Santu Antine e Sant'Andrea Priu, magica Sardegna.
di Pierluigi Montalbano
E' in programma un'escursione nel Nord Sardegna con visite guidate a Terralba e Bonorva. Nell'attesa...vi offro un'anteprima di questi due incantevoli luoghi dell'archeologia sarda.
Nuraghe Santu Antine
In
Sardegna, nella regione storica del Meilogu, c’è un altopiano denominato la
Valle dei Nuraghi costellato di torri nuragiche. Il Santu Antine è il più
maestoso fra questi edifici del Bronzo. Per raggiungerlo occorre percorrere la
SS 131 e uscire al bivio per Torralba, al km 173. Il nome del nuraghe deriva da
Costantino, l'imperatore romano che favorì il cristianesimo nell’impero. La
gente del luogo ricorda questo nuraghe con il nome Sa Domu de su Re (la casa
del re). Intorno al complesso ci sono i resti del villaggio di capanne del
bronzo e strutture di case di epoca romana.
Fu fra le prime costruzioni preistoriche ad attirare l'attenzione degli studiosi, fin dal Settecento. Un primo disegno del nuraghe fu eseguito nel 1774 da Francesco Cetti, e la prima fotografia risale al 1901, a cura di Giovanni Pinza.
Fu fra le prime costruzioni preistoriche ad attirare l'attenzione degli studiosi, fin dal Settecento. Un primo disegno del nuraghe fu eseguito nel 1774 da Francesco Cetti, e la prima fotografia risale al 1901, a cura di Giovanni Pinza.
La
pianta triangolare arrotondata della
struttura è costituita da un mastio centrale e tre torri disposte ai lati,
unite da poderose mura. Davanti alla torre centrale c’è il cortile, chiuso dal muro che
congiunge le due torri laterali. L'entrata è a sud, dove le mura sono più
spesse per consentire la realizzazione di una camera sul lato del breve
corridoio che si apre sul cortile interno. Nel cortile si nota un grande pozzo coperto
e una serie di ingressi disposti simmetricamente a destra e a sinistra. La torre centrale a tre piani è
databile alla fine del XVI a.C., e oggi residua per un’altezza di quasi 18
metri. Nel lato sinistro del corridoio che porta al mastio c’è la scala che conduce ai piani superiori. Il soffitto a
tholos della camera centrale raggiunge gli 8 metri e il vano si presenta ampio grazie
soprattutto a un corridoio ad anello, munito di piccolo pozzo, che presenta una
serie di ingressi che si affacciano proprio verso la camera centrale.
La scala gira a 360° intorno al
mastio e nel secondo piano, sulla sinistra, c’è una finestra che si affaccia sul
cortile, mentre alla destra c’è l’ingresso alla seconda camera, anche questa
con il soffitto a tholos e dotata
di una serie di pietre squadrate per sedersi, allineate nel perimetro interno
come quelli osservabili nelle capanne delle riunioni del Primo Ferro presenti
in vari siti dell’isola. La scala interna prosegue per il terzo piano,
visibilmente rovinato, che offre un bel panorama sulla valle circostante e sui
resti delle capanne adiacenti al complesso.
Dal
cortile si può accedere ai bastioni attraverso sei entrate, tutte con sezione
differente. Dai bastioni non si può
accedere al mastio e ciò suggerisce che la costruzione dei bastioni è
posteriore a quella della torre centrale.
Dalle
due torri laterali si accede a lunghi
corridoi nei quali si può entrare anche attraverso piccoli corridoi
trasversali che iniziano dal cortile. Sul lato esterno dei corridoi si notano
finestrelle che consentono alla luce e all’aria di penetrare negli ambienti. Nella torre settentrionale, anch'essa scoperta, si trova un terzo pozzo con
apertura sotto il piano di calpestio e coperta da lastre di pietra. L'insieme
di corridoi dell’edificio potrebbe essere assimilato a un labirinto e tutto il
primo piano si trova oggi all'aperto, suggerendo ai visitatori una similitudine
con i grandi castelli medievali.
Le
prime capanne circolari del villaggio addossato alle mura sono del XII a.C.
Realizzate similmente alle pinnettas ancora oggi visibili nel panorama rurale
sardo, sono affiancate da successive capanne rettangolari di epoca romana, infatti
nelle immediate vicinanze del nuraghe c’era il percorso romano che collegava il
sud e il nord dell’isola, testimonianza di una lunga frequentazione da parte di
mercanti, pellegrini e, certamente, anche truppe.
Domus De Janas Sant’Andrea
Priu, Bonorva
Realizzata dai sardi preistorici nei pressi di Bonorva, nella
piana di S. Lucia, è costituita da una ventina di tombe sotterranee scavate nel
neolitico lungo il ripido costone di trachite. Le domus de janas erano
utilizzate per onorare i sepolti già 5000 anni fa ma la parola (casa delle
fate) è recente, quando si era ormai persa memoria della funzione originaria e nella
tradizione popolare si credeva fossero abitate da streghe, fate e gnomi. Alcune
di queste grotticelle erano frequentate dai contadini, che le usavano come
ovili o depositi di attrezzi, ma si racconta che alcuni di loro avevano paura ad
entrarvi.
Una delle più famose è la Tomba del Capo, un ipogeo labirintico
formato da 18 vani, di cui 3 molto grandi disposti lungo lo stesso asse e gli
altri 15 sistemati attorno ai tre principali.
L’interno di questi luoghi ha l’aspetto delle abitazioni
preistoriche: architravi, stipiti, pilastri di sostegno e altri elementi
realizzati forse perché si credeva che il defunto potesse risorgere. La
comunità preparava, in sostanza, un luogo simile alle capanne in cui aveva
trascorso l’esistenza. Ciò è suggerito anche dal corredo funerario, formato da
utensili e oggetti di vita quotidiana posti vicini al defunto.
Gli scheletri erano disposti in posizione fetale, verosimilmente
perché potessero rinascere direttamente dal grembo della Madre Terra. Le grotticelle
erano ricoperte internamente di ocra rossa, il colore del sangue e simbolo
della fuoriuscita dal grembo materno alla nascita.
All’ingresso si notano vari solchi rotondi, le coppelle votive nelle quali sidepositavano le offerte per i defunti: olio, grano, fiori e altri elementi.
All’ingresso si notano vari solchi rotondi, le coppelle votive nelle quali sidepositavano le offerte per i defunti: olio, grano, fiori e altri elementi.
Nel 535 d.C. il sito fu utilizzato come Chiesa Bizantina, come
testimoniano le tombe scavate nella roccia con cuscino simbolico. Nel 1313 fu
intitolata a S.Andrea dal Vescovo di Sorres, Guantino di Fanfara. Fu intonacata
di bianco, affrescata e i pilastri interni furono levigati e trasformati in
colonne. Le nicchie dei sepolcri furono chiuse, e conservati solo i tre vani
principali: nartece per i catecumeni, aula per i fedeli battezzati e
presbiterio per i sacerdoti.
Sopra l’altare c’è un’apertura rotonda, un pozzo di luce che lasciava
penetrare la luce del sole e illuminava il sacerdote, differentemente dai
fedeli che restavano al buio.
Anche la pioggia era sacralizzata: proveniva dal cielo e, toccando l’altare defluiva in due canali che finivano in un pozzetto utilizzato come fonte battesimale. Nel sito troviamo vari affreschi: un Cristo pantocratore nella mandorla con i quattro evangelisti ai lati, i 12 apostoli alla destra e la sua infanzia alla sinistra.
In cima c’è una statua del dio toro al quale i cristiani hanno tagliato la testa.
Anche la pioggia era sacralizzata: proveniva dal cielo e, toccando l’altare defluiva in due canali che finivano in un pozzetto utilizzato come fonte battesimale. Nel sito troviamo vari affreschi: un Cristo pantocratore nella mandorla con i quattro evangelisti ai lati, i 12 apostoli alla destra e la sua infanzia alla sinistra.
In cima c’è una statua del dio toro al quale i cristiani hanno tagliato la testa.
Nessun commento:
Posta un commento