sabato 2 aprile 2022

Archeologia della Sardegna: La grotta sacra nuragica di Morgongiori. Articolo di Francesco Manconi Quesada

Archeologia della Sardegna: La grotta sacra nuragica di Morgongiori

Articolo  di  Francesco Manconi Quesada


Morgongiori e il suo territorio

Il territorio di Morgongiori si estende per ben tre quarti della sua superficie, vale a dire per circa 3.600 ettari, sul massiccio vulcanico del Monte Arci. Il paese ed il monte sono quindi legati a filo doppio per quanto attiene alla storia passata, alle attività economiche, agli usi e alle tradizioni. La valorizzazione dell'ambiente e del territorio, con le testimonianze archeologiche che vi insistono, può essere uno stimolo per il progresso sociale, culturale ed economico della popolazione.

Il monte Arci è un rilievo vulcanico, originato da effusioni magmatiche avvenute principalmente in due epoche: il Miocene e il Pliocene (Era Terziaria). La prima fase risale a circa 15 milioni di anni fa e ha visto lo svolgersi di un'intensa attività vulcanica sottomarina da cui ha avuto origine un gigantesco ammasso di rocce basiche, il massiccio basaltico. La seconda fase risale a un periodo compreso tra 5 e 3 milioni di anni fa ed è consistita in un vulcanismo subaereo che ha prodotto rocce basiche, acide (trachite) e intermedie (andesite, dacite), che rivestono il primitivo massiccio come un mantello. Le rocce mioceniche affiorano, in territorio di Morgongiori, a Pab'e sa Murta (a sinistra della strada proveniente dal Campidano, prima del bivio per Siris), sotto forma di 'pillows' (cuscini). I rilievi di

Trebina Lada, Trebina Longa e Perd'e Pani rappresentano invece i punti di eruzione (camini) del Pliocene. Le trachiti sono visibili a S'Arrosada e a Serra Arruidroxiu, le daciti a Conca 'e Mraxi, le andesiti a Pranu Pira.

 

Morgongiori nella preistoria

Il Monte Arci ha avuto un'importanza straordinaria nello svolgersi millenario della preistoria sarda, a causa della sua ricchezza in ossidiana, la pietra lavica mirabilmente sfuttata per la produzione di armi e strumenti. Il cosiddetto 'oro nero' dell'Arci veniva infatti esportato già dai tempi del neolitico antico fino in Corsica e nei paesi rivieraschi del Mediterraneo occidentale, per essere lavorato in schegge taglienti e trasformato in levigate punte di freccia e altri utensili. Alle falde del monte si trovano filoni di ossidiana di differenti qualità, comprese quelle più rare, la verde e l'azzurra. In tutta l'area del massiccio sono numerosissime le 'officine' (luoghi dove si lavorava l'ossidiana) e le 'stazioni' (luoghi di semplice rinveni-mento). Nel territorio di Morgongiori, secondo le ricerche del Prof. Cornelio Puxeddu, si trovano officine a: Sant'Arronti, nuraghe Concoredda, nuraghe S'Omu 'e s'Orcu, Punta Santu Marcu, Sa Paba Frida, Punta Masoni Perdu, nuraghe Bruncu is Pillonis e Santa Maria, stazioni a Su Pranu, Conca Margini, Intellas, Benas, Setti Funtanas, S'Acqua Marzàna, Sribas, Mitza Tziu Parotti, Cuccuru Poddi, Roia Arroxi, Corongiu Aunari, Punta Trunconi, Sa Grutta de is Colombus, Roia Paris de Mesa, Cuccuru Mattivi, Cabud'Acquas, Serra Ovieddu, Punta s'Arziada, nuraghe S'Arrideli, Costa Funtanas, Sa Grutta de is Janas e Su Nieddu Mannu.

Al confine tra Morgongiori e Pompu, in località Prabanta (Praunanta secondo alcune fonti), si trovano due domus de janas, “Su Forru de Luxia Arrabiosa“ e “Sa Sala (o Su Stabi) de Luxia Arrabiosa“, e un menhir detto “Su Furconi de Luxia Arrabiosa“. Il menhir, in marna calcarea, è alto m 3,60 ed è decorato con 12 coppelle disposte in fila secondo uno schema a zig-zag.


I nuraghi di Morgongiori

Come spesso succede in questo campo, anche nel caso di Morgongiori le fonti bibliografiche non concordano sul numero e sulla denominazione dei nuraghi presenti nel territorio.

 

Il Lilliu cita cinque nuraghi: Concorredda, Funtana Maiori (o S'omu 'e s'Orcu), Sa Scovera, Truncu is Pillonis, Punta Santu Marcu.

Tigellio Contu ne elenca invece otto: Sa Domu de s'Orcu (in regione Scovera), Su Truncu de is Pillonis, Pranu Nuraci, Santu Miali, Nuraci de Arrideli, Su Niu de sa Menga, Su Pranu Suedda (o Sa Prassuedda), Su Lacu de su Meli.

Il Melis invece indica i seguenti: n. de Preidis (che in realtà si trova al confine tra Masullas e Siris), un nuraghe a quota 451 s.l.m., lat. 39°45'2, long. 3°41'21, col solo simbolo nell'IGM (che dovrebbe corrispondere al n. S'omu 'e s'Orcu o Funtana Maiori), Concoredda, Sa Scovera, Benas (coincide con S'Arrideli?).

Il Prof. Puxeddu, nella sua preziosissima tesi di laurea, descrive e disegna la pianta di sette nuraghi: Su Sensu, al confine Morgongiori-Pompu-Siris (ma che in realtà si trova al confine tra Siris e Pompu, frazione di Masullas), S'Arridebi, Concorredda, Sa Scovera, S'omu de s'Orcu, Punta Santu Marcu, Su Truncu de is Pillonis.

Nelle carte dell'Istituto Geografico Militare è indicato solamente il S. Miali, sia nella vecchia edizione, che nella nuova.

Sinteticamente, comparando i dati suesposti, possiamo concludere che nel territorio di Morgongiori sono presenti i seguenti nuraghi:

Truncu de is Pillonis,

Concorredda,

S'omu 'e s'Orcu (o Funtana Maiori),

S'Arrideli,

Sa Scovera,

Punta Santu Marcu.

 


Il nuraghe 'Truncu de is Pillonis'

Un cenno particolare merita il nuraghe Truncu de is Pillonis (secondo alcune fonti 'Bruncu de is Pillonis'), allo stato attuale delle ricerche l'unico nuraghe complesso di Morgongiori; ma se si immagina un nuraghe complesso come Su Nuraxi di Barumini, bisogna dire subito che Su Truncu de is Pillonis è qualcosa di molto più modesto. Si tratta in realtà di uno spuntone di roccia (un 'brùnku', appunto) che domina l'abitato moderno di Morgongiori e che per questo motivo è stato trasformato in basamento per sostenere un’enorme croce metallica dotata di impianto di illuminazione. La roccia, di aspetto tabulare, dà forma a un terrazzo naturale gradonato, sotto il quale si aprono delle piccole cavità tondeggianti: le più piccole assimilabili a nicchie, le più grandi quasi delle stanzette.

In età nuragica il terrazzo naturale è stato circondato e integrato da muraglie in opera ciclopica, di cui residuano ancora sul lato Sud una decina di filari di grossi blocchi. Nel corpo murario erano ricavati alcuni vani, oggi di difficile lettura a causa dei crolli, della vegetazione e dei lavori effettuati per installare la croce con i tiranti d'acciaio e l'impianto elettrico. Per sostenere la croce è stata inoltre realizzata una piattaforma con alcuni scalini.

Si può supporre che all'epoca dei nuraghi il terrazzo naturale/artificiale, esteso circa 120 metri quadrati, fosse provvisto di alcuni vani in elevato, che verosimilmente integravano le cavità naturali e che in seguito sono stati demoliti. Nei muretti a secco dell'area circostante si possono vedere infatti diversi blocchetti squadrati di marna calcarea. Il nuraghe di Truncu de is Pillonis si staglia sull'odierno paese di Morgongiori a guardia della vallata. Per questo motivo ad esso si può ragionevolmente attribuire la funzione di controllo del territorio e di collegamento visivo con il retrostante bastione lavico di Funducarongiu, in cui si apre la grotta di Scaba 'e Cresia, oggetto di questo lavoro.

 

 La grotta di “Scab'e Cresia

(o Grutta de is Caombus)

.

La grotta di Scab’e Cresia si apre sulle pendici sud-orientali del Monte Arci, in lo­calità Santu Marcu, su un costone dalle pareti verti­cali alte una ventina di metri (denominate Is Concas de Funducarongiu), a 520 m sul livello del mare.

Il bastione naturale è ricoperto da una folta vegetazione di macchia mediterranea e roverelle. Si allunga da Est a Ovest dominando la vallata che digrada dal paese di Morgongiori fino al riu Mo­goro.

Sulla medesima parete rocciosa si apre la grotta detta 'S'Omu 'e is Caombus', 'la casa dei colombi' nella parlata locale. Si tratta di una delle numerose spaccature verticali che interessano le balze di basalto e lipa­rite, le quali tendono a sgretolarsi e a franare, facendo progressivamente arretrare il fronte della parete.

Il pianoro antistante il costone, punteggiato da grandi esemplari di roverella e attraversato da muri a secco ricoperti di rovi, prende il nome da un edificio sacro, la chie­setta di S. Marco, di cui re­stano evidenti tracce, insieme a resti di epoca preistorica e storica.

La nostra grotta invece non ha attual­mente un accesso conforte­vole, ma pre­senta al suo interno una situazione quasi unica di adattamento architet­tonico, che la rende una delle più interes­santi fra quelle utilizzate in epoca nura­gica.

La cavità ha due ingressi na­turali (A e B nelle fi­gure) ed è costituita da una lunga diaclasi con alcune dirama­zioni minori. Essa ha l'aspetto di un corridoio alto e stretto col pavimento in discesa. L'altezza media è di circa 20 m e la larghezza di circa 1,50.


Il ramo prin­cipale parte dall'ingresso B, uno stretto pertugio sul lato orien­tale del costone di Punta Santu Marcu, e si sviluppa in discesa, dapprima con alcuni ripidi salti, il cui supera­mento richiede un minimo di esperienza speleologica, poi con una agevole discenderia fino al livello più basso della grotta (punto C). Il di­slivello fra l'ingresso B e il punto C è di 45 metri.

Poco prima del punto C, in alto a sinistra (punto H) sbocca il corri­doio proveniente dall'ingresso A. Que­sto secondo in­gresso si apre all'esterno nella parete rocciosa a circa 7/8 metri dal piano di campa­gna, in mezzo ad un'ampia spacca­tura. Attualmente l'accesso alla grotta da tale apertura è possibile soltanto con specifica attrezza­tura di tipo speleologico.

Al punto C arrivano le rampe di scala che partono dai punti D, E ed F. Dal punto E si diparte un cunicolo late­rale (E-L) che si restringe progressivamente fino a di­ventare impercor­ribile per l'uomo.

La scala è arti­colata in tre rampe: la prima dal basso ha inizio nel punto C, con un gradino costituito da un masso ben squa­drato anche nella faccia infe­riore che copre parzialmente una pozza di raccolta delle acque di percolazione della grotta. La pozza mi­sura circa m 1,5 x 2 ed occupa la zona più bassa della cavità. Essa non presenta alcun adattamento artificiale evidente, ma è stata verosimilmente allar­gata dalla mano dell'uomo. Vi si raccoglie l'acqua che fil­tra at­traverso le numerose fessure della roccia e scorre in tutte le diramazioni della grotta. Nei periodi di maggiore siccità la pozza si asciuga, ma dopo le grandi piogge il livello dell'acqua sale fino a rico­prire gli ultimi nove gradini della scala. Il primo gradino quindi rico­pre per circa un terzo la pozza, pog­giando sulle sporgenze delle pareti; misura 114 cm di larghezza per 80 di profondità ed è alto 22.

La prima rampa è formata da 25 gra­dini che adattano le loro mi­sure alle dimensioni della cavità. La larghezza dei gradini varia tra i 100 cm del 23o e i 120 cm del 5o, l'alzata tra i 17 cm dell'11o e i 25 cm del 15 o, la pe­data va dai 14 cm del secondo ai 27 cm del 23o. La struttura appare abbastanza regolare, realiz­zata con bloc­chi di basalto e liparite bene squadrati. I gradini sono costituiti da uno o due blocchi, più ra­ramente da tre. Il 25o gradino forma un pianerottolo tra la prima e la seconda rampa; si tratta di un masso perfettamente lavorato nelle facce a vista, di forma trape­zoidale, che segue la curvatura della scalinata; misura 112 cm di larghezza, 20 di alzata e 75 di pedata.


La seconda rampa fa un angolo di circa 45 gradi con la prima e si sviluppa per 21 gradini, compreso il secondo pianerottolo. Essa presenta una strut­tura più irregolare della prima, con i gradini tutti più stretti, essendo più stretta questa parte della grotta. La larghezza va­ria tra i 68 cm del 31o ed i 94 cm del 35o, l'alzata va dai 17 cm del 34o ai 26 cm del 28o, la pedata dai 19 cm del 28o ai 36 cm del 41o. Anche la se­conda rampa si conclude con un pianerottolo, costituito da un blocco squa­drato di cm 92 di larghezza, 22 di alzata e 97 di pe­data.  A questo punto la grotta si divide in due rami: a de­stra il cu­nicolo E-L, percorribile con difficoltà per una ventina di metri, a sinistra il ramo E-G. In quest'ultimo corridoio si svi­luppa la terza rampa, in parte interrata. Il corri­doio infatti è stato inte­ressato, in tempi recenti, da un crollo di materiale roccioso dal sof­fitto che l'ha quasi completamente ostruito, rendendone alquanto pericolosa l'esplorazione.

Il ramo E-G si dirige verso Sud, pa­rallelamente al ramo A-H, cioè in direzione dell'ingresso A. Se ne deduce che la terza rampa andava a terminare verso l'esterno, a una decina di metri ad Ovest dell'ingresso A, ma ad una quota infe­riore di circa 10/12 metri, cioè in corrispondenza dell'edificio nuragico descritto più avanti.

Gli elementi decorativi

La parte più bassa della scalinata presenta alcuni elementi di partico­lare interesse, che servono a chia­rire la destinazione d'uso della grotta.

Nel quarto gra­dino della prima rampa partendo dal basso, sul lato de­stro, è stata realizzata una vaschetta col bordo in rilievo sul piano della pedata. Mi­sura cm 20 di diame­tro esterno e 14 di diametro interno, il bordo è alto 3 cm. Il quinto gradino è stato scavato per circa 3 cm nell'alzata, per lasciare spazio alla vaschetta sotto­stante. Come detto sopra, durante la stagione piovosa gli ultimi gradini vengono sommersi dall'acqua che si raccoglie nella pozza del fondo. Pertanto, quando il livello dell'acqua scende, la vaschetta rimane piena d'acqua per un certo periodo di tempo. Questo fenomeno aveva sicuramente una grande importanza per l'utilizzo della grotta come luogo di culto.

Due piccole bozze si trovano sull'alzata del quarto e dell'ottavo gradino: la più grande e meglio conser­vata è quella del quarto, situata proprio sotto la vaschetta; misura cm 7 di diametro e sporge di circa 4 cm.

L'altra è più piccola e più de­gradata e si trova nell'ottavo gradino, sem­pre sul lato destro.

L'edificio esterno

Strettamente collegato alla grotta fin qui descritta è l'edificio nuragico presente all'esterno della cavità. Si tratta di un vano circolare, situato a circa 20 metri a Sud/Sud-Ovest dalla spaccatura della roc­cia in cui si apre l'ingresso A. L’edificio, in precedenza abbondantemente interrato e colmo di materiale di frana, è stato riportato in luce dallo scavo diretto dalla Dott.ssa Emerenziana Usai, per conto della Soprintendenza Archeologica per le province di Cagliari e Oristano. Lo scavo ha interessato l’area circostante, ma non la grotta. È venuta alla luce un’area sacra frequentata appunto dal periodo nuragico fino all’epoca punica e all’età romana. Pare che l’edificio nuragico sia stato in età romana sede di un sacello.

La costruzione nuragica è realizzata in filari irregolari di grossi bloc­chi poligo­nali, secondo la tecnica detta 'ciclopica'. Il primo blocco a sinistra dell’ingresso misura cm 140x100x70.

Lungo la parete interna si aprono cinque nicchie, disposte su due livelli. Procedendo da Sud verso Nord si trovano le prime tre. La n.1 è larga 50 cm, alta 70 cm e pro­fonda 80 cm, l'architrave di copertura misura cm 100x50x50. La n.2 dista 120 cm dalla prima, si apre su un filare più in alto, misura cm 60x60x80 ed è co­perta da un ar­chitrave di cm 120x35x60. La terza nicchia si apre sul lato Ovest e mi­sura cm 70x80x60, l'architrave misura cm 80x40x40.

Le altre due invece si aprono ad un livello inferiore. La nicchia n.4 si trova più in basso delle precedenti, adiacente alla terza, è più grande e di forma più regolare, cm 90x75x55. L'architrave è un masso lungo e stretto di cm 120x20x70, il fondo è costituito da un unico blocco spia­nato. An­che l'ultima nicchia è più grande delle altre, ma meno profonda, come la n.4, misurando cm 120x100x40. Anche la quinta nicchia è coperta da un archi­trave a forma di parallelepi­pedo regolare di cm 155x40x60, mentre il fondo è formato da due grandi massi squa­drati. Alcuni blocchi basal­tici del muro interno del vano presentano piccole vaschette naturali, forse allargate dalla mano dell'uomo, utilizza­bili come ripostiglio: una è larga 20 cm e alta 25 e si trova accanto alla nicchia n.1; un'altra più piccola è all'interno della nicchia n.5.

Un grosso masso con le facce ben lavorate a martellina è stato rinvenuto all’interno dell’edificio. Ha forma di parallele­pipedo con il lato superiore convesso; misura cm 90x70 e 45 di profondità. Il lato superiore presenta uno spigolo sbreccato, le due facce la­terali sono invece per­corse da una scanalatura profonda 1 cm e larga 2, che corre parallela ai lati lunghi. Nel corso degli scavi è stato ipotizzato il suo utilizzo come altare in epoca storica.


Il compianto Prof. Cornelio Puxeddu descrisse il ‘nuraghe Santu Marcu’ come una camera nuragica, o fonte, situata davanti alla grotta 'Domu de is Colombus', che presenta una grande nicchia di m 2,20x1,60x1,60 e due armadietti di cm 35x35x20. Sebbene la descri­zione delle nicchie non corrisponda esattamente, il nuraghe Santu Marcu è l'e­dificio descritto in questo lavoro. Il Prof. Puxeddu mi ha riferito del ritrovamento (forse all’interno della grotta) di tre vasi di ceramica grossolana, di tipo nuragico, consegnati da un ragazzo all'appuntato Dattena, della locale stazione dei Carabinieri.

 


La grotta come luogo di culto

Diversi elementi confermano senza alcun dubbio la funzione di luogo sacro prospettata per la grotta di Morgongiori. Innanzitutto la presenza dell'acqua sul suo fondo, almeno per gran parte dell'anno. La scala, elemento caratte­rizzante dei pozzi sacri, costruita con blocchi portati dall'esterno, denota grande cura e assume quindi notevole importanza, significando una utilizzazione non di vita quotidiana ma riservata a momenti di culto. In altre parole, i nuragici non avrebbero costruito quella scalinata solo per andare a rifornirsi d'acqua, ma per uno scopo ben più rilevante. Infine i simboli scolpiti sui gradini, le due bozze, sono sicuramente un elemento decorativo di un luogo sacro. Può trattarsi di bozze mammillari e si possono fare raffronti con numerosi monumenti nuragici funerari o religiosi; oppure possono essere rappresentazioni di astri, ipotesi più probabile, dato che le bozze non sono accoppiate. Anche la vaschetta aveva sicuramente una funzione cultuale, pur se non sappiamo esattamente quale. Si aggiunga l'edificio esterno, che doveva essere non un semplice nuraghe, ma un ambiente di servizio e di accoglienza per il tempio sotterraneo.

Tutto ciò è confermato dai raffronti che si possono fare non solo con altre grotte dall'apprestamento similare, ma anche con edifici decorati con bozze.

La religione delle genti nuragiche.

La religione dei Sardi nell'età nuragica si articola in due filoni: il culto dei morti, eroi-dei, e il culto delle divinità naturalistiche: acqua, pietre, alberi, animali, astri. Entrambi avevano come fulcro la coppia toro/dea madre (già presente nelle culture dei millenni precedenti), rappresentata in diverse forme e con varie simbologie. Il toro era il simbolo per eccellenza della forza fecondatrice maschile e la dea madre raffigurava la femmina feconda, la terra che elargisce i suoi frutti, l’animale che produce carne, latte, pelle.

Il culto dei morti si svolgeva principalmente presso le 'tombe dei giganti', che erano non solo sepolcri, ma veri e propri edifici sacri, monumentali, segni della comunità sul territorio.

Il culto dell'acqua era prati­cato nei templi, di varia foggia architettonica, presso le fonti, ma so­prattutto nei pozzi sacri, che riproducono artifi­cialmente un ambiente ipogeo, sede di divi­nità cto­nie. Anche la Dea Madre trova una sede appropriata nelle profondità della Terra, identifican­dosi con essa, già dai tempi delle culture neoli­tiche, in Sardegna come nelle altre civiltà me­diterranee. La raffinata architettura dei pozzi sacri testimonia l'importanza dell'acqua di vena per il culto dei popoli nuragici.

Nella grotta di Morgongiori il sacro liquido si trova in profondità, nel ventre della Madre Terra, sede ideale per celebrare riti in onore delle divinità ctonie. Che la nostra grotta avesse una funzione sacra è quindi dimostrato dalla presenza della vaschetta e dei rilievi mammillari, oltre che dalle analogie strutturali con i pozzi sacri: ingresso monumentale (edificio esterno), scalinata.

La vaschetta, vicina alla pozza di raccolta dell'acqua, aveva sicuramente una funzione lustrale, come già rilevato dal Lilliu nella prima descri­zione della grotta, mentre le due bozze possono essere assimilati ai rilievi mammil­lari o astrali presenti in pozzi sacri nuragici, in templi a megaron, in tombe di giganti e nei betili che talvolta le affiancano.

La va­schetta è legata al culto dell'acqua, le mammelle (o la luna) al culto della divinità femmi­nile.

Come già detto, le due bozze non sono appaiate, come in tanti monumenti nuragici, ma separate, su due scalini diversi. Quindi l’ipotizzata funzione di rappresentazione di astri (sole e/o luna) appare come più probabile.

Si conferma quindi lo stretto collegamento fra il vano esterno e la grotta sacra (un vero e proprio tempio a pozzo naturale), considerando la prima come edi­ficio utilizzato dai ministri del culto. La presenza delle nicchie trova raf­fronti con la cosid­detta 'capanna del capo' di Santa Vittoria di Serri. In seconda ipotesi, si po­teva trattare di un luogo di attesa per i fedeli o di un deposito per og­getti di culto e doni votivi.

Le  grotte  nuragiche

In Sardegna l'uso di adattare le cavità naturali alle esigenze umane tramite la costruzione di muri in pietra risale almeno al Neolitico medio, ovvero al quarto millennio avanti Cristo.

Nella grotta Rifugio di Oliena, ad esempio, alcuni sbarramenti realizzati con pie­tre a secco proteggevano un pozzo utilizzato in quell'epoca come sepoltura.

Nell'età nuragica si assiste ad un frequente utilizzo di grotte adattate e talvolta trasformate dall'opera dell'uomo. Non si può qui non ac­cennare al famoso villaggio nuragico di Tiscali.

Esso domina la vallata di Lanaittu, in territorio di Oliena, la quale ospita, ol­tre alle grotte di Su Bentu e Su Benti­cheddu, il complesso nuragico di Sa Sedda 'e sos Car­ros, il villag­gio di Ruinas, una tomba di giganti accanto alla grotta Sa Oche, riserva perenne d'acqua per pastori e greggi. Sopra la forra di Doloverre, in cui si apre la grotta di Sisaia, vicino alla voragine di Tiscali, il villag­gio omonimo (in territorio di Dorgali) resiste alle intemperie e alle ben più dannose incursioni dei mo­derni van­dali, adagiato all'interno di una splendida e rara for­mazione carsica: una dolina di crollo apertasi su una cresta calcarea. Tra grandi esemplari di querce e fino ai recessi più bui dell'ampio ca­tino naturale, illuminato su un lato da un gigantesco fine­strone, sono disposte le abita­zioni del villaggio che ta­luno ha supposto costruito per sfuggire all'invasore romano. L'agglomerato è accessibile da una parte soltanto attraverso una stretta spaccatura verti­cale, Sa Curti­gia de Tiscali; dall'altra è facilmente difendibile, poiché chiun­que vi si avvicini può essere avvistato con molto anticipo. Una ca­panna con la copertura a tholos in piccoli bloc­chi conserva ancora miracolosamente l'architrave in legno di ginepro. Di altre abitazioni si legge la pianta quadrangolare che talvolta segue la conforma­zione delle pareti rocciose.

Nel Supramonte si conoscono ulte­riori esempi di utilizzazione di caver­noni, cenge e doline per abita­zione e luogo di sepoltura. Alcuni di essi conservano tracce di opere murarie, pur senza raggiun­gere la spettacolarità del villaggio di Ti­scali.

Altre grotte hanno però subìto ben più spettacolari interventi di adattamento da parte delle genti nuragiche; esse svolgevano essenzialmente due funzioni: luogo sacro o fortificazione. Di seguito se ne dà una breve descrizione.


San Giovanni - Domusnovas               

La grotta di San Giovanni (o di Acquarutta) di Domusnovas è notissima per la caratteristica che ha in comune con due sole altre grotte al mondo: quella di essere percorsa da una strada asfaltata, un tempo aperta al traffico automobilistico! Molto meno, anzi quasi per niente, è nota per il fatto di essere stata trasformata in epoca nuragica in una grande fortezza chiusa da sbarramenti murari ai due ingressi.

La cavità si apre ai piedi del Monte Acqua, un rilievo ai limiti del massiccio del Marganai, sul versante settentrionale della valle del Cixerri. Si tratta di una grande galleria naturale, aperta dalle acque correnti attraverso un’ampia frattura orizzontale degli strati calcarei; vi si immette, dall'ingresso settentrionale, il Rio di Monte Narba/Rio Sarmentus che esce dall'ingresso meridionale col nome di rio San Giovanni, andando poi a confluire nel fiume Cixerri.

La grotta è stata frequentata sin da tempi remoti, come dimostra il ritrovamento, in vicine cavità, di vasi del Neolitico Recente e di cultura Monte Claro; essa d'altronde era, allora come oggi, un passaggio obbligato per inoltrarsi nel massiccio del Marganai dal fianco orientale. Attraverso la grotta di San Giovanni si arriva infatti nella valle di Oridda, ricca di acqua, di cascate, di boschi, di selvaggina, di minerali. Possiamo immaginare quale fosse la lussureggiante vegetazione che copriva la zona prima dell'arrivo dei minatori, dei carbonari e dei boscaioli che ne hanno fatto scempio in tempi storici. In presenza di foreste molto più rigogliose di quelle attuali, anche l'acqua corrente di superficie era sicuramente più abbondante di quella che oggi scorre solo nella stagione delle piogge. Nel ruscello a monte della grotta si hanno infatti dei periodi di secca prolungati dalla tarda primavera all'autunno inoltrato, mentre il rio San Giovanni è alimentato perennemente dalla sorgente omonima, adiacente all'ingresso meridionale, una delle più ricche della provincia di Cagliari.

La strada carrozzabile che attraversa la grotta di San Giovanni, dopo essersi snodata con un percorso tortuoso lungo le zone minerarie di Is Arenas, Sa Duchessa e Malacalzetta, tra il Marganai ed il monte Linas, va a finire nella valle di Antas, frequentata dalle genti nuragiche ben prima che i Punici ed i Romani vi edificassero il tempio al Sardus Pater, come attestano recenti ritrovamenti.

Le strutture nuragiche che chiudevano i due accessi alla grotta-galleria di Domusnovas sono state descritte già nel 1840 dall'Angius. Egli dice che nel primo ingresso, sulla sinistra, si trovano gli avanzi di un muro ciclopico che lo chiudeva. Una piccola porta presso la parete della spelonca è alta quanto la statura ordinaria d'un uomo, a sinistra della porta una scala larga m 1,30 portava sopra il muraglione dove c'erano merli e feritoie. Il muro è spesso m 4 e costruito con grandi pietre irregolari all'esterno e grandi e piccole all'interno con argilla rossastra, il tutto cementato dal concrezionamento dello stillicidio. La metà destra del muro è crollata per l'impeto del torrente Oridda e si ricordano i ruderi presenti fino a pochi anni prima; all'uscita si trova un altro muro dallo spessore di m 3,20.

Questa era la descrizione degli sbarramenti murari nel 1840. Possiamo dedurne che la distruzione degli stessi sia avvenuta nel giro di più di un secolo ad opera dell'acqua che scorre impetuosa nella galleria naturale dopo le piogge intense, ma ancor più ad opera dell'uomo; infatti l'autore parla di 'metà dello sbarramento' meridionale ancora in piedi a quei tempi. Si riconosce la cura dell'Angius nella descrizione dei manufatti, ma egli cade in errore quando scrive che 'ai tempi della costruzione dei muri il torrente non entrava nella grotta, ma girava intorno al monte'. è chiaro infatti che ciò non è possibile perché il ruscello avrebbe dovuto superare un dislivello di almeno 120 metri ed è ancora più sicuro che la grotta sia stata scavata dallo stesso fiume nel corso di lunghi periodi geologici. Evidentemente l'autore voleva risolvere in quel modo il dubbio sul fatto che le opere murarie occludessero totalmente gli accessi o lasciassero aperto un varco per le acque correnti.

L'argomento fu ripreso dal Della Marmora nel Voyage (Parte III, volume I) e poi ancora nell'Itineraire. In un disegno dell'autore si vede l'ingresso meridionale con i resti nuragici, ben più cospicui di quelli attuali. Lo studioso scrive che la scala praticata nello spessore del muro conduceva ad una finestra e che all'estremità opposta, vicino alla cappella di San Giovanni (oggi distrutta), c'era un altro 'muro barbaro' molto antico.

Anch'egli affronta il problema dello scorrimento delle acque all'interno della grotta, ipotizzando perfino che i costruttori dei nuraghi abbiano deviato il corso del fiume.

Lo Spano, nella traduzione dell'Itineraire, aggiunge che quello del primo ingresso era un vero Nuraghe, al cui terrazzo si poteva salire e la cui abitazione si trovava all'interno. Egli vi raccolse pezzi di stoviglie simili a quelli trovati in altri nuraghi. L'autore ricorda che la strada carrozzabile fu costruita nel 1865 per facilitare il taglio del legname nella vallata di Oridda e che da quando si è proceduto al disboscamento sono venute a mancare le acque del ruscello in entrata. In occasione della costruzione della strada fu demolita la cappella di San Giovanni e parte del muro ciclopico.

è chiaro, possiamo dire oggi, che quando si costruirono i muri il ruscello immissario della grotta era perenne e aveva una portata molto più regolare grazie all'opera idroregolatrice della foresta, mentre ora (come nel secolo scorso) il regime del corso d'acqua è strettamente dipendente dalla precipitazioni e quindi stagionale. Ne consegue che i nuragici abitatori della zona realizzarono le loro opere di chiusura della grotta lasciando lo spazio necessario per lo scorrimento dell'acqua.

Le strutture murarie ancora visibili sono oggigiorno ridotte a ben poca cosa. All'ingresso meridionale la parte più evidente consiste nei resti di una muratura che si appoggia alla parete naturale della grotta, lasciando il varco dell'ingresso architravato alla maniera classica dei nuraghi. L'ingresso è alto m 2; l'architrave è lungo cm 110, alto cm 40 e profondo cm 70; il muro è alto ancora m 5,50 circa, è spesso m 1,50 e lungo m 1,20 dopo gli ultimi crolli. è costruito con grossi blocchi poligonali (misure del primo a sinistra dell'ingresso: cm 100x50x40) che lo stillicidio ormai plurimillenario ha ricoperto di una crosta calcarea e talvolta cementato insieme. Nell'ingresso lo stipite destro è crollato, ma l'architrave è rimasto nella sua posizione originaria grazie al concrezionamento effettuato dall'acqua di percolazione.

All'uscita della galleria (ingresso Nord) si vedono i resti di un altro muro in opera ciclopica, che la sbarrava trasversalmente. Il muro era largo m 3 e si conserva per quasi la metà della larghezza della grotta (m 10); nel punto più alto misura ancora circa 3 m.

L'attribuzione delle strutture ad epoca nuragica è confortata dall'esame della tecnica costruttiva oltre che dai ritrovamenti dello Spano su citati. La funzione era sicuramente difensiva e di controllo dell'accesso al massiccio del Marganai, come sostiene anche Luciano Alba che paragona gli sbarramenti della grotta di San Giovanni a quelli della gola di Gutturu Xeu tra il Marganai e la Punta Tintillonis. Non si può tuttavia escludere che all'ingresso meridionale avessero luogo anche attività sacre connesse al culto dell'acqua, come nelle altre grotte oggetto di questo lavoro.

Si può anche ipotizzare un'attività metallurgica nei pressi dell'ingresso meridionale. La presenza di miniere nelle zone vicine infatti si accompagna ad abbondanza di acqua e di legname utilizzabile come combustibile. Il Lamarmora parla di 'parecchi mucchi di scorie che derivano da lavori metallurgici'. La zona circostante era sicuramente interessata da insediamenti abitativi, come dimostra la presenza del grande nuraghe "Sa Dom'e s'Orcu".

 Sa Prejone ‘e s’Orcu - Siniscola

Giovanni Lilliu è stato il primo a far conoscere la cavità del Monte Albo, visitata tra il 22 ed il 25 Ottobre del 1938. Essa si apre con uno stretto pertugio, ai margini d'un canalone sotto la punta Su Cuccurarvu, nei pressi del rio Siccu. Il Lilliu la definiva "curiosissima costruzione semi-artificiale" e la descriveva minutamente: la grotta presenta, subito dopo l'angusto ingresso, una scala a gomito; uno sbarramento con ‘garetta’ alla fine della scala sovrasta un salto che immette in due grandi sale ed una ‘cellula’; la scala è composta di 16 gradini, che misurano mediamente 20 cm d'alzata e 18 cm di pedata; le pareti sono costruite a filari; la copertura è formata da architravi in risega; l'altezza della scala è di 1,26 m, la larghezza di 0,65; si notano gli incastri per paletti di sprangamento di porticine, di 25x22x32 cm; alla testata inferiore della spalletta sinistra si at­tacca un muro che piega a sinistra, lungo 4 m e alto 4; in alto sul muro c'è una fessura che dà alla scala. Un vestibolo ellittico largo 15 m introduce fra due colonne alla sala quadrangolare di 15 m e ad una suggestiva saletta.

In un articolo successivo il Lilliu faceva un raffronto tra la scalinata della grotta e quelle dei pozzi sacri di tipo arcaico, come il pozzo di S.Anastasia di Sardara.

Il Taramelli parla di un nuraghe eretto contro una grotta da cui scaturisce una fonte; 'si vede ancora l'ingresso e la scala per accedere alla cavità della grotta. Da ciò il nome di Nuraghe Orcu o Sa Grutta'. A nostro parere lo studioso si riferiva forse alla grotta 'Sa Conca 'e s'Orcu', che si trova a quota 830 s.l.m., di cui il Furreddu dice: 'grotta cui si accede da un nuraghe...'. Lo stesso Furreddu descrive la grotta Sa Prejone 'e s'Orcu come rifugio dei Sardi braccati dai Cartaginesi e dai Romani al tempo della conquista dell'Isola. Egli parla di una scala elicoidale che porta ad un pianerottolo su un saltino di 4 o 5 metri e di un muro di costruzione nuragica. La grotta si estende poi in discesa per una sessantina di metri a sezione lenticolare inclinata, riempita in parte da una frana; l'autore dice che sono stati trovati dei cocci sicuramente nuragici e dei favi di miele completamente fossilizzati. Il Contu parla invece di "apprestamento architettonico che interessa una sorgente temporanea che sgorga dentro una grotta" aggiungendo che serviva per rifornimento idrico e forse per riti particolari.

Una pubblicazione più recente parla della grotta come di un rifugio con una probabile uscita di sicurezza (oggi sconosciuta). La stessa fonte parla di cocci di ceramica nuragica e resti di pasto e di focolare vicini ad un nicchione con pozza d'acqua. Quest'ultima notazione fa pensare ad una grotta sacra come le altre esaminate in questo lavoro. Non sembra plausibile l'ipotesi che i nuragici costruissero una struttura così perfezionata, quale quella descritta dal Lilliu, per scampare alle ricerche dei Romani o per rifornirsi d'acqua. La scala che porta ad un ambiente sotterraneo con presenza d'acqua riporta alla mente i pozzi sacri e la grotta di Morgongiori, nonché quella di Santadi, di cui si parla più avanti. La notizia di Zonara sui Sardi che si rintanavano in grotte e caverne inseguiti con i cani da M. Pomponio Matone non autorizza ad ipotizzare che le popolazioni dell'interno della Sardegna costruissero scale e muri all'interno dei rifugi naturali. Essi dovevano salvare la propria vita e le greggi, non avevano il tempo e la possibilità materiale di realizzare tali opere. La ricercatezza della costruzione ipogeica di Siniscola come di quella di Morgongiori ci induce ad attribuire loro un carattere sacro.

Il Monte Albo e le sue pendici conservano numerose testimonianze dell'età nuragica, alcune delle quali proprio in cavità naturali. Nella zona di Bona Fraule, per esempio, nel 1892 si rinvennero in una 'grotta calcarea naturale' una navicella in bronzo con testa di cervo o daino e altri oggetti in bronzo e ferro. Alla base dello sperone calcareo di Bona Fraule, già sormontato dall'omonimo nuraghe non più esistente, il Lilliu ha rilevato una capanna 'di aspetto preistorico', seminterrata, dal diametro di m 2,50 e di profondità residua di m 1. Qui, forse per la prima volta, lo studioso trovò un frammento di intonaco rosso scuro con l'impronta di rametti, testimonianza della copertura straminea. La zona era poi circondata da nuraghi, sia sulle pendici che sulle cime del Monte Albo.

Duar Vuccas - Siniscola

Un'altra interessante cavità con mura nuragiche si trova nella stessa zona del Monte Albo: la grotta di Duar Vuccas (Due Bocche). Anch'essa è stata descritta da Giovanni Lilliu nel 1940. Antistante la forra di Sa Conca 'e su Sale (o Gurgu di Ischiriddé), sul sentiero che da Bona Fraule porta alla Punta de s'Orcu, prende il nome dai due ingressi opposti che si aprono sull'asse NE-SO. Il primo è rivolto alla montagna, l'altro si apre sul vuoto. La cavità ha l'aspetto di una galleria, lunga 20 m, larga 6 m, e alta 7 m; a Nord-Est è sbarrata da un muro megalitico. Il Lilliu ha scavato nell'aprile del 1939 lo strato di cenere alla base del muro rinvenendovi frammenti ceramici di piatti, ciotole e olle, taluni restaurati con grappe di piombo. Lo studioso effettuò uno scavo anche nella capanna antistante la grotta di Duar Vuccas in cui ritrovò un macinello e un piatto simile a quelli della grotta.

Il Lilliu ci dà notizia anche della probabile presenza di resti murari manufatti nella vicina grotta di Gantinerios, sull'orrido della punta omonima, frugata da tale Matteo Carzedda alla fine del secolo scorso.


Pirosu - Santadi                       

Anche la notissima grotta-santuario di Pirosu in località Su Benatzu, nel territorio di Santadi, presenta strutture murarie di origine nuragica. Si tratta di resti di muratura fra l'ingresso n.2 e quello n.3, rilevati dallo Speleo Club di Cagliari. Il primo è un muro addossato alla parete naturale ed in parte franato, il secondo sembra un'opera di contenimento o di terrazzamento.

Una rozza gradinata scende dal terrazzo verso gli ambienti sottostanti che comprendevano la zona sacra dell'ipogeo. Anche in questo caso la funzione delle strutture murarie ipogeiche deve essere messa in relazione con la natura sacra della grotta.

 

 

Un sentito ringraziamento devo rivolgere, oltre che naturalmente a Emina Usai, per le notizie sugli scavi, agli amici dello Speleo Club di Cagliari e a Gianfranco Muzzetto dello Speleo Club di Oristano per l'esplorazione e i rilievi, nonché al Gruppo Speleo-Archeologico 'Giovanni Spano' di Cagliari, senza il cui aiuto non avrei potuto realizzare questo lavoro. In particolare la mia riconoscenza va a Luigi Scema e a Franco Varsi che mi hanno accompagnato in alcune faticose ricognizioni sul campo.

 

Fonte: https://www.academia.edu/23490387/LA_GROTTA_SACRA_NURAGICA_DI_MORGONGIORI?auto=download&email_work_card=download-paper

 

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