L'età fenicia
di Pierluigi Montalbano
Levantini
Nel II Millennio a.C., prima i naviganti minoici, poi quelli micenei e, infine, i levantini, furono attratti dalle ricchezze minerarie dell’isola, e dalle notevoli possibilità offerte dal mercato dei metalli. Sono da citare in uscita verso i mercati del Vicino Oriente, grandi quantità di argento, il metallo che costituiva la base delle transazioni commerciali. In Sardegna, le miniere e gran parte del processo industriale di trasformazione dei minerali erano prerogative delle popolazioni nuragiche, proprietarie dei giacimenti.
Come è noto, nell’antichità la Sardegna era definita anche “l’isola dalle vene d’argento”, ed è interessante notare come i centri più antichi fossero collocati proprio nelle vicinanze dei più importanti giacimenti metalliferi. Nella seconda metà del XIII a.C., tutte le città costiere della Siria e della Palestina, sottoposte in precedenza al regno degli ittiti, stanziati in Turchia, e al regno d’Egitto, goderono di quattro secoli di indipendenza ed ebbero la possibilità di incrementare in totale autonomia sia il commercio che la produzione artigianale.
In mancanza di miniere, la principale risorsa naturale del Libano era costituita dalle enormi foreste di cedri che ricoprivano le catene montuose e che fornivano legname pregiato. Anche lo sfruttamento delle risorse del mare fu intenso, soprattutto la conservazione del pescato sotto sale e la pesca dei molluschi (murici) utilizzati per la tintura color porpora dei tessuti. A ciò si aggiunge lo sfruttamento delle sabbie silicee per la produzione del vetro. Il rame di Cipro e della Sardegna, il ferro di Cilicia, il bisso e la porpora delle città siriane, l’avorio, l’incenso e le spezie africane, e gli animali esotici dell’India, contribuirono ad arricchire le città costiere libanesi. Queste imprese commerciali erano organizzate dai detentori del potere, ossia i membri della casa regnante e della casta sacerdotale dei luoghi di culto più ricchi. Solo pochi mercanti privati potevano affrontare lo sforzo economico di un’impresa che implicava due o tre anni di viaggio con notevoli rischi di naufragio.
Fenici, punici e cartaginesi appartengono alla stirpe che ebbe origine proprio nella costa del levante, anticamente definita “Terra di Canaan”. I fenici emergono dopo gli sconvolgimenti politici e militari causati intorno al 1200 a.C. da una coalizione armata ricordata come “Popoli del Mare”. Ciò che definisce i fenici è la comunanza culturale, e non quella politica. Furono legati dalla lingua, dalla cultura e dalla scrittura, al pari delle città greche, che non realizzarono mai un’unità politica. La Fenicia era popolata da città stato, ciascuna con una propria politica e propri orizzonti culturali. I fenici d’occidente ebbero in Cartagine la massima espressione imperiale della loro storia. Attorno al 700 a.C., la potenza della città africana crebbe a tal punto che, liberandosi definitivamente del tributo pagato a Tiro, loro città d’origine, i cartaginesi iniziarono la loro espansione nelle terre oltremare.
In Sardegna, la maggior parte dei luoghi in cui si fermarono i fenici era da tempo occupata dalle popolazioni nuragiche. La massima pressione economica lungo le coste è attestata a partire dall’VIII a.C., quando i nuragici, commercianti soprattutto di vino e delle anfore per contenerlo, autorizzarono i levantini ad integrarsi nei villaggi. In quel momento, piccoli gruppi di abitanti orientali, con il consenso dei locali, e congiuntamente con loro, diedero origine ai primi agglomerati urbani. Questo arrivo fu assolutamente pacifico perché i nuragici, se fosse stato necessario, avrebbero avuto buon gioco dei mercanti e avrebbero potuto respingerli agevolmente. Del resto, l’accoglienza fu buona perché i nuovi arrivati erano anche portatori di tecnologia.
I rapporti delle città fenicie d’Occidente con la madrepatria libanese, cessarono definitivamente nel 650 a.C., come documentano le antiche fonti scritte che raccontano come la Fenicia divenne terra di conquista e fu occupata, in successione, prima dagli Assiri, poi dai Babilonesi e infine dai Persiani, che la conquistarono nel 550 a.C. Questi ultimi, nel Mediterraneo Orientale, incentivarono il commercio fenicio in concorrenza con quello greco.
Nell'immagine: una navicella esposta nell'Israel Museum di Gerusalemme.
Io non pubblicherei foto di arte rubata. La navicella nel Israel Museum fa parte della collezione di Elie Borowski - una delle figure più vomitevoli del mercato nero di antichità.
RispondiEliminaAnche queste opere contribuiscono a formare una coscienza culturale. Tuttavia la ringrazio per la segnalazione.
RispondiElimina"Anche queste opere contribuiscono a formare una coscienza culturale. "
EliminaCerto. Del Borowski si parla anche in questo film:
http://www.anemon.gr/ring.html
Qualche spezzone si trova su youtube, come per esempio
http://www.youtube.com/watch?v=aAn8NvTXvSI
Basterebbe rimpiazzare "Greece" con "Sardinia" e la storia rimane la stessa.
Al di là della figura vomitevole, sarei curioso di sapere qulcosa in più sulla Navicella.
RispondiEliminaGrazie anticipatamente
Penso che senza l'allenza fattiva delle popolazioni sarde (nuragiche?, Tartessiche?) i fenici non avrebbero potuto colonizzare parte del Mediterraneo occidentale.
RispondiEliminaOvviamente rsroberto, proprio come ho affermato nell'argomentazione.
RispondiEliminase la navicella è stata trovata davvero a israele rappresenterebbe una bella prova a favore dei popoli del mare di area occidentale. inoltre questa navicella, se non falsa "MERITA" uno studio approfondito in quanto contiene elementi diversi e complessi che possono servire a decifrare il messaggio o il significato che contengono queste navicelle
EliminaLa navicella certamente non è stata trovata in Israele. Tutto questo materiale sardo in Israele proviene dalla collezione del ricettatore Elie Borowski (Basilea/Toronto/Gerusalemme) che conteneva centinaie di bronzi nuragici di "provenienza sconociuta" finite poi nel 1992 nello BMLJ (Bible Lands Museum Jerusalem) appositamente fondato dal Borowski. Un nome corretto del museo sarebbe "Museum of stolen art".
EliminaLa provenienza di gran parte della collezione Borowski da scavi clandestini nel suolo sardo è tanto indiscussa quanto l'imbecillità dei tombaroli sardi: Secondo i meccanismi del mercato nero-svizzero di antichità (padroneggiato da figure come il Borowski) il tombarolo otteneva al massimo 2% del valore finale nei negozi di Geneva e New York. Si veda per esempio
http://www.phoenixancientart.com/index.php?searchword=borowski&ordering=newest&searchphrase=all&limit=50&Itemid=26&option=com_search
dove si vendono l'arte rubata legalizzandola tramite l'indicazione "ex-collezione Borowski". Sulla navicella in questione c'è stato pubblicato qualcosa, ma non trovandomi a casa in questi giorni, non posso
affermare niente di preciso. Mi ricordo il catalogo di una mostra a Monaco nel 1983 con la navicella in copertina.
Forse l’hai affermato ma dalla lettura io avevo capito che i Sardi si fossero limitati ad accogliere benevolmente i nuovi arrivati.
RispondiEliminaSe invece si guarda una carta del Mediterraneo in cui si materializzano i materiali di origine sicuramente sarda, ad esempio i vasi Askoidi rinvenuti in Spagna, Cartagine, Mozia, Pantalica, Lipari, Cipro, Etruria nonché la distribuzione di manufatti metallurgici di origine portoghese largamente presenti in Sardegna, in particolare le asce, e l’elevata presenza di Ox Hide (centinaia di lingotti) mi fanno ritenere che in origine ci fosse una vera e propria talassocrazia sarda (tirrenica) che forse smistava lo stagno iberico e della Cornovaglia e il rame prevalentemente cipriota.
I fenici, probabilmente cugini degli antichi sardi, non hanno fatto altro che ripercorrere le antiche rotte degli illustri tirreni.