I
Pelasgi, il popolo errante del Mediterraneo
di Gaetano Cataldo
Il Mare Mediterraneo è stato per millenni al centro del mondo antico e
crogiolo etnico dei popoli che, attraverso i flussi migratori e
all’avvicendarsi al potere marittimo e commerciale, hanno modellato il volto e
il profilo culturale d’Occidente, del Medio Oriente e del Nord Africa,
imprimendo così una traccia tanto indelebile e ridondante nella storia umana,
direttamente o indirettamente, da generare la Civiltà così come la
conosciamo oggi.
Atlantidei, Tirreni, Sherden, Etruschi, Argonauti, Lelegi, e Carî, quale
intricato legame di sangue e discendenza tra loro? O stiamo
forse parlando di un unico popolo così errabondo da essersi mescolato
ovunque nel dna mediterraneo?
Popoli del mare …..una
sorta di inesorabile, lenta sovrapposizione di ondate migratorie, maree
montanti di umanità, fusione tra razze e culture. Furenti alleati dei Libici i quali, suddivisi nelle
tribù dei Lubi (di derivazione
etnica Mechta-Afalou), dei Kehek ( o Sped) e dei Mushuash
(Meshwesh), ne condividerebbero
la discendenza berbera, scesero
in battaglia assieme agli Ausoni o
Ushasha, ai Teucri (Zeker o Tjeker), ai
Kheta , abitanti
preistorici della Siria,
ai Danai (Danu, Denyen o Danuna)
del Peloponneso, ai Šekeleš (di origine egeo-anatolica
forse, meglio noti come Shakalasha,
provenienti da Saragasson
in Pisidia, ed identificati
coi Siculi di etnia
achea che scacciarono i Sicani
nella parte occidentale della Trinacria una
volta stanziatisi sull’isola durante l’Età
del Bronzo), agli Shardana (Sherden, Shardan o Hyksos),
ai Ciprioti, agli Achei (gli Akawasha o Eqwesh citati nell’Iliade),
ai Weshesh (forse di
origine ittita) e ai Lici (Lukka o Lika). Questi
erano dunque i Pelasgici.
Condussero lotte
per il potere lungo tutte le rotte terrestri e marittime allora
conosciute per ottenere il dominio sulle miniere del rame e dello stagno,
assoggettando etnie più deboli sino a confondersi con esse, muovendo decisi
verso la civilizzazione di cui erano forieri e che di lì a qualche millennio
avrebbe condizionato un intero continente e quelli che sarebbero stati
scoperti poi; certo dovette essere un’efferata “guerra del bronzo”
per mantenere la supremazia sulle vie commerciali nel Mediterraneo ma costituì
allo stesso tempo una sfida necessaria per la sopravvivenza lanciata da queste
fiere genti contro la Natura che, ancor più feroce di tutti quanti loro messi
assieme, sconvolse tutto il Mediterraneo con bibliche devastazioni: dovevano
essere ancora memori di flagelli di epoche di molto anteriori, l’Inondazione del Mar Nero ad
esempio, e portavano ancora nel petto l’arcano terrore di Dio e del suo castigo
quando, sfiniti ma non sopraffatti, remarono sino al giorno che vide
l’apparente declino della loro potenza forse a causa della scomparsa di Atlantide, loro presunto centro
carismatico, sintesi civile ed illuminata delle loro culture oppure, più
plausibilmente, a causa di quell’evento di immani proporzioni che fu l’Eruzione Minoica che distrusse
l’isola di Santorini (Thera) causando gravi mutamenti
climatici a breve e lungo termine documentabili sia attraverso la stele della Tempesta che
alle Ammonizioni di Ipuwer, testimonianza
quest’ultima a cui vengono associate sia la fine della Civiltà Cretese che gli eventi
biblici narrati nel Libro
dell’Esodo…..con le prue taglienti delle loro navi sottili certamente i
Pelasgici delle Cicladi,
inventori della crittografia,
fecero parte di quella massa liquida, di quello Tsunami che si abbatté su altre popolazioni del Mediterraneo Orientale completandone
l’annientamento e menando strage in tutto il Mar Egeo.
Già dal IV
millennio a.C., come provano i risultati degli scavi presso Çatal Höyük in Turchia, realizzati prima nel ’55
da James Mellaart e
nel ’79 poi da Fritz Schachermeyr, l’antica
tribù dei “Pelasgi” mosse verso
le terre bagnate dal Mar Egeo,
lasciandosi alle spalle concrete tracce della loro civiltà….Attica, Tessaglia, Sesklo,
Dimini, Gortina descrivono solo in parte
le destinazioni di rotte che per via terrestre e marina questo indomito e
paziente popolo ha raggiunto lasciando evidenze di cultura materiale nel
Neolitico e disseminando ancora tracce in altri luoghi e in altre ere nel
bacino del Mare Nostrum.
E se a Creta v’era un fiume chiamato Messapio perché non reputare si
fossero spinti anche in Puglia,
indipendentemente dal significato che in seguito si attribuì a Messapia? D’altronde esistono tracce
concrete in tutta la “Magna Grecia” come
in Basilicata ad
esempio ed in Calabria,
sia a Crotone che
a Botricello, proprio
dove venne rinvenuta negli anni ’90 la Lamina Pelasgica tradotta da Domenico Raso.
E nella zona di Cortona nella stessa Etruria o a Kyrtone e Tebe in Beozia? Ed è proprio dalla Beozia che
occorrerebbe districare l’intreccio tra la cultura pelasgica e il mito
dei Sette contro Tebe collegato
all’Apoteosi di Radamanto/ Seqenenra Ta’o II per ripartire e
mettere la prua nel corso del tempo dirigendo sino a Creta; qui ritroviamo
infatti la pittografia
festia e il Disco di
Festo a loro attribuiti e che ricondurrebbero sia
all’uccisione di Radamanto da parte di Tideo nei pressi della tebana porta Crenida che al leggendario Labirinto e al Vello
d’Oro (il cui custode, il Drago Dagan, ritroviamo nei motivi del Santuario di Delfi oppure nei
grifoni di Scizia)….eco
lontane che narrano di un tempo in cui i faraoni ed i re cretesi erano la
stessa autorità che mediava il commercio dei metalli preziosi provenienti
dalla Colchide con
l’aiuto dei Filistei e grazie ai Feaci che, arrischiandosi a risalire per il signore
di Haghia Triada le
rotte verso il Danubio,
le Simplegadi ed
il Mar Nero (Ponto Eusino) sino a percorrere le vie
dei Tirreni (Feaci Orientali o Etruschi), emulavano, come si
suppone, Giasone e
l’equipaggio della nave Argo.
Per quanto ci si
chieda se sussistano correlazioni, attraverso i reperti, tra cultura pelasgica e civiltà ellenica media e tarda nell’area
di dominio miceneo, esiste
un altro nodo arduo da sciogliere per gli studiosi di etnogenesi: “esiste una connessione
tangibile tra le prove materiali archeologiche e la possibilità che la cultura
linguistica dei “Popoli venuti dal mare”
sia non ellenica?”…Analogie tra la toponomastica
cretese ed italica certo
diventano plausibili nell’ipotesi che vorrebbe Etruschi e Pelasgi derivare
proprio dai Berberi e,
per quanto la classificazione degli idiomi pelasgici nella toponomastica ellenica vagliata
da alcuni studiosi rispecchierebbe un’origine non anatolica, volendo rivolgere
lo sguardo verso la regione
balcanica troviamo una volta di più flussi migratori incidenti e
coincidenti tra Pelasgici e Illiri e
assonanze sia tra la lingua
etrusca e pelasgica che albanese: di fatto molto s’è avvalsa
della sua lingua madre la studiosa albanese Nermin Vlora Falaschi per tradurre diverse iscrizioni sia
pelasgiche che etrusche; da non tralasciare l’interessante tesi del
professor Olimpio Musso,
dell’ateneo fiorentino, che definisce pelasgici un’arcaica popolazione
mediterranea stanziatasi anche in Iberia (partendo
dalle Isole Baleari e prima
ancora dalla Sardegna) almeno
a partire dal VI a.C. e che avrebbe influenzato la lingua basca, tanto da definirla di profilo neo-pelasgico.
Non resta immune
dalla contesa intellettuale il linguaggio poetico: Robert Graves, in luogo di mitologia greca, ritiene alcuni elementi di essa scaturiscano dal
culto pelasgico della “dea bianca“,
archetipo della deità di madre natura,tesi,a detta di alcuni sostenitori di
Graves, supportata sia dall’interpretazione di testi greci, biblici e gnostici
che irlandesi e gallesi risalenti al Medioevo…..tesi guardata però da altri
studiosi con circospezione ma largamente accolta nei circoli letterari di
molti gruppi neo-pagani.
Nonostante gli
storici e i moderni archeologi concordino definendo “Pelasgi” ( o “Pelasgici”)
tutte le popolazioni stanziatesi in quegli areali di cultura e lingua diversa
da quella parlata dagli invasori greci, molti studiosi, in passato, hanno loro
attribuito alcune caratteristiche idiomatico-culturali di origine non
indoeuropea, tesi sfatata dalla genetica che ne ha dimostrato l’appartenenza
ad aplogruppi di tipo “I” ( 35.000 anni
fa aplogruppo “IJ” in
Medio Oriente evolutosi nel tipo “I” 25.000
anni fa), “E-V13“, “T” ( gruppi precedentemente siriani
che colonizzarono l’Anatolia
meridionale nel Neolitico)e
“G2A” provenienti dal Caucaso all’incirca 6000 anni fa
e dediti alla lavorazione dei metalli e alla pastorizia. Tali etnie,
sicuramente precedenti sia alla cultura minoica che ellenica,
giustificherebbero, tra le varie altre cose, l’origine del mito della titanomachia, trasposizione dalla
realtà delle successive invasioni
ioniche, eoliche ed achee, subite dai Pelasgici, sino alla
leggenda.
E leggendaria è
anche la compenetrazione della cultura pelasgica in diverse aree del
Mediterraneo ed enclavi della Grecia continentale ed insulare, tanto che il
termine pelasgico resta tutt’oggi un riferimento onnicomprensivo che designa
le popolazioni autoctone
proto-elleniche nella penisola greca, per ciascun gruppo etnico
primitivo autoctono di Micene e,
persino, identificante parte della popolazione cretese; di certo antichi autori
del passato hanno contribuito a confondere o mescolare le idee,la realtà col
mito, reputando con tale termine definizioni, aggettivi e attributi dal diverso
significato: abitante delle pianure,
epoca dimenticata e luogo precedentemente abitato dai Pelasgi,
oppure, considerare attraverso l’avverbio pavlai il significato di anticamente.
Restano da
confermare le ipotesi di François
Chabas, formulate nel 1873, che identificherebbero i Pelasgi anche coi Peleset, tribù dei popoli del mare
antenata dei Filistei stanziatisi
in Palestina e Israele (vedasi i porti di Gazae Ashdod), teorie riprese dall’Albright nel ’21 e da Vladimir Georgiev nel ’50; quest’ultimo scoprì antichi
manoscritti in cui il nome dei Pelasgi era riportato col termine Pelastoi, similmente riportato col nome
dei filistei Peleset sui geroglifici
egizi.
In realtà è già
dalle tavolette egee di Pylos,
redatte in lineare B e risalenti
alla tarda Età del Bronzo, che si riscontrano riferimenti riguardanti cospicui
movimenti migratori e costituzione di gruppi mercenari composti da misteriose
popolazioni provenienti dal mare, mentre sull’obelisco di Biblo (oggi Jbeil ), ascrivibile ad almeno 4000 anni fa, si fa
ampia menzione dei Pelasgici, citando i Lukka per tramite di un loro discendente: Kukunnis figlio del capostipite
Lukka…etnia questa che ritroveremo assieme ai sardi a sferrare attacchi contro
gli Egizi prima ancora della coalizione
dei Popoli del Mare, così come testimoniano le lettere di Amarna, risalenti al
periodo di Amenofi III (
1387-1350 a.C.) o di suo figlio Akhenaton;
devono essere state frequenti le incursioni sarde a danno degli Egizi stando a
quanto riportato nella stele di
Tanis (che presenterebbe alcune analogie con la stele di Nora) risalente agli inizi
del XII a.C. ed eretta in onore di Sethos
I (1289-1278 a.C.), padre di Ramses
II…la stele riporta appunto le sue gesta, la cattura di alcuni predoni
Shardan ed il loro incorporamento nella milizia egiziana assieme agli Ittiti
impiegati durante la battaglia di
Qadesh, combattuta nel 1274 a.C. nei pressi del fiume Oronte contro il regno di Muwatalli II e che vedrà
vittorioso l’esercito faraonico. Anche Merenptah (1212-1202 a.C.) si trova a dover fronteggiare i
Popoli del Mare, stavolta coalizzati nella confederazione dei “Nove Archi” e la Grande Iscrizione di Karnak, l’obelisco del Cairo e la stele di Athribis (città i cui resti si trovano su una
collina nei pressi della città di Banha)
sono testimonianze che narrano della sconfitta degli invasori pelasgi, mentre
la stele di Tebe, pur risalente
al periodo di Amenhotep III (1387-1348
a.C.), riporta nelle ultime righe la descrizione di un trattato di pace
successivo alla vittoria di Merenptah contro la Lega Libica e di una sua
campagna militare verso Canaan a
danno di molte popolazioni tra cui gli Ysrỉr (Israele),
primo riferimento al Popolo
Ebraico. Una fonte altrettanto importante sull’attività pelasgica nel
Mediterraneo è costituita da diverse lettere del XII sec. a.C. rinvenute a
Ugarit, città un tempo nota anche come Hamadu (o Mahadu),
parola sumerica che significa Nave del
Levante (oggi Ras Shamra)
in cui vengono trattati sia i termini del rilascio di Ibnadushu rapito dagli Shikala (o Sikilaya, invero gli Shekelesh…coloro che vivono sulle navi)e dettati al prefetto dell’antica
città siriana tramite una missiva dello stesso re ittita Šuppiluliuma II (1207 al 1178
a.C), figlio di Tudhalia IV,
che di veri e propri report di spionaggio attraverso cui il re Hammurabi II di Ugarit (1191-1182
a.C.) avvisò il re cipriota Eshuwara dell’avvistamento
al largo della costa anatolica di ben 20 navi shekelesh…altre lettere
confermeranno in seguito agli archeologi e agli storici che gli abitanti di Alashiya e gli Ittiti verranno
assoggettati dai Popoli del Mare; le iscrizioni di Medinet Habu, per quanto decisamente celebrative, confermano le
vittorie del faraone Ramses III(1184-1153
a.C.) riportate in diverse fasi sia sulla Lega Libica che sugli invasori pelasgi dell’area egea.
Testimonianze che non solo chiariscono la decadenza della civiltà Ittita, di
Micene e del regno dei Mitanni (Naharina) fosse stata provocata
proprio dai Popoli del Mare ma, vista la presenza di carri trainati da buoi,
donne e bambini durante i conflitti con l’Egitto raffigurati sugli affreschi
del tempio, di un loro vero e proprio spostamento in massa più votato alla
sopravvivenza che alla conquista.
E come
caddero Ḫattuša,
Ugarit, Ashkelon e
vennero invase la Cilicia (o Kode), Arzawa e Cipro anche
l’Egitto, dopo lunghe resistenze
e patteggiamenti coi Popoli del Mare (difficile escludere accordi intrapresi
“ob torto collo” con i sardi dai vari faraoni succedutisi durante i conflitti
piuttosto che a delle sonore sconfitte poiché, come riporterà anche Gaio Sallustio Crispo, i pelasgi sardi
di origine Hyksos erano milizia mercenaria di ingente numero non solo in Egitto
ma anche a Byblos, Ugarit e, in seguito, anche a Cartagine), dovette
cedere all’invasore pelasgico del versante libico a causa di una crisi
politico-economica avvenuta nel X a.C., proprio durante l’VIII anno di regno di
Ramses III.
Omero li cita
nell’Iliade identificandoli
come alleati dei Troiani,
abitanti della città di Larissa,
della città di Argopresso
il monte Othrys in Tessaglia (generalmente abitata
da Elleni ed Achei) e definisce pelasgico
anche il tempio di Dodona dedicato
a Zeus ( questa città
dell’Epiro tra l’altro
ospitava anche le etnie dei Perebi
e degli Enieni) menzionando Ippotoo e Pileo, figli di Leto
Teutamide, reputandoli leaders pelasgici; nell’Odissea Omero colloca i Pelasgi anche a Creta assieme
ai popoli indigeni, agli
Achei e ai Dori successivamente
emigrati sull’isola; nel Catalogo delle
Navi, elenco dei contingenti della milizia greca giunti a Troia, vengono invece collocati
geograficamente tra la Tracia e
l’Ellesponto, formando, assieme
ad Elleni, Achei e Mirmidoni una
nutrita schiera. Alleanze, schieramenti e luoghi diversi che confermerebbero
l’esistenza di un’unica etnia presente in molte terre.
Pare il fato li
condusse da Lemnos a Sparta e in quella fiera e
bellicosa terra li chiamarono discendenti
degli Argonauti.
Sempre in
riferimento alle tesi omeriche Strabone cita Eforo di Cuma, che a sua volta
cita Esiodo, e afferma che
Dodona fosse sede dei Pelasgi, tribù diffusasi in tutta la Grecia, in
particolar modo tra gli Eoli di
Tessaglia e che essi discendessero dagli Arcadi ( tesi condivisa in seguito anche da Ellanico che li chiamava Argivi), predilessero la vita militare
e diventarono pertanto coloni cretesi; sempre Strabone afferma che i Pelasgici
costituirono persino colonie in Adriatico nei pressi di Ravenna,Cere, Pirgi e Regisvilla, mentre Silio Italico tramanda che essi,
guidati dal sovrano Aesis
risalirono l’adriatico e si insediarono sul colle dell’Annunziata fondendosi con le popolazioni autoctone
del Piceno; d’altro
canto Acisilao li
inserisce tra i discendenti dei popoli del Peloponneso e non a caso le regioni
ioniche del Peloponneso, Arcadia ed Attica, ellenizzate per ultime, hanno
conservato strutture e tracce da cui è stato possibile risalire agli usi e ai
rituali propriamente pelasgici che molto in comune hanno con le popolazioni
dell’Illiria sul versante
adriatico dei Balcani.
Per Eforo di Cuma,
“Pelasgo” era eponimo del padre di Licaione, eroe
dell’Arcadia, mentre Asio tramanda
fosse il nome del primo uomo generato dalla Terra e designato per creare la
razza umana; Ecateo di Mileto afferma
addirittura fosse il nome del re di Tessaglia. Eschilo considera patria dei Pelasgi sia Argo ( e pertanto il
suo re è Pelasgo, nato dalla Terra come Asio afferma) che Dodona e Strymon; Sofocle, primo autore nella storia a introdurre il termine tirreno, intendendo il Popolo etrusco, reputa appunto pelasgo
loro sinonimo; Erodoto invece
considera i Tirreni una popolazione limitrofa ai Pelasgici, un gruppo etnico
diverso insomma ma dalla lingua comprensibile ad essi, stanziati a Placie e Sclylace, città vicine a Creston, villaggio nei pressi
del fiume Strymon nell’Ellesponto,
teorizzando comunque essi vivessero anche nella Troade precisamente ad Antandro e Samotracia,
benché conosciuti con altri nomi. Indipendentemente da ciò Erodoto,
citando Lemnos e Imbro (anche Anticleide reputava fossero i
primi insediamenti ove i Pelasgi si stabilirono), asserisce fossero abitate da
un’etnia autoctona appartenente all’antico popolo, successivamente assoggettato
dagli ateniesi intorno al 500 a.C. , fatto che motiverebbe sia il loro
spostamento nell’Ellesponto che le loro incursioni in Attica (e gli Attici li
chiamavano Pelargi perché erano
come uccelli senza meta, stabilendosi ove il fato voleva) in un’epoca in cui,
citando le parole dello stesso autore, “gli
ateniesi cominciarono per prima a definirsi greci“.
Pertanto il padre
della storiografia assegnando al termine pelasgico sia la funzione linguistica
della denotazione che della connotazione, tra le varie altre accezioni, gli
attribuisce anche il significato di abitanti della Grecia e qualificandoli come
tali, prima ancora degli Ellenici, considererebbe di conseguenza pelasgica
tutta la Grecia.
Polibio, Strabone e Conone, in merito alla fondazione della città di Sarno (Sarro anticamente) concordano sul fatto che essa ebbe luogo per
mano dell’antica popolazione pelasgica proveniente da Peloponneso e che in quei
luoghi i nuovi abitatori si proclamarono Sarrastri, battezzando il fiume, il
monte (Saro), il nuovo insediamento
e loro stessi con l’appellativo etimologicamente derivante dal nome dello
stesso corso d’acqua che scorreva nella precedente patria, il fiume Saron appunto.
E’ lo stesso Marco Onorato Servio a darcene
testimonianza citando Virgilio…nell’Eneide d’altronde è riportato: “Sarrastis populos et quae rigat aequora
Sarnus“; sotto questo punto di visto è più plausibile, rammentando la
tesi di Eforo di Cuma precedentemente esposta, che i Sarrastri, invero i
Pelasgici, ebbero sì contatto con le prime popolazioni tirreniche, a patto che
ci si riferisca a quelle stanziate nei territori limitrofi all’Agro Sarnese Nocerino. I Sarrastri
furono anche i fondatori della città di Nocera (Dionigi di
Alicarnasso afferma che i Pelasgi arrivarono in Italia dalla
Tessaglia sette generazioni prima della guerra di Troia, distinguendoli però dai Tirreni); in queste aree
gli insediamenti e i reperti archeologici risalenti all’età del bronzo e del
ferro rinvenuti nella piana
sarnese, a Striano e
a Poggiomarino (precisamente
in località Longola un
intero villaggio perifluviale risalente
al IV a.C. che non si è faticato a soprannominare la Venezia protostorica è stato riportato alla luce) sono stati
innumerevoli e ricorrenti sono gli attrezzi agricoli rudimentali, i manufatti
in terracotta e le statuine votive raffiguranti donne e parti del corpo umano
per ingraziarsi la divinità del fiume per ottenere fertilità e salute.
E con il nome di
Sarrastri gli Etruschi che si spinsero in terra campana li conobbero.
Secondo altre tesi
pare fossero stati addirittura gli Etruschi a dare il nome al fiume Sarno,
etimologicamente “fiume dalle molte
sorgenti“; si rammenta che Varrone identifica
gli Etruschi e i Pelasgici come unica etnia insediatasi sulla penisola
sbarcando nel Lazio e
che Trogo Pompeo si
fece testimone della loro colonizzazione in Etruria e Umbria a partire dalla fondazione di Tarquinia e Spina (dopo il ritrovamento
della stele di Lemnos,
città nei pressi di Troia, avvenuto nel 1885 e fatta risalire al IV sec. a.C. è
stato possibile accertare che la lingua
lemnia altro non fosse che un dialetto molto simile all’etrusco)
;il tutto in sintonia con le tesi moderne del Prado ( l’ipotesi che identifica Etruschi e Pelasgici come
unico popolo fu tuttavia sostenuta anche nel 1901 dal sociologo Giuseppe Sergi), il quale
attribuirebbe la prosecuzione della stirpe etrusco-pelasgica per tramite di una cultura durata
ben nove secoli sulla nostra penisola e grazie all’organizzazione di una
federazione di regni chiamati dodecapoli
dei Tursan (Tereš o Turša), chiamati dai greci Tyrsenoi, invero i Tirreni…queste genti
pelasgiche giunsero in Italia dalla Tessaglia sette generazioni prima della
guerra di Troia e Pelasgo e Nanas, stando a Dionigi d’Alicarnasso,
sarebbero proprio i sinonimi
etruschi di Ulisse.
Non è ancora
chiaro l’effetto che questi flussi migratori ebbero su molti aspetti dell’archeologia pre-romana nel sud
laziale ma la tecnica poligonale e l’imponenza delle mura di città come Arpino e del colle Palatino a Roma presentano non poche analogie con
costruzioni simili sparse per la Spagna e l’Italia: ne
costituiscono un evidente esempio i reperti preistorici delle Isole Baleari ed i megaliti di Nardodipace del 3000
a.C. situati in una zona della Calabria riconducibile
alla Terra dei Lestrigoni di
memoria omerica…da qui al confronto con le ciclopiche mura egee e la cintura
muraria originaria della stessa acropoli di Atene il passo è dunque altrettanto
breve e lo stesso Tucidide,
riferendosi ad essa e alle fondazioni adiacenti, già le definiva pelasgiche
riportando che anticamente si credeva fossero state erette dagli Atlantidei in onore della dea madre (Tanit-Athina) il
cui culto, successivamente adeguato all’Olimpo dei
greci, avrebbe avuto anche origini numidiche. Prima ancora che scoppiasse la Questione Pelasgica in Italia, tra il
1890 e il 1910, argomentazione che stimolò gli studi del
paleontologo Luigi Pigorini rispetto
all’origine pelasgica e terramaricola
delle popolazioni italiche che influenzarono anche le culture mitteleuropee, Heinrich Schliemann già riportava
in auge la tematica sulla necessità di una verifica dell’intera archeologia,
necessità che, visto lo stato d’abbandono di molti siti rinvenuti e di altri
che tuttavia attendono di riaffiorare ed essere restituiti alla storia, resta
molto attuale.
I Pelasgici,
gli uomini liberi del Mare e
i padroni dell’orientamento primordiale nel Mediterraneo grazie alla Pinace si spinsero ovunque e giunsero
sino in Portogallo; essi
solcano ancora oggi rotte oscure agli storiografi, percorsi a ritroso complessi
e irti di una nebbia che talvolta plagia, adagia e confonde archeologi e
antropologi e attendono sempre la nascita di altri uomini intellettualmente
liberi ed intraprendenti che sappiano andare oltre la banale concezione che
vorrebbe far credere il Mito sia solo un curioso relitto dell’infanzia
dell’umanità e onorarne la memoria sino in fondo.
In un instancabile
gioco di vanità teso alla individuale ricerca di appartenenza al proprio mito
personale piuttosto che alla ricerca approfondita che restituisca la verità
storica al comune beneficio, tra archeologia e storiografia delle civiltà e
antropologia e genetica dell’amor proprio, continuiamo a comportaci come pesci
ciechi in una caverna; eppure l’uomo specchiandosi per scrutare in sé quel
frammento di leggenda che da sempre desidera gli appartenga, continua a
indagare attraverso storia, cultura e tradizione che lo legano ai suoi fratelli
che da una diversa prospettiva osservano il Mare da dove tutti venimmo e i loro simili dall’altra
sponda.
Con invidia,
arroganza e dubbi diamo nutrimento al pregiudizio, alterniamo i nostri sguardi
misurandoci nella vita quotidiana e, a seconda delle necessità che da sempre
dettano il verso delle migrazioni, traiamo le conclusioni l’uno dall’altro, con
le mani e con gli occhi, coi volti e con la pelle in un confronto che dura da
millenni, poche volte costruttivo e alle altre feroce, retorico, sciocco e
dall’esito ignorato, se non rifiutato, per quanto scontato e palese.
Ma la Stirpe del Mare di Mezzo è più
antica di qualsiasi invidia, arroganza, dubbio, pregiudizio e vanità umana tesi
al meschino confronto di individuare differenze e piallarle piuttosto
che esaltarne la ricchezza; si preferisce far leva sulle
diversità per dividere e spezzare in luogo di esaltare quello spirito
di comune appartenenza e di ammettere quanto sangue pelasgico navighi pulsante
nelle vene di etnie che da diverse generazioni ormai, fluttuanti tra le
correnti della Storia nella dimora più antica e più anticamente civilizzata in
cui l’umanità abbia mai vissuto, appartengono ad un unico,
armonioso mosaico di persone!
Persone che hanno
scontato anche troppo il peccato di non essersi riconosciute da
subito nella superba identità culturale che i Pelasgici hanno
assegnato loro per sempre e che hanno preferito pagare l’amaro prezzo
per essersi crogiolate nella gloriosa polvere del passato senza darvi il
giusto valore e per essersi rifugiate tra confini politico-economici fittizi e
meschini ben più miseri dell’esteso patrimonio di cui sono detentrici,
preferendo subire le limitanti logiche inflitte dagli eredi di un’industrializzazione
che non ha mai promesso un riscatto della coscienza dell’uomo attraverso la
libera conoscenza, semmai intenta a soggiogare lo spirito e mortificare ogni
singolo aspetto della comunità di cui sono parte con una sorta di omologazione
economico- culturale controllata e con la limitazione di un pensiero
volutamente coercitivo e stolto nel far credere s’appartenga tutt’al più alla
ristretta accezione di Mediorientali, Africani del Nord, Europei del Sud o dell’Est; esuli nelle loro stesse terre,
rese ostili non solo dalla politica più negligente e corrotta ma soprattutto
per la snaturata colpa d’aver perso il premio della conquista più
ambita ottenuta da coloro che li hanno preceduto: la libertà di essere davvero
fieri delle proprie origini. Queste genti, non proprio come i loro antenati,
seguitano a muoversi come bestiame nella futile transumanza della
globalizzazione più aberrante e priva di ogni fondamento democratico per
ragioni certo economiche ma pur sempre per l’incapacità di valorizzare le
ingenti risorse di cui le terre attorno al “Mare Nostrum“, a loro assegnate, sono tutt’ora ricchissime.
E’ tempo dunque di
un fiero riscatto d’identità e di appartenenza ad un retaggio ancestrale da parte di
ogni singolo membro di questa grande comunità che per quanto continui
ad essere detentrice di un sapere millenario e si industri continuamente a
ricercare e trovare mezzi, soluzioni e fortune ovunque si trovi, spesso manchi
di quella sana autoaffermazione e quella sincera capacità di auto-valorizzarsi
che gli consenta di dire: “Io
sono Mediterraneo! In me rivivono i Miti e la memoria degli Antenati Pelasgici
ed è accesa quella scintilla di leggenda che riecheggia in tutte le terre
poste di fronte al “Mare Nostrum”. Nella liturgia del Trittico del Grano,
dell’Ulivo e della Vite, nella ricchezza di sapere e sapori con cui da tempo
immemore celebro la cultura del Cibo sulle nostre tavole ogni santo giorno da
quando è stato acceso un fuoco…..potete darvene conto voi stessi
dell’intellettualità tradizionale e raffinata, della familiare genuinità
gustativa di quello che mangio, per nutrire anima e corpo, ammettendo voi
stessi l’avete, a ragion veduta, definita Dieta Mediterranea e
che oggi dalle Colonne d’Ercole e d’Oltralpe raggiunge, almeno idealmente, ogni
dove per deliziare persino i vostri palati. Dei profumi e dei colori
accesi della Natura che mi circonda, dell’Arte e dell’Ingegno che appartiene
alle mie mani, alla mia testa e al mio cuore divulgo i segreti
accarezzando rispettosamente le crepe nella pietra dei Monumenti che mi
ispirarono e baciando le rughe dei volti di coloro che tramandarono tutto
ciò. Narrando la Storia dalla sua culla ove, per quello che significa, ebbero
luogo tutte le Fedi e l’adorazione del Dio Unico in tre distinti culti
religiosi, vi accompagno presso le Vestigia che lasciai nell’Antico e
nel Nuovo Mondo pure per ammirarne i fasti. In un continuo incedere
migrante ho dominato i Mari, ho imbrigliato i Numeri e le Lettere, ho assegnato
un nome alle Costellazioni, suggerito i vostri codici con le mie Leggi,
perfezionato le vostre scienze con la mia Alchimia e con tutte le Scoperte
compiute, affilando il vostro pensiero con la mia Filosofia …..lo testimoniano
gli Eventi passati e presenti ed i primi romanzi dell’Umanità che qui vennero
scritti e si scrivono ancora! Ve lo dico fiero ma senza vanto e col sorriso
esorto a far tesoro di quanto m’appartiene invitandovi a compiere assieme a me
un viaggio di solidarietà, scambio e rispetto culturale perché possiate
diventare testimoni della generosa ospitalità dei miei fratelli e detentori e
custodi della ricchezza delle Terre attorno al Mare mio“.
Ci fu un tempo in
cui gli Antenati della maggior parte delle popolazioni d’Europa e talune
asiatiche erano un solo Popolo che abitava una sola grande Patria; oggi coloro
che da essi discendono non sono più una semplice razza, ma una
Civiltà, ossia un insieme di culture che si annodano come in uno splendido
arazzo in cui tutti i Mediterranei possono riconoscersi anche nei termini
epigenetici dettati da una miriade di peculiarità insite nella società,
nell’ambiente, nel clima ed in tutto quanto è contenuto in questo areale
cosmopolita per vocazione unico nel suo genere ed in continua evoluzione.
La Civiltà Mediterranea è l’unica, vera accezione che rende l’Europa e le
Terre intorno al Mare il Vecchio Continente. Essere Mediterraneo è il legame
che riconduce il Grano all’Olio, l’Olio al Cibo, il Cibo al Vino, il Vino al
Mare e l’Uomo al Mito, all’Inventiva e alla Conoscenza in ogni sua forma, alla
Danza, alla Musica, alla Gioia di Vivere e di Condividere
preservando questa fulgida pelasgica scintilla di Leggenda insita nella
nostra straordinaria Identità collettiva.
Fonte: http://www.mediterraneaonline.eu/
Una curiosità: Ma Gaio Sallustio Crispo parla davvero di mercenari sardi discendenti Hyksos ?
RispondiEliminaGiro la domanda all'autore.
RispondiElimina90% Dell contenuto sono d'accordo con te ma che lingua parlavano i pelasgi
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