sabato 6 novembre 2021

Archeologia. La produzione e il commercio dell'olio nella Sardegna punica. Articolo di Attilio Mastino

Archeologia. La produzione e il commercio dell'olio nella Sardegna punica.

Articolo di Attilio Mastino



1. L'olio in età punica.

Per l'epoca punica si hanno notizie precise dalle fonti letterarie: secondo l'autore anonimo del De mirabilibus auscultationibus, che risale evidentemente a Timeo, i Cartaginesi avrebbero proibito la coltivazione in Sardegna degli alberi da frutto ed avrebbero obbligato i Sardi a tagliare tutte le piante, imponendo il divieto di piantarle nuovamente, sotto pena di morte; e ciò probabilmente allo scopo di potenziare la produzione di grano nell'isola e di impedire la concorrenza agli oliveti ed ai vigneti africani. Del resto anche Diodoro Siculo, seguendo ugualmente Timeo, addebita ai Cartaginesi la fine di quella che era derivata dalla splendida operosità di Iolao, il compagno di Eracle, il quale aveva coltivato la terra e piantato alberi da frutto. La notizia del taglio degli alberi da frutto, che pure sembrerebbe sostenuta da analoghi provvedimenti protezionistici adottati successivamente dai Romani nella Gallia Narbonense, va  sicuramente ridimensionata, dal momento che si tratta con tutta probabilità di un luogo comune di origine siceliota nell'ambito della polemica sulla barbarie punica? Già Arnaldo Momigliano, con riferimento ad analoghe arcaiche «leggi. puniche, ha parlato di intrinseca assurdità» della disposizione che riguardava non la devastazione di piantagioni nemiche, bensì «un

divieto permanente in territorio proprio»; si tratterebbe dunque di un vero e proprio topos, di uno «schema etnografico» adottato per spiegare a posteriori l'accertata realtà dell'inesistenza di un prodotto, nel nostro caso di alberi da frutto, rispetto ad una immagine idealizzata del passato mitico dell'isola fertile, nobilitata dal collegamento con lolao e con Aristeol8. Il Momigliano ammette però che il motivo etnografico poggi «su una realtà ben seria e ben nota-, cioè sulle «limitazioni imposte dai Cartaginesi a certe produzioni dei sudditi (vite, olivo)., e questo non solo in Sardegna, ma anche in Sicilia e forse in Ispanial; l'anonimo autore del De mirabilibus auscultationibus traviserebbe queste norme protezionistiche, riportandole ad una sola legge, estendendole a tutti i frutti ed a tutta la Sardegna». Del resto, oltre al fatto che i Cartaginesi occuparono soltanto i territori costieri dell'isola, le prime testimonianze sicure di coltivazione di olivo in Sardegna vanno riferite proprio ad età fenicio-punica. La prima attestazione dell'olivo nei livelli archeologici della Sardegna arcaica, se si esclude il caso della Grotta Rifugio di Oliena, è riferita infatti all'area del tophet di Tharros e già al IX secolo a.C.: è noto che le analisi paleo-botaniche recentemente effettuate sulle ceneri delle pire contenute nelle urne funerarie del tophet hanno messo in evidenza l'assoluta preponderanza dell'olivo, anche se al momento è impossibile precisare se si tratti di olivo selvatico (Olea europea L, varo sylvestris) o coltivato (Olea europea L. varo saliva); e ciò per il fatto che non rimangono al momento tra le ceneri resti di olive. Nel VI secolo a.C., per allestire le pire funebri, era preferito l'uso di Olea europea che, in diverse urne, è l'unico tipo di legno utilizzato. In altre urne questa specie è sempre presente ma accompagnata da Pistacia lentiscus e da Quercus ilex. Non solo, ma le recenti indagini paleobotaniche hanno consentito di localizzare nel Sinis alcune aree con biotopi di oleasbi  o di olivi, superstiti forse dal I millennio a.C. Secondo lo studioso francese Michel Gras, le conseguenze di questa scoperta sono molto rilevanti: se si arrivasse a precisare che a Tharros esistevano degli olivi coltivati, sarebbe possibile stabilire con più esattezza le circostanze della prima introduzione delle tecniche di coltivazione nell'Isola: l'impianto e lo sfruttamento della pianta sarebbero stati forse preceduti dalla conoscenza del prodotto, l'olio, per quanto in assoluto non possa escludersi la precedente produzione di olio dalle piante spontanee di oleastro, sicuramente diffuse nell'isola. Dunque, la nota importazione di alabastra ed aryballoi corinzi ed etrusco-corinzi dell'inizio del VI secolo, potrebbe esser stata all'origine dell'acquisizione della coltura dell'olivo dall'Attica greca. Una tale ipotesi ha forse il torto però di abbassare eccessivamente nel tempo l'epoca dell'introduzione della coltura dell'olivo in Sardegna, anche alla luce della nuova cronologia proposta da A. Lentini per le piante di Tharros, che ci porterebbe indietro fino al IX secolo a.C. Gli apporti di olio in Sardegna sono documentati archeologicamente sia da contenitori anforari, sia da recipienti minuscoli porta profumi, la cui composizione di base era appunto costituita dall'olio. Le testimonianze più antiche di anfore olearie in Sardegna parrebbero costituite dal tipo ateniese, documentato ad Othoca e a Tharros. La cronologia più alta per tali tipi anforari ci riporta all'VIII secolo a.C., ma è attestata la prosecuzione della loro fabbricazione per tutto il VII sec. a.C. All'inizio del VI secolo è noto che Solone incoraggiava l'esportazione di olio dall'Attica, probabilmente proprio con le anfore attiche. Un rinvenimento di anfore consimili in contesti fenici del Marocco, dell'Andalusia e dell'isola di Ibiza pare documentare una rotta lungo il litorale maghrebino in andata e lungo la Spagna e le olle Pitiuse fino alla Sardegna occidentale in rientro. La notevole attestazione di tali anfore in Etruria ed in ambito magnogreco e siceliota dimostra che la diffusione dell'olio attico riguardava il bacino centrale ed occidentale del Mediterraneo, dove la coltura dell'olivo andò diffondendosi a partire dal VI secolo, dal momento che a Roma Tarquinio Prisco non conosceva ancora questa produzione. In Etruria, successivamente all'introduzione dell'olio per alimentazione, si sarebbe sviluppato l'uso dell'olio per illuminazione e per ungersi la pelle: un itinerario differente suppone Michel Gras per la Sardegna, che pensa ad un collegamento della colonia punica di Tharros con il mercato etrusco, attraverso la mediazione degli Ioni. Ad ambiti cronologici consimili si riferiscono anche i piccoli contenitori di olli profumati fenici (olii bottles) noti a Settimo S. Pietro, Bithia e Tharros principalmente, e gli aryballoi di produzione greca geometrica raramente attestati a Bithia (arybaUos globulare protocorinzio antico) e a Tharros (aryballos piriforme protocorinzio tardo). Con l'età arcaica (fine VII-prima metà VI sec. a.C.) riconosciamo l'amplissima diffusione degli aryballoi corinzi (Tharros e Othoca), laconici (Sulci e Tharros) e soprattutto etrusco-corinzi (Villasimius, Pani 1 di anfore etrusche con olive (Cere e Roma-S. Omobono) induce a non escludere che talvolta le anfore etrusche, prevalentemente vinarie, potessero contenere anche olio. Solo a partire dall'inizio del V secolo Tharros iniziò a ricevere abbondantissime importazioni di lucerne attiche, cosa che dimostra come l'uso dell'olio per illuminazione era ben noto; non può escludersi del resto che come combustibile per l'illuminazione mediante le lucerne si utilizzasse olio d'oliva (magari rancido e non commestibile, sicuramente scadente) piuttosto che il tradizionale olio di lentisco o addirittura il grasso; e ciò già in epoca nuragica, se si pensa alle navicelle di bronzo esportate anche in Etruria, alcune delle quali sono allargate, vere e proprie lucerne, come quelle da Baunei, Mandas, Santadi; oppure alle lucerne nuragiche in terra cotta, alcune con residui di combustione; ma si tratta di oggetti di lusso, che non hanno nulla in comune con l'uso quotidiano dell'olio nei villaggi nuragici; analoghe testimonianze appaiono anche in ambito fenicio, se si pensa ad esempio alla lucerna ionica da Monastir del VI secolo a.C. Nel periodo punico gli olii profumati sono contenuti nelle preziosissime boccette in vetro fuso arieggianti forme vascolari classiche (oinochoai, alabastro, aryballoi, amphoriskoi e hydriai) di presumibile manifattura cartaginese ovvero in aryballoi e lekythoi ariballiche attiche, note a Karales, Nora, Bithia, Sulci, Neapolis, Terralba, Othoca, Tharros, Sarcapos. Ampolle (gutti) per contenere olio (d'oliva) per lucerne sono documentati a Tharros di produzione attica del Ve del IV secolo a.C.

In: Atzori, Mario; Vodret, Antonio Olio sacro e profano: tradizioni olearie in Sardegna e Corsica, Sassari, EDES Editrice Democratica Sarda. p. 60-76

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