Archeologia futuristica a Villa Verde: Su Brunk'e s'Omu, l’esplorazione innovativa
di Vitale Scanu
Le scienze moderne sono oggi in grado di dare corpo, fisicamente, alle tante
ipotesi sul villaggio nuragico di Villa Verde, illuminandone la centralità e
l'importanza. L’archeologia, più delle altre, in questi ultimi anni ha fatto un
vero e proprio salto di qualità perché coinvolgendo le altre scienze (antropologia,
paleoantropologia, mineralogia, geologia, fisica. . . ), con le loro tecnologie
di punta, ha raggiunto risultati spettacolari. “I progressi scientifici
ci permettono ora di analizzare i manufatti, i siti e tutte le tracce minime
del passato con maggiore profondità”, dice lo scienziato Marc-Antoine Kaeser,
direttore del museo archeologico Laténium presso Neuchâtel.
La tecnologia di ultimo grido si chiama LiDAR (Light Detection
and Ranging, rilevamento ed esplorazione con la luce). I rilevamenti aerei
fatti con questo strumento, che usa impulsi di raggi laser, producono un’immagine
tridimensionale della superficie, completa di tutte le strutture celate
sottoterra. Il LiDAR può superare ogni ostacolo, perfino eliminando il
manto vegetativo superficiale e fornendo immagini 3D più precise. E in più,
si possono ottenere immagini di distese enormi in un colpo solo, ad esempio le
recenti scoperte del sito di Bisarcio ottenute proprio con questo metodo.
Nello Schwarzwald tedesco, una zona di 2.000 chilometri quadrati, erano già noti circa
3.000 siti archeologici. Dopo la scansione LiDAR, ne sono stati rilevati più
di 36.000. Quelle che nelle precedenti immagini aeree sembravano semplicemente
dense foreste, hanno rivelato migliaia di sconosciuti insediamenti
preistorici. Si giunge quasi alla magia: all’istituto Paul Scherrer, nel canton
Argovia (Svizzera), si possono analizzare anche singoli reperti archeologici
e scoprirne la struttura interna senza danneggiarli.
“Per capire una società occorre conoscere il suo ambiente”, spiega il dott. Kaeser.
Questo lavoro sinergico ha permesso di estendere le analisi non solo ai manufatti
trovati, ma, per merito dei geologi, anche al contesto ambientale in cui sono stati
rinvenuti, per esempio alle condizioni del suolo. I mineralogisti sono ora in grado di
stabilire l’origine di ceramiche antiche e possono dire con maggiore precisione
dove sono state prodotte, fornendo tracce preziose per ricostruire vie
commerciali o migratorie. Possiamo immaginare quanto si avvantaggerebbe
di queste potenzialità scientifiche la zona nuragica di su Brunk’e s’Omu:
con il LiDAR si potrebbe mappare a fondo tutta la zona, vedere l’estensione
dei manufatti sotterranei con le loro caratteristiche, risparmiare fortemente
negli scavi, perché i rilevamenti sarebbero mirati e non più tentativi a vuoto.
Grazie allo sviluppo tecnologico e all’integrazione delle scienze naturali, gli
archeologi stanno ora andando oltre l’indagine del singolo sito archeologico,
adottando una visione d’orizzonte più ampia. “I paesaggi, infatti, sono il
risultato della storia e dell’attività dei nostri antenati”, spiega Marc-Antoine
Kaeser. La scelta di un insediamento, come può essere su Brunk’e s’Omu,
dipendeva in ampia misura dalle risorse circostanti: acque buone, aria più
salubre, cacciagione abbondante, sito ben difendibile da pericoli, potenzialità
economiche (l’ossidiana)…
Le ricerche degli scienziati hanno dimostrato che fin dai tempi preistorici, le
persone pianificavano lo sviluppo della loro comunità attraverso la gestione
delle risorse ambientali disponibili. Sono queste le motivazioni che possono
illuminare maggiormente il perché del sito di su Brunk’e s’Omu e dar ragione del
cambiamento epocale che ha orientato quei lontani progenitori a migrare verso
valle per un miglioramento della loro vita sociale, passando da una cultura stanziale
della caccia e della raccolta dei frutti spontanei all’agricoltura. Forse fu in
coincidenza di questo mutamento, o con la caduta di interesse per l’ossidiana
o con l’arrivo dei romani che nasceva la Bannari moderna.
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