domenica 8 luglio 2012

Sardi, Shardana e El Ahwat

Sardi e Shardana: Le ragioni dell’identità e la questione di El Ahwat
di Giovanni Ugas



A metà del mese scorso, Giovanni Ugas ha parlato in Israele, in un convegno promosso dall’Università di Haifa, del ruolo degli Shardana del Vicino Oriente e della identificazione degli Shardana coi Sardi.
Finora sono decisamente limitate le ricerche sul terreno che hanno portato a individuare le tracce degli Shardana nel Vicino Oriente. Ricordo quelle di Moshè Dothan e di Jonathan Tubb. Non so se Adam Zertal avesse l’obiettivo di trovare a el Ahwat un insediamento degli Shardana, certo è che la sua indagine ha aperto una nuova strada investigativa sul campo che si innesta sull’antico percorso teorico avviato da De Rougée e da Chabas, quello dell’origine occidentale degli Shardana, troppo affrettatamente messo in disparte dall’archeologia e dalla storiografia dopo gli studi del Maspero. Con questo intervento, che procede lungo un analogo orientamento, intendo offrire il mio pensiero sulle problematiche dell’origine degli Shardana, sui loro possedimenti nel Vicino Oriente e sul significato di El Ahwat.


Presenze e stanziamenti degli Shardana nel Vicino Oriente
Nel Vicino Oriente al servizio dei re d’Egitto.
La storia degli Shardana nel Vicino Oriente inizia nel XV a.C. quando gli inviati delle Iww ḥiryw ib nw wɜḏ Wr, ossia delle “Isole nel cuore del Verde Grande” portano i loro doni per i re egizi Ashepsuth,Tuthmosis III e Amenofi II nelle tombe tebane dei visir Senmut, Useramon e Rekhmira. Infatti, diverse ragioni sostengono che fossero Shardana questi isolani che insieme ai principi Cretesi di Kephtyu portavano i loro prodotti ai faraoni. Innanzitutto, il colorito rosso bruno della pelle e le caratteristiche fisionomiche, alcuni capi d’abbigliamento, le spade a robusta lama triangolare e forse già lo scudo tondo degli abitanti delle Isole nel cuore sono peculiari anche degli Shardana raffigurati nei rilievi di Ramesse II (Figura 1) e Ramesse III. Inoltre, tra le genti delle Isole nel cuore, gli Shardana sono i primi e i soli che per circa 150 anni, almeno da tempi di Amenofi IV (prima metà XIV a.C.) al regno di Meremptah (ultimo quarto XIII), risultano esplicitamente menzionati nei documenti egiziani. Peraltro, le tavolette di el Amarna e di Ugarit, sebbene risalenti al XIV a.C., contengono informazioni che fanno retrocedere già ai tempi di Tuthmosis III e Amenofi II la più antica presenza degli Shardana nelle guarnigioni delle cittadelle del Vicino Oriente.
Pertanto, quando salì al trono Ramesse II, gli Shardana non erano affatto ignoti agli Egizi. Già prima di Kadesh, il grande faraone li definì “guerrieri dal cuore risoluto, invincibili sul mare” e non a caso li considera un valido alleato contro gli Ittiti e gli altri popoli dell’Est e, fin dai primi anni del suo regno, gli Shardana formano il corpo di guardia e, non di meno, sono schierati nella fanteria a Dapur e a Kadesh, come si evince dalle immagini di queste battaglie e dal papiro Anastasi I. Mirando ad ampliare i domini egizi nelle province del Nord-Est, Ramesse II assolda anche Mashuesh e Kahek del Nord Africa, facendoli passare, come gli Shardana, da “prigionieri di guerra”, ma di fatto essi hanno lo status di soldati mercenari compensati con terre e altri benefici. In Egitto, oltre a essere stanziati in fortezze, gli Shardana risultano assegnatari di fertili campi soprattutto su una fascia di 80 km nel medio Egitto, lungo il corso del Nilo e del canale di Bahr Yusuf (Gardiner, Kemp). Altri mercenari continuarono a essere stanziati nel Vicino Oriente per il controllo delle guarnigioni provinciali.
Scomparso Ramesse II, l’intesa con gli Shardana e i popoli del Nord Africa va in frantumi e, anzi, tra gli ex alleati inizia un lungo conflitto durato 50 anni, dal 5° anno di Meremptah (circa il 1224) all’anno 11° di Ramesse III (circa 1170 a.C). La guerra, condotta dagli Shardana coalizzati con altri Popoli del Mare e i Nord Africani Mashuesh, Libi e altri, era finalizzata a raggiungere un obiettivo ambizioso: l’abbattimento dei più grandi imperi del Mediterraneo, a cominciare dall’Egitto e da Hatti; tale progetto non poteva essere concepito senza un esercito forte e numeroso, e senza un’adeguata strategia politica e militare. Nel disegno prefissato, i popoli del Nord Africa miravano a estendere i loro domini sino al delta occidentale del Nilo mentre gli Shardana e gli altri Popoli del Mare tendevano a impadronirsi delle terre a Est del grande fiume. L’obiettivo fu raggiunto al tempo di Ramesse III (Figura 2);


il re a mala pena riuscì a conservare le terre bagnate dal corso del Nilo. Nel tempio di Medinet Habu, Ramesse III sostiene che i Popoli del Mare travolsero l’impero ittita e “tutto l’orbe terrestre”, partendo dall’Amurru che divenne una fondamentale base d’appoggio per le loro campagne di guerra a sud e a Nord. Ovviamente, il re tace sulle sconfitte che portarono alla perdita delle sue terre provinciali nel Vicino Oriente e ritrae i re dei popoli nemici prigionieri tra cui il capo ribelle degli Shardana.

1.2. I domini degli Shardana nel Vicino Oriente
Non è semplice restituire la porzione di territorio assegnata agli Shardana nella ripartizione delle terre strappate a Ramesse III dai Popoli de Mare nel Vicino Oriente. È da credere, però che sulle scelte insediative dei singoli popoli, Pelaset, Sikali, Shardana, Wshesh e Dayniun, abbia pesato il ruolo di coordinamento, se non di leadership, assunto dagli Shardana per la precedente esperienza maturata in tre secoli di presenze nelle cittadelle egizie del Vicino Oriente, presumibilmente, oltre che a Ugarit e Biblo, anche a Tiro sulla costa e a Megiddo, Bet Shean e Hazor all’interno. È presumibile, in sostanza che gli Shardana si siano stabiliti in terre ben note e meglio confacenti alle loro strategie economiche e politiche. Ma dove precisamente?
L’Onomasticon di Amenope, della fine del XII a.C., informa che gli Shardana erano insediati in sequenza dopo i Pelaset e i Sikali (Tjekker) che, stando al racconto del sacerdote egizio Unamon, dimoravano nella regione di Dor. I testi egizi esaminati da Gardiner e da Yadin e le considerazioni di M. Dothan sui reperti del Miceneo IIIC di Akko inducono a pensare che gli Shardana si stanziarono non solo più a Nord, ma anche prima dei Filistei. Ciò premesso, il passo del Vecchio Testamento (Giudici 4,1-23) relativo alla sconfitta inflitta presso il rio Qishon dagli Israeliti di Barak e Deborah al generale Sisara, che aveva la sua sede in Haroshet ha Goiym ed era dunque a capo di stranieri (non Cananei), porta a ritenere che gli Shardana avessero conquistato, tra gli altri territori, la valle di Jezrael. Qui, si trovavano le città di Iokneam, Megiddo, Taanak e Ybleam che non furono occupate da Israele al tempo di Giosuè e dei Giudici (Giosuè 3-21; Giudici 1,27), così come Beth Shean. I confini dei domini degli Shardana dovevano raggiungere e attraversare la fascia pianeggiante immediatamente a est del Giordano, controllata a sud del lago Tiberiade da Beth Shean e verosimilmente da Sartan, l’odierna Tel Sa’id’iydia, nell’importante area metallurgica presso il guado di Adam (I Re 7,46, Giosuè 3,16), dove gli Shardana, secondo J. Tubb erano stanziati alle dipendenze degli Egizi, ma è da credere che poi si stabilissero in conto proprio.
Non di meno, dovevano appartenere agli Shardana i territori di Neftali, il cui capoluogo Hasor era la sede di Yabin, alleato o capo politico di Sisara (Giosuè 11,1-14), e di Zabulon. Entrambe le regioni, secondo Isaia (8, 23), facevano parte della Gelil Goiym ossia “la Galilea degli Stranieri” e dovevano dipendere militarmente se non politicamente da Haroshet ha Goiym. Questi invasori di Gelil, come ritiene anche A. Zertal, possono ben essere le “genti delle Isole” note ai testi egiziani e menzionate in Genesi (10, 4-5). Il nome di Zabulon è identificato da G. Garbini col coronimo Sbrj che nell’Onomastico di Amenope indica una terra contigua a quella degli Shardana. Ora, poiché Neftali e Zabulon formano l’entroterra di Asher, ne consegue che facevano parte dei domini degli Shardana anche la stessa fascia d’approdo e costiera di Asher, a Nord dei litorali di Dor. In Asher erano ubicate non solo Akko, dove Moshé Dothan ha individuato uno strato di distruzione e d’occupazione attribuito agli Shardana, e Akziv, sito portuale non trascurabile, ma a giudicare dai confini tribali restituiti nelVetus Testamentum (Giosuè 19,28-29), anche le città fenicie di Tiro e Sidone. È assai probabile che nel citato itinerario del sacerdote Unamon, Tiro fosse la sede più rappresentativa degli Shardana, anche perché al tempo di Salomone, poco più di un secolo dopo, la città è il principale referente per Asher e per gli altri territori cananei in cui, oltre agli Shardana, si stabilirono anche le tribù israelitiche settentrionali.


In sintesi, si può supporre che gli Shardana si fossero stanziati in un’area relativamente vasta i cui confini correvano tra Abu Awam e Sidone o forse Biblo lungo le coste e, in parallelo, all’interno lungo il Giordano, dall’agro di Hazor o di Dan sino a Sartan (Figura 3). In ogni caso, secondo logica, è da escludere che, dopo aver cacciato gli Egiziani dalle loro province con una lunga e dura guerra, i Popoli del Mare avessero trascurato proprio il fertile territorio pianeggiante che raccordava il Mediterraneo al Giordano e che controllava le vie di comunicazione tra la Mesopotamia, l’Egitto, la Siria, Cipro e l’Anatolia. Culturalmente gli Shardana furono assorbiti in tempi brevi dagli autoctoni Cananei e il Vecchio Testamento non li distingue più anche perché gli uni e gli altri appartenevano allo stesso ceppo dei popoli rossi mediterranei.

Shardana e Sardi: in breve le ragioni di un’identità
La gran parte degli studiosi ritiene che vi sia una relazione tra gli Shardana e la Sardegna, ma per lo più sostiene che essi giunsero nell’isola dopo gli scontri con Ramesse III. Tuttavia ciò non è possibile perché, mentre si svolgeva la civiltà nuragica dal XVI al Xa.C., in Sardegna non avvennero mutamenti politici e sociali così radicali da far pensare all’arrivo di un’altra popolazione. Viceversa, molte ragioni mi inducono a prospettare la rotta inversa percorsa da Ovest a Est e a identificare gli Shardana con i Sardi.
Esattamente come le Isole nel cuore del Verde Grande, la Sardegna è immersa in mezzo al Mediterraneo, possiede grandi quantità d’argento e altri importanti minerali. L’isola era celebrata dagli antichi Greci non solo per la sua bellezza e il suo clima, ma anche per la ricchezza di bestiame, i prodotti agricoli e dunque era capace di mantenere una notevole popolazione. Nell’età del Bronzo la Sardegna era abitata da tre popoli: gli Iliesi (Iolaioi dei Greci; Ilienses dei Romani) di origine mediterranea sud-orientale, stanziati nel Centro Sud, i Corsi, di stirpe ligure e i Balari di origine iberica al Nord (Figura 4).


Nel XIII-XII a.C., su una superficie di kmq. 24.000, l’isola era densamente popolata (circa 450-700 mila abitanti), a giudicare dal numero elevato di nuraghi (circa 7.500) e dei villaggi (circa 2500-3000). La società nuragica era strutturata in tribù governate da un capo tribale, che risiedeva nel castello, munito di cinta esterna e difeso da una guarnigione, e da capi subalterni di distretti cantonali, che dimoravano nei castelli senza muraglia turrita esterna. La forza lavoro era affidata ai villaggi, dove si trovavano il tempio e l’autorità sacerdotale(Figura 5).


A giudicare dal numero dei castelli con cinta turrita esterna e dalle notizie della letteratura antica sul numero delle dinastie dei re iolei (Iliesi), nel complesso, le tribù assommavano a circa 50-60 e ognuna di esse disponeva di un territorio mediamente di non grande estensione (circa kmq 450-500). Come suggerisce, tra l’altro, il sacrificio rituale dei vecchi padri, la società nuragica era caratterizzata da un’arcaica successione ereditaria matrilineare che richiedeva la fondazione continua di nuovi nuraghi e villaggi. Questo sistema di popolamento, inizialmente positivo perché consentiva di controllare sempre più capillarmente il territorio e di assegnare nuove terre, a lungo andare portava alla progressiva parcellizzazione dell’agro tribale e alla saturazione dei terreni disponibili e perciò doveva provocare fenomeni di emigrazione per la ricerca di terre, analoghi a quelli delle popolazioni italiche (ver sacrum) e a quelli degli Shardana e di altri Popoli del Mare costretti alla fuga dalla loro terra e a diventare mercenari.
Nel tempo in cui si svolsero le vicende dei Popoli del Mare, la Sardegna conobbe una straordinaria civiltà. L’architettura nuragica coniuga le antiche esperienze megalitiche occidentali con le innovazioni tecnologiche e stilistico-formali dell’Est mediterraneo, offrendo una sensazione di vigoria e razionalità, armonia ed eleganza. Basta osservare i possenti castelli senza e con cinta esterna), alti anche 25-27 metri (esempi: Arrubiu- Orroli, Su Nuraxi- Barumini, su Mulinu-Villanovafranca, S. Antine Torralba; le tombe collettive con stele centinata che ricorda quelle egizie (esempio: Li Lolghi di Arzachena o senza stele (Madau di Fonni: e i templi ”a megaron” (Malchittu) e a pozzo (Ballao, S. Anastasia e Santa Cristina).
Non diversamente dall’isola degli Shardana, la Sardegna aveva stretti contatti con l’Egeo. Tra il XV e il XIII a.C. pervennero nell’isola molti manufatti cretesi e micenei, in ceramica (Nuraghe Arrubiu), pasta vitrea (San Cosimo) e avorio (Mitza Purdia), oltre che numerosi lingotti ox hide da Cipro, via Creta (Nuragus) e anche un sigillo a cilindro, di produzione cipriota se non ugaritica (Su Fraigu), mentre viceversa la ceramica nuragica giunse a Cannatello in Sicilia, a Tirinto e soprattutto a Kommòs porto di Festo in Creta (Figura 6).


I Sardi dell’età del Bronzo non facevano uso della scrittura, come gli Shardana, mentre utilizzavano un sistema di misura lineare e uno ponderale, basato su gr. 5,5 come quello egreo-micrasiatico, che agevolava i commerci con l’Egeo e l’Est del Mediterraneo. Anche la letteratura greca adombra rapporti, e non sempre pacifici, tra la Sardegna e l’Egeo. Simonide di Keos tramanda di un assedio dei Sardi a Creta difesa da Talos, l’eroe di bronzo al servizio di Minosse. Inoltre, Medusa regina dei Sardi e di altri popoli occidentali, avrebbe affrontato Perseo, re di Micene, restando sconfitta (decapitata), ma d’altra parte Igino (Fab. 275) e altri collocano Sarda, figlia di Stenelo e Medusa nella dinastia regale di Tirinto.
È palese che se i Sardi, come gli Shardana, mantenevano strette relazioni politiche e commerciali con Creta, oltre che con la Grecia Continentale e con Cipro, potevano allacciare rapporti anche con l’Egitto e col Vicino Oriente, benché l’archeologia non offra ancora chiare risposte. Peraltro, la Sardegna possedeva scorte di rame non inferiori a quelle delle più grandi potenze economiche del tempo e dunque era in grado di armare un grande esercito e una grande flotta. Stando a Herodotos, il mare Sardo si estendeva dal Tirreno allo stretto di Gibilterra (Colonne d’Eracle e ciò implica un antica talassocrazia occidentale dei Sardi. Ancora alla fine del VI a.C, i Sardi prima di perdere la loro indipendenza ad opera dei Cartaginesi li sconfissero in battaglia campale e, stando a Servius e a Diodoros Sikelos, li affrontarono anche in battaglia navale.


Dal quadro complessivo dei dati emerge che i Sardi erano guerrieri esperti nei compiti di guardia e di assedi ad alte mura, in particolare erano frombolieri, arcieri, e soprattutto formidabili spadaccini. Dalla fine del XVII almeno sino al XIV a.C. usarono spade da punta e da taglio, a larga lama triangolare tipo Sant’Iroxi/el Argar, decisamente simili alle spade dei principi delle isole raffigurati nella tombe tebane di Senmut e Rekhmira (Figura 7) e a quelle degli Shardana di Kadesh e Dapur. Anche più tardi (nel XII-IX a.C.) continuarono a preferire queste armi, sia pure oramai modificate, come le spade tipo Huelva di Monte Idda e Siniscola,e quelle costolate, strette e assai lunghe (m.1,20-1,40 tipo Villasor che ricordano quelle di tre cubiti dei Mashwesh.


I Sardi conservano a lungo i loro costumi, com’è ancora evidente dall’etnografia, e la bronzistica figurata del I Ferro (IX-VIII a.C.) restituisce ancora spadaccini che combattono con lo scudo tondo, indossano per copricapi elmi cornuti (Teti Figura 8), e vestono corazze di lino e di bronzo (Teti e Sardara) e gonnellini sia corti che a coda triangolare che ricordano quelli degli Shardana (Serri). La comparsa iconografica dello scudo tondo e dell’elmo cornuto a Micene (Vaso dei guerrieri) e a Cipro nel dio del lingotto di Enkomi è successiva alle prime presenze degli Shardana in Egitto (Battaglia di Dapur, di Kadesh) ed è da mettere in rapporto con i movimenti degli stessi Sardi, da mercenari e da invasori, alla fine del XIII e agli inizi del XII a.C. e non viceversa con movimenti dalla Grecia o da Cipro verso la Sardegna. Non diversamente dagli Shardana i Sardi erano marinai, e ancora nel I Ferro usavano navi con protomi zoomorfe sulla prua, sia di animali cornuti, come i vascelli reffigurati nel vaso di Skyros e in altri fittili del XII a.C., sia di uccelli (Su Mulinu) che richiamano più da vicino in particolare le navi dei Popoli del Mare che affrontarono la flotta di Ramesse III (Figura 9).


Occorre considerare ancora che la Sardegna è ubicata di fronte alla Tunisia , da riconoscere nel Djamah, vale a dire la terra di Giama (al tempo dei Romani la città regia dei Numidi) abitata dai Mashwesh (i Maxyes di Erodoto; Masaesiles in età romana) e dai Kahek. Questa relazione geografica spiega assai bene l’intesa tra i Popoli del Nord-Africa e gli Shardana e le preferenze insediative dei Popoli del Nord Africa, a Ovest del Nilo, e dei Popoli del Mare a Est.
I dati antropologici neolitici e dell’età del Bronzo, indicano che i Sardi Iliesi erano dolicomorfi prossimi ai Cretesi e agli Egizi (F. Germanà) e considerata anche la tradizione letteraria sull’ecista Sardo di stirpe libio-egizia (Pausania), essi appartenevano allo stesso ceppo degli Shardana e degli inviati delle Isole nelle tombe tebane, caratterizzati dal colorito rosso bruno della pelle che li identificava come genti mediterranee distinte da quelle semitiche e indoeuropee.
In breve, per nessun altro popolo (Illiri, Micenei, Libi, Anatolici occidentali, Colchi, Ciprioti e Siriani) si può portare a sostegno dell’identificazione con gli Shardana un complesso così organico di argomenti di carattere geografico, storico e culturale come quello che si può presentare per giustificare il riconoscimento degli Shardana con i Sardi.


3. El Ahwat e la civiltà nuragica
Le ricerche e gli studi di Adam Zertal hanno ben evidenziato la funzione militare e di residenza amministrativa della cittadella di el Ahwat nel periodo che corre tra la seconda metà del XIII a.C. e la prima metà del XII a.C., un periodo cruciale in cui i popoli del Mare s’insediarono nel Vicino Oriente, cacciando via gli Egizi. Ubicata a oltre m. 300 di quota in una formidabile posizione strategica, la cittadella di El Ahwat controllava sia la piana di Sharon in cui s’insediarono i Sekali, sia la piana di Megiddo, occupata dagli Shardana dopo la cacciata degli Egizi. Nell’architettura e nella cultura materiale della cittadella, Zertal ha intravvisto alcuni segni di un influsso occidentale e particolarmente sardo e corso.
Al riguardo è opportuno fare qualche considerazione. In ambito nuragico del XIII-XII a.C. i villaggi sono sguarniti di mura, mentre sono fortificate le residenze dei capi che, come si è visto, sono veri e propri castelli. Inoltre le case mostrano una pianta circolare, e solo nella piana del Campidano di Cagliari (Monte Zara di Monastir in Sardegna sono note case a più ambienti e a muri rettilinei in mattoni di fango su zoccolo di pietre piccole, come nell’abitato di el Ahwat.

Sul piano della monumentalità gli elementi dell’architettura di el Ahwat non possono essere avvicinati ai tholoi delle camere, alte da 7 a 12 metri (esempi nei Nuraghi Arrubiu e Is Paras, ai corridoi dei bastioni dei nuraghi (esempi Su Mulinu e S. Antine). Anche a el Ahwat mi sarei aspettato una grandiosità architettonica, paragonabile a quella che si osserva in Sardegna, e prossima a quella attestata nel XIII a.C. nei tholoi delle tombe micenee (Vedi foto), nelle porte con ingressi a taglio ogivale di Ugarit, Megiddo e Micene (Porta dei Leoni), nel corridoio delle mura di Tirinto nelle opere idrauliche di Micene (Fonte Perseia), Djarlo in Bulgaria, Megiddo e infine nell’armoniosa camera funeraria di Inerkau in Egitto.
Tuttavia, sul piano formale, le piccole celle coperte a cupola (tholos) ubicate sia all’interno della cittadella, come la U409 preceduta da un corridoio (sita presso la Tower 53), sia all’esterno delcity wall, come le U461-462 (vedi foto) richiamano palesemente le camere coperte con la volta delle torri dei nuraghi.


Pertanto, non è da escludere che le ridotte proporzioni delle costruzioni circolari di el Ahwat siano derivate da un processo di adattamento alle esigenze locali, determinato sia dall’impiego di pietrame di medio-piccola pezzatura, sia dalla funzione più modesta delle stesse, quella di ripostigli, guardiole o altro. Soprattutto è sorprendente l’analogia tecnica e formale con le torri nuragiche degli edifici circolari 461-462 di el Ahwat costruiti a filari con pietre di media e quasi grande pezzatura e provvisti di due paramenti murari. Per questi ultimi, se la cronologia è quella del XIII a.C., vedrei bene un apporto costruttivo occidentale, anche sardo.
A. Zertal ha ravvisato delle somiglianze anche tra il corridoio ricurvo con nicchia ellittica U307 presso la Tower 50 disposto trasversalmente nel City Wall e i corridoi con celletta o nicchia presenti nei casteddi (Torra con cinta) di Cuccuruzzu e di Araghju in Corsica. L’analogia formale è innegabile, ma, come nel caso delle cellette ellittiche di Su Mulinu, questi elementi costruttivi torreani potrebbero appartenere già al XV-XIV a.C. e non al XIII- XII a.C. come la cittadella di el Ahwat.
Per quanto attiene la cultura materiale mobile, non si riscontra a el Ahwat alcun caso d’importazione di ceramica grigia sarda, ma si osserva qualche interessante affinità formale e ornamentale. Alcune forme di coppe nel profilo e nel labbro ingrossato di El Ahwat ricordano le coppe in ceramica grigio ardesia e gialle dell’isola e anche le grandi conche con orlo ingrossato “chiodiforme” e presa bilobata di el Ahwat richiamano simili conche sarde (Figura 10).


Sorprende, inoltre, in manufatti fittili di el Ahwat la presenza di fasce a zig-zag e a chevrons, impresse con un punteruolo; dunque si riscontrano tecniche e sintassi geometriche ornamentali apparse nell’isola già nel XIII a.C. (Madonna del Rimedio-Oristano, su Nuraxi di Barumini) e diffuse ampiamente tra il X e il IX a.C. (Lipari). Anche la decorazione stellare e a cerchi concentrici a punti impressi per decorare i pani, presente nei coperchi di el Ahwat, è frequente nei tegami in ceramica sardi (S. Antine) (Figura 11).



Alla scarsa visibilità degli Shardana (e dei Sardi) nel Vicino Oriente, può aver contribuito il fatto che essi militarono a lungo come mercenari e dunque potevano adattarsi più facilmente alla cultura locale, ma ci si attenderebbe almeno qualche manufatto d’importazione, in particolare qualche utensile e arma in bronzo che ai Sardi interessavano ben più della ceramica. Qualche segno sembra provenire dalle asce bipenni e dai pugnali di Tel Sa’id’iydia.


Le prime trovano confronto con asce sarde ma nell’ambito di un più ampio panorama mediterraneo; diversamente i pugnali di Sartan (Figura 12), richiamano puntualmente, per l’aspetto formale e l’ornato geometrico, analoghe armi sarde (esempi: Abini-Teti, Crescioleddu di Olmedo, S. Anastasia di Sardara (Figura 13), e si può ben prospettare una loro origine sarda, in luogo di quella micenea ipotizzata dal Tubb.


In conclusione, nell’area del Vicino Oriente in cui è presumibile che si siano stanziati gli Shardana, cominciano a emergere sia nell’architettura delle fortificazioni e dell’idraulica, sia nei manufatti mobili, segni non trascurabili della presenza dei Sardi nel Vicino Oriente prima e dopo le invasioni dei Popoli del Mare. El Ahwat offre un apporto notevole in questa prospettiva delle indagini ed è auspicabile una ripresa delle ricerche nel sito.

Fonte: http://www.gianfrancopintore.blogspot.it/

13 commenti:

  1. Caro professore, ho letto con scrupolo il contributo che ha portato alla nostra attenzione. La ringrazio, anzitutto, per aver continuato a picconare con violenza le ormai obsolete proposte degli orientalisti che vedono nei sardi un mix di comunità isolate e distaccate dal mondo economico. Secondo questi esperti, i sardi furono semplicemente influenzati culturalmente da qualche sparuto gruppo di micenei che intorno al XIV a.C. sbarcò in Sardegna con qualche mercanzia. In precedenza…erano primitivi, nonostante le ceramiche meravigliose che producevano da almeno tre millenni, i favolosi templi chiamati domus de janas, i manufatti metallici che riempiono i musei… Questi studiosi non conoscono la civiltà nuragica (e molto male il Neolitico e il Calcolitico sardo) e, fatto ben più grave, si tengono alla larga dagli studi specifici dell’età del Bronzo perché dovrebbero rivoluzionare alcune certezze (errate) acquisite dall’Accademia. Attenderò con pazienza che visionino qualche studio serio sulle architetture nuragiche (e sui materiali, importanti indicatori del modo di vivere), e prendano atto che un’organizzazione in grado di elaborare tali maestosi edifici non poteva essere estraneo alle vie commerciali dell’epoca. Tuttavia il suo lavoro presenta alcuni punti che non condivido, e vorrei segnalarle i 3 eclatanti, nei quali lei scrive:

    1) La società nuragica era strutturata in tribù governate da un capo tribale, che risiedeva nel castello, munito di cinta esterna e difeso da una guarnigione, e da capi subalterni di distretti cantonali, che dimoravano nei castelli senza muraglia turrita esterna.

    2) Come suggerisce, tra l’altro, il sacrificio rituale dei vecchi padri, la società nuragica era caratterizzata da un’arcaica successione ereditaria matrilineare che richiedeva la fondazione continua di nuovi nuraghi e villaggi.

    3) I Sardi dell’età del Bronzo non facevano uso della scrittura

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  2. ...segue.
    Nel primo punto ribadisce ciò che scrisse già nel suo “Alba dei Nuraghi” nel 2006. I miei ultimi studi, confortati dalla possibilità di essere verificabili in ogni momento dato che i nuraghi non si spostano, escludono categoricamente che i nuraghi fossero castelli difesi da guarnigioni. E’ un’idea che deriva da concezioni superate (anche se ancora dibattute). Qualche mese fa ho depositato in soprintendenza (insieme all’autore materiale della ricerca) uno studio relativo al motivo dell’edificazione delle torri in determinate posizioni. Nell’elaborato troverà una spiegazione alla funzione degli individui che lo abitavano, persone “normali” che collaboravano con la comunità nella quale risiedevano. Nulla a che vedere con le stelle o con funzioni legate alla religiosità dei nuragici. Tengo a precisarlo per dimostrarle che abbiamo seguito un metodo scientifico che può essere classificato all’interno dei parametri dell’archeologia legata ai reperti, e non alle suggestioni (pur se le suggestioni, a volte, conducono alla verità).
    Il secondo punto è relativo al sacrificio dei vecchi padri. Rispetto la sua teoria, perché d’ipotesi si tratta, ma vorrei capire che dati archeologici utilizza a supporto di tale proposta. Parlo di reperti, e non di fonti letterarie. Le fonti, come lei mi ha insegnato, costituiscono solo un indizio da verificare, non possono essere portate come prova certa. Sono stati trovati resti ossei di anziani scaraventati giù dalle rupi? Siamo certi che non fossero caduti? Chi afferma che la società aveva necessità di tale rito? Affermare che la sostituzione avveniva per uccisione, significa metterli sullo stesso piano del papa, un uomo che rimarrà in carica fino alla morte. Un’ipotesi che contrasta fortemente con una società che applica la successione ereditaria matrilineare. Tra l’altro, conoscevano erbe mortali, e se le avessero utilizzate i re sarebbero morti prima di invecchiare. Quindi…come giustificare il sacrificio dei vecchi padri?
    Il terzo, e ultimo punto, che non quadra è quello relativo alla scrittura. Come si può affermare che non utilizzassero una scrittura quando, allo stesso tempo, si vuole provare che frequentavano il Vicino Oriente? In quelle zone la scrittura c’era da secoli, e non solo una! E’ evidente che i sardi parlassero e scrivessero una lingua internazionale condivisa dalle popolazioni con le quali entravano in contatto, soprattutto perché la loro presenza è legata a zone portuali. Gli approdi sono l’interfaccia delle popolazioni divise dal mare: separano e uniscono contemporaneamente. Forse avevano un “dialetto” per le comunicazioni verbali interne…ma certamente una lingua scritta dovevano pur utilizzarla. Oggi, chi si reca all’estero per lavoro conosce l’inglese. All’epoca c’era la lingua del Vicino Oriente. Scelga lei quale…ma c’era. Senza quella non si potevano svolgere tutte quelle attività che lei ha ben descritto nell’articolo. Sarebbero stati analfabeti…ma ciò contrasta fortemente con tutti gli indizi che oggi abbiamo, e che lei ha segnalato a profusione.

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  3. A tal proposito inserisco il mio commento riportato in data 7 Luglio sul blog di Gianfranco Pintore:
    "Se i dati saranno confermati voglio vedere chi potrà negare l'antica parentela tra i fenici orientali e i sardi nuragici.
    L'unica cosa che non mi convince é la sua visione feudale della civiltà nuragica.
    Poi é quantomeno sorprendente quando dice "In ambito nuragico del sec. XIII-XII i villaggi sono sguarniti di mura,
    mentre sono fortificate le residenze dei capi che, come si è visto, sono veri e propri castelli."
    Parafrasando Franco Laner mi verrebbe da dire "O che bel Castello!"

    Non sono poi d'accordo con te quando affermi perentoriamente "Nulla a che vedere con le stelle o con funzioni legate alla religiosità dei nuragici".

    Saluti

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  4. Il metodo utilizzato nel lavoro (mio e di Onnis) legato all'ubicazione dei nuraghi non ha nulla a che vedere con le stelle e la religiosità. E' un'affermazione legata esclusivamente a quel lavoro. I nuragici tenevano in considerazione le stelle, ovviamente. Soprattutto il sole e la luna. Ma non ne abbiamo tenuto conto nel "Sistema Onnis".

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  5. Mi ritengo soddisfatto visto che anch'io, applicando il suddetto metodo, ho considerato
    specialmente la precisione delle coordinate chilometriche dei vari siti e l'intervisibilità con altre strutture.

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  6. Da Antonio Crasto
    vorrei commentare l’articolo del prof. Ugas “Sardi e Shardana: Le ragioni dell’identità e la questione di El Ahwat” riporto fra virgolette le frasi dell'articolo)

    "La storia degli Shardana nel Vicino Oriente inizia nel XV a.C. quando gli inviati delle Iww ḥiryw ib nw wɜḏ Wr, ossia delle “Isole nel cuore del Verde Grande” portano i loro doni per i re egizi Ashepsuth, Tuthmosis III e Amenofi II nelle tombe tebane dei visir Senmut, Useramon e Rekhmira."

    Non conosco scene di offerte dei tributi nella tombe di Senenmut e Useramon, ma ciò non vuol dire che Hatshepsut non abbia ricevuto doni dai popoli del Mediterraneo.
    Nella tomba di Rekhmira, visir sotto Thutmosi III e Amenhotep II, ci sono parecchie immagini dei Principi di Creta, i quali offrono oltre a spade triangolari prodotti tipici della cultura cretese fra cui i grandi orci. Al riguardo è stato notato che il gonnellino di questi principi è stato ritoccato in corso d’opera per adattarlo a quello indossato dai micenei. Ciò può essere giustificato con la caduta del regno di Creta e la sostituzione dei micenei proprio quando si stava realizzando l’omaggio dei tributi o la loro rappresentazione nella tomba del visir.
    Durante il regno di Thutmose III il regno miceneo del Peloponneso risulta fra coloro che inviavano doni senza alcuna mediazione cretese.
    La rappresentazione della presentazione dei doni si svolge su tre righe:
    - nella prima riga in alto c'è la carovana di quelli che provengono da Punt;
    - nella seconda riga ci sono le carovane dei principi di Creta e di alcune regioni del Mediterraneo;
    - nella terza riga ci sono le carovane dei principi delle terre straniere meridionali, quelli africani dell'estremo sud.

    "Infatti, diverse ragioni sostengono che fossero Shardana questi isolani che insieme ai principi Cretesi di Kephtyu portavano i loro prodotti ai faraoni. Innanzitutto, il colorito rosso bruno della pelle e le caratteristiche fisionomiche, alcuni capi d’abbigliamento, le spade a robusta lama triangolare e forse già lo scudo tondo degli abitanti delle Isole nel cuore sono peculiari anche degli Shardana raffigurati nei rilievi di Ramesse II (Figura 1) e Ramesse III."

    L’identificazione di Shardana è molto forzata, così come la loro provenienza dalle isole nel cuore del Mediterraneo.

    "La gran parte degli studiosi ritiene che vi sia una relazione tra gli Shardana e la Sardegna, ma per lo più sostiene che essi giunsero nell’isola dopo gli scontri con Ramesse III. Tuttavia ciò non è possibile perché, mentre si svolgeva la civiltà nuragica dal XVI al X a.C., in Sardegna non avvennero mutamenti politici e sociali così radicali da far pensare all’arrivo di un’altra popolazione. Viceversa, molte ragioni mi inducono a prospettare la rotta inversa percorsa da Ovest a Est e a identificare gli Shardana con i Sardi."

    Non è detto che gli Shardana siano arrivati dopo gli scontri con Ramesse III, anzi è molto probabile che essi siano rimasti ancora nella fenicia e si siano mossi alla ricerca di una nuova terra solamente alcuni decenni dopo, a causa delle maggior influenza degli Assiri.
    I mutamenti non furono dunque dove li cerca Ugas, ma proprio nel X secolo a.C., quando la civiltà nuragica è sconvolta da nuove esperienze. Non si costruiscono più nuraghi, si inizia a realizzare bronzetti e quasi sicuramente inizia la realizzazione di Pozzi sacri.
    Questi profondi mutamenti non furono un cambiamento interno, ma un cambiamento culturale imposto da una nuova popolazione, che per la grande superiorità militare potrebbe aver ottenuto il controllo dell’intera isola in tempi abbastanza rapidi e senza dover affrontare guerre importanti.
    I bronzetti potrebbero ritrarre i loro eroi così come le navicelle potrebbero rappresentare le loro navi. I pozzi sacri potrebbero infine appartenere a un culto delle acque proprio delle popolazioni del basso Danubio, da dove ritengo gli Shardana siano arrivati.

    Antonio Crasto

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  7. "Affermare che la sostituzione avveniva per uccisione, significa metterli sullo stesso piano del papa, un uomo che rimarrà in carica fino alla morte. Un’ipotesi che contrasta fortemente con una società che applica la successione ereditaria matrilineare. Tra l’altro, conoscevano erbe mortali, e se le avessero utilizzate i re sarebbero morti prima di invecchiare. Quindi…come giustificare il sacrificio dei vecchi padri?"
    Non capisco il senso di questa domanda

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  8. Cercherò di utilizzare altri termini. Nelle società matrilineari l’eredità passa semplicemente “attraverso” le donne (non alle donne). Il padre del "nuovo" sovrano, ossia il re, poteva essere sostituito senza ricorrere all'eliminazione fisica. Era sufficiente nominare il nuovo re secondo princìpi decisi volta per volta. Il sacrificio degli anziani propone un rito cruento, e può costituire l'eccezione, e non la regola. Il papa è nominato fino alla morte, e in caso di sostituzione devono farlo fuori fisicamente. Ma nulla ha a che vedere con la successione matrilineare. In conclusione: società matrilineare e sacrificio degli anziani non hanno un nesso.

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  9. "Il padre del "nuovo" sovrano, ossia il re, poteva essere sostituito senza ricorrere all'eliminazione fisica. Era sufficiente nominare il nuovo re secondo princìpi decisi volta per volta."
    Ho capito dove sta la mia incapacità di capire il suo discorso.
    Lei parte da un presupposto sbagliato.
    Faccia una ricerca più approfondita sull'argomento, vedrà che non è così nelle società antiche. Non faccia un paragone con i tempi "moderni" (l'esempio del Papa) e vedrà come il discorso del Prof. Ugas si incastra perfettamente.
    P.s.
    Il sacrificio dei padri è da estendere a tutti gli anziani. Ci sono prove archeologiche e letterarie di questa pratica, oltre che etnografiche.

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  10. Ho approfondito l'argomento, e rimango fermo sul mio presupposto, per lei sbagliato. Il sacrificio dei padri era evento eccezionale e non ha un nesso con la società matriarcale. Le fonti letterarie ed etnografiche sono rare per confermare tale proposta. Le prove archeologiche le cercherò...ma al momento non ne conosco nessuna. Potrebbe cortesemente fornirmi qualche indizio?

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  11. Matriarcale=avere il diritto di vita e di morte su tutto il nucleo famigliare. Ci pensi su.

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  12. Patriarcale=avere il diritto di vita e di morte su tutto il nucleo familiare. Ci ho pensato parecchio e sono giunto alla stessa sua conclusione ma, inversa. Ragionando per deduzioni si può sbagliare un'analisi. L'articolo del Prof. Ugas è interessante, e offre una visione condivisibile degli avvenimenti dell'epoca, ma legare una società matriarcale (se anche lo fosse stata) all'uccisione dei vecchi sovrani (o degli anziani, o dei padri) non è da me condivisa. Non ho elementi sufficienti per smentirla, ma non li ha nemmeno Ugas per affermarla, tuttavia questa questione incide poco sull'argomento proposto dal professore. Trovo, invece, interessante il passaggio nel quale l'archeologo afferma: "i Sardi (sherden) erano guerrieri esperti nei compiti di guardia e di assedi ad alte mura". Anche questa osservazione è ottenuta per deduzione, in quanto non esistono prove archeologiche (scritti o incisioni in bassorilievi, o altre fonti certe). Avrei utilizzato il condizionale. E' certo che viaggiassero per mare; è certo che utilizzassero le spade; è certo che fossero guerrieri abili nel corpo a corpo. Ma non vedo come poter sostenere che acquisirono abilità negli assedi alle fortezze del Vicino Oriente.

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  13. Infatti sul quel punto dissento fortemente da quanto propone il professore, il quale comunque, le ha dato indirettamente una risposta.

    " I dati della letteratura antica, vanno interpretati e prima di rifiutarli occorre dimostrare che non hanno ragion d’essere. Nel caso specifico, l’uccisione dei vecchi padri (a cominciare ovviamente dai capi) era proverbiale, in Sardegna, già al tempo di Omero (basti pensare al raccordo con il riso sardonico di Ulisse, e con la spina sardonica del figlio di Ulisse Telegono), dunque risale già all’età del Bronzo, ed è rimasta nella tradizione etnografica sino ai nostri giorni. Perché rifiutare per la Sardegna un rito, attribuito anche a diverse altre società a successione matrilineare in relazione ai tempi eroici dell’Età del Bronzo, sostenuto tra l’altro in quest’età dalla continuazione del costume neolitico delle sepolture rannicchiate in tombe collettive, implicante una società ancora legata a un culto radicato della Dea madre? Una volta che i re venivano sacrificati con la cicuta, colpiti con frecce, bruciati (mito di Kronos e di Talos, ripreso nella tradizione carnevalesca), gettati dalle rupi (Gairo) o in un crepaccio (Golgo), i loro resti potevano essere dispersi o, al contrario, benché non sia logico, sepolti anch’essi nelle tombe comuni. Il fatto che non si sia scavato (e non il fatto che non si sia trovato!) nei luoghi indicati dalla etnografia e dall’archeologia per i sacrifici umani, non è una buona ragione per negare questo interessante e straordinario fenomeno che ha le sue radici nella società neolitica e nuragica. Ovviamente nelle comunità matrilineari era la regina che decideva quanto tempo doveva vivere il re sacro e al riguardo basti richiamare il ben noto episodio di Clitennestra che fa uccidere il marito Agamennone da Egisto, il nuovo re sacro, prima che il figlio Oreste, uccidendo la madre e sposando la principessa ereditaria, facesse mutare il costume matrilineare in uno patrilineare. Il termine “vecchio” non significa decrepito, sul punto di morire, ma piuttosto implica l’incapacità riproduttiva e il venir meno della forza fisica, doti fondamentali per far crescere la comunità e difenderla dai nemici. Nella tradizione letteraria si fa risalire all’intervento di Eracle la cessazione dei sacrifici umani (tra cui ovviamente quello dei vecchi padri). Col tempo, specie in ambito etnografico, il rito può aver assunto altri significati che giustificano azioni di “pietas” opposte all’etica nuragica dell’Età del Bronzo."

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