Archeologia e
linguistica: “L'arringatore”, statua in bronzo di Firenze e iscrizione.
di Massimo
Pittau
Io
penso che appartenga alla comune capacità culturale di chi abbia fatto anche la
sola scuola media superiore italiana, la consapevolezza che tra l'Archeologia
da una parte e la Linguistica o Glottologia dall'altra esiste una differenza
enorme, una differenza enorme di oggetti studiati e di metodi adoperati. Tutti
gli uomini di cultura sanno che l'archeologo si interessa degli “oggetti
materiali” antichi e delle rispettive culture o civiltà che li hanno prodotti,
mentre il linguista si interessa delle “parole o vocaboli” di una lingua o di
più lingue e pure delle rispettive culture o civiltà.
Per
questa esatta ragione io ho sempre criticato gli archeologi che hanno osato
entrare nel campo degli studi linguistici e, in modo particolare, in quello
della lingua etrusca, rimproverandoli di non possedere una preparazione
scientifica adeguata e di comportarsi pertanto al massimo come semplici
“dilettanti”. In maniera particolare ho sempre criticato la scuola archeologica
tosco-romana accusandola di avere per 60 anni bloccato negativamente gli studi
sulla lingua etrusca, riuscendo ad imporre questa strano, illogico e antiscientifico
punto di vista: «La lingua etrusca non è paragonabile con alcun'altra»!
Sono
anche certo che queste mie critiche mosse ripetutamente agli
“archeologi-linguisti” saranno sembrate eccessive a qualcuno dei miei lettori e
per questa ragione mi decido oggi a presentare il caso particolare di un
”archeologo-linguista”, il quale qualche anno fa ha pubblicato una raccolta di
iscrizioni etrusche, da lui delucidate, tradotte e chiosate.
Ovviamente
tralascio di citarlo col suo nome e cognome, mentre mi limito a fare qualche
accenno al suo curriculum. Egli è esattamente un “archeologo” che opera
come “ricercatore” in un istituto di cultura romano. Si è interessato di vari
aspetti della civiltà etrusca, anche dell'epigrafia etrusca. Nel 2009 ha
pubblicato la II edizione dell'opera di Massimo Pallottino e altri, Thesaurus Linguae Etruscae, I Indice
lessicale, che in I edizione uscì a Roma nel 1978.
Quest'opera
si limita a presentare l'intero patrimonio lessicale che conserviamo della
lingua etrusca, ma in effetti non ha alcun carattere critico: nessuna
traduzione di iscrizione, nessuna osservazione, nessun commento. Nella sostanza
altro non è che un repertorio generale, la cui composizione era enormemente
facilitata dalla comune operazione digitale del “copia ed incolla”, rispetto al
materiale lessicale rinvenuto successivamente al 1978 della I edizione
dell'opera, quello che risultava già raccolto e presentato dai vari supplementi
(I Supplemento, 1984; Ordinamento inverso dei lemmi, 1985; II
Supplemento, 1991; III Supplemento, 1998).
Ebbene
di questo “archeologo-linguista” presento adesso e analizzo la traduzione e il
commento che egli ha fatto di una iscrizione etrusca, abbastanza nota, dato che
riguarda la famosissima statua di bronzo dell'Arringatore, adesso
esposta nel Museo di Firenze. Ecco il testo esatto dell'iscrizione (CIE 4196; TLE, 651; ET, Pe 3.3 - III-II sec. a. C., in 3 righe) e
la traduzione che ne ha presentato il nostro archeologo-linguista:
AULEŚI METELIŚ VE VESIAL CLENŚI
CEN FLEREŚ TECE SANŚL TENINE
TUTHINEŚ ΧISVLICŚ
«PER CONTO DI AULE METELIS FIGLIO DI VEL QUESTO AL DIO TECE PADRE FU DONATO DALLA TUTHINA XISVLICS»
Riporto
adesso le parole di commento del traduttore: «Il soggetto grammaticale della
dedica (espressa al passivo) è il dimostrativo cen “questo” (forma
contratta di cehen) e intende ovviamente la statua, segue il
destinatario, regolarmente al genitivo: fler significa “dio, divinità”,
mentre tece sans deve essere letto come un unico lessema (*),
composto dal teonimo Tece e dall’appellativo sans, “padre”, con
la desinenza del genitivo applicata solo <a> quest’ultimo. Segue il verbo
al passivo tenine (con l’uscita -ne che esprime un modo finito
del passivo, diverso dal perfetto, indicato da -xe) e l’autore della
dedica in ablativo. Tuthina è un termine che identifica molto
probabilmente un qualche tipo di suddivisione territoriale… ecc.».
E io commento e obietto:
Perché nella sua traduzione l'archeologo-linguista salta del tutto
il vocabolo VESIAL?
Che cosa in questa iscrizione lo spinge e autorizza a interpretare
il dimostrativo CEN (accusativo di CA «questo-a») come forma contratta di CEHEN
? (che invece è una forma enfatica di CA, avente il significato di «questo
qui», al nominativo (si veda l'iscrizione di San Manno di Perugia). In
epigrafia è cosa nota che una traduzione di una iscrizione viene infirmata e
indebolita da qualunque intervento si effettui sul testo effettivo conservato.
Noi etruscologi conosciamo un solo morfema come tipico di un verbo
passivo (-XE di ZIXUXE «è stato disegnato o scritto») ed allora in base a che
cosa il nostro archeologo interpreta TENINE come un verbo passivo?
In etrusco FLEREŚ
significa sempre «offerta di supplica, vittima, offerta votiva, ex voto, statuetta votiva, statua»,
mentre non significa mai «dio, divinità», che invece si dice sempre
AIS/EIS.
I vocaboli TECE SANŚL risultano chiaramente separati ed allora che cosa spinge e
autorizza il nostro archeologo ad effettuare la loro connessione, creando un
nesso che non ha alcun altro riscontro nel materiale lessicale etrusco
conservato?
Egli erra vistosamente a interpretare TECE come un teonimo o nome
di divinità, per il fatto che questa è chiamata in sicuri passi di altre
iscrizioni TECUM e TECVM. E questa differenza non è cosa di poco conto, dato
che investe i rispettivi fonemi finali dei vocaboli.
Io ho già avuto modo di scrivere che “Chi propone di tradurre TECE
SANŚL «del (dio) Tecum Padre» non si accorge
di far entrare illegittimamente una notazione "sacrale" in un'opera
statuaria, che invece è evidentemente, totalmente ed esclusivamente
"profana". A questo proposito io ricordo di aver imparato, nell'Università
di Firenze, dal noto linguista Giacomo Devoto questo importantissimo criterio
di metodologia epigrafica: «La prima chiave di lettura di una iscrizione è
costituita dal supporto materiale in cui essa risulta scritta”. Ebbene, nella
stupenda statua etrusca dell'Arringatore non c'è nessun elemento, neppure
minimo, che faccia riferimento al “sacro” o al “religioso”.
Del vocabolo TUTHINA il nostro archeologo dice solamente qualcosa
di molto generico e soprattutto per nulla motivato; del secondo XISVLICŚ non dice assolutamente
nulla.
Il nostro “ricercatore” non ha mai citato, neppure una sola volta,
nessuno dei miei scritti (13 libri e un centinaio di saggi), evidentemente
perché sapeva già, per “ispirazione divina”, che non vi avrebbe trovato nulla
di scientificamente valido. Ed invece, se avesse consultato almeno il mio libro
Tabula Cortonensis - Lamine di Pirgi e
altri testi etruschi tradotti e commentati (Sassari 2000; con qualche lieve
correzione odierna), vi avrebbe trovato la seguente traduzione e commento
dell'iscrizione dell'Arringatore, di certo assai più consistente della
sua, anche perché ne rispetta totalmente il testo:
AULEŚI METELIŚ VE VESIAL CLENŚI
per
Aulo figlio di Vel Metellio (e) di Vesia
CEN FLEREŚ TECE SANŚL TENINE
pone
questa statua di Padre il (suo) servizio
TUTHINEŚ ΧISVLICŚ
di
patrocinio pubblico
Lessico
commentato
AULEŚI
significato certo «ad/per Aulo». AULEŚI
METELIŚ VE «per Aulo
figlio di Vel Metellio»: formula onomastica strana per noi moderni, ma non per
gli Etruschi.
CLENŚI
significato certo «al/per il figlio» (in dativo-ablativo di comodo).
CEN
(TCort 18) significato certo «questo-a», accusativo del pronome CA
«questo-a».
FLEREŚ «statua»
(significato certo). CEN FLEREŚ «questa
statua» (in accusativo) (DETR 448).
SANŚL (SANŚ-L)
significato certo «(di/del) padre, progenitore, antenato» (in genitivo) (DETR 357). Vedi SIANŚ.
TECE
significato quasi certo «pone», indicativo pres. 3ª pers. sing. Da confrontare
con l'iscrizione (ET, Co 3.8 – rec, su statuina bronzea di bambino) (Co
3.8 – rec, su statuina bronzea di bambino) flereś tec sanśl cver «poni (=
accetta) l'ex voto come dono del padre (del bambino)» (supplica alla divinità
alla quale era stata offerta la statuina) (TLE 624).
TENINE significato probabile «esercizio,
svolgimento, servizio» (è il soggetto del verbo TECE e dell'intera frase) (DETR 399).
TUTHINEŚ «della tutela,
della protezione, del patrocinio» (significato
compatibile col contesto), genitivo di TUTHINA (REE 55,128; ThLE²
399) «tutela, protezione, patrocinio», da confrontare coi lat. tutela, tueri, che sono di
origine incerta e pertanto potrebbero derivare proprio dall’etrusco (DELL, DELI,
DICLE).
ΧISVLICŚ (ΧISVLI-CŚ) «(del) comunitario, generale,
pubblico», aggettivo in genitivo articolato, da derivare da χiś «di ogni, di tutto»
(significato compatibile col contesto) (LEGL
90; TCL 84; DETR 439).
Probabilmente
il personaggio raffigurato nella statua aveva esercitato il suo patrocinio a
favore di una comunità cittadina – nella zona di Perugia o, più probabilmente,
del Trasimeno - e questa lo ha ricompensato con la grande statua di bronzo.
La
statua, a grandezza naturale, rappresenta un uomo maturo, con i capelli
pettinati a ciocche, vestito di una corta toga e di una tunica bordata da una
stretta banda. Il personaggio indossa dei calzari. Il suo rango è dimostrato
dall'anello che porta alla mano sinistra.
Sul
bordo della toga si trova l'iscrizione incisa su tre righe. La grafia è ben
curata. Il tipo di alfabeto adoperato è quello presente in epoca tardo-etrusca,
nell'area di Chiusi e Cortona.
Sia
la denominazione sia l’abbigliamento rendono molto probabile che in realtà si
trattasse di un cittadino romano, che si era assunto il compito di fare da
patrono, nelle alte sfere di Roma, di una comunità cittadina etrusca, la quale
lo aveva ricompensato con la splendida statua di bronzo.
Si
nota abbastanza facilmente che l’iscrizione ha uno stile ricercato e pure
alquanto ampolloso.
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