mercoledì 14 maggio 2014

Schliemann, scopritore della città di Troia, è padre dell'archeologia, o della fantarcheologia?

Schliemann, il padre dell'archeologia, o della fantarcheologia?
di Alberto Majrani


In un precedente intervento http://pierluigimontalbano.blogspot.it/2014/05/iliade-e-odissea-omero-racconto-delle.html?spref=fb abbiamo messo in dubbio la "grecità" dei poemi omerici. Qualcuno a questo punto potrebbe spazientirsi, e domandare: ma Troia, allora?
Heinrich Schliemann ha ben scoperto una città nell’Asia minore! Questo almeno è quanto viene insegnato e creduto vero tutt'ora in molte scuole e università: la bella favola dell'avventuroso pioniere che, rischiando la sua fortuna economica e combattendo contro la sorte avversa e l'ostilità dell'ottuso mondo accademico ottocentesco, riesce, confrontandole con le pagine dell'Iliade, a identificare perfettamente le rovine della città di Priamo presso le coste della Turchia, a recuperarne i favolosi tesori e a guadagnarsi meritatamente la fama imperitura di "padre dell'archeologia".
In realtà l’identificazione del sito turco di Hissarlik con la città dell’assedio ha sempre lasciato perplessi gli studiosi. Illustri archeologi tendono oggi a metterne in rilievo più le differenze che le analogie. Per esempio, gli studi geologici dimostrano che l’ampia pianura alluvionale che si trova alla base della collina su cui sarebbe sorta Troia non esisteva ancora all’epoca del XII a.C., data probabile di quella guerra. Il che significa che non c’era l’ampia spiaggia dove parcheggiare più di mille navi, non c’era la piana dove far correre i carri, e non c’era neanche il campo di battaglia.

Schliemann, inoltre, nell’ansia di cercare i tesori dell’antica Troia, combinò dei disastri notevoli, scoperchiando i vari strati archeologici e danneggiandoli irreparabilmente. Credette di trovare il “tesoro di Priamo” nel secondo strato (risalente ad almeno mille anni prima della presunta data della guerra), identificando in seguito la città dell’assedio con il sesto o il settimo strato (gli strati archeologici sono numerati in ordine progressivo dal più profondo (il più antico), al più superficiale e recente. Inoltre, lo stesso Schliemann era tutt’altro che un personaggio irreprensibile, e la sua autobiografia è ampiamente “romanzata”: parecchi episodi citati sono inventati di sana pianta, come per esempio la storia del suo incontro con il presidente degli Stati Uniti, la presenza a San Francisco durante il famoso incendio della città, la stessa smania di scoprire le vestigia di Troia fin dalla più tenera infanzia, e molto altro ancora. Rimandiamo a questo proposito al documentatissimo saggio di David A. Traill: "Schliemann e la verità perduta di Troia", dove il professore di lettere classiche alla California University mostra dell’archeologo tedesco un ritratto meno lusinghiero di quello divulgato da lui stesso e dai suoi ammiratori. Per fare poi un esempio del suo metodo di lavoro, avendo letto che a Troia c’era una sorgente calda e una fredda, egli pensò bene di misurare la temperatura dell’acqua di tutti i ruscelli della zona: corretta applicazione del metodo scientifico, dovremmo dire, ma visto che la temperatura risultava uguale dappertutto, disse che forse la sorgente calda si era esaurita. Particolarmente gravi sono poi le accuse di aver alterato i risultati dei propri scavi con oggetti trovati altrove, forse comprati o addirittura contraffatti, distorcendo molti dati archeologici e persino falsificando i propri diari per provare certe affermazioni. Si vantava della propria scorrettezza nei confronti degli altri archeologi che dovevano sovraintendere agli scavi, invadendo pesantemente le zone di loro competenza, e contrabbandava illegalmente i pezzi più preziosi, infischiandosene degli accordi sottoscritti con le autorità locali.

Anche nel caso di Micene, Schliemann ha solo scavato in una città che si chiamava così; come molti sanno, la famosa “maschera di Agamennone”, che egli fece credere di avere trovato, non ha in realtà niente a che fare con il celebre comandante degli Achei (anzi, qualcuno pensa addirittura che possa trattarsi di un clamoroso falso). Anche qui le descrizioni omeriche mal si accordano con la Grecia: Micene è “ricca d’oro”, ha “ampie vie”, ma mai una volta che racconti che ha una "porta dei leoni" così caratteristica. Secondo alcuni storici antichi Micene dovrebbe aver preso nome dai funghi (in greco mykes) che colà crescevano: ma chi ha mai visto i funghi in un posto così caldo, arido e sassoso? Da notare che città come Sparta e Micene in Omero sono delle potenze navali, mentre in Grecia si trovano decine di chilometri nell’entroterra. E 30/40 km a quell’epoca non erano certo una passeggiata per chi avesse dovuto portare armi, merci o alimenti, per non parlare di Paride che avrebbe dovuto rapire Elena per farla imbarcare sulla sua nave, assieme a ori e oggetti preziosi (visto che il buon Paride, oltre che la regina, si era pure fregato abilmente il tesoro della corona...).
Traill non sembra però sostanzialmente dubitare della realtà della scoperta delle rovine di Troia, tuttavia molti archeologi la pensano in modo diverso. Per esempio, il prof. Dieter Hertel (che insegna Archeologia Classica all’Università di Colonia e ha scavato nell’area di Hissarlik), nel suo libro Troia (Bologna 2003), dopo aver premesso che «fra i tanti strati che testimoniano le diverse ricostruzioni di Troia dopo ogni distruzione avvenuta nei secoli, le fasi Troia VI (1700-1300 a.C.) e Troia VII (XIII a.C.) non furono il teatro di famose imprese militari», sottolinea che «non è possibile parlare di una spedizione di greci micenei contro la città, fosse essa Troia VI o Troia VIIa [...] Lo studio delle fasi Troia I-VII [...] ci ha rivelato i contorni di una lunga epoca storica, dai caratteri del tutto diversi da quelli del mondo e degli eventi descritti da Omero». Inoltre, «non vi è alcun indizio che consenta di attribuire a una conquista la fine di Troia VI, VIIb1 e VIIb 2 [...] Anche nel caso in cui Troia VIIa sia stata presa con la forza, questo evento non può aver trovato riflesso nella saga greca: nemmeno il minimo indizio depone a favore di tale possibilità». Per di più, aggiunge Hertel, «nei dintorni di Troia non è stato trovato alcun segno di un assedio contemporaneo agli strati di distruzione rinvenuti nello scavo della città, portato da greci micenei o da altre popolazioni; né trincee, né accampamenti fortificati per le navi, né alcunché di simile è stato scoperto nei dintorni della città, sulla costa settentrionale o nella baia di Beşika, nonostante le numerose e alacri ricerche condotte».

Da notare che i turisti in visita agli scavi sono spesso portati a vedere resti come la cosiddetta “tomba di Aiace”, ma tali reperti risalgano all’epoca romana, circa un millennio dopo Omero, e furono costruiti per far contenti i già allora numerosi viaggiatori provenienti da Roma, compresi alcuni imperatori affascinati nello scoprire quelle che Virgilio aveva raccontato essere le “radici” degli antichi romani.
Si aggiunga poi che se si vanno a vedere le descrizioni che Omero fa di Troia, per esempio nei libri XII e XX dell’Iliade, ci si accorge che l’antica città di pietra del sito di Hissarlik, fondata 5000 anni fa sulla costa turca, ha ben poco in comune con quello che sembra un tipico villaggio fortificato dell’Europa nordica. Omero riferisce che le mura del campo degli Achei sono ancor più imponenti di quelle di Troia, ma che vengono in parte abbattute durante un attacco troiano, e poi spazzate via dalla successiva piena del fiume. La stessa Troia verrà poi completamente distrutta da un incendio: il tutto fa arguire che fosse fatta in gran parte di legno. Omero sottolinea che solo le case dei membri della famiglia reale erano di pietra.
Si consideri quanta fatica fece secoli dopo Giulio Cesare per fare capitolare Alesia, la città dei Galli, per rendersi conto di quanto i villaggi del Nord Europa fossero difficili da espugnare, pur essendo protetti solo da robuste palizzate di tronchi, talvolta rinforzate da pietre. Bisogna notare anche che i resti della città gallica non sono ancora stati identificati con certezza, nonostante le intense ricerche e benché la sua esistenza non sia mai stata messa in dubbio: potrebbe essere la stessa cosa successa alla Troia nordica, che sarebbe in ogni caso ben diversa dalle possenti fortezze di pietra immaginate da Schliemann e che siamo abituati a vedere in film e documentari storici. A questo punto si può anche pensare, riprendendo le osservazioni di alcuni storici dell’antica Grecia, che il famoso “Cavallo di Troia” fosse in realtà una specie di “macchina da guerra”, non molto dissimile da quelle architettate da Cesare per conquistare Alesia. C’è anche da considerare la propensione dei popoli nordici a bere e sbronzarsi in modo esagerato, ben testimoniato da tutte le fonti storiche: Troia fu distrutta perché i suoi abitanti, illusi che i nemici se ne fossero andati, non misero nessuno di guardia e si diedero alla pazza gioia tanto da essere tutti ubriachi fradici! L’eroe troiano Enea poi afferma (Iliade XX, 219-240) che la fondazione della sua città risale a meno di sei generazioni prima, cioè a circa 200 anni addietro; quindi se la guerra datasse al 1200 a.C., e la fondazione al 1400, ci sarebbero appena 1600 anni di differenza con la data reale di nascita della città turca, del 3000 a.C. Insomma, nonostante nell’antichità ci fossero continue guerre, e gli incendi negli abitati fossero eventi piuttosto comuni, non si riesce a trovare la cosiddetta “pistola fumante” che riesca a provare una correlazione inequivocabile tra i resti archeologici di Hissarlik e gli eventi della guerra e della distruzione di Troia così accuratamente descritti nei poemi. Non quadrano i tempi e i luoghi. In poche parole, non c’è quello che dovrebbe esserci, e c’è quello che non dovrebbe esserci! Alla fine di questo discorso, dunque, gli archeologi avrebbero tutti i motivi per tirare un bel sospiro di sollievo al pensiero che la gloriosa città cantata da Omero non sia quel cumulo di macerie devastate dal “mitico” Schliemann!
Quindi la Troia della Turchia non è altro che una delle tante città con questo nome, come ce n’è una in Puglia, una in Portogallo, una Troyes in Francia, una Troynovant nell’antica Inghilterra, per non parlare della ventina circa di Troy negli USA. Del resto questo meccanismo di chiamare luoghi diversi con lo stesso nome ha continuato a perpetuarsi dall’antichità fino ai giorni nostri: basti pensare a quanti monti Olimpo ci sono: sette tra Grecia e Turchia, alcuni altri sparsi per il mondo, tra cui uno in America, e uno persino su Marte! Perciò Schliemann non ha scoperto la Troia omerica, ma solo un’importante città dell’antichità che poi è stata chiamata così. Sarebbe ora interessante scoprire quale città fosse, magari è proprio quella che gli Ittiti chiamavano Wilusa (anche se la sua localizzazione geografica sembrerebbe diversa), che è stata in seguito confusa dagli antichi per la sua assonanza con la Ilio omerica. Quella dell’archeologo dilettante tedesco non fu un'impresa particolarmente difficile, in fondo: egli era un ricco mercante, che viaggiava molto ed era appassionato di archeologia, in un’epoca in cui i ricchi viaggiatori erano pochissimi, e gli archeologi ancora meno. Bastava solo chiedere un po’ in giro e lasciare qualche mancia, per scoprire resti interessanti. Bei tempi!
Testo tratto da "Ulisse, Nessuno, Filottete" di Alberto Majrani

Nelle immagini (dell’autore):
La cosiddetta Maschera di Agamennone
Gli scavi di “Troia”- Hissarlik, in Turchia
Villaggio rurale nel museo all’aperto di Olsztynek, Polonia. Così dovevano essere le case dei protagonisti dei poemi omerici.
Un gruppo di archeologi, tra cui Schliemann, a Micene

3 commenti:

  1. Ho vaghi ricordi, chiedo scusa, quindi resto sul generico. La letteratura antica ci ricorda che molti condottieri antichi andarono a rendere omaggio alla tomba di Achille e in visita alla città di Ilio; anche qualche Console romano. In quella zona sono presenti gli Iliensi.
    Troia, per gli “Antichi”, era in quella zona –fisicamente-. Schliemann, a questo punto, è scusabile.

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  2. SOLO su questo punto, direi

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