Le trasformazioni dei rituali funerari tra età romana e alto medioevo
di Irene Barbiera
In quella complessa realtà che era il tardo Impero romano, si registra la presenza di forme diverse di commemorazione e sepoltura. Inoltre, i rituali funerari si sono costantemente trasformati, nella centenaria storia di Roma, sotto l’influsso di diverse culture e religioni. In questo quadro il cristianesimo avviò, tra l’età tardo antica e l’alto medioevo, un processo lento e graduale di ridefinizione dei rituali funerari che portò nel corso del secolo VIII all’affermazione di una liturgia cristiana controllata dalla Chiesa. In concomitanza con la diffusione del cristianesimo, anche tutta una serie di trasformazioni economiche e sociali contribuirono all’elaborazione di nuovi modelli commemorativi. I dibattiti degli ultimi decenni si sono incentrati sullo stabilire quali fattori furono influenti, tra la migrazione dei barbari, le trasformazioni economiche, il venir meno di uno stato centralizzato e l’emergere dei regni romano barbarici con la conseguente affermazione di nuove élites.
Alcuni degli aspetti che caratterizzano il funerale romano persistono in quello cristiano e poi in quello altomedievale: la vestizione, le lamentazioni, la processione. Compaiono però anche degli importanti aspetti di novità, che riguardano non tanto i modi concreti di trattare il defunto e di scandire le varie fasi del funerale, quanto il significato attribuito alla morte stessa, il modo di percepire i defunti e di conseguenza il modo di predisporre e localizzare le sepolture.
Ad esempio, la credenza cristiana nella resurrezione dell’anima prima e del corpo al momento del Giudizio Universale trasformarono il modo di rapportarsi ai propri defunti: mentre in età romana i cadaveri erano ritenuti contaminanti, a partire dalla tarda antichità il corpo del defunto cominciò a essere percepito come sacro, e poteva essere toccato senza paura. Questo aspetto determinò un nuovo modo di concepire le necropoli e una loro diversa localizzazione in rapporto allo spazio urbano. Le chiese divennero i nuovi poli attrattivi delle sepolture, i luoghi in cui i funerali erano celebrati e i morti commemorati.
Da un punto di vista più strettamente materiale, diverse sono le trasformazioni visibili tra le necropoli antiche e quelle altomedievali. Innanzitutto, la cremazione diffusa in Italia tra il III secolo a.C. e il II d.C., cessa di essere praticata dal V secolo d.C. Un altro importante aspetto di trasformazione riguarda le forme delle tombe e in particolare i segnacoli. In età romana le tombe sono contrassegnate da monumenti funerari in pietra, con rappresentazioni iconografiche ed epitaffi, che in molti casi raccontano aspetti salienti della vita del defunto. A partire dal IV secolo, tuttavia, cominciano a cambiare i contenuti degli epitaffi, che tendono a elencare le qualità spirituali del defunto e raramente quelle sociali; inoltre, da questo momento e con maggior evidenza a partire dal V secolo, l’uso delle epigrafi funerarie diminuisce notevolmente. I monumenti funerari sono impiegati per tutto l’alto medioevo per commemorare gli esponenti dei ceti sociali più abbienti, sia laici sia ecclesiastici, mentre le sepolture degli individui di rango inferiore sono prive di steli in pietra. Gli archeologi concordano nel pensare che i segnacoli erano visibili in superficie, attraverso sia rialzi del terreno sia strutture in legno o in altro materiale deperibile.
Anche i contenitori dei defunti subiscono delle trasformazioni: sono documentate casse e strutture sotterranee che variano da zona a zona, da necropoli a necropoli e da tomba a tomba; e alcuni tipi di contenitori dei defunti diffusi in età romana sopravvivono nell’alto medioevo, seppure con una diversa distribuzione, altri invece scompaiono. Per esempio, dal VI secolo non si ritrovano più le deposizioni entro anfore, che erano riservate peraltro soltanto ai bambini. Sopravvivono, seppure con minor frequenza, le sepolture alla cappuccina (con copertura di tegole), anch’esse spesso costruite con materiali romani di reimpiego, e le deposizioni entro sarcofagi in pietra, spesso di riuso.
Dall’alto medioevo si registra inoltre un aumento e una trasformazione degli oggetti deposti a fianco ai defunti. E’ evidente che fin dalla preistoria i morti erano accompagnati da elementi del vestiario, oggetti, doni e cibi per affrontare il viaggio nell’aldilà. In età romana i corredi più frequenti erano rappresentati da recipienti, ma non mancano anche oggetti preziosi e ornamentali. Sono in particolare due le tipologie di oggetti che segnano una svolta rispetto agli usi funerari dei secoli precedenti: le fibule, ossia le chiusure dell’abito femminile, e gli elementi dell’armatura deposti nelle sepolture maschili. In Italia, la comparsa delle fibule a staffa avviene nel V secolo d.C., mentre le armi sono fatte risalire alla metà del VI. Queste due categorie di manufatti si diffondono alla fine del VI secolo e per tutto il VII, scomparendo poi gradualmente a partire dall’VIII secolo. La tradizione di deporre corredi funerari è interpretata dagli archeologi come un rito barbarico e pagano. In realtà gli autori cristiani descrivono la deposizione o la presenza di oggetti nelle tombe come prassi e non come un rito proibito; essi evidenziano semmai la possibilità che gli oggetti stessi potessero essere rubati, ponendo l’accento sul ruolo della Chiesa come protettrice dei defunti e dei loro corredi. Ciò risulta anche confermato da diversi scavi recenti che hanno portato in luce sepolture con corredi dentro le chiese.
Tutte queste trasformazioni sono state interpretate in modo diverso da vari studiosi nel corso del XX secolo. Alcuni hanno interpretato tali cambiamenti come l’esito di brusche rotture, altri hanno cercato di evidenziare la gradualità con cui queste trasformazioni si sono verificate. Il tema della trasformazione dei rituali e delle forme di sepoltura, tra l’età romana e l’alto medioevo, è strettamente connesso al più ampio dibattito sulla fine del mondo romano e su che cosa esso significò da un punto di vista economico, sociale e culturale. La lettura delle diverse modalità di seppellimento, dei corredi e della cultura materiale, è stato costantemente influenzato dalla percezione degli studiosi circa la fine del mondo romano, dal ruolo che veniva assegnato alla cultura latina, a quella barbarica e alla diffusione del cristianesimo nel dare forma al mondo alto medievale.
Il dibattito storiografico sulle trasformazioni dei corredi e la fine del mondo romano
Già alla fine del XVIII secolo, nell’influente libro The Decline and Fall of the Roman Empire, Gibbon scriveva: “Gli splendidi giorni di Augusto e Traiano furono eclissati da una nuvola di ignoranza; e i Barbari sovvertirono le leggi e i palazzi di Roma. Ma la falce, emblema e invenzione di Saturno, continuò a mietere annualmente i raccolti d’Italia”.
Da allora il dibattito sulle modalità della caduta dell’Impero romano d’Occidente, e sul ruolo dei barbari in questo processo, è rimasto vivace. Le teorie di Gibbon furono per lo più accolte in Italia, dove l’età romana, civile e organizzata, era considerata il momento d’oro della storia nazionale, disgregato poi dall’arrivo dei barbari. Sulla scia della storiografia ottocentesca, rappresentata dal Manzoni, gli antichi Germani venivano infatti descritti come degli invasori rozzi e brutali, che portarono a una profonda rottura nella storia d’Italia. In quest’ottica possono essere intesi i numerosi articoli comparsi sulle «Notizie degli scavi di antichità» tra fine Ottocento e gli inizi del Novecento, volti da un lato ad apprezzare i copiosi monumenti funerari romani arricchiti di epitaffi e sculture decorative, dall’altro a descrivere le sepolture e i resti barbarici come indice di regresso e decadimento, individuabile in sepolture prive di sarcofagi e di testi commemorativi.
Nel nord Europa, dove i regni romano-barbarici venivano percepiti come i precursori delle moderne nazioni, le invasioni barbariche venivano invece descritte in chiave positiva: i barbari insediatisi entro il limes portarono una ventata di innovazione e vigore all’Impero ormai in crisi. Su questa linea, le ricerche archeologiche funerarie promosse dal Terzo Reich svolsero un ruolo di primo piano, essendo orientate a identificare e studiare, attraverso i corredi tombali, i diversi gruppi etnici che costellavano il mondo altomedievale. Si riteneva infatti possibile individuare due culture materiali distinte, quella barbarica e quella romana, come espressione di due gruppi etnici in conflitto; i corredi funerari vennero usati per definire il costume tradizionale e per stimare l’intensità dell’insediamento degli uni e degli altri nei territori dell’Impero. Armi, complementi di vestiario come fibule e fibbie, e più genericamente oggetti in metallo erano ascritti al costume tradizionale barbarico, e la presenza di tombe con tali corredi permetteva di segnalare la presenza dei barbari. Si pensava, infatti, che ogni popolo o tribù menzionato dalle fonti scritte avesse posseduto una sua cultura materiale ben definita, ancorata a un’antica tradizione, e che l’archeologia sarebbe stata in grado di individuare tali culture, permettendo così di mappare la presenza dei diversi popoli e di tracciarne gli spostamenti.
Una voce fuori campo in questo dibattito fu quella di Henri Pirenne, che in un volume importante come Mahomet et Charlemagne cercò di dimostrare già nel 1937 che le invasioni barbariche non segnarono la fine della cultura latina e che molti aspetti economici e culturali del mondo antico sopravvissero in Occidente anche dopo la sua fine. Anche dopo la seconda guerra mondiale il periodo definito “della migrazione dei popoli” continuò a essere percepito come un’epoca di grandi stravolgimenti in cui il sistema culturale barbarico alterò quello romano. L’archeologia forniva le prove tangibili di tali processi: i ritrovamenti tombali, e in particolare le diverse tipologie e gli stili degli oggetti di corredo, furono impiegati per ricostruire i costumi tradizionali delle diverse tribù barbariche, menzionate dalle fonti scritte. I romani invece erano identificabili in sepolture prive di corredo: il loro costume tradizionale era pertanto caratterizzato dall’assenza di elementi distintivi. Da questi studi scaturì l’idea che le migrazioni dei barbari avessero determinato l’introduzione di rituali funerari diversi rispetto a quelli del mondo romano-mediterraneo, e che tali rituali, poiché impiegati quali strategie di distinzione etnica, si mantennero nella prima fase di insediamento coerenti con la tradizione barbarica. Soltanto in una seconda fase, in seguito al processo di acculturazione e conversione al cristianesimo, essi si fusero con i rituali di tradizione romana. Secondo Volker Bierbrauer, il processo di insediamento e di acculturazione dei longobardi in Italia può essere studiato dettagliatamente a partire dagli accessori di abbigliamento ritrovati nelle sepolture. In particolare le fibule a staffa decorate in “stile zoomorfo I” sarebbero indicative dell’identità longobarda delle donne che le indossavano, e la loro successiva sostituzione con le fibule a disco, di tradizione romano-mediterranea, testimonierebbero l’acquisizione della cultura autoctona da parte dei longobardi.
Venne messo in dubbio il dare per scontato che le innovazioni culturali visibili nei record archeologici siano da attribuire alle migrazioni di nuovi gruppi. La cultura si evolve in funzione delle costanti e inevitabili trasformazioni sociali, economiche e culturali insite alle società stesse. Anche i rituali funerari sono soggetti agli influssi sociali ed economici delle comunità che li praticano, anzi i rituali funerari sarebbero proprio l’espressione dei rapporti di forza tra i diversi gruppi sociali. Dunque la composizione dei corredi, la scelta del tipo di tomba e della sua posizione non sarebbero dettati dalle identità etniche del defunto, ma dal suo rango. Alla dimensione etnica si assommava anche quella di rango: le tombe con armi altomedievali erano appartenute a ricchi guerrieri di origine barbarica, che avevano conquistato i territori romani e assunto ruoli di prestigio.
Fu soltanto l’archeologia “post-processuale” che nel corso degli anni Ottanta evidenziò come tutti gli aspetti che compongono la cultura materiale sono polisemici, ossia possono assumere un diverso significato e simboleggiare diverse identità a seconda dei contesti. In tal modo, uno stesso elemento stilistico o uno stesso oggetto possono assumere diverso valore in diversi momenti o ambiti. Ad esempio, un elemento di abbigliamento può essere espressione di mascolinità o femminilità, ma allo stesso tempo essere appannaggio di un certo gruppo sociale e diventare espressione di differenziazione etnica se esibito in occasioni d’incontro, scambio, oppure conflitto e competizione, tra gruppi diversi.
I post-processualisti criticarono gli archeologi che consideravano le necropoli come lo specchio fedele della società dei vivi. Si sottolineò, invece, la funzione performativa dei funerali in quanto rituali gestiti dai familiari, o dai cari in lutto. In quest’ottica, la scelta dei simboli impiegati per ricordare il defunto riflette le esigenze di affermare relazioni sociali nel presente, e non necessariamente di riprodurre fedelmente il suo vissuto. Di tutte le diverse identità (di età, di sesso, di appartenenza etnica e familiare) che il defunto aveva assunto in vita, soltanto alcune possono essere scelte come significative e degne di rilievo al momento del seppellimento. Allo stesso tempo anche i legami affettivi fungono da filtro, così un individuo può essere commemorato in modo diverso a seconda se a compiangerlo ci sono dei figli, una moglie oppure soltanto dei parenti lontani. Dunque, la predisposizione della tomba e la scelta dei corredi rappresentano l’immagine dell’antenato che i discendenti hanno voluto offrire alla comunità dei vivi.
Parallelamente, anche le ricerche in altre discipline hanno contribuito al dibattito: sia il concetto d’identità etnica, sia quello di migrazione e acculturazione sono stati riconsiderati in ambito antropologico e sociologico.
Anche gli studi sulle migrazioni hanno evidenziato come i processi di migrazione e di scambi culturali non seguono andamenti lineari. Le migrazioni non avvengono mai nella forma di spostamenti in massa di genti verso mete ignote ma per ondate diluite nel tempo. Inoltre, la reciproca influenza tra cultura autoctona e cultura dei migranti risulta complessa e non segue necessariamente il modello di “incontro/scontro di due culture”. Ad esempio, migrazioni temporanee come pellegrinaggi, ambasciate o per lavori stagionali, che comportano poi un ritorno alla terra di origine, possono produrre scambi culturali significativi. La cultura non è mai statica: continui contatti e spostamenti umani la trasformano costantemente, creando di volta in volta una nuova miscela in cui le varie parti che l’hanno composta e trasformata non sono più discernibili. Gli storici hanno proposto che le gentes nominate dalle fonti altomedievali non fossero gruppi etnicamente omogenei, uniti da una discendenza di sangue, ma semmai bande militari eterogenee e fluide, la cui coesione era garantita dalla solidarietà a un capo. La loro rappresentazione come entità coerenti fu formulata, in prima istanza, dai romani che tendevano a categorizzare e ordinare il confuso mondo dei barbari. Seguendo questo stesso processo, i diversi nomi di longobardi, franchi, alamanni e così via, indicavano diversi eserciti solidali a un capo, e comprendevano al loro interno genti di diversificata origine. Il contatto tra barbari e romani era antico quanto la storia dell’Impero, così come lo erano gli scambi culturali lungo la frontiera e oltre. L’arrivo dei barbari non aveva quindi rappresentato una rottura rispetto al passato tardo antico. Il periodo tra la fine del mondo romano e l’alto medioevo cominciò a essere investigato come una fase di trasformazioni. Ciò non significa negare che tantissimi aspetti della vita politica, economica e sociale del mondo romano cambiarono significativamente: si vuole semmai evidenziare che tali trasformazioni avvennero per gradi e non furono innescate in primis dalle migrazioni dei barbari.
Negli anni Novanta è stato avviato dalla European Science Foundation un progetto di ricerca a vasto raggio intitolato the Trasformation of the Roman World, che ha visto coinvolti studiosi di diverse discipline: storiche, archeologiche, filologiche, epigrafiche, etc. L’idea di fondo del progetto è quello di considerare la fine dell’Impero romano come una fase di trasformazioni, alcune innescate da fenomeni insiti al mondo romano stesso, altre connesse all’insediamento dei barbari, ma che in ogni caso avvennero gradualmente. Inoltre, un punto di vista importante di questo approccio è quello di cogliere come queste trasformazioni vennero percepite e narrate da coloro che le vissero in prima persona. Le forme di sepoltura sia romane sia medievali studiate alla luce di questi indirizzi hanno aperto nuove domande e suggerito nuove risposte sulla rappresentazione dei ruoli femminili e maschili, dei legami di parentela e di come essi si modificarono nel corso dei secoli.
Fonte: http://fermi.univr.it/rm/repertorio/rm_barbiera_trasformazioni_dei_rituali_funerari.html
Immagini di:
archetipoweb.com
laprovinciadicomo.it
rotaryfiovest.org
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