giovedì 19 giugno 2014

Il ballo tradizionale in Sardegna

Il ballo tradizionale in Sardegna
di Cristiano Cani

Il ballo è forse uno degli elementi che accomunano le culture di tutto il mondo. Ancora oggi possiamo vedere, nelle tribù amazzoniche, africane o della Nuova Guinea, danze scandire i momenti più importanti della vita.  La nascita, il passaggio dall’adolescenza alla vita adulta, le unioni matrimoniali, la morte e tutti gli eventi religiosi e propiziatori sono regolati dal ballo.
La Sardegna si inserisce di diritto in questo contesto, potendo reclamare ancora oggi un posto predominante nelle tradizioni popolari mondiali: il canto a tenore è già parte del patrimonio immateriale dell’umanità dell’UNESCO, così come potrebbero entrare a breve le launeddas, uno degli strumenti musicali più antichi documentati (ricordiamo il bronzetto nuragico itifallico di Ittiri).  Abbiamo parlato di canto e di strumenti musicali, non possiamo quindi escludere il ballo, che con essi crea un legame indissolubile.
Le fonti storiche
Il primo documento si trova a Sassari, nel Museo Sanna, nella sala dedicata all’altare di Monte d’Accoddi.  In una vetrina riguardante i villaggi presenti nell’area del santuario nel periodo della cultura di Ozieri (3200 – 2700 a.C.), è esposto una scodella carenata frammentata, decorata  con una scena di danza, dove delle figure stilizzate a clessidra (se ne individuano 4) si tengono per le mani (a formare una sorta di cerchio).
Abbiamo già parlato del bronzetto del Suonatore itifallico di Ittiri, che testimonia, assieme ad altri bronzetti nuragici, come il suonatore di corno proveniente da Genoni , la presenza della musica e quindi, facendo un logico collegamento, al ballo.
Da Tharros, invece, proviene una colonnina rappresentante una scena di danza  con persone, una delle quali con la testa di bovino (probabilmente una maschera, o raffigurazione di qualche entità divina),  da notare come la figura del toro ha segnato costantemente la cultura sarda, come le sue raffigurazioni all’interno delle domus de janas, nella forma delle tombe dei giganti (a protome bovina), nei bronzetti nuragici, fino ad arrivare a noi attraverso le maschere di Carnevale di Ottana (i Boes, assieme ai Merdules) e di molti centri isolani. Ancora oggi i bovini sono utilizzati nelle feste religiose, in particolar modo nelle processioni, dove vengono utilizzati per trainare il carro del santo, determinando ancora oggi un elemento fondamentale della vita religiosa isolana.
Una lapide bizantina del X secolo d.C., trovata nell’entroterra di Sant’Antioco, raffigura un suonatore con uno strumento a fiato (probabilmente un bicorno, o Is benas)
Saltiamo qualche secolo e arriviamo a Zuri, attuale frazione di Ghilarza, dove esiste uno dei tanti gioielli dell’architettura romanica della Sardegna, la Chiesa di San Pietro, salvata dalle acque del lago Omodeo durante la costruzione della diga sul Tirso, smontata e rimontata pietra per pietra su
un’altura attraverso un pregevole processo di anastilosi. Questo edificio (datato 1293 ad  opera del Maestro Anselmo da Como, suo architetto, attraverso una lapide presente in facciata),  All’esterno presenta una mensola sul lato destro, vicino alla zona absidale,  decorata con una scena di ballo, con persone che danzano tenute per mano, quello che tutti definiscono come “la prima testimonianza del ballu tundu”.
La chiesa parrocchiale di Santa Chiara, a Cossoine, edificata nel XVI secolo e poi ampliata nel XVIII, presenta al suo interno un capitello decorato con un suonatore di uno strumento a corde (probabilmente una mandola o un liuto) affiancato ai lati da due danzatori.
La chiesa di San Bachisio a Bolotana, di origine medioevale ma rimaneggiata in epoca aragonese nel 1598, presenta delle formelle decorate con suonatori (tamburi e strumenti a fiato) e danzatori.
Un testo di Antonio Lo Frasso (Alghero 1520 - Cagliari nel 1595) presenta un disegno raffigurante dei danzatori che ballano in cerchio attorno ad un albero, sopra il quale stanno 2 suonatori.
Dal 1700 in poi vi sono numerosissime testimonianze, dovute prevalentemente a documenti di cause giudiziarie, dove si descrive il “ballo tondo”, al quale si affiancano le descrizioni dei tanti viaggiatori stranieri che intraprendono quello che era il famoso “Grand Tour” dell’epoca romantica, trasposto però nell’Isola. Fra i diversi viaggiatori, Joseph Fuos è il primo a dare origine, con la sua opera ''Nachrichten aus Sardinien'' (pubblicata in tedesco nel 1780), al mito dell'isola di Sardegna, seguito poi dal più famoso Alberto della Marmora (''Voyage en Sardaigne'', del 1826), dal francese Pasquine Antoine-Claude, alias Valery (''Voyage en Corse, à l'Ile d'Elbe et in Sardaigne'', del 1835), dall'inglese John Warre Tyndale ("The Island of Sardinia'', del 1849), da Antonio Bresciani (''Dei costumi dell'isola di Sardegna", del 1850). 
Come esempio di queste descrizioni, prendiamo quello del Valery, che scrive sui balli di Pirri e Macomer:
“ Pirri, un bel villaggio ben costruito, con 1.259 abitanti, è citato per il suo vino e i bei costumi delle contadine. Ci sono andato per vedere danzare il famoso ballo tondo, il ballo nazionale, voluttuoso per il modo di unirsi e soprattutto di stringersi la mano, poiché la dama posa il braccio sul braccio destro del cavaliere, tenendosi a lui. Questo forte, questo caloroso modo di prendersi per mano non assomiglia minimamente a quello fatuo dei nostri balli; qui, l’indiscreto che osasse inserirsi e interrompere la stretta, farebbe al Sardo un affronto punito con la morte. A questi meandri numerosi, serrati, lascivi, si unisce spesso un suonatore di launeddas, orchestra ambulante, che molto spesso è cieco. Questa danza non è riservata solo ai giovani, perché anche a un vecchio pastore può capitare di rinunciare a mangiare e a dormire per saltare nel ballo tondo. La musica cadenzata, i suoni vibranti della launedda, aumentano l’eccitazione dei sensi e producono un effetto veramente magico su chi danza. Ho visto un austero e dotto personaggio fare dei balzi quasi, ai preludi di quest’aria travolgente. 
 Il ballo tondo ha anche le sue difficoltà, insormontabili per gli stranieri; mi han raccontato di bravi ballerini del continente che non sono mai riusciti a impararlo .Al brillante ballo tondo di Pirri partecipavano danzatori di tutte le età, compresi i bambini. Andavano perfettamente al passo, ma, forse, con troppa applicazione e serietà. I cavalieri, gran pezzi d’uomini dai capelli neri a treccia, o tenuti in una retina come dalle donne, dimostravano una meravigliosa agilità. Anche loro, come le dame, portavano delle ricche collane. Negli intervalli del ballo un gruppo di contadine allattava imprudentemente (sic) i figli, mentre lì vicino i borsacchini, boxeurs a calci, si dedicavano ai loro stupidi giochi. Gli occhi delle donne, neri, vellutati, erano superbi; i piccoli piedi delle ragazze, che per tutta la settimana camminano scalze, mantengono la loro forma naturale e sono graziosissimi. Una donna di grande talento, autrice dei romanzi pubblicati con lo pseudonimo di George Sand, scrive da qualche parte: «i piedi piccoli così rari in Italia». Io ho avuto tante di quelle cose da vedere in Italia che il particolare   dei piedi piccoli mi è sfuggito un po’, e non oso contrastare l’opinione di questa signora; è un’opinione che ho udito vivacemente contraddire in Toscana e del resto io posso assicurare che essi sono numerosissimi in Sardegna, anche tra le contadine che, quasi dappertutto altrove, li hanno orribili. 
Ho assistito a molti altri balli tondi, ma ce n’è uno che quello più classico di Pirri non mi ha fatto dimenticare; è quello di Macomer, la domenica, danzato con accompagnamento di voci, e più allegro, più animato. Gli uomini e soprattutto le donne che ballavano non erano così ben vestiti, ma è impossibile agitarsi di più ed essere più di buon umore di questa povera gente. Il ballo e il canto sembrano i principali bisogni del popolo sardo sempre in festa. Il ballo tondo, dove cominciano e qualche volta finiscono i progetti di matrimonio, è allo stesso tempo un esercizio molto salutare, approvato dai medici e del tutto adatto al clima.”
Gli Strumenti del Ballo: Il Canto e la Musica
Abbiamo già trattato, nelle fonti, di alcuni strumenti (corno, Launeddas, Benas, tamburi, strumenti a corda). Sicuramente le Launeddas erano, fino alla fine del 1800, lo strumento principe e più diffuso nell’Isola. Ancora oggi le troviamo in tutto il Campidano, nel Sulcis-Iglesiente, nel Sarrabus e nella bassa Ogliastra, oltre ad alcune enclavi, come ad Ovodda, dove vengono chiamate “Bidulas”, e con e varie tipologie e tonalita (decine e decine di varianti) determinano i vari tipi di suonata, citiamo ad esempio: Punt’e Organo, Fiuda, Fiorassiu, Mediana, Mediana pipia ecc ecc…
L’unione di due o più launeddas determinano “Su Cunzertu”. Altri strumenti, usati meno frequentemente (se non in casi particolari e in determinati paesi), sono: serraggia, sulittu, pipaiolu, tumbarinu, trunfa, canna isperrada, triangulu, tamburellu, tumbarineddu, trimpanu, flautu ‘e canna, sonette a bucca, ghitarra….
Per il canto invece, la fa da padrone il “Tenore”, composto da quattro voci (Voche, Mesu Voche, Contra e Bassu) che scandiscono i balli (a sa seria, a sa lestra, a boch’e ballu) in particolar modo nella zona centrale dell’Isola. Altra forma di canto è quella con la voce solista (A boche sola).
A queste due tipologie prevalenti di accompagnamento al ballo si affiancano, alla fine del 1800, l’organetto diatonico e la fisarmonica cromatica.
L'organetto nasce nella prima metà dell'Ottocento attraverso vari esperimenti di Buschmann a Berlino, Demian a Vienna e Wheatstone a Londra. In Italia viene prodotto a livello industriale dal 1863 da Paolo Soprani  (nel 1876 da Mariano Dallapè) e negli anni successivi arriva in Sardegna. Nel trentennio 1870-1900 si diffonde in tutte le zone dell'isola, entra velocemente nella musica sarda diventandone uno dei protagonisti, creando una rivoluzione nel repertorio e nel modo di fare musica (una prima attestazione dello stumento si riscontra a Padria nel 1893).
Poco più avanti è il turno della Fisarmonica cromatica, che si afferma nel 1920 - 40 sull’organetto  nelle zone di influenza delle Launeddas (specie nel Sud Sardegna), perché rispetto al primo riesce meglio a sostituire musicalmente l’antico strumento a fiato.
Prima dell’arrivo di questi due strumenti, ormai diventati sardi d’adozione, il ballo era sicuramente scandito da musiche  molto simili tra loro, se non per 3-4 varianti o poco più. Con la loro diffusione arriva anche la personalizzazione della musica, che si manifesta, oggi, in una moltitudine di musiche differenti tra loro (seppur riconoscibili nella loro origine), che a loro volta hanno determinato un’altrettanta moltitudine di balli, che vengono eseguiti prevalentemente dalle associazioni folk presenti in gran numero.  L’appropriazione dello strumento da parte dei suonatori isolani fa si che si possa parlare a buon diritto di “organetto sardo”, in quanto gli stili ed il repertorio, quasi esclusivo della danza, sono fondamentali per la sua identità e contrassegnano le tecniche esecutive  al punto da rendere riconoscibile  un organettista della Sardegna anche da un film muto che ne mostrasse soltanto i movimenti.
Alcune curiosità: Soprattutto in Campidano, quando mancava il suonatore per poter effettuare “Su Ballu ‘e Missa” (il ballo dopo la funzione religiosa, la domenica), si usava ballare a suon di musica delle campane della chiesa, al ritmo de “S’Arrepiccu” (Lo scampanìo ritmato). In altre località del Centro Sardegna, come ad Ottana e Ghilarza, si usa ancora oggi ballare al ritmo de “S’affuente” (piatto concavo in rame od ottone usato per le offerte o per raccogliere i chiodi della crocifissione durante il rito de “Su Scravamentu” della Settimana Santa), raschiato ritmicamente con una chiave in ferro.
Il Ballo
Il ballo in Sardegna è una delle espressioni più importanti e ricche di significato della tradizione popolare:  era legato alle “occasioni” che, anticamente, non erano considerate esclusivamente un momento di espressione ludica e divertimento, ma ricopriva un’importante funzione sociale di aggregazione. Era uno dei pochi momenti in cui un uomo poteva incontrare una donna e familiarizzare. Attraverso esso si scandivano i momenti di vita della comunità: nascite, matrimoni, il Santo Patrono, le feste campestri, il carnevale, si ballava alla fine della messa, dopo un buon raccolto, la macellazione di un animale o una fruttuosa annata.
In molte parti della Sardegna, soprattutto nel Sud, vigeva “Sa Tzerachia”, in pratica si pagava un suonatore per un determinato arco temporale (solitamente un anno) e costui doveva suonare per tutte le occasioni particolari e per le feste comandate in esclusiva per il gruppo che lo “assoldava”.
Scrive il Lamarmora, riferendosi al ballo campidanese: “Niente eguaglia la gravità con cui i sardi meridionali fanno questo ballo, si direbbe spesso che non ci prendono gusto alcuno, invece è il contrario perché in tutti i villaggi del campidano di Cagliari i giovani si quotavano per pagare un suonatore della domenica”.
Il ballo apparteneva alla collettività e veniva permesso l’accesso a tutti, non esisteva un pubblico che osservava un artista da scena come accade oggi nei gruppi folk, ma erano tutti partecipi e tutti protagonisti, a prescindere dalla qualità tecnica dell’esecuzione coreutica. Esisteva un legame tra suonatore e ballerini: quando questi dimostravano di gradire la suonata lo facevano attraverso la danza, che il suonatore percepiva, e a sua volta si impegnava maggiormente nell’esecuzione musicale. Anche qui la situazione è cambiata: i gruppi folk decidono quanto e come ballare indicando al suonatore quando deve “fiorire” la musica, secondo le esclusive esigenze dei ballerini, relegando il suonatore ad un lato del palco, mentre in passato era al centro della piazza, dentro il cerchio del ballo. Viene così a mancare quel feeling che si creava durante le manifestazioni in piazza. Fortunatamente esistono ancora molti paesi in cui si pratica il ballo tradizionale in piazza, e ultimamente molti centri che avevano perso da decenni questa usanza si stanno impegnando per riproporla, in alcuni casi attraverso le amministrazioni comunali, in altri grazie alle associazioni folkloriche “consapevoli” del loro ruolo sociale, e in altri ancora grazie alla buona volontà di gruppi spontanei o singoli appassionati.
Nel ballo non vi erano delle regole nel posizionarsi a ballare, una di questa era l'accoppiamento uomo - donna /uomo - donna (come vediamo oggi nei gruppi folcloristici) , ma era una libera scelta di ballare o di accoppiarsi uomini insieme o donne insieme, anche in gruppi. Esistevano però delle regole “non scritte”:
Scrive il Lamarmora: “La maniera di tenersi per mano, uomini e donne, era di un importanza tale che una semplice trasgressione delle regole stabilite e stata spesso di cause delle contese rissose. Una di queste regole era in una persona sposata o fidanzata potevano mettere le mani palma contro palma ed intrecciare le dita; ma guai che cosi facesse se con una ragazza che non fosse disposto a sposare o colla donna d’un altro”.
In un manoscritto anonimo del ‘700 si legge:  “ogni uomo conduce per mano a questo ballo la donna che invita. La destra della donna benchè stretta dalla sinistra di un altro uomo trovasi sempre in libertà:  la privilegiata è la sinistra, ed è quindi legata per tutta l’ora del ballo alla destra dell’uomo che l’ha condotta. E’ legge dunque di questo ballo, che chiunque voglia entrare in esso, dopo essere stato ordinato e messo in moto, abbia a dirigersi verso la destra d’una donna, non vada mai ad afferrar la sinistra, slacciandola dalla destra dell’uomo, che le sta al fianco, ed è quello che invitolla per primo”
Questo valeva nella maggior parte dei paesi, ma anche qui esistono molte differenze in merito. Nel cerchio si poteva entrare solo in determinati modi, così una donna o un uomo non poteva mai dividere una coppia, se l’uomo doveva entrare durante il ballo già iniziato doveva andare a posizionarsi sempre a destra della donna, al contrario la donna alla sinistra dell’uomo. Altro elemento caratterizzante del ballo tradizionale sardo è la compostezza del corpo, solo le gambe e i piedi si muovono, più o meno a seconda del tipo di musica, ma sempre eleganti, mai scomposti. Il passo veniva elaborato dagli uomini, che interpretavano la suonata dando una personalizzazione che permetteva agli “osservatori” di apprezzarne le gesta. La donna invece rimaneva nella sua compostezza, senza fare grandi elaborazioni, vuoi perché “sconvenienti”, vuoi perché la lunga gonna impediva di vederle.
Un esempio particolare è quello della “Sciampitta” del ballo campidanese, derivante probabilmente dalla “Lotta coi piedi”; così scrive in una nota alla Carta de Logu, nel 1805, Giovanni Maria Mameli: “Un altro esercizio degno di nota e senza dubbio originale è la lotta con i piedi. E’ in uso fra i contadini della Sardegna meridionale, in particolare nei paesi di Quartu e Selargius. Calzati dei loro burzighinos di cuoio [ma spesso hanno solo sa carza di orbace], i due lottatori si appoggiano colle braccia sugli omeri di due altri giovani per ciascuno, i quali fan da padrini, [non sempre si appoggiano sulle spalle dei loro padrini, ma a volte questi ultimi sostengono i lottatori intrecciando le braccia e le dita con loro…], ed elevando uno dei piedi incominciano a vibrar de’ colpi all’aria, e quindi si battono… finchè o per stanchezza o per dolore di qualche colpo ricevuto, uno di loro si da per vinto… “

Quando si parla di balli popolari, in Sardegna come altrove, sorgono spesso problemi di nomenclatura. Non sempre infatti i diversi balli, o le diverse tipologie, vengono chiamati allo stesso modo, con lo stesso nome si possono chiamare, naturalmente in paesi o zone diverse, tipi di ballo diversissimi. Ad esempio nel Goceano, a Burgos, chiamano “Passu torrau” un ballo uguale a “Su Ballittu”, o più noto in Barbagia come “Ballu Tundu” o “Ballu Lestru”, lo stesso ballo nel Meilogu viene chiamato ”Ballu a Passu” o “Su Passu”, mentre in Campidano “Ballu Gabillu”.
Altro esempio è il ballo che ad Irgoli viene chiamato “Ballu Brincu”, mentre a Galtellì la stessa tipologia di ballo si chiama “Ballu a Tres Passos”, che a sua volta a Dorgali è un’altra tipologia, più similare al precedente “Ballittu”. Nei balli campidanesi “Passu Torrau” viene chiamato anche per una variante del passo (sa torrada de su passu) in una specifica nodas musicale. In effetti il ballo campidanese è una tipologia a sé stante, molto particolare, visto che la suonata comporta diverse variazioni del passo all’interno del medesimo ballo: oltre al “Passu Torrau” abbiamo “S’Appuntau”, “Su Passu e Tresi”, “Su Passu a Dusu”, “ Is Furias” determinati dai passaggi (pikkiadas) delle Launeddas. Per queste ragione bisogna sempre stare attenti al luogo di provenienza del ballo.
Schematizzando, i tratti distintivi del ballo sardo sono:
• impianto coreografico basilare: predominio del ballo tondo (oggi un po’ in declino dovuto alla “spettacolarizzazione” sul palco dei gruppi folk);
• vettore direzionale spaziale: rotazione in senso solare del cerchio;
• prossemica: connessione obbligatoria con con presa per mano (ed eventuale intreccio di braccia) tra i balladores;
• postura dominante: corpo eretto con scarsa mobilità della parte superiore ed estrema vivacità degli arti inferiori;
• rapporto musica-danza: stretta corrispondenza fra metrica coreutica e metrica musicale (ogni motivo coreutico corrisponde alla pikkiada musicale);
• metrica coreutica: struttura modulare codificata e possibilità di microvariazioni individuali;
• somatizzazione ritmica: frammentazione delle cadenze ritmiche e conseguente tremolio sussultorio (che dà anima al ballo)
• alta specializzazione tecnica di suonatori e ballerini, con tendenza a personalizzare e stilizzare il repertorio di appartenenza.

Dal punto di vista strutturale la maggior parte dei balli sardi tradizionali appartiene a due principali famiglie:
Danze mono-strutturate:
• prevedono un andamento ritmico e cinesico omogeneo e iterativo; sono quelle eseguite in genere sulle launeddas, sul canto monodico o sul canto polifonico dei tenores senza cambio di tonalità o di parti melodiche diverse formalizzate. Ne fanno parte: passu, ballu seriu, passu torrau, ballu tzoppu, bicchirina ecc..

Danze bi-strutturate
• Sono quelle formate da una parte lenta e posata (sa seria o su passu) e una parte più vivace e articolata (detta secondo le zone: sa lestra, brincada, puntada, sciampitta, trincada, ecc.). Questa seconda parte viene stimolata dall’esecuzione musicale che usa toni alti, briosità ritmica e abbellimenti melodici; i ballerini evidenziano il cambio immettendo salti, battute di piedi e aumentando la sussultorietà ritmica di tutto il corpo, secondo la regola per cui s’alza il suono e si eleva anche il passo con tutto il corpo. Ne fanno parte sa danza, su ballu brincu o brincadu, su ballu sartiu, su dillu, su bicchiri, sa logudoresa, s’arroxiada, ecc.

•Sotto l’aspetto metrico-modulare i balli sardi si possono suddividere in tre grandi gruppi:
a modulo ternario composto
a modulo ternario semplice
a modulo binario
Non stiamo qui a elencare tutti i balli dei vari paesi della Sardegna, sarebbero troppi!

Il ballo sardo oggi – Tra Tradizione,  Folklore e Spettacolo
Come è  stato detto, molti paesi ormai hanno abbandonato il ballo in piazza, demandando ai gruppi folk locali il compito di tramandare ai posteri le antiche tradizioni.  Ma analizziamo il significato del termine Folklore:
L'origine del termine folklore è attribuita allo scrittore e antiquario inglese William Thoms (1803-1900) che, sotto lo pseudonimo di Ambrose Merton, pubblicò nel 1846 una lettera sulla rivista letteraria londineseAthenaeum”, allo scopo di dimostrare la necessità di un vocabolo che potesse ricomprendere tutti gli studi sulle tradizioni popolari inglesi. In pratica, tradotto letteralmente il termine sta ad indicare il “Sapere del Popolo”, inteso come usi e costumi di un determinato territorio.
I primi gruppi folk nascono nella metà degli anni ’50, con l’intento di mostrare le tradizioni dei propri paesi attraverso il ballo e l’abbigliamento tradizionale. Gli si deve dare sicuramente il merito di averlo conservato e tramandato, in gran parte.
La tradizione comprende tutto ciò che una comunità esprime in termini culturali. Quando la comunità accoglie le novità, la tradizione si evolve seguendo il volere del popolo. Se questa si blocca, in quel momento muore e si ferma li. Così nel caso del ballo, quando una comunità non balla più nella piazza, la tradizione si ferma in quell’istante. Compito del gruppo folk/associazione culturale è quello di tramandare la tradizione (leggi il ballo) così come è stata lasciata, senza apportare alcun tipo di modifiche che andrebbero a stravolgere e falsificare quello che era conosciuto dai nostri predecessori.
 Con l’andare degli anni però è avvenuta una trasformazione, cambiando inconsciamente il significato della parola Folk nell’equazione folk = spettacolo: nulla di più sbagliato.  Oggi si vedono gruppi che salgono sui palchi dichiarando di fare il “loro ballo tradizionale” per poi vedere piroette, uomini che lasciano le donne per fare non si sa cosa, balli con cestini in testa, o con grande spiegamento di “mazzoccas” (bastoni di legno) o altri attrezzi, di consegna di fiori, esecuzione di quadriglie, ecc.
Magari sono anche bravi e piacevoli da vedere, ma che senso ha proporre una tradizione “falsata” solo per avere qualche applauso in più da spettatori che non sanno che ciò che guardano è frutto di una finzione? Dove è il rispetto per la vera tradizione? Che senso ha eseguire balli iper-coreografati che nulla hanno in comune con i balli del passato?
Si può comprendere che è quasi impossibile riproporre su un palco un ballo di piazza, quindi è plausibile una sorta di “organizzazione” del ballo, che non ne sminuisca però i contenuti, che abbia rispetto del passato,  e che abbia soprattutto rispetto per coloro che non conoscono le tradizioni e vedono sul palco quell’esibizione così “particolare”.
Scrive Clara Gallini, nella nota “Qualche riflessione sulla rinascita del folklore”: se recupero di memoria deve essere, che lo si faccia seriamente e con impegno, rivivendo, se si vuole, tali memorie, ma dopo averle ritrovate senza falsificazioni, ed anche trasformandole, facendone materia viva per un presente che deve essere diverso. Ma senso e prospettiva che da un “capire” passi a “trasformare” sono frutto di un lavoro sociale e culturale, che si deve proporre assieme al problema fondamentale, che è quello della gestione democratica dei beni culturali. Senza tale gestione, si arriva all’imbroglio di massa."
Oggi esistono Associazioni culturali e gruppi folk che fanno le cose seriamente, che si applicano nel divulgare le vecchie tradizioni, che si impegnano attraverso l’organizzazione di conferenze e convegni sull’abbigliamento tradizionale, sugli usi e costumi del proprio territorio di appartenenza, fieri di rappresentare la loro comunità, evitando manipolazioni per avere qualche applauso in più, ma spiegando prima di ogni esibizione ciò che stanno per fare, educando (dopo oltre 40 anni di folklore “poco attento”) il pubblico a ciò che andrà a vedere di li a breve. Dovrebbero essere l’esempio da seguire per tutti gli altri gruppi folk.
Le immagini dell’articolo:
Il bronzetto itifallico che suona le launeddas - da Ittireddu - Museo Archeologico Cagliari
Scodella carenata con raffigurazione di danza, Cultura di Ozieri,  Museo Nazionale Sanna – Sassari
Mensola della Chiesa di San Pietro di Zuri, con raffigurazione scolpita di un ballo
Capitello della Parrocchiale di Santa Chiara a Cossoine, raffigurante un suonatore e due figure di danzatori
Particolare del dipinto di G. Marghinotti “Festa Campestre” , raffigurante il ballo tondo (presumibilmente la festa di San Lussorio a Selargius)
Particolare di un’incisione di L. Cominotti “Festa in una chiesa campestre, presso Cagliari” raffigurante la “lotta coi piedi”
Ballo in piazza ad Atzara, in occasione della Sagra del Vino
Ballo in piazza a Busachi (Riproposizione del ballo dopo un matrimonio tradizionale, durante la Sagra de Su Succu)
Ballo folkloristico di un gruppo folk di Quartu (Froris de beranu)

Per vedere i vari balli della Sardegna:
https://www.youtube.com/channel/UCXTaLF6wcfnlfABqns5-fug
Bibliografia:
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Periodici, discografia e materiali di documentazione
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Choreola (Rivista di danza popolare italiana), Taranta, Firenze 1991-1999.
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Ethnica, collana discografica di danza popolare italiana (a cura di G. M. Gala), Taranta, Firenze 1991-2001.
Albatros, collana discografica di musica popolare (a cura di R. Leydi), Milano, Sciascia Ed. 1973-1991.
Suoni, collana discografica di musica popolare (a cura di D. Carpitella), Roma, Fonit Cetra 1981-1985.
Sardegna Canta e Oltre – Tradizione e innovazione, collana di CD della “Biblioteca dell’Identità” edita dall’Unione Sarda, prod. Artistica: Palmas Mauro

Il meglio di Sardegna Canta – 25 anni di storia della musica popolare sarda, collana di CD/DVD della “Biblioteca dell’Identità” edita dall’Unione Sarda, a cura di Nieddu Ottavio e Pintore Ambra,

5 commenti:

  1. Mario Galasso scrive:
    Il lavoro di breve sintesi di Cristiano Cani attesta l'interesse dell'autore al tema, ma occorre fare dei piccoli appunti: anzitutto non è una ricerca, quello che è scritto è già superato dalla situazione e gli indirizzi bibliografici che lui da lo attestano.

    Circa il "pregevole processo di anastilosi " della chiesa di S.Pietro di Zuri devo contestare la parola pregevole, in quanto le pietre furono rimontate spesso a caso, e ne fanno fede i nimbi e le teste graffite che si vedono sia dentro che fuori la chiesa, mancanti del corpo che è sparito in qualche altra parte nel rimontaggio. Circa la scena di Ballo sulla mensola destra in fondo, l'autore dovrebbe interpellare Demartis che ha fatto un ottimo lavoro di indagine sul significato della scena (che probabilmente non è un ballo), e così via.

    Circa Choreola, la (questa si) pregevole pubblicazione a cura di Pino Gala, i numeri 17/18 e 19/20 sono fondamentali per l'inquadramento correttio del ballo sardo: il primo doppio volume (276 pagine), Le fonti del ballo sardo, a cura della Carta Mantiglia e di suo marito Antonio Tavera (ed anzi, lui il vero ispiratore dei testi) riporta come il secondo gli atti del convegno nazionale di studi di Sorgono (NU) del 27/7/1997; il secondo libro (190 pagine), Forme e contesti del ballo sardo a cura di Pino Gala e vari altri autori fra cui Tavera, Cartamantiglia, l'etnomusicologo Pietro Clemente, Marcello e Marinella Marras, e poi Corimbi, Pisanu, Monticelli:
    I contenuti di questi due volumi doppi sono stati parzialmente pubblicati sui quaderni della Taranta 6 e 9.

    Infine, non occorre sempre citare la Clara Gallini, pur sempre valida per quanto riguarda la documentazione esistente ai suoi tempi, ma occorre invece guardare al presente di cui l'autore non parla, alla trasformazione del ballo e dello spettacolo al tempo della crisi: caduta verticale delle esibizioni dei gruppi folk in costume davanti a gente compostamente seduta ed assente al ballo "ballato" sul palco, in favore di ascesa del ritorno del ballo spontaneo in piazza a fronte di musicisti che sul palco cotstano molto meno di un gruppo; questi si fanno eventualmente accompagnare da una max 2 coppie in costume, ed in questi casi il musicista è funzione del ballo, non della sua musica che deve essere sempre identica, non si inventa e non si sgarra di una nota per non creare confusione nei ballerini.
    Fortunatamente questo è un momento di passaggio ed il musicista ormai viene chiamato senza coppie in costume (e se ci sono sono nella piazza e non sul palco) e quindi dà libero sfogo al suo estro, e la gente che liberamente si aggrega in piazza non più spettatrice ma partecipe fa rivivere il "vero" ballo sardo "a sa foggia moderna" e lestra.

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  2. Signor Galasso,
    il ballo è spontaneo quando è "spontanea" la piazza che lo richiede. Bisogna distinguere il ballo "folkloristico" sul palco da quello in piazza dove possono esibirsi tutti dai più anziani ai più giovani e nello schema più nobile e spontaneo del ballo.
    Tutte le varie feste dell'organetto nate dopo quella di Irgoli di Totore Chessa, sono cresciute con la figura del suonatore e delle poche coppie che lo accompagnano e non è legato alla fase evolutiva, ma bensì a mio avviso ad una fase distruttiva del ballo perchè ci sono balli che necessariamente sono ballati in cerchio (nel rispetto della tradizione e delle "scarse"coreografie) e non possono essere ridotti a due semplici coppie. Cristiano Cani complimenti per il lavoro.

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  3. Buongiorno, ho letto con attenzione questo nel resoconto sulla nostra storia intrinseca da sempre dai canti e dai balli tradizionali che ci distinguono per specificità da altre realtà nazionali. Bel racconto davvero, rispecchia ciò che abbiamo trovato nella biblioteca dell'Università di Cagliari e non solo durante la ricostruzione storica degli abiti risalenti al 1800 da noi realizzati. Concordo per il ballo, era un momento di sobrietà con la quale si poteva venire a contatto con una donna e dalla quale poteva poi scaturire l'unione. E si; erano proprio altri tempi. (Y)

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  4. Mario Galasso scrive:
    Come assiduo frequentatore di occasioni coreutiche e musicali sarde e come ormai vecchio studioso di etnomusicologia ed etnografia (ma non antropologia, solo dilettante e poi non sono un tuttologo) mi tocca ribadire che siamo in una fase di cambiamento nella coreutica e nella manifestazione di piazza sia del ballo tradizionale che della musica cosiddetta popolare sarda. Che sia una fase evolutiva o involutiva è troppo presto per esprimere giudizi, che ovviamente possono essere dati solo a posteriori quando le situazioni sono ormai sedimentate e stabilizzate.

    Certo è che nel campo del ballo qualcosa è cambiata nel senso che la crisi ha inciso pesantemente nei bilanci dei comuni e delle associazioni, che non si possono più permettere da anni quei raduni faraonici di molti gruppo folk (non a caso uso questo termine) in costume. In Sardegna si usa a sproposito il termine folk al posto di popolare, e si usa anche per tutta una sere di cose che di popolare hanno poco se lo si vuole riferire all'etnografia; popolare come il calcio, come il cellulare, come tutto ciò che riguarda il consumo di massa, ma non etnografico.

    Così nei decenni passati abbiamo visto gruppi "folk" composti da coppie di ballerini in divisa, con costumi tutti uguali, che solo grazie alla meritoria opera di studiosi come Demartis nel nord Sardegna si sono resi conto (da pochi anni, diciamo nel decennio trascorso, chi più e chi meno) che questa non era e non poteva essere la riproduzione della realtà sarda di un tempo quando donne e uomini avevano (di più le donne) una certa libertà di vestire come colori e tessuti, pur sempre nell'ambito di una stretta osservanza alla tradizione locale anzi, localissima. A parte il fatto della tentata riproduzione di una ipotetica realtà che si richiama ad una "età dell'oro" quando la gente ballava nelle piazze e in ogni possibile occasione.

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  5. Mario Galasso scrive:
    Un tempo, e le foto lo documentano, il ballu tundu (su ballu seriu per eccellenza) si ballava col musicista al centro del cerchio di ballerini, seduto se suonava organetto o fisarmonica, in piedi se con le launeddas. Il musicista era al centro dell'attenzione di tutti, che si ingegnavano di seguirne la musica e le variazioni melodiche.

    Oggi ancora sui palchi il musicista è seduto, ma di lato, il centro dell'attenzione è la fila di ballerini che non guardano più chisuona, che peraltro deve tassativamente rifare fino all'esasperazione sempre le stesse note spettacolo dopo spettacolo per non mandare fuori passo i danzatori. Non a caso uso la parola spettacolo: prima non era spettacolo per pubblico seduto, era danza, puro divertimento di una comunità.

    La crisi ha rotto il giocattolo costruito da chi in perfetta buona fede credeva di far bene ad interpretare in tal modo la tradizione, e si è ritornati "anche" ai raduni massicci di suonatori di organetto, 50 e passa ad Austis 3 anni fa, e c'ero anche io a suonare, ma alle 2 di notte per 5 minuti, come tutti, per dare spazio a tutti. Vista la impossibilità di dare spazi ragionevoli, l'ondata di riflusso si è calmata un pò.Dò merito all'amico Totore Chessa di aver iniziato con Irgoli tanti anni fa, ed io frequentai i primi bei raduni di suonatori di organetto, con grandi balli tondi corali che ricordo con piacere, e proprio questi raduni hanno incentivato la gente a togliere le sedie per ballare sotto l'onnipresente palco.

    La cosa è in continuo cambiamento. E' questa la Sardegna? si, è questa, ogni antropologo come Mario Atzori, ormai in pensione ma sempre attivo, sa bene che il cambiamento è una cosa inarrestabile, sintomo di vitalità. Si può essere favorevoli o contrari ai modelli coreutici di cui ho scritto sopra, l'importante è però essere partecipativi, attori della situazione, non solo spettatori, il gusto ci guadagna molto.

    Per finire, seguendo l'antico esempio di Malinowski alle Trobriand (mi scuso con chi non sa chi sia ma sul web può aggiornarsi) io frequento da musicista e da ballerino questi raduni, le sagre, le occasioni sia di ballo che di musica sarda, sono stato per un decennio con il gruppo folk di Nostra Signora di Talia ad Olmedo, e sono musicista di organetti e fisarmoniche oltre che di altri strumenti , e sono responsabile scientifico del Centro di Studi e Ricerche di Ottana che studia l'uso dell'affuente nella zona, e del relativo ballo. Su FB mando avanti i gruppo Conoscere l'organetto e Sa trunfa che vi invito a visionare.

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