mercoledì 25 settembre 2024

Donne e bambini dell'antichità.

Donne e bambini dell'antichità.

Le fonti letterarie ci offrono scarse informazioni sull'universo femminile e infantile della Sardegna di 3000 anni fa. Diodoro Siculo e Strabone menzionano in alcune occasioni le donne cartaginesi per il loro coraggio durante le guerre, quando combattevano al fianco degli uomini nei momenti di maggiore difficoltà. Per quanto riguarda la Sardegna, due figure femminili ci sono note attraverso l’orazione Pro Scauro di Cicerone: la madre di Bostare e la moglie di Arine, entrambe vissute a Nora verso la fine del I millennio a.C. Qualche indizio ci arriva anche sull’educazione dei giovani, soprattutto dei figli delle

famiglie benestanti, per i quali l'istruzione aveva un'importanza particolare. Polibio, ad esempio, racconta che i figli minori di Asdrubale indossavano una tunichetta prima di morire nel 146 a.C. Inoltre, numerose fonti attestano matrimoni misti tra sardi e popolazioni straniere, come dimostrano i materiali d’importazione rinvenuti nei contesti funerari insieme a oggetti locali. Un esempio sono le urne utilizzate per la deposizione delle ceneri dei bambini all’interno dei santuari tofet. 



La ceramica domestica, inoltre, rivela una forte continuità con le forme dell’epoca nuragica, persistente fino ai primi secoli dell’età romana. Possiamo immaginare la quotidianità delle donne sarde impegnate nella preparazione e cottura degli alimenti o nella cura dei membri della famiglia. Tuttavia, ricerche recenti mostrano che esse erano coinvolte anche in attività commerciali e artigianali, soprattutto nelle botteghe all'interno delle abitazioni, con il contributo dei bambini nei processi produttivi. Un esempio significativo è la Casa del lucernario di talco a Monte Sirai, dove è stato scoperto un laboratorio per la fabbricazione di coltelli accanto alla cucina. 



Nei primi anni di vita, i bambini erano strettamente legati alla sfera materna e domestica: l’igiene e l’alimentazione dipendevano dalle madri, che allattavano oppure utilizzavano vasi biberon e askoi zoomorfi per nutrire i neonati con latte e pappe. Questi vasi, in varie forme, sono attestati già dall'VIII secolo a.C. nel tofet di Sulky e sono comuni nelle sepolture dei periodi successivi. I corredi funerari dei bambini contenevano spesso giocattoli come bambole snodabili e campanelle, oltre a ceramiche in miniatura, come piatti, coppe, pentole e anfore, che accompagnavano gli infanti nell'aldilà. Attraverso il gioco e l’educazione familiare, i bambini apprendevano e socializzavano. 



La vita delle donne e dei bambini si svolgeva principalmente all’interno della sfera familiare, sebbene alcune epigrafi cartaginesi menzionino donne con il titolo di khnt, ovvero sacerdotesse. In Sardegna, mancando simili fonti scritte, possiamo dedurre qualcosa dalle evidenze archeologiche. A Sulky, ad esempio, è stata rinvenuta una bara con la figura scolpita di una donna coronata da un pòlos e vestita con una lunga gonna decorata da ali di avvoltoio incrociate sul davanti, simboli di origine egizia che suggeriscono un ruolo sacerdotale per la capostipite di una famiglia di rilievo. 



Ulteriori indizi sui ruoli religiosi femminili si trovano nelle statuette di danzatrici e suonatrici, come quelle in bronzo scoperte nel santuario di Astarte a Monte Sirai. Anche le suonatrici di tamburello, rappresentate sulle stele tofet di Sulky e nelle terrecotte di Tharros, testimoniano l'importanza della musica nei rituali religiosi. Particolarmente suggestiva è la scena raffigurata su un monumento di Tharros, in cui tre donne nude e un sacerdote, che regge una protome taurina sopra la testa, danzano attorno a un betilo a forma di fallo. Un altro aspetto interessante è la presenza delle figurine votive del devoto sofferente, raffigurazioni di uomini e donne che indicano con le mani le parti del corpo affette da malattie, come documentato a Bitia e Neapolis. 



A Fluminimaggiore, nel tempio di Antas, un’iscrizione votiva su calcare rivela il desiderio di una donna, di nome Hotlat, che il dio Sid le conceda una discendenza. Per quanto riguarda i bambini, un elemento distintivo sono i santuari a cielo aperto chiamati tofet, necropoli situate ai margini dei centri abitati, dove venivano deposte le urne con i resti cremati degli infanti nati morti o deceduti nei primi anni di vita. In queste urne sono talvolta presenti resti di piccoli animali offerti alla divinità, oltre a oggetti di corredo come amuleti, gioielli, ceramiche in miniatura, asce in pietra, frammenti metallici, conchiglie e vertebre di pesce. 



Le sepolture rappresentano una delle principali fonti di informazioni sulla società dell’epoca. Tra i reperti più significativi vi sono le anfore commerciali utilizzate come sarcofagi per bambini (enchytrismòs). I corredi funerari femminili contenevano spesso ceramiche legate al consumo rituale del vino e degli alimenti, come brocche, anfore, coppe e piatti. Monili come orecchini, anelli e scarabei, così come oggetti di toeletta come rasoi e specchi, erano presenti sia nelle tombe femminili che in quelle maschili, con l’eccezione delle pinzette in bronzo, che sembrano caratterizzare esclusivamente le sepolture delle donne, insieme ad amuleti legati alla fertilità e alla maternità. 



Nei rituali funerari, le donne avevano un ruolo fondamentale: si occupavano del lavaggio, della vestizione del defunto e della veglia. Successivamente, erano responsabili della conservazione della memoria del defunto attraverso visite periodiche alle tombe, rendendo così lo spazio funerario un punto di riferimento per la coesione della comunità.



Immagini da La Sardegna fenicia e punica, a cura di Michele Guirguis, Ilisso editore.

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