducendo,
compromettendo la produttività dell’agricoltura di montagna, su terreni non
alluvionali.
Le caratteristiche strutturali
ed urbanistiche giunte fino a noi dalla notte dei tempi attraverso Chenāqchī-ye
‘Olyā sono certamente il prodotto evolutivo dei primi insediamenti umani al
termine della glaciazione di Wurm: quando in aree montane caratterizzate dal
ritiro stagionale dei ghiacciai, alle latitudini nord fra i 35° i 38° dei due
paesi a confronto, l’abbondante foraggio alimentava una sovrappopolazione di
grandi erbivori. Le civiltà millenarie che si sono incontrate e avvicendate
sullo stesso allineamento, sono testimoniate fin dal XIV millennio BP dal
tempio megalitico di Göbekli Tepe, a circa 1000 km da Chenāqchī-ye ‘Olyā, dai
siti abitati da piccole comunità della “produzione incipiente”, all’origine
delle prime pratiche agricole e di allevamento, quali Shanidar e Zawi Chemi,
poi sempre più a levante Tell Shemshara e Kamir Shahir, rispettivamente a 400
km a 200 km dal nostro villaggio. Da qui dopo un’incubazione di alcuni millenni
prese avvio la rivoluzione agricola all’origine della nostra era.
La supposta remota genesi di
Chenāqchī-ye ‘Olyā (چناقچي عليا) sembra trovare conferma nelle basi
Assiro-Accadiche dell’etimologia del nome. Diverse parole assonanti possono
aver contribuito a definire l’attuale denominazione. Per Chenāqchī si può fare
riferimento a: Qanājû, Qanû, appezzamento di terreno; Qanānu: fare un nido,
annidare, insediare una fattoria con terreni agricoli, una casa colonica,
appezzamento di terreno con casa affidato ai coloni; Kanāku, sigillo sigillare,
chiudere una casa, una porta; Ganānu, confinare una persona; Qannu, confine,
intorno, esterno di una regione, periferia. Mentre per Olyā è indiscutibile le
derivazione dall’accadico elīu: superiore, parte superiore, pinnacolo, cima,
più alto. Immaginando i possibili incroci tra le basi di senso complementare,
il significato sintetico originario di Chenāqchī-ye risulta essere
semplicemente “Borgo protetto di montagna” superiore, di confine.
Note:
Le coordinate geografiche
sono: 35°22'40.00"N; 49°39'39.00"E
Per la datazione ho scelto la modalità BP, Before Present, perché rispettosa dei diversi calendari adottati dalle culture presenti nell'area.
Per la datazione ho scelto la modalità BP, Before Present, perché rispettosa dei diversi calendari adottati dalle culture presenti nell'area.
Le immagini, dall'alto in
basso, rappresentano:
1) Ricostruzione d'interno e
struttura dei solai a Çatalhöyük;
2) divinità taurine a Çatalhöyük;
Per la datazione ho scelto la
modalità BP, Before Present, perché rispettosa dei diversi calendari adottati
dalle culture presenti nell'area.
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