Lo scandaloso stato di abbandono del Museo Archeologico di Cagliari
di Fabristol
Quando
uno dei relatori di una recente conferenza sui giganti di Mont’e Prama a
Cagliari (sui giganti ne parlerò più estensivamente nei prossimi giorni) ha
raccontato di un episodio in cui un non sardo si meravigliava dell’esistenza
della cultura nuragica la platea ha mugugnato in segno di indignazione. Quante
volte ho visto l’indignazione sul viso del sardo che con quella smorfia
bacchetta il resto del mondo per l’ignoranza sul periodo nuragico. Come può la
gente non sapere dell’isola delle 7000 torri di pietra? Come può la
storiografia far finta che qui in questa terra in mezzo al Mediterraneo un
popolo “fiero e combattivo” viveva e costruiva una civiltà ben 700 anni prima
della fondazione di Roma? Un complotto ordito dal continente, evidentemente.
Forse io in quella platea sono stato l’unico a non essermi sorpreso. Al
contrario tra me e me mi chiedevo come una persona che viene fuori dalla
Sardegna (e non sa neppure che esista nelle cartine geografiche) possa sapere
della civiltà nuragica. Come si può infatti pretendere che un “continentale”
sappia cose che neppure il sardo conosce? Nessuno in quella sala (a parte
l’archeologo, ma avrei i miei dubbi anche su questo) avrebbe saputo rispondere
correttamente a domande basilari che riguardano il periodo storico in cui la
civiltà nuragica si sviluppò, il rapporto con gli altri popoli del Meditarraneo
o le divinità che veneravano (giusto per menzionare quelle più facili). In
un’isola di opposti estremismi come la Sardegna l’ignoranza del
proprio posto nella storia è la norma. Il sardo non sa nulla di
se stesso, della sua lingua, della sua cultura. Li adotta e ne va fiero per
motivi nazionalistici ma non ne capisce appieno l’importanza e il perché. Il
sardo avrebbe potuto ereditare tratti somatici balcanici, parlare una lingua
turkmena, adorare divinità indù ma questo non avrebbe fatto alcuna differenza.
Li avrebbe adottati comunque senza capire il perché di quel mix così inusuale
in mezzo al Mediterraneo. Come ci si può stupire allora dello straniero che non
conosce la storia della Sardegna?
Mi
dovete scusare per il lungo preambolo “antropologico”, se mi passate il
termine, ma mi serviva per introdurre emotivamente (e per caricare il
sottoscritto emotivamente) un tema, ahimè, serissimo: il vergognoso stato
dell’archeologia isolana, dei suoi musei e delle esibizioni museali. Lo
scandalo in particolare riguarda il Museo Archeologico Nazionale di Cagliari. Scandaloso
perché? Perché dovrebbe essere un gioiello museale da far invidia al mondo per
le sue ricchezze e i suoi manufatti ma si trova in condizioni disastrate
complice l’indifferenza del mondo accademico isolano e nazionale, la stampa e
la politica. Non mi aspetto che un politico o un giornalista riescano a
cogliere i problemi della sfera prettamente archeologica ma almeno si rendano
conto delle mancanze organizzative. I problemi infatti sono due: il primo riguarda la struttura stessa e i (non) servizi erogati; il
secondo le scelte espositive, le imprecisioni e l’anacronismo delle esposizioni
soprattutto dopo alcune recenti scoperte. Le due problematiche
non sono poi così slegate tra loro visto che sono sintomo di una generale
ignoranza di chi prende le decisioni dall’alto in enti pubblici. Un’ignoranza
collegata al preambolo di prima, ovvero il sardo non ha alcuna idea di cosa ha
a che fare quando si trova in mano la sua storia anche sotto forma di manufatti
archeologici.
Primo, struttura e
servizi: dopo anni di onorato
servizio in uno dei palazzi storici più belli di Castello (ora in rovina e
abbandonato) il museo archeologico fu spostato all’interno dell’ex-Regio
Arsenale per costituire insieme al MAS e alla Pinacoteca [*] un polo museale
unico. Una bella idea non c’è dubbio, ma progettata malissimo. Il Museo
archeologico infatti è incastonato tra le mura del bastione nord e si dipana
tra scale, scalette tra mille piani, sottopiani e mezzanine che rendono il
percorso… impercorribile. Infatti non esiste un inizio e una fine obbligatori
ma un labirinto senza senso che forza il visitatore a continui giri su stesso,
retromarce e dubbi. I visitatori non sanno dove andare, si chiedono “siamo già
passati qui?”, “Ah, questo non l’avevo ancora visto!”. Perfino il sottoscritto
che l’ha visitato più volte ha dovuto scervellarsi per trovare le sale e i
manufatti che gli interessavano.
Sfortunatamente
da questo punto di vista si può fare ben poco anche se una riorganizzazione
interna delle sale e degli accessi più logica potrebbe aiutare. Vediamo i (non)
servizi. Arriviamo alla biglietteria e un anziano custode che parlava solo
italiano ci informa che non esiste una guida (questa infatti deve essere
prenotata per gruppi grandi). Questo nonostante sia stata appena allestita una
delle mostre archeologiche più attese del decennio a Cagliari e di importanza
internazionale: i giganti di Mont’e Prama. Al piccolo ma efficiente museo di
Cabras, che ospita metà dei 38 giganti, la guida c’era e il percorso era ottimo
e ben organizzato. Vabbé, farò io da guida ai miei ospiti visto che mi
appassiona la storia fenicia e quella nuragica. Da qui in poi non abbiamo visto
un solo addetto del museo. Nessuno, neppure i soliti guardiani annoiati che si
leggono il giornale agli angoli delle sale. Chiunque avrebbe potuto rubare,
pasticciare, vandalizzare i manufatti senza che alcuno se ne fosse accorto. Io
di telecamere e di sistemi di sicurezza non ne ho visto (ma mi potrei
sbagliare).
L’inglese, questa lingua sconosciuta, è inesistente. Non una singola targa è
stata tradotta, non esistono descrizioni in lingue diversa da quella italiana.
Tutta roba scritta negli anni 80 e inizio anni 90 (lo capisci dal font e dal
colorito giallastro) in linguaggio supertecnico spesso incomprensibile a un non
addetto ai lavori. Questo fantasma che aleggia nelle sale, l’inglese, è così
evanescente che nel libro dei commenti/firme all’uscita i poveri turisti
internazionali si chiedevano come fosse possibile che nel 2014 un museo di fama
internazionale non avesse la traduzione in inglese. Un commento descriveva alla
perfezione la situazione: “I didn’t understand a single thing.”. E lo capisci
anche dallo sguardo perso nel vuoto dei visitatori stranieri che passavano da
una sala all’altra senza alcun input: vasi, cocci, bronzi, statue. Che
significato possono avere senza un contesto, senza una storia dietro? Queste
persone dopo essere uscite dal museo non avranno capito nulla e non si
porteranno nulla dietro. Chi erano i nuragici? Chi erano i fenici?
Bagni?
Se non avessi visto una porticina aperta fuori nel cortile (!) da cui si
intravedeva un WC non avrei mai visto i bagni, e come me le centinaia di
turisti che lo visitano. Pubblicazioni? Cartoline? Idee regalo? Monografie? I
musei cadono a pezzi, non abbiamo soldi per i dipendenti ma a nessuno viene in
mente di fare uno shop come in tutti i musei del pianeta. Chi volesse avere più
informazioni riguardo ai giganti rimarrà deluso. Le cose le potrete sapere dai
blog di pochi appassionati su internet senza alcun timbro di ufficialità (poi
ci si lamenta degli pseudoarcheologi che tirano fuori Atlantide). Brochure? Per
carità! Secondo il sovrintendente in diretta TV alla RAI ci sono stati problemi
tecnici nella stampa. Eh già, il toner da cambiare è un problema così difficile
da affrontare.
Il secondo problema, più grave, riguarda i curatori del museo. Il museo non è
diviso in periodi storici ma in suddivisioni territoriali della Sardegna. E
così ti ritrovi nella stessa vetrina manufatti prenuragici, nuragici, fenici,
romani e via dicendo senza alcun nesso logico. Questa scellerata scelta
organizzativa rende la mostra confusionaria e completamente inutile. Che senso
ha associare una freccia prenuragica di bronzo con la dea Tanit e una moneta
romana solo perché si trovavano tutti e tre nel territorio del Sarrabus? Il
museo è anche, e soprattutto, un luogo di didattica e non si può prescindere da
una esposizione che rispetti la logica temporale. Fai un piano con i manufatti
nuragici, una con quelli fenici, una con quelli romani. La maggior parte delle
persone non ha gli strumenti per capire la differenza tra le tre, soprattutto
un turista che non sa nulla della storia del Mediterraneo e dell’isola. I
turisti passavano davanti alle vetrine – alcune semivuote! – senza comprendere
davanti a cosa stavano camminando. In aclune vetrine al posto di un manufatto
facevano bella mostra fogliettini scritti a mano (vedi foto) con su scritto
frasi del tipo “Da Pani Loriga sono stati prelevati per foto, 13.0.11.”. Il
signor Loriga li sta fotografando da 3 anni. Sicuramente quello era l’unico
documento “ufficiale” che attestava il prestito, semmai ritornerà al suo posto.
Incredibile.
Per
fare un elenco dei manufatti più importanti al museo relegati a vetrine di
secondo piano, perfino in angoli seminascosti non basterebbero le pagine di
questo post ma vi basti sapere che al Museo di Cagliari esiste la Stele di Nora, il documento scritto più antico del
Mediterraneo occidentale e uno dei pochi fenici rinvenuti a ovest di Tiro. Non
solo ma il più antico documento dove la parola Sardegna in fenicio SRDN, sia
mai stata scritta. Ebbene questa stele si trova in un angolo tra due vetrine
senza illuminazione, e con un piccolo poster che ne descrive un sunto della sua
storia seminascosto dalla stele stessa. Non esiste neppure una traduzione della
stele a disposizione nonostante negli ultimi 30 anni siano state avanzate più
interpretazioni.
Vogliamo
parlare della maschera ghignante, simbolo della
Sardegna fenicia? Un pezzo, forse, di iconografia assiro-babilonese acquisita
dai fenici e che alcuni studiosi pensano sia all’origine del detto “sorriso
sardonico”? Questa meravigliosa maschera, uno dei simboli del museo è relegata
all’interno di una vetrina semivuota e con una illuminazione penosa e con uno
sfondo fatto di compensato. La grande collezione di tophet, seconda solo a
quella di Sant’Antioco, sculture di Tanit, due enormi statue di Bes, la collana fenicia in vetro colorato che vedete
nella foto del post, gli ori e le pietre preziose egizie di importazione sempre
fenicia: tutto questo senza alcun risalto, senza una corretta esposizione (e
forse neppure un allarme). Tralasciando i giganti di cui parlerò un altro
giorno, ci sono reperti nuragici di una importanza eccezionale (tutti trafugati
ai musei locali ma forse era meglio lasciarli ai piccoli musei dei paesi se
questo è lo stato in cui devono essere esposti). I bronzetti nuragici, la più
grande collezione di bronzetti al mondo, sono ammucchiati alla bell’e meglio su
un paio di vetrine ma poiché sono disposti in gruppi, non in file, alcuni
nascondono altri e il fatto che siano esposti a livello più basso non aiuta di
certo l’osservazione dei particolari. Tra questi l’eroe dai quattro occhi e quattro braccia è sicuramente il più importante ma di nuovo, invece di essere esposto
da solo in primo piano è ammucchiato insieme a tutti gli altri.
Potrei
continuare all’infinito (che dire delle meravigliose statue votive in
terracotta con serpente avvolto al corpo del tempio di Esculapio, o le decine
di mani in terracotta votive?) ma vorrei che la gente ci andasse al museo di
Cagliari per essere coscienti dello scandalo frutto di decisioni mediocri di
persone mediocri (e scrivetelo sul libro dei commenti!). E visto che siete lì
date uno sguardo verso l’alto tra le varie scalinate e vedrete decine di casse
e sculture in pietra ammassate in un piano rialzato. Forse è uno di quei
magazzini dove i giganti di Mont’e Prama sono stati buttati per 40 anni senza
che nessuno sapesse di questo tesoro.
[*]
A dicembre durante la Notte dei Musei entrai a vedere la Pinacoteca. Nonostante
fuori ci fossero 15 gradi (l’inverno sardo è notoriamente rigido e miete
vittime nelle migliaia) quando vi entrai una vampata di calore e di umidità mi
investì. Quando commentai con il bigliettaio che non mi sembrava opportuno
tenere temperature e umidità così elevati con tavole e trittici del ‘400 questi
fece spallucce dicendo che lui aveva freddo.
Fonte:
http://fabristol.wordpress.com/
Rivedrei la sintassi
RispondiElimina...e nell'oggetto?
RispondiEliminascandaloso!
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