I toponimi del Mediterraneo nel “Compasso da Navigare”.
di Bianca Fadda, Università di Cagliari.
Nel 1947 Bachisio Raimondo MOTZO
pubblicava il testo di un Portolano medievale custodito presso la Biblioteca
dello Stato Prussiano di Berlino, il codice Hamilton 396; un testo anonimo, datato 1296, intitolato Compasso da Navegare. Si tratta del più antico portolano relativo alla
totalità del Mediterraneo che sino ad oggi sia stato rinvenuto. È un'opera
italiana scritta in volgare, che non si può però definire toscano, genovese o
veneziano, essendo frequenti i vocaboli catalani, provenzali, arabi e
bizantini. Si potrebbe parlare, come disse il Motzo, di una "lingua
franca" derivante dalla fusione di diversi idiomi e dialetti, che veniva
parlata dai marinai di tutto il mondo latino per intendersi tra loro. Il lavoro del Motzo non si è limitato
alla pubblicazione di tale manoscritto, peraltro preziosissimo per la mole dei
dati contenuti e per la sua originalità, ma è stato accompagnato da una lunga
parte introduttiva nella quale è stata
affrontata la questione relativa all'origine e al!'evoluzione dei portolani e
delle carte nautiche che, nati contemporaneamente,
si completavano a vicenda durante la navigazione. Il Motzo annunciava inoltre
l'intenzione di curare la stampa di altri tre portolani derivanti dal Compasso
e far così un "Corpus" che evidenziasse il contributo
fornito dall'Italia alla Storia della navigazione. Si riferiva, in
particolare, ai codici di Grazia Pauli (fine XIV secolo), di Carlo di
Primerano (metà XV secolo) e di
Giovanni da Uzzano (metà XV secolo),
alcuni esemplari dei quali si trovano custoditi nella Biblioteca Nazionale e in
quella Riccardiana di Firenze e nella Biblioteca Universitaria di Cagliari.
L’avanzare dell'età impedì al Motzo di
portare a compimento il suo progetto, che si interruppe con la trascrizione dei
tre manoscritti.
Il codice Hamilton 396 - II cosiddetto codice Hamilton, è attualmente
custodito nella Biblioteca dello Stato Prussiano di Berlino. Scritto su buona pergamena, misura cm. 21 x 14 e consta di 107 carte. La scrittura è una gotica libraria della fine del XIII
secolo (1).
Riguardo al contenuto, esso si
divide in tre parti. Nella prima sono descritte le coste da capo San Vincenzo
in Portogallo a Gibilterra; seguono le coste della Spagna mediterranea,
Francia, Italia, della penisola Balcanica fino ad Istanbul, dell'Anatolia,
Siria, Palestina e ancora dell'Africa settentrionale fino a Capo Spartel, ed
infine le coste atlantiche del Marocco fino a Saffì. Sono precisate le distanze
tra le diverse località calcolate in
miglia (2),
sempre associate alle direzioni date in base alla rosa dei venti (o
compasso) (3). Si trovano poi informazioni sui fondali marini, le
correnti, le secche, i venti dominanti e sui procedimenti di attracco e sbarco.
La seconda parte ha un doppio oggetto: da un lato raccoglie un gran numero di
traversate o percorsi attraverso il mare aperto (pelei o pileggi) da un punto all'altro generalmente lontani
di coste continentali e insulari, con menzione delle distanze e delle
direzioni; dall'altro descrive il periplo delle grandi isole: le Baleari, la
Sardegna, la Corsica, la Sicilia, le Egadi, le Eolie, Malta, Creta, Milo,
Cipro. La terza parte, contenente la descrizione delle coste del Mar Nero, è sicuramente un'aggiunta successiva
trovandosi dopo l'explicit. Il manoscritto è di
origine italiana. Secondo il Motzo sarebbe stato composto in Toscana, più
precisamente a Pisa. Infatti la descrizione delle coste catalane, di quelle
francesi e provenzali, dell'Italia meridionale e dell'Adriatico è piuttosto sommaria, rispetto a quella delle
coste liguri, toscane, corse e sarde. Ciò porta ad escludere Catalani, Francesi,
Provenzali, ma anche Italiani del meridione e Veneziani. Due lunghi segni di
richiamo al principio della carta 14, descrizione di Porto Pisano, e all'inizio
della carta 15, descrizione di Monte Argentario con porto Ercole e porto Santo
Stefano, che non hanno riscontro nel resto del manoscritto, lo riconnettono con
la Toscana. Con tutta probabilità dovette appartenere ad un navigatore pisano. Il fondo della lingua
del Compasso, pur con
infiltrazioni di altri idiomi e dialetti, è sostanzialmente toscano, non ripulito dall'uso letterario, ma così come era parlato dai
marinai abituati ad andare di porto in porto. Il Compasso non comprendeva in origine la descrizione delle coste
del Mar Nero. Se l'autore fosse stato un genovese non avrebbe di certo omesso
di descriverlo, essendo fortissimi gli interessi genovesi in quel mare.
Il testo si apre con l'indicazione: "In nomine Domini Nostri Iesu Christi, amen.
Incipit Liber Compassuum MCCLXXXXVI. de mense ianuari fuit inceptum opus
istud". Ma si tratta della data della copia; il testo primitivo
del Compasso, secondo il Motzo,
sarebbe stato composto quarant'anni prima, esattamente tra il 1250 e il 1265.
Rispetto all'originale,
il testo presenta tutta una serie di aggiunte minori, di ampliamenti e
rifacimenti, oltre a contenere non pochi errori dovuti alla trascuratezza dei
successivi copisti e all'aver in più la descrizione delle coste del Mar Nero.
Dopo la
distruzione per opera dei Pisani della Villa di Santa Igia nel 1258, la
capitale del Giudicato di Cagliari venne trasferita sul colle che gli stessi
Pisani chiamarono CHASTELLO DI CHASTRO.
Nel codice Hamilton 396 si ha
l’indicazione generica di un castello cui viene attribuito lo stesso nome della
città: castello de CALLARI per
indicare la città. Nel Grazia Pauli ( fine XIV secolo- Biblioteca Nazionale di
Firenze) si riporta il toponimo CHASTELLO DI CHASTRO per indicare la città, il
castello e il porto. Quindi è lecito pensare che l’autore del manoscritto
avesse delle cognizioni precise circa l’evolversi della toponomastica sarda
sotto l’influenza pisana, probabilmente viveva e scriveva a Pisa
note
(1) Trattasi del già citato portolano
pubblicato da B. R. MOTZO sotto il titolo:
Il
Compasso da Navigare, opera italiana detta metà del secolo XIII. in: "Annali
della Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università di Cagliari" (voI.
VIII), 1947. Tutte le notizie qui riportare sono state tratte dall'opera
sopraccitata.
(2) Si tratta di
un'unità di misura non coincidente con quella omonima (miglio romano)
utilizzata dai romani negli "Itineraria Scripta", e pari agli attuali
1480 metri, ma corrispondente a 5/6 (cinque sesti) di esso ossia 1230 metri,
come ha stabilito all'inizio di questo secolo H. WAGNER in Der Ursprung der "Kleinen
Seemàile" auf den mittefafterlichen Seekarten der ltaliener, Goningen,
1900.
(3) I dati di
direzione da imprimere all'imbarcazione, sin dall'inizio di ogni rotta,
vengono sempre forniti in base al sistema della rosa dei venti con l'orizzonte
scisso in 128 direzioni. La necessità di ricorrere a tante direzioni era
imposta dalle molteplici sfaccettature che la provenienza dei venti può
assumere nel regime barico discontinuo e multiforme proprio del Mediterraneo.
Le direzioni delle rotte vengono segnalate tramite otto venti principali:
tramontana, greco, levante, scirocco, mezzogiorno, libeccio, ponente, maestro
più otto venti intermedi…
Questo è
il parere di Charles H. Hapgood – Le mappe delle civiltà perdute – mondo ignoto
2004.
La carta
Pisana. In questo caso il tipico schema portolano fu applicato a una mappa di
qualità estremamente inferiore, per esempio una mappa che potrebbe essere stata
tracciata nel Medioevo o copiata in maniera molto imprecisa da un portolano
preciso. Quest’ultima supposizione è sostenuta dal fatto che il cartografo fece
un pessimo uso dello schema portolano. Questo consisteva in due cerchi, ma il
cartografo li disegnò di diametri diversi e così nemmeno una linea del suo
nuovo schema risulta dritta.
scusi Professore ma....
RispondiEliminaquando disegnarono la Carta Pisana.. tutte quelle linee per indicare le 16, 32, 64, 128 direzioni , dovute alle mutevoli condizioni meteoreologiche, come le decidevano se la BUSSOLA non l'avevano inventata?
RoBer