giovedì 15 dicembre 2022

Archeologia. Altare di Monte d'Accoddi, monumento preistorico dedicato alle nozze degli dei e alla loro unione sessuale. Articolo di Mauro Atzei.

Archeologia. Altare di Monte d'Accoddi, monumento preistorico dedicato alle nozze degli dei e alla loro unione sessuale.

Articolo di Mauro Atzei.


Questo è l'altare prenuragico di Monte d'Accoddi, non lontano dalla città di Porto Torres. E' stato costruito tra il 4000 e il 3650 a.C. e poi riadattato nel corso dei secoli.

La nostra ipocrisia, tipica dell'uomo moderno, non ci fa dire esattamente cosa fosse, cioè il motivo per cui fu realizzato dai nostri predecessori.
Eppure il motivo è semplice, e gli antichi ce lo direbbero se potessero parlare e, anzi, ce lo dicono chiaramente grazie ai loro lasciti culturali: è un tempio della ierogamia, oppure anche detta "teogamia" Che cos'è la ierogamia, o teogamia?
E' l’unione sessuale sacra, le nozze celebrate dagli dei, e viene definita “hieros gamos” nei miti greci.
Sappiamo che la festa veniva celebrata con l'accoppiamento sessuale dello ierofante e della ierofante, o se volete possiamo parlare di sacerdote e di sacerdotessa, anche se non è esattamente la stessa cosa, e prevedeva l’offerta di un maialetto al Dio maschile (il Dio fertilizzante del Toro, forse già chiamato il luminoso Sardus Pater o qualcosa di analogo) e una serie di banchetti, mentre si celebrava il rito dell'accoppiamento sull'altare che veniva ripetuto ogni anno.
Perché questo popolo era uso a praticare le nozze sacre?
Per un motivo ben preciso e altrettanto sorprendente. Lo sappiamo perché studiando la storia delle religioni dell'antichità, soprattutto quelle dell'area del Mediterraneo, che più hanno lasciato rappresentazioni, dati e fonti, lo abbiamo appreso e abbiamo capito che dove fosse stato eretto un altare della ierogamia, in questo caso corredato addirittura dell'inequivocabile sacro fallo eretto (la pietra menhir), ci si trovava di fronte ad una civiltà della Dea, ossia di una civiltà che oltre matriarcale potrebbe essere definita "matrifocale preistorica".


La studiosa italiana Momolina Marconi confermò l’ipotesi dell’esistenza di una civiltà matriarcale, quella dei Pelasgi – che si sviluppò dalla Puglia alla Sardegna fino alle coste africane e dell’Anatolia – e la cui religione era incentrata sulla Grande Madre Mediterranea.
In queste società non esisteva il matrimonio tra uomo e donna, anche perché una simile istituzione, per quanto a noi oggi possa sembrar strano, nella realtà di allora non era stata ancora esperita, inventata, e ci si sposava spiritualmente esclusivamente con gli Dei.
Ma ecco che mancando agli Dei gli organi sessuali... per procreare dovevano approfittare della loro forma mentis rituale da un lato, e degli organi sessuali dei più capaci dall'altro.
Del resto, dalla donna prende l’avvio la prima civilizzazione dei popoli e le donne, in generale, assumono una parte importante in ogni decadenza e rinascita .
L’addomesticamento dell’uomo, sessualmente rozzo, è opera della donna. Nell’uno vi sono forza e impeto, nell’altra vi è il principio della calma, della pace, del timore degli dei e del diritto.
Secondo Genevieve Vaughan, autrice di “Per-donare", la conoscenza e riscoperta delle culture matrifocali può aiutare a modificare il modo di impostare le relazioni interpersonali ed in particolare i rapporti di tipo economico, attraverso “uno spostamento dei valori con cui gestiamo le nostre vite e le nostre politiche”. Spostamento che va da una modalità in cui alla base di ogni rapporto umano ci sia lo “scambio” (di favori, di prestazioni, di denaro, etc.), a modalità impostate sul donare gratuito e "necessario".
Necessario significa: chi ha più bisogno viene prima di chi può pagare o ricambiare. Gratuito significa che il desiderio, e volontà di condividere i propri doni, coincide perfettamente con quanto si sta offrendo.
Nel matrimonio sacro, nella ierogamia, l'essere umano scopriva dunque il piacere di dare e ricevere e lo faceva con l'atto sessuale ritualizzato ai massimi termini.
E tale fenomeno sembra sia durato ancora a lungo, anche nelle epoche successive, almeno fino all'avvento del patriarcato, che avrebbe stravolto il sistema matrifocale.
Secondo alcuni studiosi, le culture più vetuste del Mediterraneo sarebbero state create e stabilite dai portatori del “matriarcato iperboreo” giunti da Nord-Ovest, via mare ed attraverso l’Africa nord-occidentale, e che da lì sarebbero giunti fino al Vicino Oriente.

E questi altri non sarebbero che i cosiddetti “Popoli del mare” la cui origine, viene fatta risalire addirittura al mito di Atlantide: centro sacro di passaggio nella migrazione dei popoli iperborei verso Sud.
A parziale sostegno di questa teoria vi è il fatto che le razze che abitavano le isole mediterranee, legate al culto della Dea ed al mito dei Popoli del mare (dalla Sardegna a Malta, fino all’area pelasgica), fossero dolicocefale.
Di fatto, i crani ritrovati negli ipogei sardi e maltesi (Anghelu Ruju e Hal Saflieni in modo particolare) mostrano questa caratteristica conformazione ossea. Ed in questi stessi siti archeologici sono riscontrabili simboli che, teoricamente, potrebbero avvalorare la teoria atlantidea. Uno su tutti è quello della “triplice cinta” utilizzato, successivamente, anche in molti luoghi di culto costruiti dall’Ordine cavalleresco dei Templari.
Questo simbolo, costituito da tre quadrati concentrici equidistanti con delle linee a croce sui lati, rappresenterebbe la pianta della città di Poseidonia: il centro più importante di Atlantide descritto anche da Platone nel Crizia.
Ma la nascita degli archetipi sembra essere indatabile, talmente questi sono antichi.
Sulle pareti degli ipogei sardi (o Domus de Janas – “casa delle fate”), inoltre, non è difficile individuare i simboli del “labirinto” (sempre collegato alla pianta di Poseidonia) e addirittura una sorta di “scacchiera” ante litteram dipinta in bianco ed ocra rosso.
Il gioco moderno degli scacchi, come noto, ha un’origine relativamente recente (primo millennio d. C.) e sarebbe giunto in Europa attraverso la Persia; altro Paese il cui popolo è indissolubilmente legato alla “dimora artica”.
Ma il simbolo della “scacchiera”, con la sua alternanza di quadrati bianchi e neri, avrebbe, ancora una volta, un’origine remota nel tempo, forse legata all’alternanza tra luce e tenebra, tra bene e male, tipica di quell’anno-Dio che rappresentava il sistema stesso attraverso il quale l’umanità iperborea e primordiale regolava il proprio essere nel mondo.
Concluderei citando lo studioso delle religioni Raffele Petazzoni che considerava La religione degli antichi abitanti della Sardegna, una sorta di “monoteismo imperfetto” in cui una divinità dominava sulle altre che, spesso e volentieri, venivano semplicemente identificate come i suoi stessi attributi.

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